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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Primo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO TREDECIMO (1-25)

I
Incomincia il tredecimo libro, come il duca d'Atene occupò la signoria di Firenze, e quello ne seguì.
Convienne cominciare il XIII libro, però che richiede lo stile del nostro trattato; perch'è nuova materia, e grandi mutazioni e diverse rivoluzioni avennero in questi tempi alla nostra città di Firenze per le nostre discordie tra' cittadini, e male reggimento de' XX uficiali, come adietro fatto avemo menzione; e fieno sì diverse, ch'io autore, che fui presente, mi fa dubitare che per li nostri successori apena fieno credute di vero; e fu pur così, come diremo apresso. Tornata la detta nobile e grande oste e male aventurosa da Lucca, e rendutasi Lucca a' Pisani, i Fiorentini, parendo loro male stare, veggendo che meser Malatesta nostro capitano non s'era ben portato nella detta guerra, e per tema del trattato avuto col Bavero, come adietro toccammo, per istare più sicuri, elessono per capitano e conservadore del popolo messere Gualtieri duca d'Atene e conte di Brenna francesco, all'entrante di giugno MCCCXLII, col salaro, cavalieri e pedoni ch'avea mesere Malatesta, per termine d'uno anno. E vollesi a suo diletto overo segacità, per quella seguì apresso, tornare a Santa Croce al luogo di frati minori, e·lla gente sua d'intorno. E poi in calen di agosto apresso, finito il termine di meser Malatesta, gli fu agiunta la capitaneria generale della guerra, e che potesse fare giustizia personale in città e di fuori. Il gentiluomo veggendo la città in divisione, ed essendo cupido di moneta, che·nn'avea bisogno siccome viandante e pellegrino, e ben ch'avesse il titolo del ducato d'Atene no·llo possedea, e per suduzione di certi grandi di Firenze, che al continovo cercavano di rompere gli ordini del popolo, e di certi grandi popolani per essere signori e non rendere i debiti loro a·ccui dovieno dare, e·lle loro compagnie sentendosi in male stato, i quali per inanzi al luogo e tempo ci converrà per necessità fare memoria, al continuo a Santa Croce l'andavano a consigliare, di dì e di notte, che si recasse al tutto la signoria libera della città in mano; il quale duca per le cagioni dette, e vago di signoria, cominciò a seguire il malvagio consiglio, e ad essere crudele e tiranno, per lo modo che nel seguente capitolo faremo memoria, sotto titolo di fare giustizia, per essere temuto, e al tutto farsi signore di Firenze.
II
Di certe giustizie che 'l duca fece in Firenze per essere signore.
Avenne che il dì di san Iacopo di luglio MCCCXLII, essendo molti Pratesi iti alla festa a Pistoia, Ridolfo di meser Tegghia de' Pugliesi venne per entrare in Prato, che·nn'era ribello, con forza degli Ubaldini e con Niccolò conte da Cerbaia, e con certi suoi fedeli, nimici de' Guazalotri, e de' nostri contadini masnadieri sbanditi in quantità di XL a cavallo e CCC a piè, che·lli dovea esere data l'entrata della terra; e per sua sventura no·lli venne fatto, ma fu preso con da XX nostri isbanditi andandosene per Mugello agli Ubaldini, e menato a Firenze. Il duca lasciò i nostri isbanditi, di cui avea la giuridizione, e al detto Ridolfo, che non gli era suddito né sbandito di Firenze, a torto gli fece tagliare il capo; e questa fu la prima giustizia che fece in Firenze, onde molto fu biasimato da' savi uomini di Firenze di crudeltà, e dissesi n'ebbe moneta da' Guazalotri di Prato suoi nimici, overo il fece come dice il proverbio di tiranni: "Chi a uno offende molti minaccia". Apresso all'entrante d'agosto fece pigliare meser Giovanni di Medici stato per lo nostro Comune podestà in Lucca, e fecegli tagliare il capo, aponendoli (e fece confessare) che per danari avea lasciato fuggire di Lucca nel campo di Pisani meser Tarlato d'Arezzo, cui avea in sua guardia; e i più dissero che non v'ebbe colpa, se non di mala guardia. Apresso del detto mese d'agosto fece pigliare Guiglielmo Altoviti stato per lo nostro Comune capitano d'Arezzo, e feceli tagliare il capo, trovando per sua confessione per lui fatte molte baratterie, e alcuni dissono fu procaccio e spendio di Tarlati d'Arezzo, i quali avea mandati presi a Firenze, come è detto adietro; e a·cciò diamo in parte fede; e condannò uno nipote di quello Guiglielmo e Matteo di Borgo stati inn-Arezzo e Castiglione Aretino, ciascuno in D fiorini d'oro, per baratterie. Ancora fece pigliare Naddo di Cenni di Naddo grande popolano, il quale era stato in Lucca camarlingo sopra le masnade, e fecegli rimettere in camera del Comune IIIIm fiorini d'oro, i quali si disse che con inganno avea avuti da' Pisani sotto falso trattato tenuto co·lloro, e giurato sopra Corpus Domini di far loro compiere l'accordo d'avere Lucca, quando Cenni di Naddo suo padre era priore di Firenze, come toccammo nel quinto capitolo adietro. E oltre a·cciò gli fece rimettere in camera fiorini IImD d'oro, i quali confessò avere guadagnati in Lucca nelle paghe de' soldati e vittuaglia; e per grazia e prieghi di molti popolani gli perdonò la vita, e prese da·llui mallevadori di fiorini Xm d'oro, e diegli i confini a Perugia. E per simile modo fece rimettere in camera a Rosso di Ricciardo de' Ricci, compagno e camarlingo del detto Naddo in Lucca, fiorini IIImDCCC d'oro confessati avuti in sua parte, e guadagnati in Lucca sopra i soldati e vittuaglia, e per simile modo per grandi prieghi perdonatogli la vita, e messo in prigione per l'avere e per la persona.
