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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Le ire di Giuliano

ITALO SVEVO

Commedia in un atto

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SCENA OTTAVA

ROMOLO e DETTI

 

GIOVANNA. A quest'ora Momi a casa?

ROMOLO. Mamma, voglio andare a letto.

GIOVANNA. Sei ammalato?

ROMOLO (Esitante, molto commosso). Sí, sto male.

GIOVANNA. Su, di', che cos'hai? (Romolo non risponde.) Male di gola? Ma parla! (Romolo si mette a piangere.)

LUCIA. Ho capito! Anche lui!

GIOVANNA. Giuliano ti ha fatto del male?

ROMOLO. Come lo sapete?

GIOVANNA. Dunque ti ha fatto del male?

ROMOLO. Male, male proprio no, ma voleva farmene. Io sono scappato.

GIOVANNA. Oh! adesso poi ne ho abbastanza! Vedremo se bastonerà anche me! Maria! Maria!

LUCIA. Vuoi andare da lui? No, mamma, che non offenda anche te!

GIOVANNA. Questa la vedremo! Maria!

MARIA. Comandi!

GIOVANNA. Dammi lo scialle ed il cappello. (Maria eseguisce.)

LUCIA. Non adesso, mamma. Non è meglio attendere qualche giorno? Dopo potrai dirgli quello che vuoi, lui a te non perde il rispetto. Adesso potresti davvero udire delle brutte cose.

GIOVANNA. Intanto lui ne udrà delle belle da me. (A Romolo.) E adesso, tu spicciati; raccontami ma con esattezza quello che a te fece.

ROMOLO. Mi prese per un'orecchia, me la tirò un poco, ma poco, mi portò fuori della porta e mi disse: Tu non rimetter mai piú piede qui.

GIOVANNA (avviandosi). Ah! la vedremo.

LUCIA. Ma perché?

GIOVANNA (fermandosi). Perché? Mi pare che lo sappiamo meglio noi che lui.

LUCIA. Non ti disse nulla prima di farti quest'affronto?

ROMOLO. Prima di tirarmi l'orecchio? Mi sgridò perché avevo fatto un grosso errore in un conteggio.

GIOVANNA. Molto grosso?

ROMOLO. Quali ne feci ogni giorno, e non so perché oggi si sia adirato piú del consueto.

GIOVANNA. Lo so ben io. Me ne posso dunque andare. Non c'è altra ragione? Ricordati che se ce n'è un'altra io vo' a fare una pessima figura.

ROMOLO. No, mamma! proprio non c'è altro.

GIOVANNA. Proprio?

ROMOLO. Ti do la mia parola d'onore, mamma!

GIOVANNA. Allora a noi due! (Via.)

FILIPPO. Ah! ora capisco! L'ha dunque con voi tutti, non con me solo! Dunque è cosa che non mi riguarda! È affare interno della vostra famiglia!

LUCIA. Fatemi il piacere, Filippo, andatevene!

FILIPPO. Perché? Che cosa vi feci?

LUCIA. Nulla! Vi avverto soltanto che potreste compromettervi!

FILIPPO. Eh, via! Un uomo!

LUCIA. Ma sapete molto bene cosa succede quando vi compromettete. (Fa segno di ricever legnate.)

FILIPPO (mostrando dubbio e allegramente). Chi sa che cosa aveva quest'oggi Giuliano per il capo! Si sfogava con me, ecco tutto! Voi dovete avergliene fatte di belle per averlo ridotto in quello stato.

 

 

SCENA NONA

GIULIANO e DETTI

 

GIULIANO (si presenta improvvisamente alla porta di fondo e vi rimane; Filippo e Romolo danno un grido di spavento). Ebbene! (È serio, compassato, si capisce però che si frena a stento.) Romolo! tu ritornerai al mio scrittoio. Sono venuto qui per te! A te io non voleva fare del male. Te ne ho fatto forse?

ROMOLO. No! no! un poco soltanto all'orecchio.

GIULIANO (con pena). Ebbene! scusami!

ROMOLO. Oh! te ne prego! Scusarti io, ma anzi!

