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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Le teorie del conte Alberto

ITALO SVEVO

Scherzo drammatico in due atti

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ATTO SECONDO

 

 

SCENA SESTA

ANNA e DETTI

 

ANNA. Ad Anna nulla. Non occorre nulla dirle. Se ha da dirmi qualche cosa io sono qui.

ALBERTO. Oh! Anna!

ANNA. Prego, mi parli senza riguardi; ha inteso che sono io che ho voluto che Lorenzo le racconti tutto. (Molto commossa.) Io credeva che lei fosse andato già via, e per questo sono venuta di qua, altrimenti non veniva.

ALBERTO. Ecco! io ti credeva diversa. Adesso già assumi un tono da donna offesa come se io volessi offenderti. Tu sai che io ti amo, che se avessi ad abbandonarti io ne soffrirei piú di te.

ANNA. Se avessi ad abbandonarti?

ALBERTO. Io non dissi ancora nulla. Non decisi ancora nulla.

ANNA. Ma io ho deciso. Oh! non mica perché sono convinta della serietà delle ragioni che la inducono a lasciarmi. Ma io aveva sognato qualche cosa diverso di molto. Io non voglio venir sposata con esitazioni, con scrupoli. Anche Lorenzo mi disse che cosí la felicità non verrebbe in casa nostra. (Piange.)

LORENZO. Sí, è meglio che vi lasciate finché siamo in tempo è meglio di evitare un matrimonio disgraziato.

ANNA (piangendo). Sí, è meglio, è meglio.

ALBERTO. Adesso quando si trattava precisamente di ragionare, di riflettere con serietà, queste ire sono fuori di proposito. Io non commetto tanto facilmente errori; dunque se sposerò Anna sarà segno evidente che io sarò convinto di farlo per la mia felicità.

 

SCENA SETTIMA

Dottor REDELLA e DETTI

 

REDELLA. Io me ne vado, signori.

ANNA. Buon viaggio, signor dottore. Ma mi dica prima di partire, non ci sarebbe una medicina con la quale si potesse levarsi i cattivi istinti?

REDELLA. Perché?

ANNA. Se ve ne è me la indichi perché c'è una persona che ne avrebbe bisogno. Non mi dia bada perché parlo per ischerzo. Stia bene signor dottore. Ti attendo in stanza di mamma Lorenzo. (Via.)

LORENZO. Ho il piacere di aver fatto la sua conoscenza e spero di poter rivederla. Se lei passa, in un'occasione od altra per la nostra città, verrà senza dubbio a trovarci?

REDELLA. Mi procurerò questo piacere non v'ha dubbio. (Lorenzo via.)

ALBERTO (come smemorato va verso la stanza di Anna.)

REDELLA. E tu non vieni ad accompagnarmi? O almeno non mi saluti?

ALBERTO. Oh! perdona! Senti Redella. Sai che anch'io penso che noi abbiamo torto di credere alla teoria dell'eredità e dell'atavismo?

REDELLA. Perché? Hai letto qualche libro confutativo?

ALBERTO. No, ma ho avuto campo di fare delle osservazioni che la negano.

REDELLA. Sí! Davvero! Abbiamo torto. Dimmele queste tue osservazioni; sai bene che io sono sempre pronto a lasciarmi convincere.

ALBERTO. Sono piú riflessioni che osservazioni. Io dico che vi sono senza dubbio delle eredità organiche ma che l'educazione e l'esempio valgono a lottare con qualunque difetto ereditato.

REDELLA. E queste dici tu riflessioni tue proprie? È un plagio perché cosí si pensava duecento anni or sono. Dove hai pescato queste sciocchezze?

ALBERTO. Se anche le giudichi sciocchezze ciò non toglie che sono proprio da me pensate; da me che pure al pari di te conosco tutti i progressi della scienza. Di mio aggiungo un'altra riflessione. Voi vi compiacete tanto, io oggi dico, nell'idea dell'assoluto che onde non perderla, neghereste la verità riconosciuta che si sottraesse alle vostre regole.

REDELLA (adirandosi). Io non ho mai negato una verità riconosciuta; forse lanci quest'accusa onde far tacere la tua coscienza che indubbiamente te ne fa una eguale. Un antico greco del quale non ci venne trasmesso il nome aveva studiato tutta la sua vita ed aveva fama di scienziato. Un bel dí gli cadde una tegola sul capo e pfusc! addio scienza; per un effetto meccanico aveva perduto la memoria. Che fosse anche a te caduta qualche tegola sul capo?