III
Come il duca ingannò e tradì i priori e prese la signoria di Firenze.
Per le sopradette giustizie fatte per lo duca in persone e inn-avere di IIII popolani delle maggiori case di Firenze di popolo, Medici, Altoviti, Ricci, e Oricellai, il duca fu molto temuto e ridottato da tutti i cittadini, e i grandi ne presono grande baldanza, e il popolo minuto grande allegrezza, perch'avea messo mano ne' reggenti, magnificando il duca, gridando quando cavalcava per la città: "Viva il signore "; e quasi in ogni canto o palazzo di Firenze era dipinta l'arme sua per li cittadini, per avere sua benivolenza, e·cchi per paura. E in questi tempi ispirò e si compié l'uficio di XX rettori stati in Firenze e guastatori della republica per le cagioni dette ne' loro processi adietro, e lasciando il Comune in debito di più di CCCCm di fiorini d'oro a cittadini, sanza il debito promesso a meser Mastino. Per le quali cagioni il duca ne montò in grande pompa, e crebbegli la speranza del suo proponimento d'essere al tutto signore di Firenze col favore di grandi e del popolo minuto; e per consiglio di certi de' detti grandi ne richiese i priori ch'allora erano all'uficio. I detti priori cogli altri ordini, dodici e' gonfalonieri, e gli altri consiglieri, in nulla guisa vollono asentire di sottomettere la libertà della republica di Firenze sotto giogo di signore a vita, il quale non mai fu aconsentito o soferto per li nostri padri antichi né a 'mperadori, né a·rre Carlo, né suoi discendenti, e tanto fossero amici o confidenti in parte guelfa o ghibellina, né per isconfitte o male stato ch'avesse il nostro Comune. Il detto duca per sudducimento e conforto quasi di tutti grandi di Firenze, e spezialmente principali quelli della possente casa de' Bardi, e Frescobaldi, Rossi, e Cavalcanti, Bondelmonti, e Cavicciuli, e Donati, e Gianfigliazzi, e Tornaquinci, per rompere gli ordini della giustizia ch'erano sopra i grandi, e così promise loro il duca; e di popolo: Peruzzi, Acciaiuoli, Baroncelli, Antellesi e loro seguaci, per cagione del male stato delle loro compagnie, perché il duca gli sostenea inn-istato, non lasciandoli rompere, né strignere a' loro creditori; e gli artefici minuti, a·ccui spiacea il reggimento stato de' XX e di popolari grassi: tutti gli profersono aiuto in arme. Il duca, il qual era segace e nudrito in Grecia e in Puglia più che in Francia, veggendosi tanto favore, la vilia di nostra Donna di settembre mandò un bando per la città di fare parlamento la mattina vegnente in sulla piazza di Santa Croce per bene del Comune. I priori e gli altri rettori sentendo la traccia del duca e il suo male consiglio, e non sentendosi forti né proveduti, e temendo che faccendosi il detto parlamento non fosse discordia, e romore, e commovizione di città, sì andarono parte de' priori e di loro consiglio la sera a Santa Croce a trattare acordo col duca; e dopo molta tirata e dibattuta la querela, rimase molto di notte in questa concordia col duca, che 'l Comune di Firenze gli darebbe la signoria della città e contado per uno anno, oltre al tempo ch'elli l'avea, con quella giuridizione e patti e gaggi ch'ebbe meser Carlo duca di Calavra e figliuolo del re Ruberto gli anni MCCCXXVI; e questo accordo si fermò per vallate carte per più notai dell'una parte e dell'altra, e per suo saramento che conserverebbe in sua libertà il popolo e·ll'uficio di priori e gli ordini della giustizia, riducendosi il detto ordinato parlamento la mattina in sulla piazza di priori per confermare i patti di su detti. La mattina di nostra Donna, dì VIII di settembre, il duca fece armare sua gente intorno di CXX uomini a cavallo, ch'avea in Firenze de' suoi, e da CCC fanti a piè. Ma quasi tutti i grandi, salvo meser Giovanni della Tosa e' suoi consorti, furonvi co·llui, ch'aveno cavalli, e i detti popolani suoi amici con armi coperte, e l'acompagnaro da Santa Croce alla piazza de' priori presso ad ora di terza. I priori e gli altri ordini scesono del palagio, e assettati a·ssedere col duca sulla ringhiera, e fatta la proposta per meser Francesco Rustichelli giudice allora priore e aringando sopra·cciò; ma com'era ordinato il tradimento, non fu lasciato più dire, ma a grido di popolo per certi scardassieri e popolazzo minuto, e masnadieri di certi grandi, dicendo: "Sia la signoria del duca a vita a vita, e viva il duca nostro signore!". E preso per li grandi pesolone per metterlo in sul palagio, e perché il palagio era serrato gridarono: "Alle scure! "; sicché convenne s'aprisse, e tra per forza e inganno il misono in sul palagio in signoria; e' priori furono messi di sotto nel palagio nella camera dell'arme vilmente. E fu per certi grandi istracciato il libro degli ordini e gonfalone della giustizia, e poste le bandiere del duca in sulla torre, sonando le campane a Dio laudiamo. E fece la mattina due cavalieri, messer Cerritieri de' Visdomini suo scudiere e famigliare, e Rinieri di Giotto da San Gimignano capitano stato di fanti di priori, il quale aconsentì al tradimento a dare e aprire il palagio, ch'agevole gli era a difendere, com'era tenuto e dovea fare per suo uficio; e assentì al detto tradimento messer Guiglielmo d'Ascesi allora capitano del popolo, il quale rimase poi co·llui per suo bargello e carnefice, dilettandosi di fare crudeli giustizie d'uomini. Ma meser Meliaduso d'Ascoli allora podestà non volle consentire al tradimento del popolo di Firenze, anzi volle rinuziare l'uficio della podesteria; ben si disse per alcuno, tutto fece a frode e ipocresia, però che poi