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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

I Cinque canti

Di: Luodovico Ariosto


Canto secondo  

(55-81)

55

Orlando quei da l’armi più leggiere,

quando pedoni e quando gente equestre,

cominciò a la sua giunta a far vedere

or su le manche or su le piagge destre;

e far fuochi avampar tutte le sere,

di qua e di là, per quelle cime alpestre;

e di voler passar mostra ogni segno

fuor ch’ove di passar forse ha disegno.

56

A Mon Ginevra, al Mon Senese avea,

e a tutti i monti ove la via più s’usa,

provisto il Longobardo, e vi tenea

con fanti e cavallieri ogni via chiusa;

sopra Saluzzo i monti difendea

un suo figliuolo, et esso quei di Susa.

Per tutti questi passi, or basso or alto,

Orlando movea loro ogni dì assalto.

57

Spesso fa dar all’armi, e mai non lassa

l’inimico posar né dì né notte:

né però l’un su quel de l’altro passa,

e ben si puon segnar pari le botte.

Ma sarebb’ita in lungo e forse cassa

d’effetto sua fatica in quelle grotte,

se non gli avesse la vittoria in mano

fatta cader un nuovo caso strano

58

Nel campo longobardo un giovane era,

signor di Villafranca a piè de’ monti,

capitan de li armati alla leggiera,

che n’avea mille ad ogn’impresa pronti,

di tanto ardir, d’audacia così fiera,

che sempre inanzi iva alle prime fronti;

e sue degne opre non pur fra gli amici,

ma laude anco trovar da gli nimici.

59

Era il suo nome Otton da Villafranca,

di lucid’armi e ricche vesti adorno,

che la fida moglier, nomata Bianca,

in ricamar avea speso alcun giorno.

La destra parte era oro, era la manca

argento, et anco avean dentro e d’intorno,

quella d’argento e questa in nodi d’oro,

le note incomincianti i nomi loro.

60

Avea un caval sì snello e sì gagliardo,

che par non avea al mondo, et era còrso,

sparso di rosse macchie il col leardo,

l’un fianco e l’altro, e dal ginocchio al dorso.

Men sicuro di lui parea e più tardo,

volga alla china o drizzi all’erta il corso,

quell’animal che da le balze cozza

coi duri sassi, e lenta la camozza.

61

Su quel destrier Ottone, or alto or basso

correndo, era per tutto in un momento,

quando lanciando un dardo e quando un sasso,

ché la persona sua ne valea cento.

Or s’opponeva a questo, or a quel passo;

né sol valea di forza e d’ardimento,

ma facea con la lingua e con la fronte

audaci mille cor, mille man pronte.

62

Poi che Fortuna a quella audacia arriso

ebbe cinque o sei giorni, entrò in gran sdegno;

ché pur troppa baldanza l’era aviso

ch’Otton pigliasse nel suo instabil regno,

ch’avendo di lontano alcuno ucciso,

d’entrar nel stuol facesse anco disegno;

e gli ruppe in un tratto, come vetro,

ogni speranza di tornar a dietro.

63

Baldovin con molt’altri gli la tolse,

ch’a un stretto passo il colse per sciagura:

il cavallo al voltar dietro gli colse

dove i schinchi e le cosce hanno giuntura;

sì che lo fe’ prigion, volse o non volse,

quantunque il cavallier senza paura

non si rendette mai, fra la tempesta

di mille colpi, fin ch’ebbe elmo in testa.

64

Perduto l’elmo, non fe’ più contrasto,

ma disse: — Io mi vi rendo —; e lasciò il brando,

molto più del destrier che vedea guasto

che del maggior suo danno sospirando.

La presa di quest’uomo venne il basto,

com’io vi dirò appresso, rassettando,

sul qual fur poi le gravi some poste

ch’a Desiderio si rupper le coste.

65

Lasciato a Villafranca avea la fida,

casta, bella, gentil, diletta moglie,

quando di quella schiera si fe’ guida,

seguendo più l’altrui che le sue voglie:

or restando prigion, n’andar le grida

là dove più poteano arrecar doglie;

alla moglie n’andar casta e fedele,

che mandò al cielo i pianti e le querele.

66

Sparso la Fama avea, com’è sua usanza

di sempre aggrandir cosa che rapporte,

che Otton preso e ferito era, non sanza

grandissimo periglio de la morte.

Perciò il figliuol del re, ch’avea la stanza

vicino a lei con parte di sua corte,

andò per visitarla e trar di pianto,

se valesse il conforto però tanto.

67

Penticon (ché quel nome avea il figliuolo

del re de’ Longobardi) poi che venne

a veder la beltà che prima, solo

conoscendo per fama, minor tenne;

com’augel ch’entra ne le panie a volo,

né può dal visco poi ritrar le penne,

si ritrovò nel cieco laccio preso,

che nel viso di lei stava ognor teso.

68

E dove era venuto a dar conforto,

non si partì che più bisogno n’ebbe.

