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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

I Cinque canti

Di: Luodovico Ariosto


Canto quarto  

(25-48)

25

Quelli di Normandia, che di luogo alto

e di numero avean molto vantaggio,

nel legno di Ruggier féro il mal salto,

dal furor tratti e dal lor gran coraggio;

ma tosto si pentir del folle assalto:

ché non patendo il buon Ruggier l’oltraggio,

presto di lor, con bel menar de mani,

fe’ squarzi e tronchi e gran pezzi da cani;

26

e via più a sé valer la spada fece,

che ‘l vantaggio del legno lor non valse,

o perché contra quattro fosson diece:

con tanta forza e tanto ardir gli assalse!

Fe’ di negra parer rossa la pece,

e rosseggiar intorno l’acque salse:

ché da prora e da poppa e da le sponde

molti a gran colpi fe’ saltar ne l’onde.

27

Fattosi piazza, e visto sul naviglio

che non era uom se non de’ suoi rimaso,

ad una scala corse a dar di piglio,

per montar sopra quel di maggior vaso;

ma veduto Ricardo il gran periglio

in che incorrer potea, provide al caso:

fu la provision per lui sicura,

ma mostrò di pochi altri tener cura.

28

Mentre i compagni difendean il loco,

andò alli schiffi e fe’ gettarli all’acque:

quattro o sei n’avisò; ma il numer poco

fu verso agli altri a chi la cosa tacque.

Poi fe’ in più parti al legno porre il foco,

ch’ivi non molto addormentato giacque;

ma di Ruggier la nave accese ancora,

e da le poppe andò sin alla prora.

29

Ricardo si salvò dentro ai batelli,

e seco alcuni suoi ch’ebbe più cari;

e sopra un legno si fe’ por di quelli

ch’in sua conserva avean solcati i mari:

indi mandò tutti i minor vasselli

a trar i suoi dei salsi flutti amari:

che per fuggir l’ardente dio di Lenno

in braccio a Teti et a Nettun si denno.

30

Ruggier non avea schiffo ove salvarse,

ché, come ho detto, il suo mandato avea

a salutar Ricardo et allegrarse

di quel di che doler più si dovea;

né all’altre navi sue, ch’erano sparse

per tutto il mar, ricorso aver potea:

sì che, tardando un poco, ha da morire

nel foco quivi, o in mar se vuol fuggire.

31

Vede in prua, vede in poppa e ne le sponde

crescer la fiamma, e per tutte le bande:

ben certo è di morir, ma si confonde,

se meglio sia nel foco o nel mar grande:

pur si risolve di morir ne l’onde,

acciò la morte in lungo un poco mande:

così spicca un gran salto da la nave

in mezo il mar, di tutte l’armi grave.

32

Qual suol vedersi in lucida onda e fresca

di tranquillo vivai correr la lasca

al pan che getti il pescator, o all’ésca

ch’in ramo alcun de le sue rive nasca;

tal la balena, che per lunga tresca

segue Ruggier perché di lui si pasca,

visto il salto, v’accorre, e senza noia

con un gran sorso d’acqua se lo ingoia.

33

Ruggier, che s’era abbandonato e al tutto

messo per morto, dal timor confuso,

non s’avvide al cader, come condutto

fosse in quel luogo tenebroso e chiuso;

ma perché gli parea fetido e brutto,

esser spirto pensò di vita escluso,

il qual fosse dal Giudice superno

mandato in purgatorio o giù all’inferno.

34

Stava in gran tema del foco penace,

di che avea ne la nuova Fé già inteso.

Era come una grotta ampia e capace

l’oscurissimo ventre ove era sceso:

sente che sotto i piedi arena giace,

che cede, ovunque egli la calchi, al peso:

brancolando le man quanto può stende

da l’un lato e da l’altro, e nulla prende.

35

Si pone a Dio, con umiltà di mente,

de’ suoi peccati a dimandar perdono,

che non lo danni alla infelice gente

di quei ch’al ciel mai per salir non sono.

Mentre che in ginocchion divotamente

sta così orando al basso curvo e prono,

un picciol lumicin d’una lucerna

vide apparir lontan per la caverna.

36

Esser Caron lo giudicò da lunge,

che venisse a portarlo all’altra riva:

s’avvide, poi che più vicin gli giunge,

che senza barca a sciutto piè veniva.

La barba alla cintura si congiunge,

le spalle il bianco crin tutto copriva;

ne la destra una rete avea, a costume

di pescator; ne la sinistra un lume.

37

Ruggier lo vedea appresso, et era in forse

se fosse uom vivo, o pur fantasma et ombra.