pure rimase uficiale del duca. I grandi feciono gran festa d'armeggiare, e·lla sera grandi luminare e falò. Ivi a due dì apresso si fece il duca confermare signore a vita per li opportuni consigli, e mise i priori nel palagio fu de' figliuoli Petri dietro a San Piero Scheraggio con XX fanti solamente, ove n'avieno prima cento, levando loro ogni uficio e signoria; e levò l'arme a tutti i cittadini brivileggiati, o di che stato si fosse, e poi all'ottava di nostra Donna fece il duca gran festa e solennità a Santa Croce per la sua signoria, e fece offerere più di CL prigioni; e 'l nostro vescovo sermonando molto il lodò e magnificò al popolo. In questo modo e tradimento usurpò il duca d'Atene la libertà della nostra città, e anullò il popolo di Firenze ch'era durato intorno di L anni, in grande libertà, e stato, e signoria. E noti chi questo leggerà come Iddio per le nostre peccata in poco di tempo diede e promise alla nostra città tanti fragelli, come fu diluvio, carestie, fame, e mortalità, e sconfitte, vergogne d'imprese, perdimenti di sustanza di moneta, e fallimenti di mercatanti, e danni di credenza, e ultimamente di libertà recati a tirannica signoria e servaggio. E però, per Dio, carissimi cittadini presenti e futuri, correggiamo i nostri difetti. Abbiamo tra noi amore e carità, acciò che piacciamo all'Altissimo, e non ci rechiamo a l'ultimo giudicio della sua ira, come assai chiaro e aperto ci mostra per le sue visibili minacce: e questo basti a' buoni intenditori, tornando a nostra matera de' processi del duca; che poi apresso ch'ebbe la signoria di Firenze, a dì XXIIII di settembre la signoria d'Arezzo, e quella di Pistoia, ove avea già suoi vicari il duca per lo Comune di Firenze, gli si dierono a vita, e poco apresso per simile modo gli si diè Colle di Valdelsa e San Gimignano e poi la città di Volterra, onde molto li crebbe lo stato e signoria, e ricolse a·ssé tutti i Franceschi e Borgognoni ch'erano al soldo inn-Italia, sicché tosto n'ebbe più di DCCC, sanza gl'Italiani; e molti suoi parenti e baroni vennero a·llui infino di Francia per la novella ita di là della sua signoria e groria. E quando ciò fu raportato al re Filippo di Francia suo sovrano, subitamente disse a' suoi baroni che gli erano d'intorno in sua lingua: "Alberges est le pelegrin, mas il i a mavoes ostes", il quale fu un propio motto e di vera sentenzia e profezia, come poco tempo apresso gli avenne. Ancora nonn-è da dimenticare di mettere in nota una brieve lettera d'amunizione di grande sentenzia, che·ssi trovò in uno suo forziere quando fu cacciato di Firenze, la quale gli avea mandata il re Ruberto come seppe ch'egli avea presa la signoria di Firenze sanza sua saputa o consiglio, la quale di latino facemmo recare in volgare per seguire il nostro stile, la quale dicea [...].
IV
La lettera che i·rre Ruberto mandò al duca d'Atene, quando seppe ch'avea presa la signoria di Firenze.
"Non senno, non vertù, non lunga amistà, non servigi a meritare, non vendicatogli di loro onte, t'ha fatto signore de' Fiorentini, ma·lla loro grande discordia e il loro grave stato, di che se' loro più tenuto, considerando l'amore che t'hanno mostrato, credendosi riposare nelle tue braccia. Il modo ch'hai a tenere a volerli bene governare si è questo. Che·tti ritenghi col popolo che prima reggea, e reggiti per lo loro consiglio, non loro per lo tuo; fortifica giustizia e i loro ordini, e come per loro si governavano per sette, fa' che per te si governino per diece, cioè numero comune, che lega in sé tutti i singulari numeri, ciò vuol dire no·lli reggere per sette né divisi, ma a comune. Abbiamo inteso che traesti quelli rettori della casa della loro abitazione, cioè de' priori, nel palagio del popolo fatto per loro contentamento del propio; rimettilivi, e abiterai nel palagio ove abitava nostro figliuolo, cioè nel palagio della podestà, ove abitava il duca di Calavra, quando fu signore in Firenze. E se questo non farai, non ci pare che·ttua salute si possa stendere inanzi per ispazio di molto tempo. Re di Gerusalem e di Cicilia. Data a Napoli a dì XVIIII di settembre MCCCXLII,... indizione". E nonn-è da lasciare di fare memoria d'una sformata mutazione d'abito che·cci recaro di nuovo i Franceschi che vennero al duca in Firenze; che colà dove anticamente il loro vestire ed abito era il più bello, nobile e onesto, che null'altra nazione, a modo di togati Romani, sì·ssi vestieno i giovani una cotta overo gonnella, corta e stretta, che non si potea vestire sanza aiuto d'altri, e una coreggia come cinghia di cavallo con isfoggiate fibbie e puntale, e con grande iscarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il capuccio vestito a modo di sconcobrini col batolo fino alla cintola e più, ch'era capuccio e mantello, con molti fregi e intagli; il becchetto del capuccio lungo fino a terra per avolgere al capo per lo freddo, e colle barbe lunghe per mostrarsi più fieri inn-arme. I cavalieri vestivano uno sorcotto, overo guarnacca stretta, ivi su cinti, e·lle punte de' manicottoli lunghi infino in terra foderati di vaio e ermellini. Questa istranianza d'abito, non bello né onesto, fu di presente preso per li giovani di Firenze e per le donne giovani di disordinati manicottoli, come per natura siamo disposti noi vani cittadini alle mutazioni de' nuovi abiti, e i strani contraffare oltre al modo d'ogni nazione sempre al disonesto e vanitade; e non fu sanza segno di futura mutazione di stato. Lasceremo di ciò, e diremo d'altre novità di fuori che furono ne' detti tempi.
