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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Le teorie del conte Alberto

ITALO SVEVO

Scherzo drammatico in due atti

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ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA

ALBERTO, ELVIRA ed il dottor REDELLA

 

REDELLA (cortesemente). Prima di partire desidero salutare la signorina ed il signor Lorenzo. Se me lo permette ritornerò fra un'oretta.

ELVIRA. Ci farà un piacere. (Redella s'inchina, stringe la mano ad Alberto e via.)

 

SCENA SECONDA

ALBERTO ed ELVIRA

 

ALBERTO. Senta, signora; io desiderava da molto tempo trovarmi solo con lei.

ELVIRA. Cosa abbiamo noi due da fare insieme?

ALBERTO (ridendo). Nulla di male. Ecco, vede, lei sa, che io amo Anna?

ELVIRA. Ah! si tratta di ciò! Lo so perché l'ho indovinato ma non me ne hanno dato annunzio ufficiale.

ALBERTO. Allora signora mi vedo costretto a dirglielo io stesso. Era veramente dovere di Lorenzo perché a lui ne parlai già ieri e non capisco perché non l'abbia fatto.

ELVIRA. Eppure è cosa tanto facile il capirlo! Io vengo qui considerata quale l'ultima ruota del carro.

ALBERTO. Oh! questo poi no! Sarà stata una dimenticanza di Lorenzo o fors'anch'io sono un po' focoso e avrei dovuto attendere prima di parlargliene io, che lui lo faccia.

ELVIRA. Avrebbe dovuto attendere a lungo molto a lungo mi creda! Io vengo qui considerata quale l'ultima ruota del carro.

ALBERTO. L'ultima ruota del carro ha il medesimo ufficio della prima.

ELVIRA. Però è l'ultima.

ALBERTO. Io credo che lei s'inganni signora. Io almeno le posso garantire che non dimentico il rispetto che le devo; sarebbe del resto strano il trattare con poco rispetto la madre della propria sposa.

ELVIRA. Lei è piú buono di quanto appare.

ALBERTO. Ho l'aspetto da cattivo?

ELVIRA. Non da cattivo ma cosí, da poco rispettoso.

ALBERTO. Io poco rispettoso?

ELVIRA. Sí. Mi perdona nevvero se le parlo cosí franca? Già è per suo bene.

ALBERTO. S'accomodi!

ELVIRA. Lei è poco rispettoso e ciò che mi sorprende si è di vedere che lei crede di non esserlo. Che diavolo! Con le donne non si tratta mica come fa lei!

ALBERTO. E come faccio?

ELVIRA. Si capisce che lei con donne, dico donne come che va, ha avuto poco da fare. Ecco! L'aveva qua (mostra la gola) ed a qualunque costo doveva dirglielo.

ALBERTO (imbarazzato). Io accetto la lezione ma… scusi, davvero che è curioso! Io signora come sa sono professore quantunque non eserciti di storia naturale. Ebbene, a noi professori viene insegnato di insegnare e ci apprendono prima di tutto che il vero non è soltanto la negazione del falso ma è anche il vero positivo.

ELVIRA. Cioè?

ALBERTO. Ci apprendono che per insegnare non basta dimostrare che una cosa non è vera ma anche quale sia la vera.

ELVIRA. E lei proprio non sa come si tratti con signore?

ALBERTO. Ma io fino ad oggi credeva che lo sapessi; adesso che lei asserisce che non lo so, non so altrimenti.

ELVIRA. Invece io scommetterei che lei fa cosí per superbia.

ALBERTO (stizzito). Oh! io non la capisco piú!

ELVIRA. Ecco; per esempio quando questa frase è rivolta a una signora bisogna formarla cosí; giacché vuole che glielo insegni io lo faccio volentieri: (inchinandosi) Io, signora, gliene chiedo perdono ma debbo confessarle a mia vergogna che non ho capito. Sono un po' tardo lo capisco e mi serva di scusa. (Altro inchino.)

ALBERTO. Ma lei parla sul serio?

ELVIRA. E ancora crede che scherzo? Io era bimba cosí che mi insegnavano il modo di comportarmi e ancora me lo rammento; lei è piú giovane di me ed è male abbastanza che lo abbia dimenticato. (Con ira.) Scherzare!

ALBERTO (scherzando). Allora mi pongo interamente a sua disposizione; mi insegni e si accorgerà che scolaro piú docile ed anche piú intelligente non potrebbe avere.

