De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Primo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO TREDECIMO (26-51)

XXVI
Come mesere Luchino Visconti di Milano si fece nimico di Pisani.
Ma i Fiorentini, come toccammo adietro, lasciarono a' Pisani una mala azione, quando diedono Pietrasanta al vescovo di Luni di marchesi Malispini, il qual era cognato per la sirocchia moglie di meser Luchino Visconti signore di Milano, il quale indegnato contro a' Pisani, perché tenieno Serezzano, Lavenza, e Massa di marchesi, e altre loro castella in Lunigiana, né per suoi prieghi no·ll'avieno volute rendere, né a·llui data la 'mpromessa di molti danari gli restavano a date del gran servigio fatto della sua gente contro al nostro Comune, quando ci sconfissono a Lucca, e poi a sostenere l'assedio, ond'ebbono la città; per la quale ingratitudine di Pisani, e per la vergogna feciono a meser Giovanni Visconti stato loro capitano, quando uscì della nostra prigione, come toccammo adietro, e perché avieno cacciati di Lucca i figliuoli di Castruccio suoi amici e racomandati; e con coperto conforto de' Fiorentini col vescovo di Luni e colla serocchia, messere Luchino si fece nimico di Pisani, e mise in prigione XII stadichi ch'avea figliuoli di maggiori di Pisa, e mandò in aiuto al vescovo di Luni MCC di suoi cavalieri, capitano il detto meser Giovanni Visconti, i quali con altri che mandò apresso feciono molta guerra a' Pisani, faccendo capo in Pietrasanta, come tosto faremo menzione. Lasceremo alquanto di fatti di Firenze e de' Pisani, e diremo d'altre novità delli strani state in questi tempi per seguitare il nostro stile.
XXVII
Di grandi tempeste che furono in mare.
Nel detto anno e mese di novembre, il dì di santa Caterina, fu in mare una grandissima tempesta per lo vento a scilocco in ogni porto, ov'ebbe podere, e spezialmente in Napoli; che quante galee e legni avea in quel porto tutti gli ruppe e gittò a·tterra, e quasi tutte le case della marina ov'erano i magazzini del vino greco e delle nocciuole, per lo crescimento del mare tutte allagò, e molte ne rovinò e guastò, e menò via le botti del greco e nocelle, e ogni mercatantia e masserizie, onde si stimò il danno più di XLm once d'oro, di fiorini V d'oro l'oncia; e questa fu segno di grande novità e mutazione che dovea avenire e avennero assai tosto, in quello paese. E per simile modo avenne nel porto di Pera in Romania d'incontro a Gostantinopoli con grande danno di Genovesi, cui era la terra. E in questo tempo essendo cominciata una grande zuffa alla città della Tana nel mare Maggiore in Romania tra' Viniziani e Saracini della terra, avendo i Viniziani della detta zuffa soprastati i Turchi, e mortine alcuni, e fediti molti, onde tutti quelli della terra si commossono a furia, e rubarono e uccisono quanti Viniziani e Genovesi, e Fiorentini alquanti, e altri Cristiani che nella terra si trovarono alla zuffa, chi non poté fuggire alle loro galee; e presono poi da LX mercatanti latini, che a·romore non furono morti, e tennolli in prigione da II anni, e poi per danari e ingegno si fuggiro, e con grande pericolo scamparono. E stimossi il danno delle mercatantie e spezierie rubate per li Turchi da CCCm di fiorini d'oro a' Viniziani, e da CCCLm a' Genovesi. E tali sono li stimoli e pericoli di mercatanti per le loro peccata e follie; e per questa cagione rincarò in questo nostro paese ogni spezieria, seta, e avere di levante, cinquanta e più per centinaio subitamente, e tali il doppio.
XXVIII
D'alcune novità fatte per li Fiorentini che reggeano la città.
Del mese di dicembre del detto anno, per alcuna gelosia messa in Firenze di grandi non vera, furono fatti confinati V di casa i Bardi, e IIII di Frescobaldi, e II di Rossi, e III di Donati, e II di Pazzi, e uno di Cavicciuli, con tutto che·lla maggiore parte degli uomini de' detti casati, per levare sospetto al popolo e fuggire la furia, se n'andarono in contado a' loro poderi ad abitare, lasciando la città. A dì II di marzo del detto anno fu ferma e piuvicata la lega e compagnia tra 'l Comune di Firenze e quello di Perugia e di Siena e d'Arezzo per fortificare il loro stato, e per abattere i Tarlati d'Arezzo e ogni tirannello d'intorno. E in questi tempi i Fiorentini s'accordarono di nuovo, e feciono ragione con meser Mastino della Scala, che·lli restavano a dare per la matta compera di Lucca fiorini CVIIIm d'oro, e asegnarli sopra la gabella del macello e a quella di contratti, ogni mese IIm fiorini d'oro, e tornarono i nostri XXVII stadichi cari cittadini stati a Verona più di due anni: bontà del duca d'Atena, che non ne curava, ma li lasciava per abandonati, e per la sua avarizia non gli dava danaio, né·lle paghe promesse; che·ffu intra gli altri suoi difetti questo uno di quelli che molto gravò e dispiacque a' cittadini. Mandòvisi poi XII stadichi a vicenda di IIII mesi in IIII mesi a soldi XL il dì per uno per loro spese, e fiorino uno per cavaliere.
XXIX
Ancora della guerra dalla gente di meser Luchino Visconti co' Pisani.
Nell'anno MCCCXLIIII, a dì V d'aprile, avendo la gente di Pisani ch'erano in Versilia e in Lunigiana fatto uno grande fosso con isteccati e bertesche dalla marina al castello di Rotaia, e poi infino alla montagna al castello di Montegioli ch'ellino tenieno, acciò che·lla gente di meser Luchino ch'erano in Lunigiana no·lli potessono correre e guerreggiare sopra il contado di Pisa, e quelle fortezze si guardavano di dì e di notte co·lloro gente assai grossa a cavallo e a piè; e quella notte la gente di meser Luchino ruppono la fortezza tra Rotaia e Montegioli, e passaro, e vigorosamente assaliro la gente di Pisani; e dopo la grande battaglia la gente de' Pisani furono sconfitti, e molti presi e morti, onde i Pisani molto isbigottiro. E poi a dì II di maggio menando meser Benedetto Maccaioni di Gualandi, rubello di Pisa, CCC cavalieri di que' di meser Luchino, ch'erano vernati in Maremma, co·llui a guerreggiare i Pisani e·lloro terre per accozzarli colla gente grossa di meser Luchino che per la vittoria avuta a Rotaia volieno passare il Serchio, e venire di qua in su quello di Pisa, essendo albergati a Santa Gonda, provedutamente e posta fatta furono sopresi da D cavalieri di Pisani e molti balestrieri, ch'erano stati al Ponte ad Era per attenderli; e rimasene tra presi e morti più di C a cavallo, e tutti erano tra presi e morti, se non che si fuggiro sopra le spiagge di San Miniato, e quivi coll'aiuto di Saminiatesi quelli che iscampati erano si ridussono a salvamento. Sentendo questa novella meser Giovanni Visconti capitano della gente di meser Luchino si partì di Versilia con LXX bandiere, che furono da MD a cavallo, e passarono il Serchio al ponte a Moriano, e vennero per la Cerbaia e passato la Guisciana a Rosaiuolo, e poi guadarono l'Arno e ricolsono la loro gente da Santa Gonda, e acamparsi a Castello del Bosco, e in sulla Cecina guerreggiando il contado di Pisa per più tempo, e prendendo più loro terre e castella. La gente de' Pisani, ch'erano da M cavalieri, s'afforzaro al fosso Arnonico e al Ponte ad Era a guardare la frontiera, sanza avisarsi co' nimici. E partiti da Castello del Bosco, osteggiando per più campi la Valdera e·lla Maremma infino all'agosto, e più vi sarebbono dimorati, se non fosse che per lo soperchio caldo e disagi vi si cominciò una corruzione, onde assai ve ne malarono e morirono. E infra gli altri caporali ne morì meser Benedetto Maccaioni grande nimico di Pisani, e Arrigo di Castruccio che·ffu signore di Lucca. E per la mortalità e pestilenza si partì la detta oste, que' ch'erano scampati, e tornarsi in Versilia con grande loro dannaggio di gente. Lasceremo alquanto di questa guerra, e diremo d'altre novità occorse in questi tempi.
XXX
Come quelli di Castello Franco presono Campogialli, e uccisono certi de' Pazzi di Valdarno.
Nel detto anno, a dì XXVIIII d'aprile, quelli di Castello Franco di Valdarno di sopra con altri Valdarnesi e masnade d'Arezzo cavalcaro sopra' Pazzi di Valdarno, e per tradimento ebbono una porta del castello di Campogiallo, ch'era di Pazzi, e in quello entrati, corsono il castello uccidendo uomini e femmine sanza nulla misericordia, e uccisonvi X della casa di Pazzi di migliori di loro, e rubata la terra vi missono fuoco, onde caro costò a' Pazzi la guerra e oltraggi fatti a quelli di Castello Franco e agli altri Valdarnesi del contado di Firenze per lo tempo passato.
XXXI
Come il re di Spagna ebbe per assedio la forte terra della Zizera in Granata.
