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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA |
IL CAMPIELLO |
Di: Carlo Goldoni |
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA Il Cavaliere esce di locanda senza cappello e senza spada
Cavaliere: Io non ne posso più, confesso il vero, Non ho goduto mai una giornata Allegra come questa; Ma non resisto più, mi duol la testa. Che gridi! che rumore! Che brindisi sguaiati; Credo sian più di mezzi ubbriacati. Vo' prendere un po' d'aria, e vo' frattanto, Che il zio di Gasparina Mi venga a render conto Del trattamento suo, che è un mezzo affronto. Oggi la testa calda ho anche io non poco, Se mi stuzzica niente, io prendo foco. Oh di casa!
SCENA SECONDA Gasparina sul poggiuolo, ed il suddetto
Gasparina: (viene sul poggiuolo) Cavaliere: Signora. (salutandola) Gasparina: Mo cozza vorlo? el vaga via in bon'ora. Cavaliere: Domando il signor zio. Gasparina: Oh ze el zavezze! Cavaliere: Ditemi, cosa è stato? Gasparina: No ghe pozzo parlar. Zon zfortunada. Cavaliere: Dite allo zio, che favorisca in strada. Gasparina: El m'ha dito cuzzì... Cavaliere: Non vi esponete A un insulto novel per causa mia. Ritiratevi pur. Gasparina: Oh, vago via. (in atto di ritirarsi, poi torna) La zenta, voggio dir zta cozza zola. Zior, el m'ha dito una brutta parola. Cavaliere: E che cosa vi ha detto? Gasparina: No vorave, Che el me zentizze. Vago via. (come sopra) Cavaliere: Sì, brava. Gasparina: Oe, la zenta, el m'ha dito: «ziete ziocca». Cozza vol dir? Cavaliere: Stolta vuol dire, alocca. Ma andate via, che non vi trovi qui. Gasparina: Oh che caro zior barba! alocca a mi? I dirà, che el zè matto, Ze a dir zte cozze el ze farà zentir. Ze de mi tutti no ghe n'ha che dir! Che el ghe ne trova un'altra Zovene in zto paeze, Che capizza el Tozcano, e anca el Franzeze. Che el ghe ne trova un'altra, co fa mi, Che ztaga notte, e dì coi libri in man, E che zappia i romanzi a menadeo. Co zento una canzon, l'imparo zubito; Co vago a una commedia, Zubito che l'ho vizta, Zo giudicar, ze la zè bona, o trizta; E quando la me par cattiva a mi, Bizogna certo, che la zia cuzì! Cavaliere: Signora, vostro zio. Gasparina: No zon de quele, Che troppo gh'abbia piazzo a laorar; Ma me piaze ztudiar, e ze vien fora Zotto el Reloggio qualche bella iztoria, Zubito, in verità, la zo a memoria.
SCENA TERZA Fabrizio di casa, e detti
Fabrizio: (esce, e saluta il Cavaliere senza parlare) Cavaliere: Servitor suo. (salutando Fabrizio) Gasparina: Zerva, zior Cavalier, Me lazzelo cuzì? (credendo esser ella salutata) Fabrizio: La riverisco. (a Gasperina, facendosi vedere) Gasparina: Oh poveretta mi! (parte) Fabrizio: Signor, parmi l'ardire un po' soverchio. Cavaliere: Son venuto per voi. Fabrizio: Che vuol da' fatti miei? Cavaliere: Non si tratta così coi pari miei. Fabrizio: Non vi conosco, ma qualunque siate Saprete bene, che l'onor consiglia Di custodir con gelosia una figlia. Cavaliere: Io non l'insulto, e poi Non è una gran signora. Fabrizio: Chi ella si sia, voi non sapete ancora. Cavaliere: Chi è sono informato, So, che in misero stato è la famiglia, E che alla fin di un bottegaio è figlia. Fabrizio: È ver, che mio fratello, Per ragion d'un duello, Da Napoli è fuggito, E in Venezia arrivato, Con femmina inegual si è maritato; Misero, fu costretto a far mestiere; Povero nacque, è ver, ma cavaliere. Cavaliere: Siete