ELVIRA (irosa). Io insegnarle? Non ci mancherebbe altro. Io insegnarle? Io insegnarle come lei debba trattarmi?

ALBERTO. Non si adiri, la prego. Non si adiri.

ELVIRA. Io non mi adiro.

ALBERTO. Le assicuro che se anche sono sorpresissimo di quanto lei mi dice sono anche di piú addolorato. Spero bene che ciò non potrà nuocere ai nostri buoni rapporti?

ELVIRA. La prego prima di voler dirmi quando i nostri rapporti furono buoni; quando lei si è occupato a renderli tali! Se non mi ha mai guardata quasi non esistessi! Provo dolore perché tutto ad un tratto è sorto questo vezzo di trattare cosí alla buona le signore! Una volta era tutt'altro! Bastava dar loro un'occhiata per farsi comprendere, per farsi ubbidire. Noi eravamo allora regine, dico regine perché di piú sulla terra non c'è. Ci comparivano dinanzi sulle ginocchia, ci indirizzavano delle poesie che a quanto pare oggi giorno loro non sanno piú fare. Pare addirittura che non esistano piú uomini.

 

SCENA TERZA

LORENZO, ANNA e DETTI

 

ALBERTO. Oh! finalmente! (Volta le spalle ad EIvira, senza ostentazione.)

ANNA (correndo subito oltre la scena). Ritorno immediatamente. Vado a deporre il cappello. (Via.)

ELVIRA (a Lorenzo). Vi siete divertiti?

LORENZO. Annoiati straordinariamente. C’è in quella casa un'etichetta che stucca.

ELVIRA. L'etichetta non stucca. Sarebbe bene introdurne un poco anche in casa nostra. (Via.)

LORENZO. Cosa ha? Sembra adirata.

ALBERTO. Io non capisco nulla. Senti Lorenzo. Or ora la signora Elvira mi ha tenuto una parlata che mi ha oltremodo sorpreso. Davvero che manifestò un carattere, un carattere incosciente, a dire il vero non troppo bello.

LORENZO. Cosa ti disse?

ALBERTO. Io non capisco come una donna che abbia vissuto tranquilla, nel circolo della sua famiglia possa parlare a quel modo. Mi disse che io la trattava male e che ella non era abituata a venir trattata cosí, che anzi gli uomini di una volta le indirizzavano poesie, la trattavano da regina, le comparivano dinanzi sulle ginocchia ed altre simili cose. Dopo la tua assicurazione non avrei diritto di emettere un dubbio ma involontariamente lo ho, te lo confesso.

LORENZO. La tua confessione è però un'offesa e non avresti dovuto farmela.

ALBERTO. Offesa non è. Dubitare non equivale ad essere certo. In questo mese io ebbi appena tempo di conoscere Anna; è la prima volta che avvicino un poco la signora Elvira. Ella mi parla in maniera da farmi pensare male sul suo conto. Se non ci fosse la tua testimonianza io già penserei male. Ma c'è quella e la mia credenza si trasforma in dubbio e ti comunica questo mio dubbio. Ti offende la mia franchezza?

LORENZO. No, ma se è vero che ami Anna come puoi pensar male della madre?

ALBERTO. Piú facilmente di quanto puoi immaginare. Se la scienza mi dicesse: Prendi ed esamina il rampollo di una razza e troverai tutti i caratteri di tutta la razza allora io questo dubbio non lo avrei. Penserei dopo studiata Anna che la madre deve essere la donna perfetta. Ma cosí non è. Un rampollo non prova nulla mentre trasmette ai discendenti il carattere dei precedenti.

LORENZO. Quale stranezza! quale stranezza!

ALBERTO. Stranezza? È scienza!

LORENZO (iroso). Tranquillizzati! Tranquillizzati dunque perché ti assicuro che la signora Elvira è stata sempre onesta, tanto che se lo desideri io la sposo subito domani.

ALBERTO. Tanto non occorre perché ti credo. Un uomo tanto onesto quanto sei tu non mentirebbe con tanta facilità. Ma come spieghi i suoi strani discorsi?

LORENZO (con gesto espressivo). È un poco debole di cervello!

ALBERTO. Ma questo è anche male, è molto male.

LORENZO. È divenuta cosí per i dispiaceri avuti negli ultimi anni.

