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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

I Cinque canti

Di: Luodovico Ariosto


Canto quarto  

(73-97)

73

Né sé né alcun de’ suoi ch’io conoscessi

prima scopersi che sul legno fui;

ove lasciando a pena ch’io dicessi:

 Dio aiutami , pigliar mi fece ai sui,

che come vespe e galavroni spessi

mi s’aventaro; e, comandando lui,

in mar buttarmi, ove già questa fera,

come Alcina ordinò, nascosa s’era.

74

Così ‘l peccato mio brutto e nefando,

degno di questa e di più pena molta,

m’ha chiuso qui, onde di come e quando

io n’abbia a uscir, ogni speranza è tolta;

quella protezion tutta levando,

che san Giovanni avea già di me tolta.

Poi ch’ebbe così detto, allentò il freno

Astolfo al pianto, e bagnò il viso e ‘l seno.

75

Ruggier, che come lui non era immerso

sì nel dolor, ma si sentia più sorto,

gli studiava, inducendogli alcun verso

de la Scrittura, di trovar conforto.

 Non è  dicea  del Re de l’universo,

l’intenzion che ‘l peccator sia morto,

ma che dal mar d’iniquitadi a riva

ritorni salvo, e si converti e viva.

76

Cosa umana è a peccar; e pur si legge

che sette volte il giorno il giusto cade;

e sempre a chi si pente e si corregge

ritorna a perdonar l’Alta bontade:

anzi, d’un peccator che fuor del gregge

abbi errato, e poi torni a miglior strade,

maggior gloria è nel regno degli eletti,

che di novantanove altri perfetti.

77

Per far nascer conforto, cotal seme

il buon Ruggier venìa spargendo quivi;

poi ricordava ch’altra volta insieme

d’Alcina in Oriente fur captivi;

e come di là usciro, anco aver speme

dovean d’uscir di questo carcer vivi.

 S’allora io fui  dicea  degno d’aita,

or ne son più, che son miglior di vita.

78

E seguitò:  Se quando ne l’errore

de la dannata legge ero perduto,

e ne l’ozio sommerso e nel fetore

tutto d’Alcina, come animal bruto,

mi liberò il mio sommo almo Fattore;

perché sperar non debbo ora il suo aiuto,

che per la Fede essendo puro e netto

di molte colpe, io so che m’ha più accetto?

79

Creder non voglio che ‘l demonio rio,

dal qual la forza di costei dipende,

possa nuocere agli uomini che Dio

per suoi conosce e che per suoi difende.

Se vera fede avrai, se l’avrò anch’io,

Dio la vedrà che i nostri cori intende:

e vedendola vera, abbi speranza

che non avrà il demonio in noi possanza.

80

Astolfo, presa la parola, disse:

 Questo ogni buon cristian de’ tener certo.

Non scese in terra Dio, né con noi visse,

né in vita e in morte ha tanto mal sofferto,

perché il nimico suo dipoi venisse

a riportar di sua fatica il merto.

Quel che sì ricco prezzo costò a lui,

non lascerà sì facilmente altrui.

81

Non manchi in noi contrizione e fede,

e di pregar con purità di mente;

che Dio non può mancarci di mercede:

Egli lo disse, e il dir suo mai non mente.

Scritto ha nel suo Evangelio: “Ch’in me crede,

uccide nel mio nome ogni serpente,

il venen bee senza che mal gli faccia,

sana gli infermi e gli demoni scaccia.”

82

E dice altrove: “Quando con perfetta

fede ad un monte a commandar tu vada:

“Di qui ti leva, e dentro il mar ti getta’;

che ‘l monte piglierà nel mar la strada.”

Ma perché fede quasi morta è detta

quella che sta senza fare opre a bada,

procacciamo con buon’opre che sia

più grata a Dio la tua fede e la mia.

83

Proviam di trarre alla vera credenza

quest’altri che son qui presi con nui;

di che già fatto ho qualche esperienza,

ma poco un parer mio può contra dui.

Forse saremo a mutar lor sentenza

meglio insieme tu et io, ch’io sol non fui;

e se potiam questi al demonio tòrre,

non ha qua dentro poi dove si porre.

84

E Dio, tutti vedendone fedeli

pregar la sua clemenza che n’aiute,

dal fonte di pietà scender dai cieli

farà qua dentro un fiume di salute.

Così dicean; poi salmi, inni e vangeli,

orazion che a mente avean tenute,

incominciar i cavallier devoti,

e a porr’in opra i prieghi e i pianti e i voti.

85

Intanto gli altri dui con studio grande

cercavan di far vezzi al novell’oste.