V
Come i Ghibellini d'Arezzo entrarono per furto nella terra, e furonne cacciati.
Nel detto anno, a dì VII di giugno, non esendo ancora il duca al tutto signore di Firenze, se non capitano della guardia della terra e come generale della guerra, i Tarlati rimasi fuori d'Arezzo coll'aiuto del capitano di Furlì, e di quello di Cortona, e que' da Faggiuola, e Pazzi di Valdarno, e Ubertini, in quantità di CCC cavalieri e IIIm pedoni, la mattina per tempo, per trattato di certi Ghibellini ch'erano dentro, furono intorno ad Arezzo, e·ffu data loro porta Buia, e quella tagliata ed aperta, e buona parte entrati dentro per correre la terra. Le masnade del duca e del Comune di Firenze ch'erano in Arezzo a·ccavallo e a piè cogli altri cittadini guelfi francamente combattendo difesono la terra, e cacciarne fuori per forza i nimici con gran danno di morti e di presi. E poi cacciarono d'Arezzo molti Ghibellini chi per ribelli e·cchi a' confini, i quali poi con molte castella de' Tarlati, e che rubellaro, feciono gran danno ad Arezzo. E poi, a dì XXVIIII di luglio, meser Tarlato con CCCC cavalieri e pedoni assai valicò l'Ambra, e venne di qua da Montevarchi, guastando quello ch'era di fuori sanza niuno contasto. E in que' tempi Francesco di Guido Molle degli Ubertini, fratello del vescovo d'Arezzo, rubellò al Comune di Firenze il loro Castiglione per tradimento di certi terrazzani, salvo la torre ch'era in sulla porta, che v'era il castellano per lo duca; il quale Francesco male proveduto, e per lo soccorso tostano delle nostre masnade a cavallo e a piè ch'erano in Montevarchi, cogli altri Valdarnesi si ricoverò il castello, e fu preso il detto Francesco e menato a Firenze, e il duca gli fece tagliare il capo; e poi il detto Castiglione delli Ubertini prima tutto rubato, e poi tutto arso e diroccato e disfatto.
VI
Quando morì Carlo Uberto re d'Ungheria.
Nel detto anno, d'agosto, morì Carlo Uberto re d'Ungheria nipote del re Ruberto e figliuolo fu di Carlo Martello; del quale fu gran danno, però ch'era signore di gran valore in prodezza. Rimasene III figliuoli, Lodovico, e Andreas; il quale Lodovico primogenito fu coronato d'Ungheria, e... secondo overo terzo figliuolo fu coronato re di Pollonia, e poco tempo apresso la reina d'Ungheria, moglie che·ffu del detto Carlo Uberto e figliuola del re di Pollonia valente e savia donna, saputa la morte del re Ruberto, che morì il gennaio vegnente, come tosto apresso si farà menzione, sì passò in Puglia e a Napoli all'altro suo figliuolo Andreas, a·ccui succedea il reame di Cicilia e di Puglia, con molti grandi baroni ungheri, per dare favore e consiglio al detto Andreas, ch'era molto giovane; e all'altro figliuolo... rimase il reame da Pollonia per retaggio della madre.
VII
Come il papa fece più cardinali, tra' quali fu un nostro Fiorentino.
Nel detto anno, per le digiune di settembre, papa Clemento sesto apo Vignone, ov'era la corte, fece X cardinali, i nove oltramontani, e·ll'altro messere Andrea Ghini Malpigli di Firenze antico cittadino d'Orto San Michele, il quale era vescovo di Tornai, e molto amico del re di Francia, e a·ssua preghiera fu fatto cardinale. Ma, come piacque a·dDio, morì fra·ll'anno andando inn-Ispagna per legato, onde fu gran danno, ch'era savio e valoroso, e·sse fosse vivuto avrebbe fatto onore e pro alla nostra città. Abbianne fatta memoria, perché pochi cardinali o papa sono stati in tanta città com'è Firenze, per lo poco studio che' Fiorentini fanno fare a' loro figliuoli in chericia, a·lloro difetto. Funne il cardinale Attaviano degli Ubaldini; e dicesi, ma no·llo afermiamo, fu un papa fiorentino di casa Papeschi, e uno cardinale di Bellagi di porta San Piero al tempo d'Arrigo terzo imperadore. Lasceremo alquanto delle novità d'intorno, e seguiremo i processi del duca d'Atene.
VIII
Quello che 'l duca d'Atene fece in Firenze mentre ne fu signore.