 

SCENA QUARTA

Il dottor REDELLA e DETTI, poi ANNA

 

REDELLA. Vengo a salutarli signori. Alle sei parte il treno.

LORENZO. E non potrebbe rimanere ancora un giorno?

REDELLA. Impossibile! Sa che sono qui da quindici giorni? Devo tornare al mio posto e mi dispiace perché la città è molto bella.

LORENZO (contento). Ah! le piace?

REDELLA. Sí, c'è un museo molto ricco.

ANNA. Mi perdonino se li ho fatti attendere. Buon giorno! (A Redella.) Lei è di partenza? Le manifesto tutta la mia gratitudine per la pronta guarigione che mi ha procurata.

REDELLA. Non sente piú dolori?

ANNA. Affatto.

ALBERTO. Bada che non ritornino o che io ti chiamo nuovamente.

LORENZO (con subita ispirazione). Signor dottore lei che è un uomo di scienza che cosa pensa intorno alle teorie dell'eredità?

REDELLA. Che cosa ho da pensare?

ALBERTO (ridendo). Lorenzo spererebbe di trovare in te un avversario a queste teorie.

LORENZO. C'è Alberto che mi disturba parlandomi continuamente di queste sciocchezze.

REDELLA. Sciocchezze la teoria dell'eredità? (Adirato.) Scusi signor Lorenzo ma mi sembra che non pensi a quanto lei dice.

LORENZO (spaventato). Perdoni, perdoni non voleva offenderla!

REDELLA (un poco sorridente). Io non mi offendo ed anzi le chiedo scusa del mio ardore. Ma è naturale. Sono teorie che amo molto e che certamente non meritano di esser dette sciocchezze.

LORENZO. Saranno ingegnose lo ammetto.

REDELLA (di nuovo con calore). Non ingegnose, non ingegnose. Sono giuste o signore. È questo il termine appropriato.

LORENZO. Oh! la giustezza certo?

REDELLA (caloroso). Convincerla in pochi istanti non posso; meglio che non ne parliamo. (Lorenzo è sorpreso.)

ALBERTO (ridendo). Devi badare come parli quando sei con uomini di scienza.

REDELLA. Oh! non sono offeso! non sono offeso!

LORENZO. Sarebbe anche molto strano!

ALBERTO. Ma non nuovo! Redella un giorno gettò un calamaio sulla testa ad un suo amico che derideva le scoperte geologiche degli ultimi anni e pretendeva essere l'uomo uscito perfetto dalle mani del Creatore.

LORENZO. Non parliamo di scienza!

REDELLA. Era molto piú giovine allora; adesso so discutere piú calmo di molto.

LORENZO. È certo però che io non potrei sostenere una discussione con lei. È dunque inutile discutere.

REDELLA. Prego, la discussione è sempre utile.

LORENZO. Ma lei da queste teorie prenderebbe norma per la vita?

REDELLA. In certi casi sicuramente. Se avessi da comperare un cavallo per esempio o se avessi da prender moglie vorrei avere per sicurezza la storia di due loro generazioni precedenti.

ANNA (agitata). E tu pensi nel medesimo modo?

ALBERTO. Ma certamente!

ANNA (quasi piangendo, chiama in disparte Lorenzo). Lorenzo! Senti… (Piano.) Io condurrò da mamma il dottore e tu raccontagli tutto.

LORENZO. Cosa tutto?

ANNA. Di mio padre! E dopo faccia ciò che vuole! Io non voglio ingannare!

LORENZO. Oh! brava Anna! brava!

ANNA. Vuole venir a salutare mamma?

REDELLA. Anzi! (Alzandosi va verso la porta dopo Anna e quindi si ferma.) Non viene anche Alberto?

ANNA (sempre piú commossa, ad Alberto). No, lei rimanga, la prego. Lorenzo deve dirle qualche cosa!

 

SCENA QUINTA

ALBERTO e LORENZO

 

ALBERTO. Cosa hai da dirmi?

LORENZO. Oh! Poche parole! tante che bastino a spiegarci. Ma anzitutto voglio scusarmi di averti ingannato, perché io ti ho ingannato!

ALBERTO. Tu mi hai ingannato?

LORENZO. Sí, asserii cosa che non era vera per indurti a sposare Anna.

ALBERTO. Dunque la madre di Anna?

LORENZO. Capisco che hai capito. Adesso è inutile ogni altra spiegazione. Puoi andartene o rimanere a tua scelta.

