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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Bruto Secondo

Di: Vittorio Alfieri

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ATTO TERZO

 

 

SCENA PRIMA

 

Cesare, Antonio.

 

ANTONIO

Cesare, sí; fra poco a te vien Bruto

in questo tempio stesso, ove a te piacque

gli arroganti suoi sensi udir pur dianzi,

e tollerarli. Il riudrai fra breve

da solo a sol, poiché tu il vuoi.

CESARE

Ten sono

tenuto assai: lieve non era impresa

il piegar Bruto ad abboccarsi or meco;

né ad altri mai, fuorché ad Antonio, darne

osato avrei lo incarco.

ANTONIO

Oh! quanto duolmi,

che a' detti miei tu sordo ognor, ti ostini

in sopportar codesto Bruto! Il primo

de' tuoi voler fia questo, a cui si arrenda

di mala voglia Antonio. In suon d'amico

pregar pur volli, e in nome tuo, colui,

che mortal tuo nemico a certa prova

esser conosco, e come tale abborro.

CESARE

Odian Cesare molti: eppur, sol uno

nemico io conto, che di me sia degno:

e Bruto egli è.

ANTONIO

Quindi or, non Bruto solo,

ma Bruto prima, e i Cassj, e i Cimbri poscia,

e i Tullj, e tanti uccider densi, e tanti.

CESARE

Quant'alto è piú, quanto piú acerbo e forte

il nemico, di tanto a me piú sempre

piacque il vincerlo; e il fea, piú che con l'armi,

spesso assai col perdono. Ai queti detti

ricorrer, quando adoprar puossi il ferro;

persuader, convincere, far forza

a un cor pien d'odio, e farsi essere amico

l'uomo, a cui torre ogni esser puossi; ah! questa

contro a degno nemico è la vendetta

la piú illustre; e la mia.

ANTONIO

Cesare apprenda

sol da se stesso ad esser grande: il fea

natura a ciò: ma il far securi a un tempo

Roma e sé, da chi gli ama ambo del pari

oggi ei l'apprenda: e sovra ogni uom, quell'uno

son io. Non cesso di ridirti io mai,

che se Bruto non spegni, in ciò ti preme

piú assai la vana tua gloria privata,

che non la vera della patria; e poco

mostri curar la securtá di entrambi.

CESARE

E atterrir tu con vil sospetto forse

Cesare vuoi?

ANTONIO

Se non per sé, per Roma

tremar ben può Cesare anch'egli, e il debbe.

CESARE

Morir per Roma, e per la gloria ei debbe;

non per sé mai tremar, né mai per essa.

Vinti ho di Roma io gl'inimici in campo;

quei soli eran di Cesare i nemici.

Tra quei che il ferro contro a lei snudaro,

un d'essi è Bruto; io giá coll'armi in mano

preso l'ebbi, e perire allor nol fea

col giusto brando della guerra; ed ora

fra le mura di Roma, inerme (oh cielo!)

col reo pugnal di fraude, o con la ingiusta

scure, il farei trucidar io? Non havvi

ragion, che trarmi a eccesso tal mai possa:

s'anco il volessi, ... ah! forse... io nol... potrei. -

Ma in somma, ai tanti mie' trionfi manca

quello ancora dei Parti, e quel di Bruto:

questo all'altro fia scala. Amico farmi

Bruto voglio, a ogni costo. Il far vendetta

del trucidato Crasso, a tutto innanzi

per ora io pongo; e può giovarmi assai

Bruto all'impresa, in cui riposta a un tempo

fia la gloria di Cesare e di Roma.

ANTONIO

Puoi tu accrescerti fama?

CESARE

Ove da farsi

altro piú resta, il da me fatto io stimo

un nulla: è tal l'animo mio. Mi tragge

or contra il Parto irresistibil forza.

Vivo me, Roma rimanersi vinta?

Ah! mille volte pria Cesare pera. -

Ma, di discordie, e d'atri umor perversi,

piena lasciar pur la cittá non posso,

mentre in Asia guerreggio: né lasciarla

piena di sangue e di terror vorrei;

benché a frenarla sia tal mezzo il certo.

Bruto può sol tutto appianarmi...

ANTONIO

E un nulla

reputi Antonio dunque?

CESARE

- Di me parte

sei tu nelle guerriere imprese mie:

quindi terror dei Parti anche te voglio

al fianco mio. Giovarmi in altra guisa

di Bruto io penso.

ANTONIO

Io ogni guisa io presto

sono a servirti; e il sai. Ma, cieco troppo

sei, quanto a Bruto.

CESARE

Assai piú cieco è forse

ei quanto a me. Ma il dí fia questo, io spero,

che il potrò tor d'inganno: oggi mi è forza

ciò almen tentare...

ANTONIO

Eccolo appunto.

CESARE

Or, seco

lasciami; in breve a te verronne.