napoletani? Fabrizio: Sì signore. Fabrizio: Son di Napoli anche io; Noto vi sarà forse il nome mio. Fabrizio: Dar si potrebbe. Cavaliere: Io sono Il cavaliere Astolfi. Fabrizio: Vi domando perdono Se il mio dovere non ho fatto in prima; Ebbi pel padre vostro della stima. Cavaliere: Lo saprete, che è morto. Fabrizio: Il so pur troppo; E so, deh compatitemi Se parlovi sincero, Che voi vi siete rovinato. Cavaliere: È vero. Son tre anni, che giro per il mondo, Ed è la borsa mia ridotta al fondo. Fabrizio: Che pensate di far? Cavaliere: Non so; l'entrate Son per altri due anni ipotecate. Fabrizio: Compatite, signore, Questa non è la via. Cavaliere: Non mi parlate di malinconia. Per questi quattro giorni Di carnevale ho del denar, che basta. Fabrizio: Quando terminerà? Cavaliere: Non vo' pensar; quel che sarà, sarà. Voi come vi chiamate? Fabrizio: Fabrizio dei Ritorti. Cavaliere: Oh oh aspettate, Siete voi quel Fabrizio, Che era in paese in povertà ridotto, E che ricco si è fatto con il lotto? Fabrizio: Ricco no; ma son quel che ha guadagnato, Tanto, che basta a migliorar lo stato. Cavaliere: Avrete del denaro. Fabrizio: Ho una nipote, Che abbisogna di dote. Cavaliere: Quanto le destinate? Fabrizio: Se troverà marito, Darò più, darò men giusta al partito. Cavaliere: Ella lo sa? Fabrizio: Non ne sa niente ancora. Conoscerla ho voluto, esaminarla; Ma presto, se si può, vuo' maritarla. Cavaliere: (Se avesse buona dote, Quasi mi esibirei Per aggiustare gli interessi miei). Fabrizio: (Tre, o quattromila scudi, E anche più, se conviene, Io sborserei per colocarla bene). Cavaliere: A chi vorreste darla? Fabrizio: Le occasioni Ancor non son venute.
SCENA QUARTA LUCIETTA, ANZOLETTO, donna CATTE, donna PASQUA, ORSOLA, GNESE, Zorzetto sulla loggia della locanda, e detti
Lucietta: Oe, sior compare, alla vostra salute. (beve col bicchiere) Cavaliere: Evviva. Fabrizio: Con licenza. (al Cavaliere) Cavaliere: Dove andate? Fabrizio: Fuggo da queste donne indiavolate. (parte, e va in casa) Lucietta: Mo cossa falo, che nol vien dessù? Donna Catte: Ho magnà tanto, che no posso più. Cavaliere: Animo, buona gente, Bevete allegramente. Donna Pasqua: Via bevemo. Lucietta: Sior compare, ghe 'l femo. (col bicchiere in mano) Cavaliere: Bevete pure, compagnia giuliva. Donna Pasqua: Alla salute di chi paga. Tutti: E viva. Lucietta: Zitto, che voggio far Un bel prindese in rima. «Co son in allegria, mi no me instizzo, Alla salute del mio bel novizzo». Tutti: E viva, e viva. Orsola: Anca mi, presto, presto. (col bicchiere si fa dar da bevere) Anzoletto: Via sto poco de resto. (versa col boccale il vino ad Orsola) Orsola: «Co sto gotto de vin, che è dolce, e bon, Fazzo un prindese in rima al più minchion». Tutti: E viva, e viva. Lucietta: Oe a chi ghe la dastu? Orsola: Oh che gonza! No sastu? (accenna il Cavaliere) Cavaliere: Via, bravi, che si rida, e che si beva, Questo brindesi è mio, nessun mel leva. Anzoletto: Anca mi, sior compare, «Un prindese ghe fazzo Co sto vin che gh'ho in man, Con patto, che el me staga da lontan». Cavaliere: «Vi rispondo ancor io, compare, amico: Di star con voi non me n'importa un fico». Tutti: E viva, e viva. Donna Pasqua: Son qua mi; patroni. Dème da béver. (ad Anzoletto) Anzoletto: Tolè pur vecchietta. Donna Pasqua: No me dir vecchia, razza maledetta. «E se son vecchia no son el demonio, Alla salute del bon matrimonio». Tutti: E viva, e viva. Donna Catte: Presto, presto a mi. (si fa dar da bere) «Senza mario mi no posso star più, Alla salute della zoventù». Tutti: E viva, e viva. Zorzetto: Un prindese anca mi Vòi far; ve contentèu? Orsola: Falo, falo, fio mio. Zorzetto: Via, me ne deu? (chiede da bevere ad Anzoletto) «Sto vin xè meggio assae dell'acqua riosa Alla salute de la mia morosa». Tutti: E viva, e viva. Donna Pasqua: Via, Gnese, anca ti, Che ti xè cusì brava. Orsola: Fàte onor! Gnese: Dème da béver. (a Anzoletto) Orsola: Fàghelo de cuor. Zorzetto: Voggio dàrghelo mi. (leva la boccia di mano d'Anzoletto) Anzoletto: Olà! debotto!... Zorzetto: Vardè, che sesti! Lucietta: Tasi là, pissotto. Gnese: «Co sto vin, che xè puro, e xè dolcetto Mi bevo alla salute...» Donna Pasqua: «De Zorzetto». Gnese: No, de sior Anzoletto. Zorzetto: Vardè che sesti! Lucietta: Senti sa, pettazza Te darò una schiaffazza. Orsola: Oe, oe, patrona? Donna Pasqua: Schiaffi, a chi scagazzera? Donna Catte: Vecchiazza. Orsola: Tasè là. Lucietta: Via frittolera. Tutti: Cossa? via, tasè là; farò, dirò; Lassè star, vegnì qua, zito, sior no. (tutti insieme alternativamente dicono tai parole, e tutti entrano) Cavaliere: Dai brindesi al gridar passati sono; Questa è tutta virtù del vino buono. Un disordine è questo, Ma se vad'io, li aggiusterò ben presto; E se non vonno intendere ragione, Da cavaliere adopero il bastone. (entra in locanda)
SCENA QUINTA GASPERINA sul poggiuolo, poi Fabrizio di casa
Gasparina: Mo cozza zè zto ztrepito? Mo la zè una gran cozza in zto campiello; Me par, che ziemo a caza de colù. Fabrizio: Per dispetto lo fan, non posso più. Gasparina: Dove valo, zior barba? Fabrizio: A ricercare Una casa lontana, e vuo' trovarla Innanzi domattina, Quando fosse ben anche una cantina. Gasparina: Mo zì dazzeno, che anca mi zon ztuffa. Zempre zuzzuri; zempre i fa baruffa. Fabrizio: Mi fa stupire il cavaliere Astolfi, Che di simile gente è il protettor. Gasparina: Chi zèlo zto zignor? Fabrizio: Quel, che ho veduto Fare a vossignoria più d'un saluto. Gasparina: Lo cognozzelo? Fabrizio: Sì, è d'una famiglia Nobile assai, ma il suo poco giudizio Ha mandata la casa in precipizio. Gasparina: La me conta qualcozza. Fabrizio: In su la strada Vi parlerò? Si vede ben che avete Voi pur poca prudenza. Orsù andar voglio A proveder di casa innanzi sera. (fa qualche passo) Oh, mandatemi giù la tabacchiera. Gasparina: Zubito. (entra) Fabrizio: In questo loco Parmi d'esser nel foco. Son dei mesi, Che ogni giorno si sente del fracasso, Ma non si è fatto mai così gran chiasso. E poi, e poi, cospetto! Perdere a me il rispetto? Meglio è, che io vada via di questa casa. Gasparina: Zon qua. (di casa, colla tabacchiera in mano) Fabrizio: Ma perché voi? (irato) Gasparina: Mo via, che el taza. El za pur, che la zerva zè amalada. Fabrizio: Io non voglio, che voi venghiate in strada. Dal balcon si poteva buttar giù. (prende la tabacchiera con collera) Gasparina: No ghe vegnirò più. Fabrizio: La madre vi ha allevata Vil com'ella era nata, e il padre vostro Si è scordato egli pur del sangue nostro. Gasparina: Zior barba, zemio nobili? Fabrizio: Partite. Gasparina: Me zento un no zo che de nobiltà. Fabrizio: Andate via di qua; Entrate in quella casa, E non uscite più. Gasparina: Mo via, che el taza. (entra) Fabrizio: Fino che l'ho con me, non sto più bene Vuo' maritarla al primo che mi viene. (parte)