Dal camin dritto immantinente al torto

voltò il disio, che smisurato crebbe:

or, non che preso, ma che fosse morto

Otton suo amico, intendere vorrebbe:

l’uom che pur dianzi con ragione amava,

contra ragione or mortalmente odiava.

69

Né può d’un mutamento così iniquo

render la causa o far scusa migliore,

che attribuirlo all’ordine che, obliquo

da tutti gli umani ordini, usa Amore;

di cui per legge e per costume antiquo

gli effetti son d’ogn’altro esempio fuore.

Non potea Penticon al disio folle

far resistenza; o se potea, non volle.

70

E lasciandosi tutto in preda a quello,

senza altra escusa e senza altro rispetto,

cominciò a frequentar tanto il castello,

ch’a tutto il mondo dar potea sospetto:

indi fatto più audace, col più bello

modo che seppe, a palesarle il petto,

a pregar, a promettere, a venire

a’ mezi onde aver speri il suo desire.

71

La bella donna, che non men pudica

era che bella, e non men saggia e accorta,

prima che farsi oltre il dovere amica

di sì importuno amante, esser vuol morta.

Ma quegli, avegna ch’ella sempre dica

di non voler, però non si sconforta;

et è disposto di far altre prove,

quando il pregar e proferir non giove.

72

Ella conosce ben di non potere

mantener lungamente la contesa;

e stando quivi, se non vuol cadere,

non può, se non da morte, esser difesa.

Ma questa suol, fra l’aspre, orride e fiere

condizion, per ultima esser presa:

quindi, prima fuggir, e perder prima

ciò ch’altro ha al mondo, che l’onor, fa stima.

73

Ma dove può ella andar, ch’ogni cittade

che tra il mar, l’Alpi e l’Appennino siede,

del padre de l’amante è in podestade,

né sicuro per lei luogo ci vede?

Passar l’Alpi non può, ch’ivi le strade

chiude la gente, chi a caval, chi a piede:

non ha il destrier che fe’ alle Muse il fonte,

né il carro in che Medea fuggì Creonte.

74

Di questo fe’ tra sé lungo discorso,

né mai seppe pigliar util consiglio.

Ad un suo vecchio al fin ebbe ricorso,

che amava Otton come signore e figlio.

Costui s’imaginò tosto il soccorso

di trar l’afflitta donna di periglio,

e le propose per segreti calli

salva ridurla alle città dei Galli.

75

Stato era cacciator tutta sua vita,

ma molto più quand’eran gli anni in fiore;

et avea per quei monti ogni via trita,

di qua errando e di là, dentro e di fuore.

Pur che non fosse nel partir sentita,

la condurrebbe salva al suo signore:

solo si teme che la prima mossa

occulta a Penticon esser non possa;

76

che, non che un dì, ma poche ore interpone

che non sia seco, e v’ha sempre messaggio.

Mentre va d’una in altra opinione

come abbia a proveder il vecchio saggio,

vede che lei salvar, e con ragione

Otton può vendicar di tanto oltraggio,

portar facendo al folle amante pena

di quel desir ch’a tanto obbrobrio il mena.

77

Esorta lei ch’anco duo dì costante

stia, fin che di là torni ove andar vuole;

e, come saggia, intanto al sciocco amante

prometta largamente e dia parole.

Fatto il pensier, si parte in uno instante

per una via ch’in uso esser non suole,

con lunghi avolgimenti, ma assai destra

quanto creder si può d’una via alpestra.

78

Tosto arrivò dove occupava il monte

la gente del figliuol del re Pipino,

e dimandò voler parlar al Conte;

ma la guardia il condusse a Baldovino,

che del campo tenea la prima fronte.

Costui d’Orlando frate era uterino:

vuo’ dir ch’ambi eran nati d’una madre;

ma l’un Milon, l’altro avea Gano padre.

79

Il Maganzese, poi che di costui

attentamente ebbe il parlar inteso,

di liberar il signor suo, e per lui

darli il figliuol del re nimico preso;

non lasciò che parlasse al Conte, in cui

di virtù vera era un disio sì acceso,

che di ciò non seria stato contento,

ch’aver gli parria odor di tradimento.

80

E dubitava non facesse Orlando

quel che Fabrizio e che Camil già féro,

che l’uno a Pirro, e l’altro già assediando

Falisci, in mano i traditor lor diero.

Finse voler la notte occupar (quando

la strada avea imparata) un poggio altiero

che si vedea all’incontro oltre la valle,

e i nimici assalir dietro alle spalle.

81

Con volontà d’Orlando, in su la sera

Baldovin se ne va con buona scorta

de cavallieri armati alla leggiera,

e un fante ognun di lor dietro si porta.

La luna in mezo ‘l ciel, che ritond’era,

vien lor mostrando ogni via dritta e torta:

appresso a terza, si trovar dal loco

dove s’hanno a condur lontani poco.

 

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Ultimo Aggiornamento:
13/04/2005 15.44