ANTONIO

Appieno,

deh! tu d'inganno trar te stesso possa;

e in tempo ancor conoscer ben costui!

 

SCENA SECONDA

 

Bruto, Cesare.

 

BRUTO

Cesare, antichi noi nemici siamo:

ma il vincitor sei tu finora, ed anco

il piú felice sembri. Io, benché il vinto

paia, di te men misero pur sono.

Ma, qual che il nostro animo sia, battuta,

vinta, egra, oppressa, moribonda, è Roma.

Pari desir, cagion diversa molto,

tratti qui ci hanno ad abboccarci. A dirmi

gran cose hai tu, se Antonio il ver narrommi;

ed io pure alte cose a dirti vengo,

se ascoltarle tu ardisci.

CESARE

Ancor che Bruto

stato sia sempre a me nemico, a Bruto

non l'era io mai, né il son; né, se il volessi,

esserlo mai potrei. Venuto io stesso

a favellarti in tua magion saria;

ma temea, che ad oltraggio tel recassi;

Cesare osarne andar, dove consorte

a Bruto sta del gran Caton la suora:

quind'io con preghi a qui venirne invito

ti fea. - Me sol, senza littori, e senza

pompa nessuna, vedi; in tutto pari

a Bruto; ove pur tale ei me non sdegni.

Qui non udrai, né il dittator di Roma,

né il vincitor del gran Pompeo...

BRUTO

Corteggio

sol di Cesare degno, è il valor suo:

e vieppiú quando ei si appresenta a Bruto. -

Felice te, se addietro anco tu puoi,

come le scuri ed i littor, lasciarti

ed i rimorsi e il perpetuo terrore,

di un dittator perpetuo!

CESARE

Terrore?

Non che al mio cor, non è parola questa,

nota pure al mio orecchio.

BRUTO

Ignota ell'era

al gran Cesare in campo invitto duce;

non l'è a Cesare in Roma, ora per forza

suo dittatore. È generoso troppo,

per negarmelo. Cesare: e, senz'onta,

può confessarlo a Bruto. Osar ciò dirmi,

di tua stessa grandezza è assai gran parte.

Franchi parliam: degno è d'entrambi. - Ai molti

incuter mai timor non puote un solo,

senza ei primo tremare. Odine, in prova

qual sia ver me il tuo stato. Uccider Bruto,

senza contrasto il puoi: sai, ch'io non t'amo;

sai, che a tua iniqua ambizione inciampo

esser poss'io: ma pur, perché nol fai?

Perché temi, che a te piú danno arrechi

l'uccidermi ora. Favellarmi, intanto,

e udirmi vuoi, perché il timor ti è norma

unica omai; né il sai tu stesso forse;

o di saperlo sfuggi.

CESARE

Ingrato! ... e il torre

di Farsaglia nei campi a te la vita,

forse in mia man non stette?

BRUTO

Ebro tu allora

di gloria, e ancor della battaglia caldo,

eri grande: e per esserlo sei nato:

ma qui, te di te stesso fai minore,

ogni dí piú. - Ravvediti; conosci,

che tu, freddo pacifico tiranno

mai non nascesti, io te l'affermo...

CESARE

Eppure,

misto di oltraggi il tuo laudar mi piace.

T'amo; ti estimo: io vorrei solo al mondo

esser Bruto, s'io Cesare non fossi.

BRUTO

Ambo esser puoi; molto aggiungendo a Bruto,

nulla togliendo a Cesare: ten vengo

a far l'invito io stesso. In te sta solo

l'esser grande davvero: oltre ogni sommo

prisco Romano, essere tu il puoi: fia il mezzo

semplice molto; osa adoprarlo: io primo

te ne scongiuro; e di romano pianto,

in ciò dirti, mi sento umido il ciglio... -

Ma, tu non parli? Ah! tu ben sai, qual fora

l'alto mio mezzo: in cor tu 'l senti, il grido

di veritá, che imperiosa tuona.

Ardisci, ardisci; il laccio infame scuoti,

che ti fa nullo a' tuoi stessi occhi; e avvinto

ti tiene, e schiavo, piú che altrui non tieni.

A esser Cesare impara oggi da Bruto.

S'io di tua gloria invido fossi, udresti

or me pregarti ad annullar la mia?

Conosco il ver; me non lusingo: in Roma,

a te minor di dignitade, e d'anni,

e di possanza, e di trionfi, io sono,

come di fama. Se innalzarsi il nome

di Bruto può col proprio volo, il puote

soltanto omai su la rovina intera

del nome tuo. Sommessa odo una voce,

timida, e quindi non romana affatto,

Bruto appellar liberator di Roma,

come oppressor ten chiama. A farmi io tale,

ch'io ti sconfigga, o ch'io ti spenga, è d'uopo.