Nel cominciamento dell'anno MCCCXLIIII, a dì XXV di marzo, s'arrendé al re di Spagna la forte e grande città della Zizera in Granata, ch'era di Saracini, alla quale era stato ad assedio per più di IIII anni per mare e per terra con grande spesa e affanno e mortalità di Cristiani; però che sovente erano asaliti dal re di Granata e sua gente, e guerreggiati e per mare e per terra da' Saracini di Morocco e da quelli di Barberia, che ogni anno vi venieno al soccorso più volte con grande navilio e gente innumerabile di Saracini, ov'ebbe più battaglie, e per mare e per terra, quando a danno di Cristiani e quando di Saracini, che sarebbe lunga matera a racontare; però che' Saracini aveano porto in mare sotto il forte castello di Giubeltaro, il quale i Saracini aveano raquistato sopra i Cristiani per tradimento, come adietro facemmo in alcuna parte menzione. Ma tutto era in vano la 'mpresa e assedio del re di Spagna, però che·lla città era fortissima di mura e torri e fossi con buono porto e forte, e fornita di vittuaglia per buono tempo, e di molta gente d'arme e arcieri e balestrieri saracini, e·ll'aiuto di fuori, come detto avemo, e se non fosse l'aiuto del papa e della Chiesa, che con moneta di decima e d'altri susidi atava e fornia il re di Spagna, onde al soldo della Chiesa mantenea al continovo in mare XX galee armate di Genovesi, sanza quelle di Catalani e Spagnuoli, e diede indulgenzia e perdono di colpa e di pena a chi v'andasse o mandasse aiuto. Per la qual cosa molti conti e baroni e cavalieri di Francia, e d'Alamagna, e d'Inghilterra, e di Linguadoco v'andarono alle loro spese al servigio, istando all'oste chi IIII e chi VI mesi; e andòvi il conte d'Analdo con C cavalieri, e così più altri baroni, per la qual cosa si continuò l'assedio; e fu sì stretta la terra per mare e per terra, che nullo vi potea entrare o uscire; e dentro v'avea più di XXXm uomini d'arme saracini, sanza le femmine e fanciulli; sicché fallì loro la vettuaglia per lo lungo assedio, e per fame s'arrendero salve le persone, che se ne andaro tutti in Granata fra terra; onde fu uno nobile aquisto al re di Spagna e a tutta Cristianità. E trovòvisi dentro molto tesoro, cose e arnesi. Ed ha ora il re di Spagna e' Cristiani porto buono all'entrata del reame di Granata da potere guerreggiare e aquistare il paese. Lasceremo di fatti di Saracini, e torneremo alle novità di Firenze occorse in questi tempi.
XXXII
Di certe novità state in Firenze in questi tempi.
Nel detto anno del mese di giugno e di luglio, signoreggiandosi il reggimento di Firenze per lo popolo minuto, come più tempo dinanzi fu detto dovea avenire, cioè per le capitudini di tutte l'arti, come dicemmo adietro nella riformagione della terra, cacciato il duca d'Atene, sì·ssi ricercò per certi uficiali, e fecesi inquisizione di tutti i cittadini, rettori e castellani, stati per lo duca nella città d'Arezzo e nel castello fatto per i Fiorentini in quello, e di Castiglione Aretino, e della città di Pistoia e del castello che v'era dentro, e di Serravalle, e di più castella di Valdarno e di Valdinievole, e della città di Volterra, e di Colle di Valdelsa e di più altri, i quali alla rivoluzione del duca e di sua signoria, e certi de' detti, rettori e castellani, gli abandonaro, quali per paura e chi per la forza de' terrazzani, e tali per baratteria, avendone danari. Molti ne furono condannati per l'asegutore delli ordini della giustizia, commessogli per lo reggimento detto del Comune, e chi a diritto e chi a torto; onde assai danari tornaro di condannagioni in Comune; e molto ne furono condannati in persona, che non compatiro dinanzi, e più toccò a' grandi ch'a' popolani; però che 'l duca gli avea messi in quelle signorie.
Ancora nel detto tempo e mese furono per lo detto popolo fatti uficiali a rimettere tra ribelli certi Ghibellini caporali, e altri possenti stati rubelli prima; però che per la cacciata del duca tutti i libri di rubelli e sbanditi ch'erano in camera furono arsi, sì che di quelli si fece nuovo ligistro.
Ancora nel detto tempo fu condannato Corso di meser Amerigo di meser Corso Donati nell'avere e nella persona per contumace, per certe lettere che furono trovate, che mandava ed erano mandate a·llui da certi tiranni di Lombardia, con cui tenea alcuno trattato contro al popolo di Firenze, o vero o non vero che fosse, che no·llo aproviamo, però ch'a·llui era impossibile fornire sì grande impresa sanza maggiore séguito; ma non comparì dinanzi a scusarsene, o per tema del popolo o de' suoi nimici, o per non discoprire chi a·cciò tenea co·llui il trattato. Il quale Corso colla moglie, ch'erano in Forlì, moriro in pochi dì di maggio nel MCCCXLVII, di cui fu gran danno, però ch'era valente donzello, e per venire in grande affare se fosse vivuto.
E nel detto tempo, a dì III di luglio, fu in Firenze disordinata tempesta di venti, tuoni e baleni molto spaventevoli, e caddono dentro alla città VI folgori, ma poco feciono danno, ma maggiore paura alle genti.
E poi la notte di santo Iacopo s'aprese fuoco nel popolo di San Brocolo, e arse quasi una gran casa. E pochi dì apresso arse un'altra casa in Torcicoda a' confini del detto popolo. E poi pochi dì apresso arse un'altra gran casa nel detto popolo di San Brocolo, non però con troppo danno. E poi a dì VIII d'agosto la notte s'aprese il fuoco nel popolo di San Martino presso ad Orto Sa·Michele in botteghe di lanaiuoli, accendendosi in alcuno panno riscaldato per l'untume e soperchio caldo, onde arsono XVIII tra case e botteghe e fondachi di lanaiuoli con grandissimo danno d'arsione di panni e lane e altri arnesi e maserizie, sanza il danno delle case; e·cciò ne dimostrò la 'nfruenza del pianeto di Marti e del sole e di Mercurio stati nel segno del Leone, atribuiti significatori in parte alla nostra città di Firenze, o più tosto la mala guardia del fuoco per chi l'avea a guardare.
XXXIII
Come il conte Simone da Battifolle raquistò il castello di Fronzole colla forza di Fiorentini.
Nel detto anno, essendo il conte Simone da Battifolle con suo sforzo istato più mesi all'asedio del castello di Fronzole, ch'è sopra Poppi, il quale sentia che non era ben fornito di vittuaglia, il quale manteneano i Tarlati d'Arezzo e rubellato l'avieno al conte, e tenutolo più tempo contro a' detti conti, e aforzato di ricche e forti mura e tocca per lo vescovo stato d'Arezzo di Tarlati, sicché impossibile era da poterlo mai avere, se non per difalta di vettuaglia. Sentendo i detti Tarlati come mancava a quelli d'entro la vettuaglia, feciono e ragunarono loro sforzo a Bibbiena per soccorrello coll'aiuto di Pisani e di Ghibellini della Marca e del Ducato e di Romagna, e furono più di DC cavalieri e popolo grande a piè. Sentendolo i Fiorentini, mandarono al soccorso del conte di loro cavalieri e·lle vicherie di pedoni e masnadieri di Valdisieve e di Valdarno in grande numero, e' Sanesi gli mandarono in aiuto CC cavalieri, e' Perugini CL, onde i Tarlati e' loro amici non s'ardirono di venire al soccorso per la potenza maggiore di loro nimici, e per lo disavantaggio del poggio; e così s'arendé Fronzole al conte Simone, salve le persone, a dì XXIIII d'agosto del detto anno, che·ffu un bello aquisto al conte, però ch'è de' più forti castelli e rocca di Toscana, e cova e soprasta a Poppi, al di sopra poco più d'uno miglio. Il conte avutane la vettoria, ne fece grandi grazie al Comune di Firenze e Sanesi e Perugini per suoi ambasciadori; e poi elli in persona vegnendo in Firenze, riconoscendo d'averlo raquistato per lo aiuto e forza del nostro Comune, e mandocci la campana del detto castello per segno e ricordanza.
XXXIV
Ancora di novità fatte in Firenze per rettori di quella.
Nel detto anno, a dì XXXI d'ottobre, si fece per lo popolo minuto reggente il Comune una nuova riformagione e legge contro a' grandi, che·ssi guardò adietro, e misesi inn ordine di giustizia, cioè che fosse tenuto l'uno consorto per l'altro nonistante che tra·lloro avessono nimistà, o disimulassono d'averla, per levare ogni vizio a' grandi contro a' popolani. Ancora feciono che ogni grande che fosse di fuori in signoria o al soldo d'alcuno signore, dovesse ritornare infra certo tempo, o sarebbe messo per ribello. Questo feciono per sospetto e gelosia presa di loro, però che dopo la cacciata del duca d'Atene, e state le novità e asalti dal popolo a' grandi, come detto avemo adietro, molti grandi e gentili uomini per fuggire la furia del popolo e per prendere loro vantaggi, chi era ito al servigio di meser Mastino della Scala, e chi di meser Luchino Visconti, e chi del marchese da Ferrara e del signore di Bologna, e chi n'er'ito nel regno di Puglia; e tutti convennono che tornassono co·lloro sconcio e danno. E poi a dì XI di dicembre feciono i magistrati del popolo un'aspra riformagione e crudele contra il duca d'Atene, ciò·ffu che chiunque l'uccidesse avesse dal Comune Xm fiorini d'oro, cittadino o forestiere, e tratto d'ogni bando ch'avesse con asegnamento e ordine. E feciollo per suo dispetto e onta dipignere nella torre del palagio della podestà con messer Cerritieri de' Visdomini, e meser Meliadusso, e il suo conservadore, e meser Rinieri da San Gimignano stati suoi aguzzetti e consiglieri, a memoria e asempro perpetuo de' cittadini e forestieri che·lla dipintura vedesse. A cui piacque, ma i più di savi la biasimarono, però ch'è memoria del difetto e vergogna del nostro Comune, che 'l facemmo nostro signore. E·lla detta legge feciono perché il duca d'Atene adoperava in Francia col re e con altri baroni quanto potea di male contro a' Fiorentini, ed erano in grande dubbio d'esere sopresi di rapresaglia d'infinita moneta che domandava per amenda al Comune di Firenze, se non che·ssi riparò allora col re di Francia con lettere del papa e con solenni ambasciadori, ch'andarono in Francia, faccendo manifesto e chiaro il re di Francia de' suoi difetti e male reggimento. E oltre a·cciò non finava il duca di mettere sospetto e gelosia in Firenze, e mandando sovente sue lettere in Firenze a·ccerti suoi acconti, dando loro speranza di suo ritorno per male reggimento, dicea, di quelli reggeano la terra, onde poco dinanzi ne fue impiccati due legnaiuoli ch'erano molto suoi credenzieri quand'era signore in Firenze, e ricevieno e mandavano le dette lettere. Lasceremo alquanto de' fatti del duca e di Firenze, e diremo d'altre novità d'intorno che furono in que' tempi.