Come il duca d'Atene fu fatto a vita signore di Firenze per lo modo detto adietro, per avere meno a contendere di fuori, e credendosi fortificare dentro il suo stato e signoria, sì fece di presente pace e accordo co' Pisani e con tutti i loro allegati, non guardando ad onte o vergogne del Comune di Firenze ricevute, ove i Fiorentini speravano ch'elli facesse ogni loro vendetta; e a dì XIII d'ottobre si piuvicò e bandì in questo modo, che·lla città di Lucca rimanesse a' Pisani per XV anni, e poi lasciarla inn-stato comune, e rimettendo al presente li usciti guelfi in Lucca che tornare vi volessono, e rendendo loro i loro beni, mettendovi il duca podestà cui elli volesse, il detto tempo rimanendo a' Pisani la guardia del castello dell'Agosta ch'è in Lucca, e tutta la guardia e dominazione della terra, che·lla podestà per lo duca non avea altro che 'l salaro e 'l nome, che altra signoria poco potea fare più che piacesse a' Pisani, ma pure era una posessione per lo nostro Comune, e freno a' Pisani mentre che 'l duca dominava Firenze, e dando i Pisani al duca ogn'anno per censo per lo san Giovanni VIIIm fiorini d'oro in una coppa dorata d'argento, faccendo franchi i Fiorentini in Pisa per V anni, ove prima eravamo franchi per sempre per li patti antichi, rimanendo d'accordo a' Fiorentini tutte le castella di Valdarno e di Valdinievole, che·ssi tenieno, e Barga e Pietrasanta; e che i Fiorentini dovessono rimettere in Firenze e trarre di bando tutti i loro rubelli e usciti, e nuovi e vecchi, stati al servigio e lega di Pisani, e perdonare agli Ubaldini e Pazzi e Ubertini, e lasciare di prigione i Tarlati d'Arezzo e rendendo loro pace, e trarre di prigione meser Giovanni Visconti di Milano; e così fu fatto di presente; al quale meser Giovanni Visconti il duca vestì nobilemente, e diè cavalli e danari, e fatto acompagnare infino a Pisa, e domandando a' Pisani il mendo di suoi danni e interessi avuti per loro, gli ingrati Pisani nol vollono udire, ma apuosogli ch'egli era venuto in Pisa per trattare cospirazione nella terra per lo duca, e convenne si partisse villanamente nella terra; della quale cosa meser Luchino signore di Milano prese molto sdegno contro a' Pisani, come si potrà trovare leggendo. Per lo detto accordo dal duca a' Pisani tornaro i Bardi e' Frescobaldi e' loro seguaci in Firenze, e' Pisani lasciarono ogni prigione fiorentino e·lloro allegati ch'erano presi in Pisa e in Lucca. A dì XV d'ottobre il duca fece nuovi priori, i più artefici minuti, e mischiati di quelli che loro antichi erano stati Ghibellini; e diè loro un gonfalone di giustizia così fatto di tre insegne, ciò fu di costa all'asta l'arme del Comune, il campo bianco e 'l giglio rosso; e apresso in mezzo la sua il campo azurro biliottato col leone ad oro, e al collo del leone uno scudetto dell'arme del popolo; apresso l'arme del popolo il campo bianco e·lla croce vermiglia, e di sopra il rastrello del re; e mise i priori nel palagetto ove prima stava l'esegutore in sulla piazza con poco uficio e minore balìa, se non il nome, e sanza sonare le campane a martello o congregare il popolo, com'era usanza. Del detto nuovo e disimulato gonfalone i grandi ch'avieno fatto signore il duca e crediansi ch'al tutto il duca annullasse il popolo in detto e in fatto, come avea promesso loro, si turbarono forte, e massimamente perché in que' dì fece condannare subitamente uno de' Bardi in Vc fiorini d'oro o nella mano, perch'avea stretta la gola a uno suo vicino popolano che·lli dicea villania. E così puttaneggiava e disimulava il duca co' cittadini, togliendo ogni baldanza a' grandi che·ll'aveano fatto signore, e togliendo la libertà e ogni balìa e uficio, altro che 'l nome de' priori, e al popolo; e cassò l'uficio di gonfalonieri delle compagnie del popolo, e tolse loro i gonfaloni, e ogni altro ordine e uficiali di popolo cassò, se non a suo beneplacito ritegnendosi co' beccari, vinattieri, scardassieri e artefici minuti, dando loro consoli e rettori al loro volere, dimembrando gli ordini antichi dell'arti a·ccui erano sottoposti per volere maggiori salari di loro lavorii. Per le sudette cagioni e altre fatte per lui, come si troverrà leggendo assai poco apresso, si criò conspirazione contro al duca per li grandi e popolani medesimi che·ll'avieno fatto signore, come tosto si potrà trovare. E fece torre tutte le balestra grosse a' cittadini, e fece fare l'antiporte al palagio del popolo, e ferrare le finestre della sala di sotto per gelosia e sospetto de' cittadini, e fece comprendere tutto il circuito dal detto palazzo a quelli che furono di figliuoli Petri, e·lle torri e case di Manieri e di Mancini, e di Bello Alberti, comprendendo tutto l'antico gardingo e ritornando in sulla piazza. E il detto compreso fece cominciare e fondare di grosse mura e torri e barbacani per farne col palagio insieme uno grande e forte castello, lasciando il lavorio di deficare il ponte Vecchio, ch'era di tanta necessità al Comune di Firenze, togliendo di quello le pietre conce e legname. Fece disfare le case di Santo Romolo per fare piazza al castello infino nel Garbo. E mandò a corte al papa per licenza di disfare San Piero Scheraggio, e Santa Cicilia, e Santo Romolo, ma no·lli fu assentito per la Chiesa. Fece torre a' cittadini certi palagi e fortezze e belle case ch'erano nelle circustanze del palagio, e misevi suoi baroni e sua gente sanza pagare alcuna pigione. Fece fare alle porti nuovi antiporti di costa a' vecchi per più fortezza, e rimurare le porte. Di donne e di donzelle di cittadini per sé e per sue genti cominciato a·ffare di forze e villanie e di