ALBERTO. Ah! non scherzare!

REDELLA. E cosa ho da pensare se non solamente dimostri di aver dimenticati tutti i risultati datici dalla psichiatria ma che anzi ti poni in diretta contraddizione con essi? Spiegare a te di nuovo tutta la teoria, quando ieri ancora dimostravi di conoscerla, sarebbe ridicolo. Io penso che tu scherzi.

ALBERTO. E tu pensa ciò che vuoi. Io so intanto che le leggi dell'eredità vennero scoperte sulle bestie. Pochi matti si sono azzardati applicarle all'uomo. Senza fare eccezioni si ammisero per i cavalli e si capisce, perché là la potenza che possiamo esercitare mediante l'educazione è minima; ma per l'uomo nel quale esiste il volere, la potenza modificatrice per eccellenza, la legge patisce tante eccezioni che diventa eccezione essa stessa.

REDELLA. Ah! bah! tu sragioni! tu cadi nell'errore fondamentale antropocentrico.

ALBERTO. Tu sragioni! Presuppone la mia osservazione che l'uomo sia il centro della creazione? No, ma senza dubbio l'uomo oggidí è diverso dalle bestie; ha facoltà di cui in alcune di esse v'è tutt'al piú rudimenti. Ogni cosa diversa merita trattamento diverso o che con questo metodo finiremo con l'adoperare 300 gradi di calore per sciogliere il burro perché cosí facciamo per liquefare metalli.

REDELLA. L'esempio non calza. Vi sono leggi applicabili a tutte le cose, vi sono leggi applicabili agli esseri organici, altre ve ne sono per gli esseri viventi ed infine alcune per gli uomini soltanto. Questa mania di accomunare le cose non l'ha certamente la scienza. Non divagare! La scienza ti dice: Questa è una legge generale applicabile a tutti gli esseri viventi e tu, se lo puoi, attaccala; ma non attaccarne una che essa non ha posta; perché essa non asserí giammai che si debba sciogliere il burro a 300 gradi.

ALBERTO. Era dato a guisa di esempio. Io non aveva altro a dirti all'infuori che io non credo alle vostre leggi, alle vostre osservazioni, alle vostre statistiche. Le leggi le ponete ben grosse, importanti, e piú diversificano dal comune modo di pensare piú vi piacciono. Le vostre osservazioni le fate attraverso alle lenti dei vostri pregiudizi facendo precedere la sintesi all'analisi. Le vostre statistiche mi fanno ridere.

REDELLA. E perché signor mio?

ALBERTO. Perché voi studiate gli atti degli uomini e non gli uomini. A te sembra la medesima cosa l'atto che commette l'uomo e l'uomo stesso?

REDELLA. Non ho mai detto questo. L'uomo è l'antecedente! Il fatto è la conseguenza del fattore.

ALBERTO. Sei troppo esplicito carissimo. Non è vero, l'idea della palla per te va intimamente congiunta a quella del rotolare?

REDELLA. Senza dubbio!

ALBERTO. E quella del corpo a base piana a quella della fissità?

REDELLA. Senza dubbio!

ALBERTO. Ebbene, prendi un corpo piano e ponilo su di un'erta tale che perda l'equilibrio e rotolerà. Prendi la palla, ponila su un piano orizzontale e starà ferma. Dunque il fatto casualmente può essere del tutto diverso da quello che si prevedeva dopo studiate le qualità di un corpo.

REDELLA. Ciò è molto sottile, tanto sottile che credo non basti condurti a conclusioni maggiori.

ALBERTO. No, perché la conclusione massima è già fatta. Io dico che l'uomo può essere un corpo rotondo ad una base piana. Tende a rotolare, a fare del male supponiamo, o tende a star inerte sulla via prescrittagli dalla legge; invece, se tende a stare inerte capita in posizione verticale e precipita, se tende a rotolare il piano orizzontale glielo impedisce.

REDELLA. Ah! Ah! quali sciocchezze!

ALBERTO. Non ridere perché il tuo riso non mi convince. Del resto non mi convincerebbero nemmeno i tuoi argomenti. È dunque inutile che discutiamo; io mi tengo la mia convinzione, tu tienti la tua.

REDELLA. Ma la tua è una convinzione sciocca; tu, lasciatelo dire, sei moralmente decaduto. Che l'amore ti avesse posto in questo stato?

ALBERTO (con violenza). Che c'entra qui l'amore? Oh! l'amore all'umanità sí! Dacché mi si aprí la mente a riconoscere la verità, davvero che mi sento migliore, e piú libero.