XXXV
Come il marchese da Ferrara ebbe la città di Parma.
Nel detto anno, all'uscita d'ottobre, mesere Azzo di quelli da Coreggia che tenea Parma, come l'avea rubellata a mesere Mastino suo nipote per tradimento, come contammo adietro, non potendola tenere, però che s'avea fatto nimico meser Mastino, e per la continua guerra ch'aveano dal signore di Milano e da' suoi seguaci, da·ccui anche s'era rubellato, ancora e traditolne, e da altri non potea avere aiuto né soccorso; per trattato di meser Mastino della Scala faccendolo fare a' marchesi, per danari in quantità di fiorini venti milia d'oro diedono la signoria della terra ad Obizo marchese da Ferrara, che tenea Modona: e andòvi a prendere la posessione meser Ghiberto da Fogliano uscito di Reggio con CCC cavalieri, intra' quali furono VI bandiere di cavalieri del Comune di Firenze, ch'erano al servigio del marchese. Per la qual cosa quelli da Gonzago, signori di Mantova, che tenieno Reggio, spiacendo loro la detta impresa, parendo loro rimanere assediati in Reggio, con tutta la loro forza e aiuto di meser Luchino si ragunarono a Reggio. E poi pochi dì apresso il marchese da Ferrara in persona, con sicurtà e licenza de' signori di Reggio, andò a Parma con M cavalieri tra di sua gente e di quella del signore di Bologna e di meser Mastino; e riformata la terra della sua signoria, e lasciatola fornita di sua gente, se ne partì a dì VII di dicembre seguente per tornare a Modona e a Ferrara; e mandò inanzi per isguarguato meser Ghiberto da Fogliano con CCC cavalieri armati, e 'l marchese venia da uno miglio apresso colla sua gente quasi disarmati, per la sicurtà avuta da quelli di Reggio. Quelli da Gonzago non tennor fede, ma fuori di Reggio missono due aguati di loro gente, e come meser Ghiberto da Fogliano co' detti CCC cavalieri fu nell'aguato, furono asaliti dinanzi e di dietro, e inchiusi e presi; e chi·ssi volle difendere fu morto, sicché tutti vi rimasono. E 'l detto meser Ghiberto con due suoi figliuoli e un suo nipote presi, e più altri caporali conestaboli e buona gente. E come questo tradimento sentì il marchese ch'era adietro, si tornò con sua gente in Parma molto crucciato: e ripresi que' signori da Gonzago del detto tradimento, avendo data la sicurtà e salvocondotto, e' si scusavano che·ll'aveano dato all'andare ma non al tornare; ma sempre, chi usa tradimento, il vizio dello 'nganno è aparecchiato e conseguente. I detti da Gonzago, coll'aiuto di meser Luchino da Milano, il febraio vegnente, sentendo il marchese da Ferrara in Parma, cavalcato in sul ferrarese insino presso a Ferrara a III miglia, levando grande preda, e faccendo gran dannaggio a' marchesi. Per le quali cagioni l'altra lega di Lombardi, meser Mastino della Scala, e il signore di Bologna, e quello di Padova, co' marchesi, alla primavera seguente feciono oste alla città di Reggio con più di IIIm cavalieri e popolo grandissimo, e chiusono sì i passi d'intorno a Reggio, che non vi potea entrare gente né vittuaglia; e per li più si credette non si potesse tenere. Né·ggià però meser Luchino e que' da Gonzago con tutta la loro potenza non si vollono afrontare a battaglia co' nimici, ma stavano alle frontiere al borgo a San Donnino e altre loro castella di reggiana a·ffare guerra guerriata in su quello di Parma e all'oste ch'era sopra Reggio. Ma per la state vegnente corruzione si cominciò nella detta oste da Reggio e infertà e mortalità, e intra gli altri di rinomo vi morì meser Francesco di marchesi da Esti, e meser Maffeo da Ponte Carradi capitano dell'oste e più altri; e simile dell'altra parte, onde per necessità si levaro e partiro le dette osti all'entrante d'ottobre MCCCXLV.
XXXVI
Di certe novità state in Firenze in questi tempi.
Nel mese di dicembre del detto anno MCCCXLIIII la campana del popolo, che suona per lo consiglio, la quale poi che·ffu fatta era stata sopra i merli del palagio di priori, si tirò e aconciò ad alti in sulla torre, acciò che s'udisse meglio Oltrarno, e per tutta la città, la qual era d'uno nobile suono della sua grandezza. E nel luogo ov'era quella fu posta la campana che venne dal castello di Vernia, e ordinata sonasse solamente quando s'aprendesse fuoco di notte nella città, acciò ch'al suono di quella traessono i maestri e quelli che sono ordinati a spegnere i fuochi.
E del mese di gennaio seguente si fece per lo Comune di Firenze accordo e lega e compagnia col vescovo d'Arezzo, ch'era delli Ubertini, e con suoi consorti, e trattoli d'ogni bando; ed elli diede in guardia le castella del vescovado e·lle loro al conte Simone da Battifolle e a' suoi fedeli per X anni per lo Comune di Firenze, e per fare guerra a' Tarlati e rubelli d'Arezzo, e avere gli amici per amici e' nimici per nimici. Le castella principali furono: Civitella, Cennina, e 'l palagio di Castiglione degli Ubertini e più altre fortezze.
E all'uscita del detto mese s'aprese fuoco al munistero delle donne del Prato, e fece loro danno assai. E apresso il primo dì di febraio s'aprese nella Città Rossa, e arse una casa e una femmina iv'entro. E a dì XV del mese di febraio furono condannati per processo ordinato tutti quelli della casa degli Ubaldini nell'avere e nelle persone siccome ribelli (salvo il lato di quelli da Senno, che non si trovaro colpevoli) per cagione della battaglia e aguato che feciono alla nostra gente a Rifredi, quando andavano al soccorso di Firenzuola, e per la presa della detta Firenzuola e del castello de' Tirli alla cacciata del duca d'Atene, come in alcuna parte adietro facemmo menzione; e tutti i loro beni ch'erano nel contado di Firenze messi in Comune.
E nel detto mese di febraio vennono in Firenze ambasciadori del re di Francia a petizione del duca d'Atene; ciò fu uno cavaliere e uno cherico, e in pieno consiglio domandaro l'ammenda del detto duca. E nel detto consiglio e i·lloro presenza furono publicati i suoi falli e difetti, e mostrate le sue quitanze; e ordinati e mandati al re di Francia ambasciadori colla risposta per lo nostro Comune, come dicemmo adietro; e a quelli ambasciadori del re presentati per lo Comune, e fatto loro le spese e compagnia e onore assai, mentre dimorarono in Firenze e per lo nostro contado; onde n'andarono molti contenti; ma però non lasciò il re di Francia di proccedere contro a' Fiorentini per lo duca d'Atene, come inanzi si farà menzione.
E nel detto mese di febraio per lo Comune si fece ordine che qualunque cittadino dovesse avere dal Comune per le prestanze fatte al tempo di XX, come adietro facemmo menzione, che·ssi trovaro più di DLXXm di fiorini d'oro, sanza il debito di meser Mastino della Scala, ch'erano presso di Cm fiorini d'oro, si mettessono in uno ligistro ordinatamente; e dare il Comune ogni anno per provisione e usufrutto a ragione di V per centinaio l'anno, dando ogni mese la paga per rata di mese; e diputossi a fornire il detto guiderdone parte della gabella delle porti e d'altre gabelle, la qual montava l'anno da fiorini XXVm d'oro, ov'erano asegnate le paghe a meser Mastino; e pagato lui, fossero diputate alla detta sodisfazione; il qual meser Mastino fu pagato del mese di dicembre per lo modo diremo inanzi. E cominciossi la paga della detta provisione del mese d'ottobre MCCCXLV. Nel detto anno, a dì XII di marzo, passò di questa vita e santificò uno Iacopo, figliuolo fu di meser Bono Giamboni giudice del popolo di San Brocolo, il qual era stato di santa vita, e vergine di suo corpo, si disse, e statosi in casa rinchiuso più di XXV anni, che non usciva se non alcuna volta anzi il giorno a confessione o prendere Corpus Domini; e avea dato per Dio a' poveri tutta sua sustanzia e patrimonio, e poveramente e in digiuni e orazioni vivea, scrivendo libri a prezzo, e dittando da·ssé di sante e buone cose; e chi·lli mandava limosina no·lla ricevea, se non da divoti suoi amici; e 'l soperchio di suo guadagno, finito poveramente suo mangiare a giornata, dava per Dio a' poveri. Fece Iddio visibili e aperti miracoli per lui alla sua morte, e poi e' soppellissi a Santa Croce a guisa di santo. E a sua vita predisse a' suoi amici più cose future, e ch'avvennero nella nostra città, e della signoria e cacciata del duca d'Atene per vertù dello Spirito Santo. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, che assai n'avemo detto a questa volta, e diremo delli strani.
XXXVII
Di novità state nella città di Genova.
Nel detto anno, all'uscita di dicembre, il dogio del popolo di Genova, che avea nome Simone di quelli di Boccanegra, ch'avea regnato signore da anni, come adietro è fatta menzione, per sua motiva, e sentendo che gli Ori e·lli Spinoli, e Grimaldi e altri noboli co·lloro sforzo venivano alla terra, sì rinuziò la signoria dinanzi al parlamento del popolo, e andossene a Pisa con tutta sua famiglia e parenti, e dissesi con più di Cm fiorini d'oro contanti ch'egli avea guadagnati, overo tribaldati al suo uficio.
E il popolo di Genova, acciò che i grandi non prendessono la signoria, di presente elessono dogio del popolo e missono in signoria uno Giovanni da Monterena, il quale cominciò a reggere la signoria francamente per lo popolo, e contradiare i detti grandi e potenti, che venieno contro al popolo. E poi per ordine e trattato del detto dogio que' della città di Saona levato la terra a romore a dì VIII di gennaio seguente, e feciono popolo, e cacciarono della terra i loro grandi, e quanti grandi e nobili v'avea di Genova, e tolsono loro le castella e ogni fortezza ch'avieno in Saona.
