De Bibliotheca
La biblioteca di Babele
CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

I Cinque canti

Di: Luodovico Ariosto


Canto secondo  

(82-108)

82

Si fermar quivi, e ricrear alquanto

sé et i cavalli in una occulta piaggia;

che seco vettovaglia aveano, quanto

bastar potea per quella via selvaggia.

Il vecchio corre alla sua donna intanto,

e le divisa ciò ch’ordinato aggia.

A Villafranca Penticon rimena

il suo desio, che ‘l giorno spunta a pena.

83

La donna, che dal dì che le fu tolto

il suo marito andò sempre negletta;

questo, che spera di vederlo sciolto

e far d’ogni sua ingiuria alta vendetta,

ritrova i panni allegri, e il crine e ‘l volto,

quanto più sa, per più piacer rassetta;

e fe’ quel dì, quel che non fe’ più inante,

grata accoglienza al poco cauto amante.

84

E con onesta forza, la mattina,

e dolci preghi, a mangiar seco il tenne.

Il vecchio intanto a Baldovin camina,

ch’al venir ratto aver parve le penne:

piglia tosto ogni uscita, indi declina

ove il dì si facea lieto e solenne;

e quivi, senza poter far difese,

e Penticone e de’ suoi molti prese.

85

Lasciato avea chi sùbito al fratello

la vera causa del suo andar narrassi;

ch’avea per prender Penticon, non quello

monte occupar, volti la sera i passi;

sì che per l’orme sue verso il castello

pregava che col resto il seguitassi.

Benché non piacque al Conte che tacciuto

questo gli avesse, pur non negò aiuto:

86

e con tutti gli altri ordini si mosse,

senza che tromba o che tambur s’udisse;

e perché inteso il suo partir non fosse,

lasciò chi ‘l fuoco insino al dì nutrisse.

La presa del figliuol, non che percosse,

ma al vecchio padre in modo il cor trafisse,

che si levò de l’Alpi; e mezza rotta

salvò a Chivasco et a Vercei la frotta.

87

Né a Vercei né a Chivasco il paladino

di voler dar l’assalto ebbe disegno;

anzi i passi volgea dritto al Ticino,

alla città che capo era del regno.

Desiderio, per chiuderli il camino,

lo va a trovar, ma non gli fa ritegno;

et è sì inferior nel gran conflitto,

che ne riman perpetuamente afflitto.

88

Quivi cader de’ Longobardi tanti,

e tanta fu quivi la strage loro,

che ‘l loco de la pugna gli abitanti

Mortara dapoi sempre nominoro.

Ma prima che seguir questo più inanti,

ritornar voglio agli altri gigli d’oro,

che Carlo ai capitani raccommanda

ch’alle sue giuste imprese altrove manda.

89

Con dieci mila fanti e settecento

lance e duo milla arcier andò Rinaldo

verso Guascogna, per far mal contento

di sua perfidia l’Aquitan ribaldo.

Bradamante e Ruggier, che ‘l regimento

avean del lito esposto al fiato caldo,

ebbon di fanti non so quanti miglia,

e legni armati a guardia di Marsiglia.

90

Come chi guardi il mar, così si pone

chi a cavallo, chi a piè, che guardi il lito.

Olivier guardò Fiandra, Salamone

Bretagna, Picardia Sansone ardito:

dico per terra; ch’altra provisione,

altro esercito al mar fu statuito.

Con grossa armata cura ebbe Ricardo

da la foce del Reno al Mar Picardo.

91

E dal Picardo al capo di Bretagna,

avendo uomini e legni in abondanza,

uscì Carlo col resto alla campagna,

e venne al Reno, e lo passò a Costanza;

et arrivò sì presto ne la Magna,

che la fama al venir poco l’avanza;

passò il Danubio, e si trovò in Bavera,

che mosso Tassillone anco non s’era.

92

Tassillon, de Boemi e de Sassoni

esercito aspettando e d’Ungheria,

alle squadre di Francia e legioni

tempo di prevenirli dato avia.

Carlo fermò ad Augusta i confaloni,

e mandò all’inimico ambasceria

a saper se volesse esperienza

far di sua forza o pur di sua clemenza.

93

Tassillon, impaurito de la presta

giunta di Carlo, ch’improviso il colse,

con tutto il stato se gli diè in podesta,

e Carlo umanamente lo raccolse;

ma che rendesse alla prima richiesta

il tolto a Namo et a’ consorti, volse;

e che lor d’ogni danno et interesse

ch’avean per questo avuto, sodisfesse;

94

e settecento lance per un anno,

e dieci mila fanti gli pagasse;

la qual gente volea ch’allora a danno

di Desiderio in Lombardia calasse.

Con gli statichi i Franchi se ne vanno;

e prima che ‘l passaggio altri vietasse

(ché de’ Boemi prossimi avean dubio),

tornar ne l’altra ripa del Danubio.