Tosto che del splendor l’altro s’accorse

che feria l’armi e si spargea per l’ombra,

si trasse a dietro e per fuggir si torse,

come destrier che per camino adombra;

ma poi che si mirar l’un l’altro meglio,

Ruggier fu il primo a dimandar al veglio:

38

 Dimmi, padre, s’io vivo o s’io son morto,

s’io sono al mondo o pur sono all’inferno:

questo so ben, ch’io fui dal mar absorto;

ma se per ciò morissi, non discerno.

Perché mi veggo armato, mi conforto

ch’io non sia spirto dal mio corpo esterno;

ma poi l’esser rinchiuso in questo fondo

fa ch’io tema esser morto e fuor del mondo.

39

 Figliuol,  rispose il vecchio  tu sei vivo,

com’anch’io son; ma fòra meglio molto

esser di vita l’uno e l’altro privo,

che nel mostro marin viver sepolto.

Tu sei d’Alcina, se non sai, captivo:

ella t’ha il laccio teso, e al fin t’ha colto,

come colse me ancora, con parecchi

altri che ci vedrai, giovani e vecchi.

40

Vedendoti qui dentro, non accade

di darti cognizion chi Alcina sia;

che se tu non avessi sua amistade

avuta prima, ciò non t’avverria.

In India vedut’hai la quantitade

de le conversion che questa ria

ha fatto in fere, in fonti, in sassi, in piante,

dei cavallier di ch’ella è stata amante.

41

Quei che, per nuovi successor, men cari

le vengono, muta ella in varie forme;

ma quei che se ne fuggon, che son rari,

sì come esserne un tu credo di apporme,

quando giunger li può negli ampli mari

(però che mai non ne abbandona l’orme),

gli caccia in ventre a quest’orribil pesce,

donde mai vivo o morto alcun non esce.

42

Le Fate hanno tra lor tutta partita

e l’abitata e la deserta terra:

l’una ne l’Indo può, l’altra nel Scita,

questa può in Spagna e quella in Inghilterra;

e ne l’altrui ciascuna è proibita

di metter mano, et è punita ch’erra:

ma comune fra lor tutto il mare hanno,

e ponno a chi lor par quivi far danno.

43

Tu vederai qua giù, scendendo al basso,

degli infelici amanti i scuri avelli,

de’ quali è alcun sì antico, che nel sasso

gli nomi non si puon legger di quelli.

Qui crespo e curvo, qui debole e lasso

m’ha fatto il tempo, e tutti bianchi i velli;

che quando venni, a pena uscìan dal mento

com’oro i peli ch’or vedi d’argento.

44

Quanti anni sien non saprei dir, ch’io scesi

in queste d’ogni tempo oscure grotte:

che qui né gli anni annoverar né i mesi,

né si può il dì conoscer da la notte.

Duo vecchi ci trovai, dai quali intesi

quel da che fur le mie speranze rotte:

che più de la mia età ci avean consunto,

et io gli giunsi a sepelire a punto.

45

E mi narrar che, quando giovenetti

ci vennero, alcun’altri avean trovati,

che similmente d’Alcina diletti,

di poi qui presi e posti erano stati:

sì che, figliuol, non converrà ch’aspetti

riveder mai più gli uomini beati,

ma con noi che tre eramo, et ora teco

siam quattro, starti in questo ventre cieco.

46

Ci rimasi io già solo, e poscia dui,

poi da venti dì in qua tre fatti eramo,

et oggi quattro, essendo tu con nui:

ch’in tanto mal grand’aventura chiamo

che tu ci trovi compagnia, con cui

pianger possi il tuo stato oscuro e gramo;

e non abbi a provar l’affanno e ‘l duolo

che quel tempo io provai che ci fui solo.

47

Come ad udir sta il misero il processo

de’ falli suoi che l’han dannato a morte,

così turbato e col capo demesso

udia Ruggier la sua infelice sorte.

 Rimedio altro non ci è  soggiunse appresso

il vecchio  che di oprar l’animo forte.

Meco verrai dove, secondo il loco,

l’industria e il tempo n’ha adagiati un poco.

48

Ma voglio proveder prima di cena,

che qui sempre però non si digiuna.

Così dicendo, Ruggier indi mena,

cedendo al lume l’ombra e l’aria bruna,

dove l’acqua per bocca alla balena

entra, e nel ventre tutta si raguna:

quivi con la sua rete il vecchio scese

e di più forme pesci in copia prese.

 

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Ultimo Aggiornamento:
13/07/2005 22.30