E poi il dì seguente il popolo di Genova feciono il somigliante; e perché gli Squarciafichi e' Salvatichi, grandi di Genova, feciono alcuna risistenza, furono assaliti e combattuti dal popolo, e morti di loro, e cacciati della terra.
E vegnendo in que' dì Ottone Doria e suoi seguaci e amici con DCC cavalieri e popolo assai, e dentro de' borghi di Prea, il popolo di Genova uscì della terra, e con armata mano li assaliro e combattero e missono inn-isconfitta, e rimasene assai di morti e di presi. E il febraio seguente il dogio e popolo di Genova feciono lega e compagnia con meser Luchino Visconti signore di Milano, ed elli promisse a·lloro d'avere li amici per amici e nimici per nimici, e servigli al loro bisogno di D cavalieri. E poi del detto mese gente d'arme di Genova, ch'erano iti a cavallo e a piede a porto Morici, furono rotti e sconfitti da·lloro usciti. Ma poi l'aprile vegnente que' di Genova coll'aiuto di meser Luchino v'andarono a oste per mare e per terra, e presono il detto porto Morici e·lla terra. Ma poi all'entrante di luglio MCCCXLV messer Luchino Visconti fece fare pace dal popolo di Genova a' loro usciti.
XXXVIII
Ancora della guerra della gente di mesere Luchino co' Pisani.
Nel detto anno e mese di febraio i Pisani feciono lega e compagnia con certo ordine con meser Mastino della Scala, e col signore di Bologna, e co' marchesi da Ferrara, e Romagnuoli per dispetto e contrario di meser Luchino Visconti, e richiesonne i Fiorentini; ma non vi si vollono acordare. Per la qual cosa la gente di meser Luchino, ch'era in Versilia, passato il Serchio in quantità di D cavalieri e popolo assai, e corsono insino presso alla città di Pisa per la via di Valdiserchio faccendo gran danno d'arsioni, e levando gran prede d'uomini e di bestie e d'arnesi, e tornarsi in Versilia sani e salvi, che di Pisa non uscì uomo a contradiagli. E poi del mese di maggio MCCCXLV morto il marchese Malaspina cognato di meser Luchino, a cui petizione mantenea la detta guerra; e priego del dogio e popolo di Genova meser Luchino fece pace co' Pisani, ed ebbe d'amenda Cm fiorini d'oro, rimanendo a' Pisani le terre di Lucca, ch'allora si tenieno per meser Luchino, e rendé li stadichi a' Pisani. E questo è il fine de' tiranni di Lombardia, per trarre loro utole delle guerre e disensione di noi ciechi Toscani. Lasceremo alquanto di nostri fatti di Firenze e d'Italia, e diremo di certe novità d'oltremare.
XXXIX
Come i Cristiani presono la città delle Smirre sopra i Turchi.
Nel detto anno MCCCXLIIII, essendo per lo re di Cipri e per lo mastro dello Spedale e magione, che tenea l'isola di Rodi, e per lo patriarca di Gostantinopoli e cogli amiragli delle galee de' Genovesi e Viniziani, ch'erano al soldo della Chiesa sopra i Turchi, ordinarono una grande armata di navi, cocche e galee con molta buona gente d'arme per andare sopra i Turchi, e ragunarsi all'isola di Negroponte in Romania overo Grecia; e di là si partì la detta armata del mese di..... e puosonsi alla città delle Smirre nel paese che oggi si chiama Turchia, assai presso dove anticamente fu la grande città di Troia, e in quello golfo di mare. La qual città si tenea pe' Turchi, ed era molto forte fornita di molta gente d'arme Turchi e Saracini. E·lla detta armata di Cristiani entrarono nel porto della detta Smirra, e quello combattendo con aspre battaglie, e con difici e torri di legnami fatti in sulle cocche e navi, per forza presono le torri del porto, e tagliarono e gittarono in mare i Turchi che v'erano alla difesa. E vinto il porto, asalirono la terra da più parti, e combattendo per forza d'arme l'ebbono con gran tagliata e uccisione di Saracini e Turchi, che non vi lasciaro né uomini né femmina né fanciulli che non mettessono alle spade a morte, chi non si fuggì, i quali furono quasi innumerabile gente; e trovarolla fornita di molta ricchezza, cose, maserizie e vittuaglia. Sentendo ciò il soldano di Turchi ch'avea nome Marbasciano, ch'era fra terra a sue castella, di presente vi venne con XXXm Turchi a cavallo e con gente a piè innumerabile, e puose di fuori l'assedio alla detta terra delle Smirre con più campi. I Cristiani, ch'aveano presa la terra, la guernirono e aforzarono di loro gente, e·lla terra era fortissima di mura e torri, e sovente uscivano fuori alli scaramucci e badalucchi contro a' Turchi, quando a danno dell'una parte e quando dell'altra; e il detto assedio durò parecchi mesi, combattendosi al continovo di dì e di notte. In questa stanza Marbasciano soldano di Turchi, veggendo che seguendo l'assedio perdea al continuo di sua gente, e poco potea fare alla terra, sì era forte, sì si provide maestrevolmente per attrarre i Cristiani di fuori a·ccampo; sì si ritrasse colla maggiore parte di sua gente adietro alquante miglia alle montagne, e lasciò certa parte di sua oste a campo fuori della terra. I Cristiani ch'erano nelle Smirre veggendo asottigliato il campo di nimici di genti, stimando fossono per l'assedio straccati, il dì di santo Antonio, dì XVII di gennaio, popolo e cavalieri, uscirono della città, e asalirono il campo di Turchi vigorosamente, e quello con poco contasto di battaglia missono inn-isconfitta e fuga con grande mortalità di Turchi; e preso e rubato il campo, e intendendo certi alla caccia di Turchi che fuggieno, e certi alle spoglie del campo, e' capitani dell'oste con buona parte della migliore gente intendeno a·ffare gran festa, e celebrare messa e sagrificio nel campo, credendosi avere tutto vinto, e non prendendosi guardia dell'aguato, Marbasciano con suoi Turchi, com'avea ordinato per certi segni, discesono delle montagne, ch'erano assai presso, e assalì la gente de' Cristiani, ch'erano sparti, e male in ordine e peggio in guardia e·cchi armato e chi disarmato, e di presente con poco afanno gli ebbono rotti e sconfitti e messi in volta. E chi si fuggì nella terra; e di migliori rimasono nel campo alla battaglia, la quale durò poco, però che' Cristiani erano pochi alla comparazione di Turchi; e quelli che ressono al campo rimasono tutti morti. Intra gli altri vi morì il patriarca di Gostantinopoli, uomo di grande valore e autoritade, e meser Martino Zaccheria amiraglio di Genovesi, e meser Piero Zeno amiraglio di Viniziani, e 'l maliscalco de·rre di Cipri, e più frieri della magione dello Spedale, e più di D buoni uomini di Cristiani che ressono combattendo al campo, onde fu grande dannaggio; tutti gli altri Cristiani si fuggirono nella terra. E avenne loro bene, che per la detta rotta e sconfitta non isbigottirono, ma vigorosamente salvarono e difesono la terra da' Turchi, sicché per battaglie che vi dessero no·lla potero raquistare, ma ne moriro molta di loro gente per li molti balestrieri che dentro v'erano alla guardia. Venuta la detta novella in ponente e al papa, lieti ne furono per lo raquisto delle Smirre, e crucciosi della rotta e perdita di quella buona gente che vi rimasono morti. Per la qual cosa incontanente fece il papa indulgenza e perdono di colpa e di pena chi v'andasse o mandasse al soccorso, e andarvi di Firenze di loro volontà, e che furono mandati alle spese di chi volle il perdono, da CCCC di croce segnati, e con tutte armi e soprasberghe bianche con giglio e croce vermiglia, e per loro medesimi ordinati a conestaboli e bandiere. E di Siena ve n'andarono bene CCCL, e così di molte altre terre di Toscana e di Lombardia, chi pochi e·cchi assai, sanza ordini di Comuni, e feciono la via da Vinegia, però che·llà era ordinato il passo e navile alle spese della Chiesa. E 'l papa fece capitano di crociati il Dalfino di Vienna con sua compagna di gente d'arme al soldo della Chiesa; e passò per Firenze all'entrante del mese d'ottobre MCCCXLV, e andonne a Vinegia per seguire il detto viaggio e impresa, e più altri cavalieri oltramontani v'andaro per avere il perdono; e·cchi affiato della Chiesa. Lasceremo al presente della detta impresa, e diremo d'altre novità state ne' detti tempi.
XL
Come fu morto il re d'Erminia.
Nel detto anno MCCCXLIIII il re d'Erminia, il quale avea per moglie la figliuola del prenze di Taranto e della Morea, e nipote del re Ruberto, e per amore della moglie si dilettava co' baroni e cavalieri latini, che più gli piacea i loro costumi che quelli delli Ermini, e quanta buona gente di ponente capitava in sua corte gli ritenea a suo soldo, chi a cavallo, e chi a piè; per la qual cosa i baroni ermini per invidia ordinarono tradimento, e uccisono il detto loro re. E ancora ci ebbe, e fu grande cagione della sua morte, che 'l papa per suoi legati gli avea promesso sussidio e aiuto alla difensione di Saracini, e·rre di Francia più tempo dinanzi presa la croce e promesso di passare oltremare al conquisto della Terrasanta; e ciascuno de' detti signori tenea al continuo in vana speranza il re d'Erminia, e·rre i suoi baroni; e ciascuno, cioè il papa e il re di Francia, gli fallirono, e' Saracini corsono più volte l'Erminia con gran danno del paese; e però i baroni s'indegnarono contro al detto re, e l'uccisono. Lasceremo de' fatti d'oltremare e d'altre novità d'intorno, faccendo digressione, raccontando d'una grande congiunzione di certi gravi pianeti, che fu in questi tempi, che sono di grande significazione al secolo.