GIULIANO (va a lui e gli dà un bacio). A te ho sempre voluto bene. Ci voleva molto sangue alla testa per portarmi a farti del male.

FILIPPO. Ebbene! cugino! Siamo rinsaviti? Neppure a me avete fatto molto male. Un'altra volta però non fatelo in istrada!

GIULIANO. Badate, scimunito, di non venirmi piú tra' piedi! Potrei accogliervi a calci!

FILIPPO (stupefatto un istante, poi). Ah! la è cosí! Io veniva tutto buono a fare la pace e voi m'accogliete in tal modo? Aspettate! Ve la farò vedere io… (Uno sguardo di Giuliano lo fa restar perplesso, poi) Sentirete a parlare di me! (Via.)

GIULIANO. Vieni, Romolo!

ROMOLO. Vorrei attendere prima la mamma. Anzi forse la troviamo da te. Andiamo.

GIULIANO. È venuta da me? A che farci?

ROMOLO (sorridendo). Credo che voleva sgridarti per quella tirata d'orecchi che mi hai dato.

GIULIANO. Allora lascia che vada solo. (p.p.)

LUCIA. Giuliano!

GIULIANO. Che vuole?

LUCIA. Se mamma voleva farvi dei rimproveri ella ne aveva il diritto. Non era ben fatto di sfogarsi con un povero ragazzo che non vi aveva fatto nulla!

GIULIANO. Oh! fatto nulla! Gli aveva dato da fare un conteggio e me lo diede pieno zeppo di errori.

LUCIA. Ve ne prego, dunque, Giuliano, non fateci piú del male. Lasciate questo ragazzo qui, non occorre lo tratteniate piú, ma non cercate di trovare mamma per dirle insolenze, non perseguitate il cognato che vi deve denari; egli non ha nulla di comune con me. Non colpite me facendo del male a lui.

GIULIANO. Ma foste voi che mi pregaste di favorirlo; ora non ci siete piú voi ed io non intendo di gettar piú il mio danaro a persone le quali per nessun titolo vi hanno diritto.

LUCIA. Voi siete un uomo pessimo ed io non saprò mai pentirmi abbastanza di avervi amato.

GIULIANO (frenandosi). Ditelo pure, io non m'adiro piú. L'ho deciso, proprio deciso. Ma vorrei sapere quali persone voi diciate essere cattive e quali buone. Se la bontà equivale per voi ad imbecillità, allora io non sono buono. (Interrompendosi.) E poi sentite! Se voi credete che esser buoni significhi saper tollerare, perdonare, allora non siete buona neppur voi. Ogni altra donna mi avrebbe perdonato, mi avrebbe sopportato, perché io era un buon marito nel resto. Lasciai che vi mancasse mai nulla? Non feci il possibile per sollevare dalla miseria, dalla miseria - credetemelo -, anche i vostri parenti? E dopo tanti benefici da me avuti credete di aver il diritto di adontarvi per una parola mal detta, per un atto un po' brusco? (Fuori di sé.) Non lo avevate questo diritto! ve lo dico io! Il vostro dovere sarebbe stato di baciare la polvere mossa dai miei piedi.

LUCIA (molto commossa). Naturalmente che con queste vostre idee sui miei doveri coniugali non poteva risultare dalla nostra unione una certa felicità.

GIULIANO (sempre piú adirato). Erano le mie, le mie idee che impedivano la felicità della nostra unione? O quando si manifestavano queste mie idee? Quando vi rimproverai i miei benefici?

LUCIA. In questo stesso istante.

GIULIANO. Perché li vedeva negati, ma prima, quando ve li rammentai? Ve ne parlai tanto poco che non li conoscevate tutti perché voi non sapevate che io dava dei danari a vostro cognato e per i vostri begli occhi. Non parlatemi per qualche istante, Lucia; mi era proposto di rimaner calmo e non mi riesce… del tutto. (Siede al tavolo e stringe sussultando la testa fra le mani.)

LUCIA. Non so vedervi in questo stato.