Di vari pesci varie le vivande

a rosto e lesso al foco erano poste.

Poco inanzi, un naviglio da le bande

di Vinegia, spezzato ne le coste,

la balena s’avea cacciato sotto

e tratto in ventre in molti pezzi rotto;

86

e le botte e le casse e gli fardelli

tutti nel ventre ingordo erano entrati.

Gli naviganti soli coi batelli

ai legni di conserva eran campati:

sì che v’è da dar foco, e nei piatelli

da condir buoni cibi e delicati

con zucchero e con spezie; et avean vini

e còrsi e grechi, preciosi e fini.

87

Passavano pochi anni, ch’una o due

volte non si rompesson legni quivi;

donde i prigion per le bisogne sue

cibi traean da mantenersi vivi.

Poser la cena, come cotta fue;

s’avessen pane o se ne fosson privi,

non so dir certo: ben scrive Turpino

che sotto il gorgozulle era un molino,

88

che con l’acque ch’entravan per la bocca

del mostro, il grano macinava a scosse,

il quale o in barcia o in caravella o in cocca

rotta, là dentro ritrovato fosse.

D’una fontana similmente tocca,

ch’a ridirla le guance mi fa rosse:

lo scrive pure, et il miracol copre

dicendo ch’eran tutte magich’opre.

89

Non l’afferm’io per certo né lo niego:

se pane ebbono o no, lo seppon essi.

Gli dui fedel, de’ dui infedeli al prego,

fen punto ai salmi, e a tavola son messi.

Ma di Astolfo e Ruggier più non vi sego:

diròvvi un’altra volta i lor successi.

Finch’io ritorno a rivederli, ponno

cenare ad agio, e dipoi fare un sonno.

90

Intanto Carlo, alla battaglia intento

che ‘l re boemme aver dovea con lui,

senza sospetto ignun che tradimento

(quel che non era in sé) fosse in altrui,

facea provar destrier, che cento e cento

n’avea d’eletti alli bisogni sui;

e gli migliori, a chi facea mestieri,

largamente partia fra i suoi guerrieri.

91

Non solo aver per sé buona armatura

quanto più si potea forte e leggiera,

ma trovarne ai compagni anco avea cura,

che se mai lor ne fu bisogno, or n’era.

Seco gli usava alla fatica dura

due fiate ogni dì, mattino e sera;

e seco in maneggiar arme e cavallo

facea provarli, e non ferire in fallo.

92

Ma Cardoran, che non ha alcun disegno

di por lo stato a sorte d’una pugna,

viene aguzzando tuttavia l’ingegno,

sì come tronchi all’augel santo l’ugna.

Aspetta e spera d’Ungheria, e dal regno

de li Sassoni ormai, ch’aiuto giugna:

la notte e il giorno intanto unqua non testa

di far più forte or quella cosa or questa.

93

E ridur si fa dentro a poco a poco

e vettovaglia e munizione e gente,

ché per la tregua, in assediar quel loco

l’esercito era fatto negligente;

e parea quasi ritornata in gioco

la guerra ch’a principio era sì ardente;

e scemata di qui più d’una lancia,

contra Rinaldo era tornata in Francia.

94

Sansogna e Slesia et Ungheria una bella

e grossa armata insieme posta avea:

la gente di Sansogna, e così quella

di Slesia, i pedestri ordini movea;

venir con questi, e la più parte in sella,

l’esercito de l’Ungar si vedea;

poi seguia un stuol di Traci e di Valachi,

Bulgari, Servian, Russi e Polachi.

95

Questi mandava il greco Costantino,

e per suo capitano un suo fratello;

sì come quel ch’a Carlo di Pipino

portava iniqua invidia et odio fello,

per esser fatto imperador latino

e usurparli il coronato augello.

Ben di lor mossa e di lor porse in via

avuto Carlo avea più d’una spia;

96

ma, com’ho detto, Gano con diversi

mezi gli avea cacciato e fisso in mente

che si metteva insieme per doversi

mandar verso Ellesponto quella gente,

e tragittarsi in Asia contra i Persi

ch’avean presa Bittinia nuovamente;

e ch’era a petizion fatta et instanza

del greco imperator la ragunanza.

97

Né ch’ella fosse alli suoi danni volta

prima sentì, ch’era in Boemmia entrata;

sì che ben si pentì più d’una volta

che la sua più del terzo era scemata.

Già credendo aver vinto, quindi tolta

n’avea una parte et al nipote data.

Ma quel ch’oggi dir volsi è qui finito:

chi più ne brama udir, domani invito.

 

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Ultimo Aggiornamento:
13/07/2005 22.44