Lieve il primo non è; piú che nol credi

lieve il secondo: e, se a me sol pensassi,

tolto il signor giá mi sarei: ma penso,

romano, a Roma; e sol per essa io scelgo

di te pregar, quando te uccider debbo,

Cesare, ah! sí, tu cittadin tornarne

a forza dei, da me convinto. A Roma

tu primo puoi, tu sol, tu mille volte

piú il puoi di Bruto, a Roma render tutto;

pace, e salvezza, e gloria, e libertade:

quanto le hai tolto, in somma. Ancor per breve

tu cittadin tua regia possa adopra,

nel render forza alle abbattute leggi,

nel tor per sempre a ogni uom l'ardire e i mezzi

d'imitarti tiranno; e hai tolto a un tempo

a ogni uom, per quanto ei sia roman, l'ardire

di pareggiarti cittadino. - Or, dimmi:

ti estimi tu minor di Silla? Ei, reo

piú assai di te, piú crudo, di piú sangue

bagnato e sazio; ei, cittadin pur anco

farsi ardiva, e fu grande. Oh! quanto il fora

Cesare piú, che di possanza è giunto

oltre a Silla di tanto! Altra, ben altra

fia gloria a te, se tu spontaneo rendi

a chi si aspetta, ciò che possa ed arte

ti dier; se sai meglio apprezzar te stesso;

se togli, in somma, che in eterno in Roma

nullo Cesare mai, né Silla, rieda.

CESARE

- Sublime ardente giovine; il tuo ratto

forte facondo favellar, pur troppo!

vero è fors'anche. Ignota forza al core

mi fan tuoi detti; e allora che a me ti chiami

minore, io 'l sento, ad onta mia, di quanto

maggior mi sei. Ma, il confessarlo io primo,

e il non n'essere offeso, e il non odiarti

sicure prove esser ti denno, e immense,

che un qualche strano affetto io pur nudrisco

per te nel seno. - A me sei caro, il credi;

e molto il sei. - Ciò ch'io di compier, tempo

omai non ho, meglio da te compiuto

vo' ch'ei sia, dopo me. Lascia, ch'io aggiunga

a' miei trionfi i debellati Parti:

ed io contento muojo. In campo ho tratto

di mia vita gran parte; il campo tomba

mi fia sol degna. Ho tolta, è vero, in parte

la libertá, ma in maggior copia ho aggiunto

gloria a Roma, e possanza: al cessar mio,

ammenderai di mie vittorie all'ombra

tu, Bruto, i danni, ch'io le fea. Secura

posare in me piú non può Roma: il bene

ch'io vorrei farle, avvelenato ognora

fia dal mal che le ho fatto. Io quindi ho scelto,

in mio pensiero, alle sue interne piaghe

te sanatore: integro sempre, e grande,

stato sei tu: meglio di me, puoi grandi

far tu i Romani, ed integri tornarli.

Io, qual padre, ti parlo;... e, piú che figlio,

o Bruto mio, mi sei.

BRUTO

... Non m'è ben chiaro

questo tuo favellare. A me non puote

in guisa niuna mai toccar la ingiusta

sterminata tua possa. E che? tu parli

di Roma giá, quasi d'un tuo paterno

retaggio?...

CESARE

Ah! m'odi. - A te piú omai non posso

nasconder cosa, che a te nota, or debbe

cangiarti affatto in favor mio.

BRUTO

Cangiarmi

puoi, se ti cangi; e se te stesso vinci;

trionfo sol, che a te rimanga...

CESARE

Udito

che avrai l'arcano, altro sarai.

BRUTO

Romano

sarò pur sempre. Ma, favella.

CESARE

... O Bruto,

nel mio contegno teco, e ne' miei sguardi,

e ne' miei detti, e nel tacer mio stesso,

di', non ti par che un smisurato affetto

per te mi muova e mi trasporti?

BRUTO

È vero;

osservo in te non so qual moto; e parmi

d'uom piú assai, che di tiranno: e finto

creder nol posso; e schietto, attribuirlo

a che non so.

CESARE

... Ma tu, per me quai senti

moti entro al petto?

BRUTO

Ah! mille: e invidia tranne,

tutti per te provo a vicenda i moti.

Dir non li so; ma, tutti in due gli stringo:

se tiranno persisti, ira ed orrore;

s'uom tu ritorni e cittadino, immenso

m'inspiri amor di maraviglia misto.

Qual vuoi dei due da Bruto?

CESARE

Amore io voglio:

e a me tu il dei... Sacro, infrangibil nodo

a me ti allaccia.

BRUTO

A te? qual fia?...

CESARE

Tu nasci

vero mio figlio.

BRUTO

Oh ciel! che ascolto?...

CESARE

Ah! vieni,

figlio, al mio seno...

BRUTO

Esser potria?...