GIULIANO (serio, non calmo). Lo so; vi faccio spavento. Eppure io non feci mai molto male a nessuno. Ho avuto torto di sposarvi. C'era mia madre che aveva il medesimo mio carattere; perciò quando si disputava, l'ira tra noi durava delle settimane. Pensai vedendovi cosí bionda, coi vostri miti occhi azzurri che con voi un malumore non potrebbe durare piú di un giorno. Dopo le settimane d'ira con mia madre, ci si gettava fra le braccia piangendo, chiedendoci vicendevolmente scusa. Con voi l'ira dura meno; ma non si è mai interamente rappatumati; voi non sapete perdonare. (Ironico.) Anche voi avete avuto torto di sposare un macellaio, quantunque avesse dei danari.

LUCIA. Giuliano!

GIULIANO. Non voleva mica dirvi che mi avete sposato per i miei danari; voleva constatare un vostro torto e provarvi una volta di piú che ne avete.

LUCIA (agitata). Abbiamo dunque avuto torto di sposarci ambedue; l'avete detto voi stesso. Dividiamoci dunque; ripariamo almeno in parte al mal fatto.

GIULIANO (sospettoso e ironico). Nel contratto di nozze vi ho assicurato una contraddote, se non m'inganno.

LUCIA (con forza). Ed io vi rinuncio!

GIULIANO (passeggia agitato). Pensate dunque seriamente a questa divisione?

LUCIA. Lo vedete pure che bisogna!

GIULIANO (abbracciandola appassionatamente). Non bisogna, non bisogna, Lucia! Senti Lucia! Guardami in volto. Non vedi che ho ancor sempre qui e qui (toccandosi la fronte ed il cuore) un turbine e che pure riesco a padroneggiarmi? Non sono calmo? Ti tengo fra le braccia e piú che di baciarti proverei il desiderio di strozzarti e non lo faccio. (La bacia.) Perché vuoi fuggirmi quando per te sono tutt'altro che pericoloso, quando tutti i tuoi interessi e quelli della tua famiglia ti comandano di amarmi?

LUCIA (cercando di svincolarsi). Oh! Giuliano!

GIULIANO. Ma non parlo d'interessi, parlo di amore. Non m'ami dunque affatto, che mi abbandoni quando maggiormente avrei bisogno di te? In quella orribile macelleria mi lasci solo a migliorarmi il carattere? Eppure se c'era qualcheduno che poteva migliorarmelo, guarirmi, eri tu. Non vedi che oggi, nella mia ira ancora, ti prego, ti scongiuro di rimanere con me?

LUCIA. Sí, ma…

GIULIANO. Non ma, non dire alcun ma, perché io corro il rischio di perdere nuovamente la testa. No, vieni subito.(La trascina verso la porta.)

LUCIA (ridendo). Ma…

GIULIANO (irritatissimo). Ancora ma?

LUCIA (c.s.) Cosí? Senza cappello?

GIULIANO (saltandole al collo). Oh! grazie! grazie!

LUCIA (pregando). Ma sii buono!

GIULIANO. Non te lo promisi?

LUCIA. E non attenderemo mamma?

GIULIANO (offuscandosi). No, no, andiamocene, ché non mi tocchi udire altri rimproveri. (Dopo un istante di riflessione.) Faremo cosí. (Chiama.) Maria!

MARIA. Comandi?

GIULIANO. Dia il cappello a Lucia e dica alla signora Giovanna… (esitando un istante) le dica che sono venuto a prender mia moglie… e il mio impiegato (Verso Romolo.)

MARIA (allegramente). Va bene! So che darò una buona notizia alla signora! (Dà il cappello a Lucia che se lo mette.)

GIULIANO (fosco). Anche la serva ne sapeva?

LUCIA. Che te ne importa?

GIULIANO (si passa una mano sulla fronte, poi sorridente e calmo offre il braccio a Lucia). E andiamocene! (Via con Lucia.)

ROMOLO (si è messo il cappello, a Maria). Dica a mamma che non occorre fare altri rimproveri a Giuliano. Mi ha chiesto scusa e io gli ho perdonato. È dunque affare finito.

GIULIANO (rientra e con voce irritatissima). Vuoi dunque venire, imbecille, che ti attendiamo da mezz'ora?

ROMOLO. Vengo! vengo! (Corre)

 

 

CALA LA TELA

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.53

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