XLI
Della congiunzione di Saturno e di Giove e di Marti nel segno d'Aquario.
Nell'anno MCCCXLV a dì XXVIII di marzo, poco dopo l'ora di nona, secondo l'adequazione di mastro Pagolo di ser Piero, gran maestro in questa iscienzia, fue la congiunzione di Saturno e di Giove a gradi XX del segno dello Aquario collo infrascritto aspetto degli altri pianeti. Ma secondo l'almanaco di Profazio Giudeo e delle tavole tolletane dovea esere la detta congiunzione a dì XX del detto mese di marzo; e 'l pianeto di Marti era co·lloro nel detto segno d'Aquario gradi XXVII, e·lla luna scurata tutta a dì XVIII del detto mese di marzo nel segno della Libra gradi VII. E all'entrare che fece il sole nell'Ariete, a dì XI di marzo, fu Saturno in sull'ascendente nel segno d'Aquario gradi XVIII e signore dell'anno, e Giove nel detto Aquario gradi XVI. E Mars nel detto Aquario gradi XXII; ma seguendo l'equazione del detto mastro Paolo, ch'è de' maestri moderni, e dissene che co' suoi stormenti visibilmente vide la congiunzione a dì XXVIII marzo, essendo la detta congiunzione nell'angolo di ponente, e 'l sole era quasi a mezzo il cielo un poco dichinante a l'angolo, a gradi XVI dell'Ariete, e in sua saltazione; e il Leone, sua casa, era in su l'ascendente gradi XIII e Mars era già nel Pesce gradi VI; Venus nel Tauro gradi XIIII, sua casa, e in mezzo il cielo; Mercurio in Tauro in primo grado, e·lla luna inn-Aquario gradi IIII. Questa congiunzione co' suoi aspetti delli altri pianeti e segni, secondo il detto e scritto de' libri degli antichi grandi maestri di strolomia, significa, Idio consentiente, grandi cose al mondo, e battaglie, e micidi, e grandi commutazioni di regni e di popoli, e morte di re, e tralazione di signorie e di sette, e aparimento d'alcuno profeta e di nuovi errori a fede, e nuova venuta di signori e di nuove genti, e carestia e mortalità apresso in quelli crimanti, regni, paesi e cittadi, la cui infruenza de' detti segni e pianeti è atribuita; e talora fa nascere inn-aria alcuna stella comata, o altri segni e diluvi e di soperchie piove, però ch'ella è grave congiunzione per la propinquità di Marte, e sì per l'ecrissi proccedente dalla luna, e sì per la figura anuale a·cciò concordevole, e sì ancora perché poco tempo apresso ritrogando Saturno e Giove si rapressaro a gradi uno, minuti XXXV, tanto che·ssi possono un'altra volta congiunti riputare; bene darà più tardezza alli effetti per la ritrogagione. Questo non diciamo fia di nicissità, ma fia il più e 'l meno al piacere di Dio, disponitore de' detti corpi celestiali, mediante la sua giustizia e misericordia, secondo i meriti e peccati delle genti e de' regni e de' popoli per pulire e rimunerare; ed ècci la libertà del libero arbitrio dell'uomo, quando il voglia operare, la qual cosa è in pochi per lo difetto del vizio lascibile e·lla poca costanza delle virtù, onde per li più si vive al corso di fortuna. E nota ancora e troverrai che 'l pianeto di Marti entrò nel segno del Cancro a dì XII del mese di settembre nel detto anno MCCCXLV, e stette nel detto segno tra diretto e ritrogrando infino a dì X di gennaio, che ritrogando tornò in Gemini, e stettevi insino a dì XVI di febraio, e ritornò poi in Cancro, e stette poi in quello infino a dì II di maggio MCCCXLVI, sicché mostra sia stato in Cancro da mesi VI e mezzo tra due volte, che secondo suo usato corso non sta nel segno che L dì. Onde per molti maestri si disse che 'l reame di Francia avrebbe molte aversità e mutazioni, perché il segno del Cancro è asaltazione del pianeto di Giove dolce e pacifico, e dà ricchezze e nobiltà. Il quale segno del Cancro è atribuito al reame di Francia. Ancora il pianeto di Giove fu soprastato da Saturno e da Mars, il quale pianeto di Giove s'atribuisce alla Chiesa e al re di Francia. Ancora nota che partito Giove dalla congiunzione di Saturno e di Marti, ed entrato nel segno del Pesce sua casa, al continuo fu congiunto in quello colla cauda dragonis, ch'ancora li fa ditreazione, e nel paese ov'è atribuito la sua infruenzia.
Ora potrà dire chi questo capitolo leggerà, che utole porta di sapere questa strolomia al presente trattato? Rispondiamo che a chi fia discreto e proveduto, e vorrà investigare delle mutazioni che sono state per li tempi adietro in questo nostro paese e altrove, leggendo questa cronica assai potrà comprendere per comparazione di quelle sono passate pronosticate delle future, aconsentiente Idio, che questa congiunzione in questa tripicità de' segni dell'aere fu e cominciò a questi nostri presenti tempi gli anni MCCCV nel segno della Libra; e poi gli anni MCCCXXV nel segno del Gemini. A ciascuno fu ed è assai manifesto le novità state nella nostra città e altrove, ch'assai sono fresche dall'una congiunzione e·ll'altra, che sono state quasi di XX anni in XX anni poco meno; ch'è·lla più leggera, e in LX anni tornò, ch'è più grave e muta tripicità. E anche si possono leggermente ritrovare le novità che furono, e·lla discordia e guerra dalla Chiesa e·llo 'mperio, e l'altre novitadi e dell'antico popolo di Firenze, e della tralazione della signoria del re Manfredi al re Carlo, e in CCXL overo in CCXXXVIII l'avrà fatta XII volte in XII segni, le novitadi che furono in que' tempi adietro, il passaggio d'oltremare e altre grandi cose, e·lla mutazione della signoria del regno di Cicilia a Ruberto Guiscardo. E in DCCCCLX overo DCCCCLIII anni fornite XLVIII congiunzioni, e tornando alla prima, ch'è la più ponderosa di tutte, se cerchi adietro troverrai il cominciamento del calo della potenza del romano imperio alla venuta de' Gotti e di Vandali inn-Italia, e molte turbazioni a santa Chiesa etc. E questo basti alla presente materia, e diremo d'altro.
XLII
Quando morì mesere Albertino da Carrara signore di Padova, e quello ne seguì.
Nel detto anno MCCCXLV, all'uscita del mese di marzo, morì meser Albertino da Carrara, il quale i Fiorentini e' Viniziani al conquisto della città di Padova da meser Mastino, come dicemmo adietro, ne feciono signore; e male ne fu conoscente, come fanno gli altri tiranni. E·llui morto, lasciò in suo luogo signore meser Marsilietto suo consorto ch'era assai valoroso e da bene; ma·lla invidia, che sempre ditrae ogni beneficio, commosse Iacopo da Carrara nipote carnale del sopradetto meser Albertino, e con suo séguito, poco tempo apresso, per tradimento di notte tempore uccise il detto meser Marsilietto suo consorto, e corse la terra, e come tiranno se ne fece signore.
XLIII
D'una aspra legge che 'l popolo di Firenze fece contro a' cherici.
Nel detto anno, a dì IIII d'aprile, i reggenti e maestri del popolo di Firenze, uomini e collegi della qualità che detto avemo adietro, feciono una aspra e crudele legge sopra i cherici contra ogni ordine e dicreti di santa Chiesa, con molti capitoli contro a libertà di santa Chiesa. Intra gli altri, che quale cherico offendesse ad alcuno laico d'alcuno malificio creminale, fosse fuori della guardia del Comune, e potesse esere punito personalmente dalla signoria secolare inn-avere e in persona, non riserbando degnità; e quello cherico o laico impetrasse in corte di papa, o appo altro legato, lettera o privilegio di giudice dilegato in sua causa e quistione, che da niuna signoria di Comune fosse udito né amesso; ma che i propinqui e parenti di quelli ch'avesse fatta la 'mpetragione fossero costretti inn-avere e in persona, tanto facessono rinuziare la sua impetragione. Di queste leggi, e altri membri che·ssi contengono nella detta riformagione, fu la motiva che certi cherici rei di grandi e di possenti popolari pur facieno sotto titolo della franchigia di loro chericato di sconce cose a' secolari impotenti. E per cessare l'opposizione di contratti usurari, e per cagione di molte compagnie, che 'n quelli tempi e dinanzi erano falliti, levarono che non si potessono impetrare privilegi di giudici dilegati. Tutte queste fossono le cagioni, e hanno alcuno colore di giustizia, da' savi uomini fu molto biasimata la detta legge e riformagione, che perché il Comune la si potesse fare, non era licito di farla contro alla libertà di santa Chiesa né mai più fu fatta in Firenze; e·cchi vi diè aiuto o consiglio o favore issofatto fu scomunicato. E·sse in Firenze fosse in quelli tempi stato un valentre vescovo non cittadino, pure come fu il vescovo Francesco da Cingole anticessoro del presente, non sarebbe stato soferto; ma il presente vescovo, nostro cittadino, della casa delli Acciaiuoli, invilito per lo fallimento e cessagione de' suoi consorti, non ebbe ardimento al riparo della inniqua e ingiusta legge. La quale saputa in corte, ne fu fatto grande clamore al papa e a' cardinali; e poi tra per ciò e per altri processi fatti per lo Comune di Firenze contra i cherici nacque scandalo dalla Chiesa a' Fiorentini, come inanzi faremo menzione. E nota che fa il reggimento delle cittadi, essendone signori artefici e manuali e idioti, però che i più delle XXI capitudini dell'arti, per li quali allora si reggea il Comune, erano artefici minuti veniticci di contado e forestieri, a·ccui poco dee calere della republica, e peggio saperla guidare; e però che avolontatamente fanno le leggi straboccate sanza fondamento di ragione, e male si ricordano chi dà le signorie delle cittadi a sì fatte genti quello che n'ammaestra Aristotile nella sua Politica, cioè che' rettori delle cittadi sieno i più savi e discreti che si possano trovare. E 'l savio Salamone disse: "Beato quello regno ch'è retto per savio signore". E questo basti aver detto sopra la presente materia, con tutto che per difetti di nostri cittadini e per li nostri peccati male fummo retti per li grassi popolani, come poco adietro avemo fatta menzione. E da dubitare è del reggimento di questi artefici minuti idioti e ignoranti e sanza discrezione e avolontati. Piaccia a Dio che sia con buona riuscita la loro signoria, che me ne fa dubitare.