ALBERTO. Ma fammi il piacere di non correre tanto. La fretta non può che nuocere. Prima di continuare non voglio risparmiarti un serio rimprovero che meriti. Tu sai di avermi ingannato ma forse non rammenti la confidenza che io ti dimostrava; ingannare un uomo in quello stato è doppio inganno.

LORENZO. Vuoi una riparazione? Per quanto vecchio io sia sono pronto a dartela.

ALBERTO. Non facciamo fanciullaggini, rodomontate, che questa non ne è l'ora. Io ti ho fatto questo rimprovero perché tu lo meriti; l'unica soddisfazione che esigo è che tu sii in chiaro di avertelo meritato; e tu lo sei mi pare.

LORENZO. Meno di quanto pensi. Io vedeva da una parte una ragazza alla quale si rapiva la felicità e che soffriva, dall'altra un uomo che aveva tanta scienza da averne perduto il buon senso; naturalmente non esitai un istante ad ingannarti.

ALBERTO. Anna dunque stessa sapeva che sua madre non valeva meglio della contessa Armeni.

LORENZO. Di ciò ella non sapeva nulla. Quando tu mi spiegasti quella tua scienza positiva immediatamente mi rivolsi ad Anna. Io credeva che nulla era piú facile che rompere il progetto di matrimonio; le diedi ad intendere che tu non l'avresti sposata se avessi saputo che suo padre era morto in prigione e le chiesi il permesso di raccontartelo. Per una causa o per l'altra avrei ottenuto ciò che voleva. Invece Anna mi negò questo permesso e pianse finché cedetti e t'ingannai. Davvero con una certa voluttà o almeno con quella indifferenza con cui si addolcisce ai bimbi l'orlo del bicchiere dal quale hanno da bere una medicina che ha da guarirli. Se avessi avuto qualche rimorso, la vista della felicità di Anna me lo avrebbe fatto passare; perché io amo molto Anna; forse ciò mi varrà di scusa anche ai tuoi occhi. Fu essa, angelo di bambina, che volle che ora ti parli. La offendesti poco fa con la tua scienza. Mi disse di raccontarti del padre, cosí che non avremo in nessun caso bisogno di farla arrossire della madre.

ALBERTO. Adesso io posso sperare da te franchezza? Perché avrei ancora qualche domanda a farti.

LORENZO. Mi posso figurare quale. Io sono stato l'amante della signora Termigli e me ne vanto. Ciò mi produsse l'unica vera felicità della mia vita perché io sono il padre di Anna.

ALBERTO (con stupore). Ah! Tu sei suo padre?

LORENZO (esitante). Oh! ne sono sicuro, e se anche avessi qualche dubbio ciò non mi rovinerebbe la mia felicità. Io ho poca scienza ma anche pochi pregiudizi. Intanto mi faccio amare da essa quale tutore, e mi adora sai. Io non domando di piú. Posso amare un oggetto degno di amore come confessasti tu stesso e non indago; mi ama ed io l'amo. L'amo tanto te lo ripeto che se tu lo volessi le darei il mio nome onorato, sposandone la madre.

ALBERTO. Ebbe te solo per amante la madre nevvero?

LORENZO (lo fissa un istante con stupore). Davvero che mi fai compassione. Io scommetto che tu deplori non di essere stato ingannato ma di essere stato disingannato.

ALBERTO (semplice). È vero! Ma è perché sono un uomo disgraziato.

LORENZO. Non disgraziato. Se non fossi cosí sciocco da prendere per realtà i sogni di questa specie di nuovi profeti che alligna sotto il nome di scienziati. A me intanto non incombe altro obbligo che di dirti la verità, tutta la verità. La madre di Anna ebbe molti amanti.

ALBERTO. Ma solo dopo morto il marito?

LORENZO. E di nuovo. No, no, Alberto, da quella parte non ti salvi. Basterebbe uno sguardo di Anna per convincerti che ella è degna di essere adorata. Ma bisogna confessare che è meraviglia che sia sortita da tale madre. La signora Termigli fu disonesta e rovinò col suo lusso sfrenato il marito. Voglio dopo questa spiegazione non aver piú nulla a rimproverarmi. Adesso cosa farai? (Anna appare sulla porta.)

ALBERTO. Lasciami tempo a decidere.

LORENZO (che ha visto Anna). Però cosa ho da dire ad Anna?

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.20

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