laide cose; intra·ll'altre per cagione di donna tolse San Sebbio a' poveri, della guardia dell'arte di Calimala, e diello altrui illicitamente. E per amore di donna rendé gli ornamenti alle donne di Firenze, e fece fare il luogo comune delle femmine mondane, onde il suo maliscalco traeva molti danari. Fece fare le paci tra' cittadini e contadini, e questo fu il meglio che facesse, ma bene ne guadagnò egli e' suoi uficiali grossamente da coloro che·lle richiedieno. Levò gli assegnamenti a' cittadini sopra le gabelle, di danari convenuti loro prestare per forza al Comune per fornire la 'mpresa di Lombardia e quella di Lucca, come adietro è fatta menzione, ch'erano più di CCCLm di fiorini d'oro, asegnati in più anni con alcuno guiderdone. E questo fu gran male, e onde i cittadini più si gravaro, e·ffu rompimento di fede al Comune; e molti cittadini, che dovieno avere grossamente dal Comune, ne furono diserti; e recò a·ssé tutte le gabelle, che montavano l'anno più di CCm di fiorini d'oro sanza l'altre entrate e gravezze. Fece fare e pagare l'estimo in città e in contado, che montò più di LXXXm di fiorini d'oro, onde i grandi e' popolani e' contadini, che vivono di loro rendite, si tennono forte gravati. E quando fece fare l'estimo, promisse e giurò a' cittadini di non fare loro altre gravezze d'imposte o di prestanze, o di nuove gabelle, ma no·llo oservò, ma al continovo gravava i cittadini di prestanze, e facea criare e crescere nuove e sforzate gabelle per uno ser Arrigo Fei; e quelli era suo amico, che sapea trovare modi d'avere danari, onde che venissono. E in X mesi e XVIII dì ch'elli regnò gli vennero a mano di gabelle e d'estimo, gravezze, e condannagioni, e altre entrate presso di CCCCm di fiorini d'oro pure di Firenze, sanza quelli che traeva delle terre vicine ch'elli signoreggiava, de' quali rimandò tra in Francia e in Puglia più di CCm di fiorini d'oro, però che non tenea tra tutte le terre che signoreggiava DCCC cavalieri, e quelli mal pagava; ma al bisogno della sua rovina se n'avide a suo danno e vergogna. Gli ordini de' suoi uficiali e consiglieri erano in questo modo. I priori, come avemo detto, erano in nome, ma non in fatto, sanza alcuna balìa. Era la podestà mesere Baglione da Perugia, che guadagnava volentieri; messer Guiglielmo d'Ascesi chiamato conservadore overo assessino di lui e bargello, e stava nel palagio de' Cerchi bianchi nel Garbo. Tre giudici avea ordinati, che·ssi chiamavano della Sommaria, che tenieno corte nelle nostre case e cortili e logge de' figliuoli Villani da San Brocolo; questi giudici rendieno ragione di fatto con molte baratterie; e uno meser Simone da Norcia giudice sopra rivedere le ragioni del Comune, ed era più barattiere che coloro cui condannava per baratterie, abitava nel palagio fu de' Cerchi dietro a San Brocolo. Di suo consiglio era il vescovo della Leccia sua terra di Puglia; e suo cancelliere Francesco il vescovo d'Ascesi fratello del conservadore; il vescovo d'Arezzo degli Ubertini, e meser Tarlato, e il vescovo di Pistoia e quello di Volterra, e messere Attaviano de' Belforti: questi tenea per sicurtà delle loro terre, e vescovi per una sua coperta ipocresia. Con cittadini avea di rado consigli, e poco gli prezzava e meno gli oservava, ristrignendosi solo al consiglio di meser Baglione, e del conservadore, e di mesere Cerritieri de' Visdomini, uomini corrotti in ogni vizio a·ssua maniera, faccendo i suoi dicreti di fatto e sotto suo sugello, il quale il suo cancelliere si facea bene valere. Signore era di poca fermezza e di meno fede di cosa che promettesse, cupido e avaro e mal grazioso; piccoletto di persona e brutto e barbucino; parea meglio Greco che Francesco, segace e malizoso molto. Fece al suo conservadore impiccare meser Piero di Piagenza uficiale della mercatantia opponendoli baratterie, e che mandava lettere a meser Luchino da Melano, e·cchi disse li fé in parte torto. Fece costrignere i mallevadori di Naddo di Cenni, ch'era a' confini a Perugia, che tornasse con sua sicurtà, e·llui tornato a dì XI di gennaio, non oservandoli fede, il fece impiccare e colla catena in collo, acciò che non si potesse ispiccare, e tolse a' suoi mallevadori VmDXV fiorini d'oro, opponendo gli avea frodati al Comune in Lucca, oltre agli altri levatoli prima, e tutti i suoi beni confiscò a·ssé, opponendogli ch'egli avea trattato col Comune di Siena e con quello di Perugia contro a·llui, i quali non amavano la vicinanza e signoria del duca; e forse in parte fu vero. Questo Naddo fu un sottile e sagace uomo, e molto grande e prosuntuoso in popolo e in Comune, ma bene guadagnava volontieri. Il padre, Cenni di Naddo, stato molto grande in Comune, per dolore del figliuolo e tema del duca si fece frate di Santa Maria Novella, e fece bene dell'anima sua, se 'l fece con buona intenzione, per fare penitenzia delle colpe commesse in Comune, e spezialmente inn-isturbare l'accordo co' Pisani onorevole assai per lo nostro Comune, come toccammo adietro. In questi tempi, del mese di marzo, fece il duca lega e compagnia co' Pisani, e taglia di IIm cavalieri contro a ogni loro aversaro, i Pisani tenere DCCC cavalieri e 'l duca MCC cavalieri; la qual compagnia molto spiacque ai Fiorentini e a tutti i Toscani guelfi, e poco s'oservò, perché non era piacevole mischiato, né buona compagnia. Del mese di marzo detto il duca fece in contado VI podestadi, uno per sesto, con grande balìa di potere fare giustizia reale e personale e con grandi salari, e i più furono de' grandi, che di nuovo erano stati rubelli, rimessi in Firenze di poco. La qual nuova signoria molto spiacque