XLIV
Come il popolo di Firenze tolse a certi grandi e gentili uomini certe posessioni e beni donati loro per lo Comune.
E poi del mese di maggio del detto anno per li detti reggenti e maestrati del popolo di Firenze fur tolti di fatto, e contra ogni debita ragione, a più nobili indotati dal Comune per antico o per loro meriti e di loro anticessori, o per ogni fare per lo Comune, come diremo apresso; intra gli altri a quelli della casa de' Pazzi le posessioni e beni che il popolo e Comune di Firenze avea donati e dotati a·lloro anticessori con ogni sollennità che fare si potesse infino gli anni MCCCXI, quando il popolo di Firenze fece cavalieri e difenditori del popolo quattro di loro, II figliuoli di messere Pazzino, e due suoi cugini, per la morte del detto meser Pazzino, stato morto in servigio del popolo, e·llui vivendo, capo e difenditore del popolo con suoi consorti contro ad ogni grande che contro al popolo erano o aoperassono, come adietro in quelli tempi facemmo menzione; e il suo padre mesere Iacopo del Nacca morto a Monte Aperti, caporale e gonfaloniere del popolo; e gli altri suoi consorti le grandi operazioni fatte per lo Comune e popolo di Firenze a·cColle, come adietro è fatta menzione; e per tanti benefici fatti per lo Comune e popolo di Firenze, antichi e moderni, non volere esere udite niuna loro ragione, né commetterla in quale giudice in Firenze o in Bologna, ch'al Comune piacesse. Ma meglio era non dare il dono che·lla cosa donata villanamente ritorre contra a ragione. E per simile modo tolsono i beni a' figliuoli di meser Pino e di meser Simone della Tosa, donati per lo Comune e popolo, quando gli feciono cavalieri del popolo, che tanto per lo popolo adoperarono, come in questa è fatta menzione. E per simile modo a' figliuoli di mesere Giovanni Pini de' Rossi, il quale morì apo Vignone in Proenza, essendo ambasciadore del Comune al papa Giovanni per gran cose. E montarono le dette posessioni più di fiorini XVm d'oro, e convertissi a rifacimento di ponti, ma non ne tornò in Comune la metà in danari che valeano. Di questo torto fatto pe' reggenti del popolo a' sopradetti gentili uomini, collo 'nzigamento degli altri grandi per invidia. avemo fatta menzione per dare asempro a quelli che verranno come riescono i servigi fatti allo 'ngrato popolo di Firenze; e nonn-è avenuto pure a' detti, ma se ricogliamo le ricordanze antiche pure di questa nostra cronica, intra gli altri notabili uomini che feciono per lo popolo, si fu mesere Farinata delli Uberti, che guarentì Firenze che non fosse disfatta; e mesere Gianni Soldanieri, che·ffu capo alla difensione del popolo contra al conte Guido Novello e gli altri Ghibellini; e di Giano della Bella, che·ffu cominciatore e facitore del secondo e presente popolo; e meser Vieri di Cerchi, e Dante Allighieri, e altri cari cittadini e guelfi, caporali e sostenitori di quello popolo. I meriti e guiderdoni ricevuti i detti e' loro discendenti dal popolo, assai sono manifesti, pieni di grandissimo vizio d'ingratitudine, e co grande offensione a·lloro e a' loro discendenti, sì d'esili e disfazione de' beni loro, e d'altri danni fatti per lo 'ngrato popolo e maligno, che discese di Romani e di Fiesolani ab anticho, ancora, se leggiamo l'antiche storie di nostri padri romani, non vogliamo tralignare. Intra·ll'altre notevoli ingratitudini fatte per lo detto popolo, assai sono manifeste: che merito ricevette il buono Camillo che difese Roma e diliberò da' Gallici? Certo fu sanza colpa cacciato inn-esilio e sbandito. Che diremo del buono Iscipio Africano che diliberò la città di Roma e 'l suo imperio d'Anibale, e vinse e sottomise Cartagine e tutta la provincia d'Africa al Comune di Roma, e per simile modo dallo 'ngrato popolo fu mandato inn-esilio per la invidia e a torto? Che diremo ancora del valente Giulio Cesare? Quanti notabili e grandi cose fece per lo Comune e popolo di Roma inn-Italia e poi in Francia, inn-Inghilterra, Alamagna, e sottomisele con tanto affanno al popolo di Roma, e per invidia de' rettori e senato del popolo fu rifusato a cittadino, e poi, lui imperadore, da' rettori del senato e suoi propinqui, e·lloro benefattore, fu morto? Certo questi antichi asempri e moderni danno matera che mai nullo virtuoso cittadino s'intrametta in benificio della republica e di popoli; ch'è grande male apo Dio e al mondo che' vizii della 'nvidia e della superbia ingratitudine abatta le nobili virtù della magnanimità e della grata liberalità, fontana di benifici. Ma non sanza giusto giudicio d'Iddio sono le pulizioni de' popoli e de' regni soventi per li detti falli e difetti: pognamo che Iddio non punisca di presente fatto il fallo, ma quando il dispone la sua potenzia. Se nella matera avessimo detto di soperchio, il soperchio del disordinato vizio della ingratitudine ce ne scusi, per l'opere delli straboccati nostri rettori.
XLV
Come volle esere tolto il castello di Fucecchio al Comune di Firenze.
Nel detto anno MCCCXLV, a dì XXVII d'aprile, quelli della Volta di Fucecchio nobili e di più possenti di quelli della terra, coll'aiuto di loro amici di Sa·Miniato e di gente del contado di Lucca, corsono la terra di Fucecchio per rubellalla e torla al Comune di Firenze sotto titolo di cacciarne que' di meser Simonetto, un'altra casa di maggiori di Fucecchio, loro nimici. E sarebbe loro venuto fatto, se non fosse il sùbito soccorso delle masnade di Fiorentini ch'erano nelle castella di Valdarno e di Valdinievole, che·vvi trassono di presente; e con forza d'arme combattendo, furono i detti della Volta e·lloro seguaci nella terra sconfitti e rotti e cacciati, ov'ebbe assai di morti e fediti, e presi, impiccati per la gola. E poi la state apresso da D fanti di Pisani ch'erano alla guardia del Cerruglio e di Vivinaia e Montechiaro di notte tempo iscesono in Cerbaia, e parte ne passarono la Guisciana con trattato d'aver Fucecchio; per buona guardia si guarentì; onde i Fiorentini si dolfono forte a' Pisani per loro ambasciadori, onde si scusarono molto che non era loro fattura; ma come sempre hanno usato, il vizio pisanoro d'inganni e tradimenti fu questo, però che non ne feciono né amendo né punizione; e se l'avessono preso, il s'avrebbono tenuto a onta e dispetto di Fiorentini. E per la detta novità di Fucecchio, onde i Malpigli e Mangiadori di Sa·Miniato furono operatori e cagione, il luglio apresso ebbe zuffa e battaglia in Sa·Miniato tra' Mangiadori e Malpigli e loro seguaci; ma per li Fiorentini vi si mise accordo, perché non si guastasse quella terra. Ancora poi all'entrante di marzo del detto anno volle essere tradito Fucecchio, e più terrazzani colpevoli di ciò ne furono morti e giustiziati. E nel detto anno, all'entrante di giugno, fu fatta pace e accordo dal Comune d'Arezzo a' Tarlati e·lli altri loro usciti ghibellini per mano di Perugini e Fiorentini.
XLVI
Di certi lavorii di ponti e d'altri fatti per lo Comune in questi tempi.
Nel detto anno, a dì XVIII di luglio, si compié di volgere e di serrare il nuovo ponte rifatto sopra l'Arno nel luogo ove anticamente era stato il ponte Vecchio, con due pile e tre archi, molto bello e ricco. Costò bene fiorini... d'oro; e·ffu bene fondato, e largo braccia XXXII, che·lla via rimase larga braccia XVI, che·ffu troppo grande al nostro parere, e basse l'arcora da braccia II; e·lle botteghe dall'uno lato e dall'altro larghe braccia..., e lunghe braccia VIII, e furono fatte in sul sodo dell'arcora fatte a volte di sopra e di sotto, e furono XLIIII, onde il Comune ebbe di rendita di pigione l'anno da DCCC fiorini d'oro o più, ch'anticamente erano di legname sportate sopra l'Arno, e 'l ponte stretto braccia XVI. E nel detto anno si cominciò a rifondare con nuove pile il ponte a Santa Trinita, e compiessi l'anno MCCCXLVI a dì IIII d'ottobre, e·ffu molto bello e forte, e costò da XXm fiorini d'oro. E merlossi con beccatelli isportati il palagio antico, dove abita la podestà dietro alla Badia e da San Pulinari, e missesi in volta il tetto di sopra perché non potesse ardere, come fece altra volta. E nel detto anno si cominciò a rivolgere e rinovare la coperta del marmo del Duomo di San Giovanni, e·lla cornice d'intorno troppo più bella che non era imprima, però che per lo lungo tempo la coperta prima di marmi in alcuna parte era rotta e guasta, e facea acqua e guastava le pinture dentro e storie del musaico. Lasceremo alquanto delle novità di Firenze e d'intorno, e diremo di novità fatte per lo re d'Inghilterra e sue genti in Fiandra e Brettagna e Guascogna, ch'assai furono maravigliose.
XLVII
Come il re Adoardo d'Inghilterra venne in Fiandra, e mandò sue osti in Guascogna e 'n Brettagna contro al re di Francia.