CESARE

Se forse

a me nol credi, alla tua madre istessa

il crederai. Questo è un suo foglio; io l'ebbi

in Farsaglia, poche ore anzi alla pugna.

Mira; a te nota è la sua mano: ah! leggi.

BRUTO[1]

«Cesare (oh ciel!) stai per combatter forse,

Pompeo non pure, e i cittadini tuoi,

ma il tuo proprio figliuolo. È Bruto il frutto

de' nostri amori giovenili. È forza,

ch'io te lo sveli; a ciò null'altro trarmi

mai non potrebbe, che il timor di madre.

Inorridisci, o Cesare; sospendi,

se ancor n'è tempo, il brando: esser tu ucciso

puoi dal tuo figlio; o di tua man tu stesso

puoi trucidarlo. Io tremo... Il ciel, deh! voglia,

che udito in tempo abbiami un padre!... Io tremo...

Servilia.» - Oh colpo inaspettato e fero!

Io di Cesare figlio?

CESARE

Ah! sí, tu il sei.

Deh! fra mie braccia vieni.

BRUTO

Oh padre!... Oh Roma!

Oh natura!... Oh dover!... - Pria d'abbracciarti,

mira, a' tuoi piè prostrato Bruto cade;

né sorgerá, se in te di Roma a un tempo

ei non abbraccia il padre.

CESARE

Ah! sorgi, o figlio. -

Deh! come mai sí gelido e feroce

rinserri il cor, che alcun privato affetto

nulla in te possa?

BRUTO

E che? credi or tu forse

d'amar tuo figlio? Ami te stesso; e tutto

serve in tuo core al sol desio di regno.

Mostrati, e padre, e cittadin; che padre

non è tiranno mai: deh! tal ti mostra;

e un figlio in me ritroverai. La vita

dammi due volte: io schiavo, esser nol posso;

tiranno, esser nol voglio. O Bruto è figlio

di liber'uom, libero anch'egli, in Roma

libera: o Bruto, esser non vuole. Io sono

presto a versar tutto per Roma il sangue;

e in un per te, dove un Roman tu sii,

vero di Bruto padre... Oh gioja! io veggo

sul tuo ciglio spuntare un nobil pianto?

Rotto è del cor l'ambizioso smalto;

padre or tu sei. Deh! di natura ascolta

per bocca mia le voci; e Bruto, e Roma,

per te sien uno.

CESARE

... Il cor mi squarci... Oh dura

necessitá!... Seguir del core i moti

soli non posso. - Odimi, amato Bruto. -

Troppo il servir di Roma è omai maturo:

con piú danno per essa, e men virtude,

altri terralla, ove tenerla nieghi

Bruto di man di Cesare...

BRUTO

Oh parole!

Oh di corrotto animo servo infami

sensi! - A me, no, non fosti, né sei padre.

Pria che svelarmi il vil tuo core, e il mio

vil nascimento, era pietá piú espressa

me trucidar, tu, di tua mano...

CESARE

Oh figlio!...

BRUTO

Cedi, o Cesare...

CESARE

Ingrato, ... snaturato...

che far vuoi dunque?

BRUTO

O salvar Roma io voglio,

o perir seco.

CESARE

Io ravvederti voglio,

o perir di tua mano. Orrida, atroce

è la tua sconoscenza... Eppure, io spero,

ch'onta ed orror ne sentirai tu innanzi

che in senato ci vegga il dí novello. -

Ma, se allor poi nel non volermi padre

ti ostini, ingrato; e se, qual figlio, sdegni

meco divider tutto; al dí novello,

signor mi avrai.

BRUTO

- Giá pria d'allora, io spero,

l'onta e l'orror d'esser tiranno indarno,

ti avran cangiato in vero padre. - In petto

non puommi a un tratto germogliar di figlio

l'amor, se tu forte e sublime prova

pria non mi dai del tuo paterno amore.

D'ogni altro affetto è quel di padre il primo;

e nel tuo cor de' vincere. Mi avrai

figlio allora, il piú tenero, il piú caldo,

il piú sommesso, che mai fosse... Oh padre!

Qual gioja allor, quanta dolcezza, e quanto

orgoglio avrò d'esserti figlio!...

CESARE

Il sei,

qual ch'io mi sia: né mai contro al tuo padre

volger ti puoi, senza esser empio...

BRUTO

Ho nome

Bruto; ed a me, sublime madre è Roma. -

Deh! non sforzarmi a reputar mio vero

genitor solo quel romano Bruto,

che a Roma e vita e libertá, col sangue

de' propri suoi svenati figli, dava.

 

SCENA TERZA

 

Cesare.

 

 

CESARE

Oh me infelice!... E fia pur ver, che il solo

figliuol mio da me vinto or non si dica,

mentr'io pur tutto il vinto mondo affreno?

 


 



[1] Legge il foglio.

 


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:
14/07/2005 22.26

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