95

E verso Praga in tanta fretta andaro,

di nostra fede a quella età nimica

(ben che né ancora a questa nostra ho chiaro

che le sia tutta la contrada amica),

ch’a prima giunta i varchi le occupato,

cacciato e rotto con poca fatica

re Cardoranno, che mezo in fracasso

quivi era accorso a divietar il passo.

96

Gli Franceschi cacciar fa su le porte

di Praga gli Boemi in fuga e in rotta.

Quella città, di fosse e muta forte,

salvò col suo signor la maggior frotta:

le diè Carlo l’assalto; ma la sorte

al suo disegno mal rispose allotta,

ch’a gran colpi di lance il popul fiero

fe’ ritornar la gente de lo Impero.

97

Ché, mentre era difeso et assalito

da un lato il muro, il forte Cardorano

(di cui se si volesse un uom più ardito,

si cercheria forse pel mondo in vano)

fuor d’una porta era d’un altro uscito,

et avea fatto un bel menar di mano;

e dentro, con prigioni e preda molta,

sua gente seco salva avea raccolta.

98

E fe’ che Carlo andò più ritenuto

et ebbe miglior guardia alle sue genti,

avendo lor d’un sito proveduto

da porvi più sicuri alloggiamenti,

dove il fiume di Molta è ricevuto

da l’acque d’Albi all’Oceàn correnti:

la barbara cittade in loco sede,

che quinci un fiume e quindi l’altro vede.

99

Tra le due ripe, alla città distanti

un tirar d’arco, s’erano alloggiati,

sì che s’avean la città messa inanti,

che gli altri fiumi avea dietro e dai lati.

Carlo, perché dai luoghi circonstanti

non abbian vettovaglia gli assediati,

e perché il campo suo stia più sicuro,

tra un fiume e l’altro in lungo tirò un muro;

100

che era di fuor di travi e di testura

di grossi legni, e dentro pien di terra;

e perché non uscisson de le mura

dal canto ove la doppia acqua gli serra,

su le ripe di fuor ebbe gran cura

di por ne le bastie genti da guerra,

che con velette e scolte a nissun’ora

lassassino uomo entrar o venir fuora.

101

Quindi una lega appresso, era una antica

selva di tassi e di fronzuti certi,

che mai sentito colpo d’inimica

secure non avea né d’altri ferri:

quella mai non potesti fare aprica,

né quando n’apri il dì né quando il serri,

né al solstizio, né al tropico, né mai,

Febo, vi penetrar tuoi chiari rai.

102

Né mai Diana, né mai Ninfa alcuna,

né Pane mai, né Satir, né Sileno

si venne a ricrear all’ombra bruna

di questo bosco di spavento pieno;

ma scelerati spirti et importuna

religion quivi dominio avieno,

dove di sangue uman a Dei non noti

si facean empi sacrifici e voti.

103

Quivi era fama che Medea, fuggendo

dopo tanti inimici al fin Teseo,

che fu, con modo a ricontarlo orrendo,

quasi ucciso per lei dal padre Egeo;

né più per tutto il mondo loco avendo

ove tornar se non odioso e reo,

in quelle allora inabitate parti

venne, e portò le sue malefiche arti.

104

So ch’alcun scrive che la via non prese,

quando fuggì dal suo figliastro audace,

verso Boemia, ma andò nel paese

che tra i Caspi e l’Oronte e Ircania giace,

e che ‘l nome di Media da lei scese:

il che a negar non serò pertinace;

ma dirò ben ch’anco in Boemia venne

o dopo o allora, e signoria vi tenne;

105

e fece in mezo a questa selva oscura,

dove il sito le parve esser più ameno,

la stanza sua di così grosse mura

che non verria per molti secol meno;

e per potervi star meglio sicura,

di spirti intorno ogn’arbor avea pieno,

che rispingean con morti e con percosse

chi d’ir nei suoi segreti ardito fosse.

106

E perché, per virtù d’erbe e d’incanti,

de le Fate una et immortal fatt’era,

tanto aspettò, che trionfar di quanti

nimici avea vid’al fin Morte fiera:

indi a grand’agio ripensando a tanti

a’ quai fatt’avea notte inanzi sera,

all’ingiurie sofferte, affanni e lutto,

vid’esser stato Amor cagion di tutto.

107

E fatta omai per lunga età più saggia

(ché van di par l’esperienze e gli anni),

pensa per lo avvenir come non caggia

più negli error ch’avea passati, e danni;

e vede, quando Amor poter non v’aggia,

ch’in lei né ancor avran poter gli affanni;

e studia e pensa e fa nuovi consigli,

come di quel tiran fugga gli artigli.

108

Ma perché, essendo de la stirpe antica

che già la irata Vener maledisse,

vide che non potea viver pudica,

et era forza che ‘l destin seguisse;

pensò come d’amor ogni fatica,

ogni amarezza, ogni dolor fuggisse;

come gaudi e piacer, quanti vi sono,

prender potesse, e quanto v’è di buono.

 

Edizione HTML a cura di:
mail@debibliotheca.com 
Ultimo Aggiornamento:
13/07/2005 22.30