Nel detto anno MCCCXLV Aduardo il terzo re d'Inghilterra fece un grande aparecchiamento di navile e di gente d'arme, per passare di qua da mare nel reame di Francia, ch'erano fallite le triegue. E del mese di giugno mandò il conte d'Ervi suo zio, cugino della casa reale, in Guascogna con CC navi cariche di cavalieri e d'arcieri. E mandò il conte di Monforte in Brettagna, a·ccui la duchea di quella a ragione succedea, come dicemmo adietro, con altre CC navi con gente d'arme assai a·ccavallo e a piè; e quello che' detti due signori colle dette armate adoperarono in Brettagna e in Guascogna diremo ordinatamente nel presente capitolo.
Lo re Aduardo in persona col figliuolo con altre CC cocche, overo navi, con gente d'arme assai, arrivò alle Schiuse in Fiandra a dì VI di luglio, con intenzione e con ordine e trattato colle Comuni di Fiandra di fare conte di Fiandra il figliuolo; e il duca di Brabante d'altra parte avea trattato con Luisi conte di Fiandra lega e compagnia, e fatto matrimonio e parentado co·llui, e dava al suo figliuolo la figliuola del duca per moglie, e dovelo rimettere colle sue forze di Brabanzoni nella signoria della contea di Fiandra. E stando il re Aduardo alle Schiuse sopra i detti trattati, ed esendo andati al re d'Inghilterra Giacomo Artivello di Guanto, caporale e maestro di tutta la Comune di Fiandra, con altri ambasciadori di Guanto e dell'altre ville di Fiandra, e dopo molti parlamenti i detti ambasciadori si partiro inn-accordo col re; Giacomo d'Artivello vi rimase col re alquanti dì per trattare, secondo si disse, sue ispezialtadi, onde gran sospetto generò nelle Comuni di Fiandra; e·llui tornato poi a Guanto, facea come signore sgombrare certi palagi e case di borgesi di Guanto, e fare l'aparecchiamento per lo re d'Inghilterra, che·vvi dovea venire; o per lo sospetto preso, o per l'aroganza del detto Giacomo, o per operazione del duca di Brabante, certi della Comuna di Guanto levaro la terra a romore, e corsono, e combattero e assalirono alle case il detto Giacomo d'Artivello, apellandolo per traditore; ed elli con suo séguito si difendea, e uccise due della Comuna, e molti fediti. Alla fine non potendo durare all'esercito del popolo, fu morto elli e 'l fratello e 'l nipote con bene LXX suoi amici e famigliari, e disfatte le sue possessioni. E·cciò fu dì XVIIII di luglio. E fecesi capo della Comuna di Guanto uno...
E come adietro dicemmo in altro capitolo di fatti di Firenze, tali sono le fini degli uomini troppo prosuntuosi, e che·ssi fanno caporali de' loro Comuni; e questo basti a tanto. Lo re Aduardo sentendo le dette novità, e non vegnendogli fornito in Fiandra il suo trattato, si partì con suo navilio dalle Schiuse, e tornossi inn-Inghilterra; e fece divieto che lane, né vittuaglia, né suo navilio, né altro che partisse di suo paese, arrivasse in Fiandra o in Brabante, onde i Fiamminghi rimasono molto confusi. Bene si raconciarono poi co·llui, come si dirà in altro capitolo innanzi.
Il conte d'Ervi arrivato in Guascogna si puose ad asedio della città di Bergherago, che teneno i Franceschi, ch'era del siri delle Brette, del mese d'agosto del detto anno. Il siniscalco di Guascogna per lo re di Francia, e il conte di Peragorga con D cavalieri e Xm pedoni vennero di notte per soccorrere la detta terra, credendo improviso avere sopreso il conte d'Ervi e sua oste; il quale stando di dì e di notte in buona guardia, si difese francamente dal detto assalto, e misero inn-isconfitta la gente del re di Francia, ove ne rimasono molti morti e presi. E poi il conte d'Ervi con sua gente combattero la terra, e per forza l'ebbono, ove fu grande uccisione e ruberia.
E sogiornando il detto conte d'Ervi alla detta città di Bergherago con suoi Inghilesi e Guasconi di sua parte, l'oste del re di Francia, in quantità di IIIm cavalieri con gente a piè innumerabile, la maggiore parte Guasconi e di Linguadoco, essendo allo assedio dell'Albaroccia in Guascogna, che tenieno gl'Inghilesi, e meser Gianni figliuolo del re di Francia con più di Vm cavalieri, con gran baronia di Franceschi, era a... presso a X leghe dell'Albaroccia; e per isdegno dell'Inghilesi, avendoli per niente, non volea esere al detto assedio. Gli asediati sentendosi molto stretti, mandaro al conte d'Ervi per soccorso, o a·lloro convenia rendere la terra. Il quale conte d'Ervi, come valente signore, non temendo di tanta cavalleria e potenzia del re di Francia, ch'avea al detto assedio e nel paese con messer Gianni di Francia, si partì da Belgeraco con quanta gente potéo con seco menare. E quando s'apressaro a' nimici, quelli ch'erano a·ccavallo scesono tutti a piede, lasciando i cavalli adietro a' loro fanti, ch'erano da MCC cavalieri e arcieri e gente a piè innumerabile, e assalirono così a piede la detta oste una mattina al punto del giorno, dì XXI d'ottobre del detto anno, ove fu aspra e dura battaglia, e grande uccisione dell'una parte e dell'altra; e durò infino al mezzogiorno, che non si sapea chi avesse il migliore. Alla fine essendo malmenata la gente del re di Francia d'uccisione di gente e di loro cavalli, l'Inghilesi e Guasconi di loro parte i cavalieri rimontarono freschi in su i loro cavalli, e per forza d'arme missono in volta e inn-isconfitta la gente del re di Francia, ov'ebbe molti morti e presi. Intra gli altri signori presi furono messer Luigi di Pittieri, il conte di Valentinese, il conte della Illa, il visconte di Nerbona, il visconte di Vilatrico, il visconte di Caramagna, messer Rinaldo d'Uosi nipote fu di papa Clemento V messer Ugotto dal Balzo, il siniscalco di Tolosa, e più altri signori e baroni, quasi tutti di Linguadoco; i quali si ricomperarono per loro raenzione più di libre Lm di sterlini. Messer Giovanni di Francia, che v'era presso colla sua baronia di Francia, come detto avemo, non venne al soccorso, né·ttenne campo, ma·ssi tornò adietro; onde gli fu messo in gran viltade, e preso grande sospetto per quelli di Linguadoco che tenieno col re di Francia. E per le dette due vittorie al conte d'Ervi e sua gente s'arenderono tra in Guascogna e in tolosana più di C tra città, terre e castella murate. E in questi tempi i Normandi, ch'erano sotto al re di Francia, feciono tra·lloro Comuna al modo de' Fiamminghi, non ubidendo gli uficiali del re di Francia, e' loro caporali trattando col re d'Inghilterra cospirazione, la qual poco tempo apresso partorì gran cose. Sentendo le dette novelle il papa e' cardinali di tanta commovizione del reame di Francia per la detta guerra, vi mandò di presente due legati cardinali, messer per mettere pace o triegua tra' detti signori, ma niente ne poterono fare; però che 'l papa era troppo parte in sostenere le ragioni del re di Francia, più che quelle del re d'Inghilterra, onde poi acrebbe molto male, come inanzi faremo menzione. E volle il papa proccedere contro al re d'Inghilterra, ma di ciò non ebbe concordia con gran parte di suoi cardinali, e però rimase. Essendo state in Guascogna le soprascritte battaglie a danno de' Franceschi, messer Giovanni di Francia con tutta sua gente, ch'erano grandissima a·ccavallo e a·ppiè, puose assedio al forte castello d'Aguglione, e giurò di non partirsene mai che l'avrebbe; dentro v'avea buona gente d'arme Guasconi e Inghilesi; e spesso meser Giovanni facea combattere il castello, e que' dentro sovente uscivano fuori a scaramucci e assalire il campo. Avenne che a dì XVI di giugno venendo da Tolosa per lo fiume all'oste de' Franceschi due grosse navi cariche di vettuaglia e d'arnesi da oste, quelli d'Aguglione uscirono fuori per terra e per acqua, e per forza combattendo presono le dette navi e miserle nel castello con gran danno di nimici, andando con grand'audacia infra·ll'oste di Franceschi prendendo e uccidendo, onde tutto il campo de' Franceschi fu ad arme, ch'era innumerabile gente, e per la loro moltitudine sopresono loro nimici ch'erano usciti d'Aguglione all'asalto dell'oste. Inanzi che tutti si potessono ricogliere al castello, ve ne rimasono assai morti, e presi gl'infrascritti caporali; messer Allessandro di Camonte, Guiglielmo Pomieri, il siniscalco di Bordello, il signore di Landiros, il signore di Pomiere, Ugo fratello del signore di Signaco, il visconte di Tartas fratello del signore di Soveraco, Giovanni Colombo di Bordello, tutti Guasconi, i quali più si scambiaro con parte di presi detti di sopra. Il conte d'Ervi con sua oste venne verso Aguglione, e rifornì il castello di gente e di vittuaglia. Lasceremo alquanto di questa matera per dire d'altre novità, ma assai tosto ci torneremo; però che·lla detta guerra dal re di Francia a quello d'Inghilterra crebbe diversamente, come inanzi faremo menzione.
XLVIII
Come il re d'Ungheria venne inn-Ischiavonia, e come fu morto il re di Pollana.
Nel detto anno MCCCXLV, del mese di luglio, il re Lodovico d'Ungheria con grandi eserciti a·ccavallo e a piè venne inn Ischiavonia per raquistarla, ch'era di risorto del suo reame, onde si rubellò a' Viniziani la città di Giadra, ch'ellino aveano tenuta lungo tempo, e rendessi al detto re d'Ungheria, la quale i Viniziani tenieno, per forza e potenzia ch'avieno per mare, tirannescamente e con soperchie gravezze; onde a' Giadrini parea loro male stare, ch'era una grossa terra e buono Comune, usi di stare in loro libertà, salvo di piccolo risorto rispondieno per antico al re d'Ungheria; e questa fu la cagione della loro rubellazione. E per simile modo si rubellarono a' Viniziani più altre terre; e tutta la Schiavonia era per raquistare il re d'Ungheria, se non che per soperchio di sua gente gli fallia la vettuaglia, sicché di nicistà il convenne ritrarre adietro. Ancora in questa stanza ebbe novella che 'l re di Pollonia fratello della madre avea combattuto in campo con Carlo figliuolo del re Giovanni di Buem, ed era stato sconfitto e morto sanza lasciare alcuno figliuolo. Per la qual cosa si tornò in Ungheria, e poi andò in Pollonia, e coronò del detto reame Stefano suo secondo fratello, a·ccui succedea per retaggio della madre. Lasceremo di dire alquanto de' fatti degli strani, e diremo di nostri di Firenze.