SCENA SESTA Il Cavaliere dalla locanda e SANSUGA
Cavaliere: L'abbiamo accomodata. Sansuga: La xè una baronata; La ghe doveva metter più spavento. Cavaliere: Io me la prendo per divertimento. Or ora scenderanno, Canteran, balleranno; E questo è il piacer mio, Veder ballare; e vuo' ballare anche io. Sansuga: Vorla el conto? Cavaliere: Vediamo. Sansuga: Eccolo qua. (gli dà il conto) Cavaliere: Settanta lire! che bestialità! Sansuga: Ghe ne xè più de trenta De vin, ghe lo protesto; Porlo spender de manco in tutto el resto? Cavaliere: Bastano tre zecchini? Sansuga: No vòi gnanca, Che la sia desgustada. Cavaliere: Eccoli qui. Sansuga: E po ghe xè la bona man a mi. Cavaliere: Ecco mezzo ducato. Sansuga: Obbligatissimo. Cavaliere: Siete contento ancor? Sansuga: Son contentissimo. Cavaliere: Dite che ponno ritornare a basso. Sansuga: Me par che i vegna; séntela che chiasso? (parte)
SCENA SETTIMA Il CAVALIERE, poi GASPARINA
Cavaliere: Oh, se finisco il carnevale in bene, È un prodigio davvero. La borsa va calando; se Fabrizio Mi facesse il servizio Di darmi sua nipote, Oh, mi accomodarebbe un po' di dote! Finalmente è di sangue Nobile, e se sua madre Era d'altra genia, Una dama non fu né men la mia. Gasparina: El cavalier Aztolfi. Cavaliere: Oh mia signora, Or che so il grado vostro, Di donarvi il mio cor mi son prefisso. Nobile siete, il so. Gasparina: La reverizzo. (sostenuta) Cavaliere: Lo zio mi ha confidato, Che ambi siam d'una patria, e che ambi siamo Poco più, poco men... Gasparina: Già lo zappiamo. Cavaliere: Egli vuol maritarvi. Gasparina: Cozzì è. Cavaliere: Volesse il Ciel, che voi toccaste a me. Gasparina: La diga: èlo zelenza? Cavaliere: Me la sogliono dare in qualche loco. Gasparina: Che i me diga luztrizzima zè poco. Cavaliere: Titolata sarete. Gasparina: Zì dazzeno? (si sente strepito nella locanda) Cozza zè zto fracazzo? Cavaliere: Ecco la compagnia; ci ho un gusto pazzo. Gasparina: Ztar qui no ze convien a una par mio. La reverizzo. Cavaliere: Vi son servo. Gasparina: Addio. (parte)
SCENA OTTAVA LUCIETTA, ORSOLA, GNESE, donna CATTE, donna PASQUA, ANZOLETTO, ZORZETTO. - Orbi, che vengono dalla campagna suonando, - Tutti escono dalla locanda; alcuna delle donne suona il zimbano alla veneziana; donna Pasqua cant alla villotta; ballano alcune furlane, ed anco le vecchie. Vengono altri di strada; si uniscono, e ballano con un ballo in tutti; poi come segue.
Lucietta: No posso più; vien via con mi Anzoletto. Donna Catte: Presto, che vaga a collegarme in letto. (parte, ed entra in casa) Anzoletto: Seu stracca? v'averè cavà la pizza. (a Lucietta) Lucietta: Oe, no volè che balla? son novizza. (parte, ed entra in casa) Anzoletto: Eh, co son so mario, Sangue de diana, che la gh'ha fenio. (parte, ed entra con Lucietta) Donna Pasqua: Puti, mi no ghe vedo. Gnese: Vegnì via. Donna Pasqua: Dame man, che no casca, cara fia. Gnese: Andemo, vegnì qua. (dà mano a donna Pasqua) Zorzetto: Gnanca un saludo? Gnese: Oh matto inspirità! Orsola: Tasi, tasi, fio mio; no la xè usa. Ma da resto de drento la se brusa. (entra in casa) Zorzetto: So, che la me vol ben, Per questo no me togo certi affani; Ma me despiase sto aspettar do ani. (entra in casa) Cavaliere: Schiavo di lor signori; Or che ciascuno è sazio, Non mi han detto nemmeno: vi ringrazio. (entra in locanda) |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.53 |