REDELLA. Migliore può essere! Hai riacquistato la bontà dell'ignorante! Ti sarà riservato un posto nel regno dei cieli. (Poi.) Davvero che provo un reale dolore al vederti in questo stato. Io ti voglio bene! È impossibile lasciarti nei paradossi in cui ora navighi a gonfie vele.

ALBERTO. Non curarti di me! Io ora sono felice!

REDELLA. Ma anche per amore della scienza io non posso lasciar vituperare la statistica in questo modo.

ALBERTO. Basta! Basta!

REDELLA. Mi lascerai finire? Io ho il dovere di parlare. Sappi che la statistica non viene mica condotta tanto superficialmente quanto tu credi. Se un uomo commette un delitto, la statistica raccoglie tutti i dati che può ottenere intorno a quest'uomo e distingue l'uomo che ruba il pezzo di pane quando ha fame da colui che lo ruba per rubarlo.

ALBERTO. Insomma io non vi credo.

REDELLA. Ma sei impazzito? (Dopo una piccola pausa.) Eppoi anche chi ruba per bisogno modifica in tale modo l'organismo che alla seconda generazione anche non essendovi il bisogno potrà comparire il delitto. È precisamente il corpo a base piana che rotolando si arrotonda.

ALBERTO. Sogni sono questi!

REDELLA (adirato). Carissimo mio capisco che con te è fiato sprecato. Per tuo bene però ti consiglio di studiare il carattere dei nonni quando comperi cavalli e pel bene dei tuoi figliuoli dei genitori quando prendi moglie.

ALBERTO (agitatissimo). Tu mi consigli questo? Bada Redella che io principio a credere che tu voglia offendermi.

REDELLA. Io offenderti?

ALBERTO. Certe allusioni non le so sopportare.

REDELLA. Allusioni? (Dopo un istante di esitazione rimane confuso.) Principio a comprendere. (Pausa.)

ALBERTO (accorgendosi che Redella ha capito). Hai veduto quale angolo facciale, quale occhio diritto, quale voce incorrotta e tono eguale?

REDELLA. Certamente! Hai ragione! Io sono stato un po' ingiusto! Sai come è nelle discussioni che si vuole mantenere il proprio punto. La teoria dell'eredità ammette ogni dubbio! Altro che ne ammette!

ALBERTO. Vedi che ti ho convinto?

REDELLA (un istante ripugnante). Convinto? Eh! certamente! Sono convinto, convinto, convinto. Addio Alberto e sii felice!

ALBERTO. Felice? Lo sarò certamente! Dovrai fra qualche settimana rifare la tua strada per venire ad assistere al mio matrimonio.

REDELLA. Con tutto il cuore se avrà tempo.

ALBERTO. Dunque accetti il mio sistema? Rinneghi almeno in gran parte l'atavismo?

REDELLA. Cosa c'entra qui l'atavismo? Senti, Alberto, una mia idea. Dalla creazione del mondo in poi vi sono stati tanti malfattori che sarebbe impossibile trovare per sposa una donna di cui qualche antenato non lo sia stato.

ALBERTO. Io non abbisogno di questa osservazione; dopo studiato l'oggetto stesso non m'interessa piú la sua derivazione. Questa è la mia teoria.

REDELLA. Mi comunicherai esattamente il giorno in cui avverrà il tuo matrimonio?

ALBERTO. Certamente!

REDELLA. Addio Alberto mio! (Si abbracciano.)

ALBERTO. Addio! (Redella via.) Anna! Anna!

Viene Anna e rimane esitante sulla soglia.

ALBERTO (le prende una mano e si inginocchia). Perdonami! perdonami!

ANNA. Se ti perdono? Ma sei convinto, sei sicuro che formi con me la tua felicità? Hai intera fiducia in me?

ALBERTO. Oh! intera! intera!

ANNA (dubitando). Bada, Alberto, siamo ancora in tempo!

ALBERTO. Per far che? Per far che? Io non ti avrei abbandonata mai piú! nemmeno se avessi ancora continuato ad avere quelle convinzioni esagerate! Guarda! raramente per la mia felicità ho da ringraziare qualcuno all'infuori di me stesso! Quando ciò mi accade, dal mio cuore esce come un inno di ringraziamento alla natura. Ecco! Deploro che tu non possa udire quell'inno di gioia che ora vi sorte per averti incontrata la prima volta per caso. Ti rammenti? Alla stazione.

 

CALA LA TELA

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.32

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