XLIX
Come i Fiorentini s'accordarono con meser Mastino della Scala di danari gli restavano a dare per la compera di Lucca.
Nel detto anno e mese d'agosto, essendo meser Mastino della Scala in discordia co' Fiorentini per li danari restava ad avere dal Comune di Firenze per la matta e folle impresa di comperare da·llui la città di Lucca assediata, come adietro è fatta menzione, domandando meser Mastino tra di resto e d'amenda più di CXXXm di fiorini d'oro, i Fiorentini saviamente feciono ordine e dicreto che più stadichi non gli si mandassono, sì che allo scambiare, dove n'avea XII non avesse XXIIII, i vecchi e' nuovi, abandonando quelli che v'erano, e·cche nullo Fiorentino stesse in sue terre, se non a·lloro rischio; onde meser Mastino crucciato rinchiuse in cortese prigione li XII stadichi ch'avea, e fece prendere quanti Fiorentini avea in Verona e Vincenza. E nota, lettore, a·cche fine riescono le compagnie e imprese da' Comuni a' tiranni e se mesere Mastino si seppe vendicare con danno e vergogna del nostro Comune delle ingiurie e guerra fatta contra·llui co' Viniziani insieme, come lungamente adietro facemmo menzione. Avenne poi per bisogno che meser Mastino ebbe di moneta per la 'mpresa fatta fare al marchese da Ferrara dell'oste da Reggio contro quelli da Gonzago signori di Mantova, e per procaccio del marchese da Ferrara ch'era stato mediatore del sopradetto mercato di Lucca da' Fiorentini a meser Mastino, mandò al Comune di Firenze che volea aconciare la quistione, i quali vi mandarono discreti ambasciadori. E venne meser Mastino in persona a Ferrara, e·llà si diè fine al detto accordo per LXVm di fiorini d'oro, quitando tutto all'uscita del mese di settembre, promettendolo di pagare infra due mesi. La quale civanza del detto pagamento si trovò in Firenze di presente per uno ordine ch'allora si fece per lo Comune, che quale cittadino dovesse avere dal Comune danari per li presti vecchi, prestandone altrettanti contanti, fosse assegnato sopra le gabelle ordinate a meser Mastino infra due anni di riavere i vecchi e nuovi prestati; e trovossi la civanza di presente, che·ffu bella cosa; e meser Mastino fu pagato, e finì il Comune, e tornarono li stadichi.
L
Di più novità fatte e occorse in Firenze in questo anno.
Nel detto anno, a dì XXVI d'agosto, si diede al Comune di Firenze il castello delle Poci in su l'Ambra di là dal Bucino, ch'era delle terre del viscontado, e avienvi su ragione i conti da Porciano. Ma 'l Comune compensò per quello dovea dare al Comune di condannagioni Guido Alberti conte di quelli, e per offese fatte al Comune, che·ffu un bello aquisto coll'altre terre del viscontado detto ch'avea il Comune, tutto sieno di giuridizione d'imperio; ma dal fiume d'Ambra in qua tutto è oggi del distretto di Firenze.
In questi tempi certi da San Gimignano corsono la villa di Campo Urbiano con grande ruberia e arsioni e micidi, opponendo ritenieno loro sbanditi; per la qual cosa si turbò forte il Comune e popolo di Firenze, perch'altra volta, come adietro facemmo menzione, avieno fatto il simigliante; però fu condannato il Comune di San Gimignano in..., e' terrazzani nell'avere e nelle persone. Ma poi del mese di novembre per prieghi de' Sanesi e Volterrani e Colligiani, e per cessare scandalo, per grazia fu fatta compusizione co·lloro, e pagaro per amenda fiorini Vm d'oro, e rimasene in bando solamente IIII de' caporali della detta cavalcata.
In questo anno, a dì XII di settembre, e poi a dì XXII di dicembre, di notte, furono grandi tremuoti, ma durarono poco.
In questo anno furono molte piogge in Firenze e in questo paese d'intorno, che dall'uscita del mese di luglio fino a dì VI di novembre non finò di piovere quasi del continuo; onde molto sconciò le ricolte, e guastò molto grano e biade ne' campi, e uve nelle vigne molte ne guastò, e non fu il detto anno il vino né digesto né naturale, e·lle terre si poterono male lavorare e seminare. Per le quali soperchie piogge crebbe l'Arno per due volte sformatamente d'ottobre e di novembre, e coperse tutta la piazza di Santa Croce, e allagò gran parte del detto quartiere, e venne l'acqua fino al palagio della podestà. E·lla Tersolla crebbe sì sformatamente, che valicò il ponte a Rifredi e quello Borghetto, rovinò case e muri con gran danno e perdimento di cose e guastamento di terre. E simile diluviò il Mugnone e 'l Rimaggio e tutti i fossati d'intorno con gran danno delle contrade, ed ebbesi gran paura in Firenze di generale diluvio. E·lla congiunzione passata ci cominciò a mostrare delle sue influenzie, e·ffu segno e cagione e avenne il seguente anno di male ricolte e carestia di vettuaglia, come inanzi faremo menzione. Lasceremo alquanto di nostri fatti di Firenze, e racconteremo d'uno screpio e scellerato peccato e tradimento commesso per le rede e congiunti del re Ruberto tra·lloro, come diremo nel seguente capitolo.
LI
Come e per che modo fu morto Andreas, che dovea essere re di Cicilia e di Puglia.
In questi tempi e anno, regnando nel regno di Puglia Andreas figliuolo di Carlo Umberto re d'Ungheria, il quale avea per moglie Giovanna figliuola prima reda di Carlo duca di Calavra e figliuolo del re Ruberto, a·ccui dovea succedere il reame per lo modo e ordine, come adietro in alcuno capitolo facemmo menzione; il re Ruberto con dispensagione del papa e della Chiesa avea diliberato che fosse re dopo la sua morte. E aspettavasi di presente d'esere coronato del reame di Cicilia e di Puglia, e ordinato era in corte per lo papa uno legato cardinale che 'l venisse a coronare. Invidia e avarizia di suoi cugini e consorti reali, i quali vizi guastano ogni bene, collo iscellerato vizio della disordinata lussuria della moglie, che palese si dicea che stava inn-avoltero con meser Luigi figliuolo del prenze di Taranto suo cugino, e col figliuolo di Carlo d'Artugio, e con meser Iacopo Capano, e collo assento e consiglio, si disse, della zia sirocchia della madre, e figliuola fu di meser Carlo di Valos di Francia, che·ssi facea chiamare imperadrice di Gostantinopoli, che anche di suo corpo non avea buona fama, e del suo figliuolo meser Luigi di Taranto, cugino carnale della reina per madre, di lui secondo cugino, il quale si dicie ch'avea affare di lei, ed era in trattato di torla per moglie con dispensagione della Chiesa per succedere d'esere re dopo Andreas; e dissesi ancora che 'l duca di Durazzo suo frate l'assentì, ch'avea per moglie la sirocchia della moglie, acciò che se·lla prima morisse sanza reda a·llui succedesse il reame. Per questi suoi consorti e cugini della casa reale, si disse che con ordine della moglie e séguito delli infrascritti traditori, se vero fu come corse la fama piuvicamente, ordinarono di fare morire il detto giovane innocente re Andreas. Ed essendo il detto re Andreas ad Aversa colla moglie al giardino di frati del Murrone a diletto, e nella camera colla moglie nel letto, di notte tempore, a dì XVIII di settembre, con ordine e tradimento de' suoi ciamberlani e alcuna cameriera della moglie, a petizione dell'infrascritti traditori, il feciono chiamare che·ssi levasse per grandi novelle venute da Napoli. Il quale con conforto della moglie si levò, e uscì fuori della camera; e di presente per la cameriera della reina sua moglie li fu riserrata la camera dietro; ed essendo nella sala Carlo d'Artugio e il figliuolo, e 'l conte di Tralizzo, e certi de' conti della Leonessa e di quelli di Stella, e mesere Iacopo Capano grande maliscalco il quale si dicea palese ch'avea affare colla reina, e due figliuoli di meser Pace da Turpia, e Niccola da Mirizzano suoi ciamberlani, fu preso il detto Andreas e messogli uno capresto in collo, e poi spenzolato dallo sporto della detta sala sopra il giardino, essendo per parte di detti traditori ch'erano in quello preso e tirato pe' piedi tanto che·llo strangolaro, credendo sotterrarlo nel detto giardino, ch'altri nol sapesse; se non ch'una sua cameriera ungara il sentì, e vidde, e cominciò a gridare, onde i traditori si fuggiro, e lasciaro il corpo morto nel giardino. Tale fu la repente morte del giovane e innocente re, che non avea se non XVIIII anni, per li falsi traditori. Fu recato il corpo a Napoli e sopellito co' reali, e·lla moglie ne fece piccolo lamento, a ciò ch'ella dovea fare; e quand'elli fu morto, non ne fece cramore né pianto come quella che·ssi disse palese e corse la fama ch'ella il fece fare. E uno meser Niccola ungaro balio del detto re Andreas, passando per Firenze, che n'andava in Ungheria, il disse a nostro fratello suo grande acconto a Napoli, per la forma per noi iscritta di sopra, il qual era uomo degno di fede e di grande autorità; onde seguì poi molto male come inanzi si farà menzione. Ma ella, cioè la reina, pure rimase grossa d'infante di VI mesi, o·llà intorno; di cui si fusse ingenerato, dicea ella del re Andreas.

Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento:10/07/05 17:437