a' cittadini, e più a' contadini, che portavano la spesa e gravezza. Fece pigliare uno Matteo di Motozzo, e in su uno carro atanagliare, e poi tranare sanz'asse, e impiccare, perch'avea rivelato uno trattato de' Medici e d'altri che doveano offendere il duca, e nol volle credere, a suo pericolo e danno di quello, gli avenne. L'ultimo dì di marzo fece impiccare in su Monterinaldi Lamberto degli Abati, il quale era stato valente uomo all'oste nostra a Lucca della masnada di meser Mastino, perch'elli gli avea rivelato uno trattato che certi grandi tenieno contro al duca con meser Guidoriccio da Fogliano capitano della gente di mesere Mastino, opponendoli il contrario, che tenea trattato con meser Mastino di torli la signoria. La qual cosa non fu vero, ma·ffu vero quello ch'è detto; ma per le sue opere vivea in grande sospetto e gelosia, e chiunque gli rivelava trattato o da beffe o da dovero, o parlava contro a·llui, facea morire; onde più altri di piccolo affare fece a torto morire di crudeli tormenti per mano del suo carnefice conservadore di male opere. Per la Pasqua della Resurresione, MCCCXLIII, tenne gran festa a' cittadini e suoi baroni conostaboli e soldati con grandi corredi, ma con mala voglia di cittadini, e fece tenere giostre nella piazza di Santa Croce per più dì, ma pochi cittadini vi giostrarono, che·ggià a' grandi e a' popolani cominciavano a spiacere i suoi processi. All'uscita d'aprile MCCCXLIII ordinò e cominciò ad afforzare e chiudere San Casciano e afforzare per riducervi dentro le villate d'intorno, e che·ssi chiamasse Castello Ducale, ma poco andò inanzi. Fecesi in Firenze sei brigate di festa, di gente di popolo minuto vestiti insieme ciascuna brigata per sé, e danzando per la terra. La maggiore fu nella Città Rossa, e il loro signore si nomò lo 'mperadore. L'altra a San Giorgio col Paglialoco; ed ebbono zuffa tra queste due. E una ne fu a San Friano, e una nel borgo d'Ognisanti. L'altra in quello di San Pagolo. L'altra nella via larga delli spadai; e·ffu motiva e assento del duca per recarsi all'amore della Comune e popolo minuto, per quella sforzata vanità; ma poco gli valse al bisogno. Per la festa di san Giovanni fece fare l'oferta all'arti al modo antico sanza gonfaloni, e·lla mattina della festa oltre a' ceri usati delle castella, ch'erano da XX, ebbe da XXV pali di drappi ad oro, bracchetti, sparvieri e astori per omaggio d'Arezzo, Pistoia, Volterra, San Gimignano, Colle, e da tutti i conti Guidi, da Mangona, Cerbaia, e da Montecarelli, e Puntormo, Ubaldini, Pazzi, e Ubertini, e d'ogni baroncello d'intorno, che·ffu coll'oferta de' ceri una nobile festa; e raunarsi i detti ceri e pali e·lli altri tributi in su la piazza di Santa Croce, e poi l'uno apresso l'altro andaro al palagio ov'era il duca, e poi a San Giovanni. Fece aggiugnere al palio dello sciamito chermisi di foderallo a rovescio di vaio isgrigiato quant'era l'asta, ch'era molto ricco a vedere. La festa fece ricca e nobile, e·ffu la prima e sezzaia che dovea fare in Firenze per le sue opere. All'uscita di giugno fece fare una sconcia giustizia, che a uno Bettone Cini da Campi, de' menatori de' buoi dell'antico carroccio, il quale di poco l'avea il duca fatto di priori, e per la dignità del carroccio vestitolo di scarlatto, però che, poi ch'elli uscì dell'uficio, si dolfe e disse alcuna parola oziosa per una imposta gli era fatta per lo duca, gli fece cavare la lingua infino allo strozzule e con essa inanzi in su una lancia per diligione mandandolo per la terra, e poi pintone fuori a' confini a Pesero, ove poco apresso per quella tagliatura della lingua morì. Di questa giustiza si turbaro molto i cittadini, e ciascuno la riputava in sé di non potere parlare, né dolersi de' torti e oltraggi; ma la persona di Bettone era degna di quello, e di peggio, ch'egli era publicano e villano gabelliere, e colla piggiore lingua ch'uomo di Firenze, sì che morì nel peccato suo. A dì II di luglio il duca fermò compagnia e taglia con messere Mastino della Scala, e co' marchesi da Esti, e col signore di Bologna, e co·llui contrasse parentado, ma più gli era utole la compagnia e benivolenza de' buoni cittadini di Firenze, la quale al tutto s'avea levata e tolta, e quella che fece con quelli signori poco o niente li valsono al suo bisogno, e poco durò. Assai avemo detto sopra i processi e opere del duca d'Atene fatte in Firenze mentre ne fu signore, e non si potea fare di meno, acciò che sieno manifeste le cagioni perché i Fiorentini si rubellaro della sua signoria, e prendano assempro per lo innanzi quelli che sono a venire di non volere signore perpetuo né a vita. Lasceremo alquanto di questa matera, faccendo incidenza, per raccontare altre novità che furono altrove in questi tempi, tornando assai tosto a contare la fine ch'ebbe in Firenze la sua signoria. Ma di tanto volemo fare prima memoria, e questo sentimmo e sapemmo di vero. Il dì e·ll'ora che prese la signoria, per savi astrolaghi fu preso l'ascendente che·ffu gradi XXII del segno della Libra, segno mobile e opposito del segno d'Aries significatore di Firenze, e in termine di Marti, e Marti nostro significatore era nel detto segno della Libra contrario alla sua casa, e il suo signore Venus nel Leone gradi VIII faccia di Saturno e contradio alla sua tripricità. Per la quale costellazione dissono d'accordo che·lla sua signoria non dovea compiere l'anno, e con mala uscita e vituperevole e con molti tradimenti e romori con arme, ma con pochi micidi. Ma più credo che fosse la cagione il suo male reggimento e·lle sue ree opere per lo suo pravo libero albitro, male usandolo.
IX
D'una compagna di gente d'arme che feciono i soldati de' Pisani.
Come fu fatta la pace dal duca d'Atene e Pisani, come dicemmo adietro, quasi tutti i soldati ch'erano co' Pisani, intorno di MD Tedeschi a cavallo e più di IIm pedoni di masnade Ghibellini, si partirono di Pisa e feciono una compagna con alcuno piccolo soldo de' Pisani per levarglisi d'adosso, e fare far danno a' loro vicini. Vennero per quello di San Miniato, e di San Gimignano, e Colle sanza fare danno alcuno, né toccaro di nostro contado, perch'erano alla signoria del duca; il borgo di Staggia guastarono, e poi stettono più dì a fonte Beccia, tanto che' Sanesi si ricomperarono IIIIm fiorini d'oro; e però non lasciarono di rubare e ardere più loro villate di Valdambra, e simile feciono in Valdichiane sopra quello di Perugia; e dissesi che·cciò fu ordine del duca d'Atene co' Pisani; e·cche vi misse danari per fare danno a' Sanesi e Perugini, però ch'avieno rifiutata sua signoria e compagnia, e voleano vivere liberi e franchi. E poi cresciuta la detta compagnia, valicaro in Romagna e sopra a Rimino per fare vergogna a meser Malatesta stato nostro capitano di guerra, e feciono danno assai; poi si distribuì e partì a soldo di signori e Comuni tra in Romagna e in Lombardia, e venne meno la detta compagna.
X
Quando morì il re Ruberto.
Nell'anno MCCCXLII, a dì XVIIII di gennaio, passò di questa vita il re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia e di Puglia di sua malattia nella città di Napoli. E inanzi che morisse, come savio signore dispuose i suoi fatti per l'anima cattolicamente, siccome a tanto signore e divoto di santa Chiesa si convenia. Vivette da LXXX anni, e regnò in Puglia anni XXXIII e mesi. E perch'egli non avea figliuoli altro che due nipote, figliuole che furono del duca di Calavra suo figliuolo, inanzi che morisse, la maggiore fece sposare ad Andreas duca di Calavra e figliuolo che fu del re d'Ungheria suo nipote, come gli avea promesso, e fecelo cavaliere, e farli fare omaggio a·llui e alla moglie a tutti i baroni del Regno, siccome succedente re e reina. Lasciolli grande tesoro, e perch'egli era di piccola età, ordinò i suoi principali baroni governatori e guardiani di lui e del regno a beneplacito della Chiesa. Sopellissi al monistero di Santa Chiara in Napoli, il quale elli avea fatto fare e riccamente dotato a grande onore. E in Firenze se ne fece cordoglio ed esequio molto solenne e di grande luminaria, e di molta buona gente e signori cherici e laici al luogo de' frati minori a dì XXXI di gennaio. L'aprile seguente il duca di Durazzo nipote del re Ruberto, figliuolo di meser Gianni suo fratello, con dispensagione del papa per procaccio del cardinale di Peragorgo zio del detto duca, sposò l'altra figliuola fu del duca di Calavra, per retare il reame, se·ll'altra sirocchia morisse sanza reda, onde nacque grande isdegno tra·lloro e·lla reina sua zia figliuola fu del re di Maiolica, e moglie del re Ruberto; non avendo figliuolo, compiuto l'anno, si commisse nel monistero a Santo Piero a Castello, ch'ella fatto fare. Questo re Ruberto fu il più savio re che fosse tra' Cristiani già·ffa cinquecento anni, sì di senno naturale sì di scienzia, come grandissimo maestro in teologia e sommo filosofo. Dolce signore e amorevole fu, e amicissimo del nostro Comune, di tutte le virtù dotato, se non che poi che cominciò a 'nvecchiare l'avarizia il guastava in più guise; iscusavasene per la guerra ch'avea per raquistare la Cicilia, ma non bastava a tanto signore e così savio com'era in altre cose.
XI
Come papa Clemento VI ordinò il giubileo e perdono a·rRoma nel L anno.
Nel detto anno MCCCXLII, del mese di gennaio, papa Clemento VI apo Vignone in Proenza, dov'era la corte co' suoi cardinali e molti vescovi e arcivescovi, ricordandosi che papa Bonifazio VIII avea ritrovato che 'l giubileo, cioè di C anni in C anni chi andasse a Roma confesso e pentuto di suoi peccati e vicitasse per XV dì continui la chiesa di San Piero e di San Pagolo, gli era perdonato colpa e pena, durando per uno anno il detto perdono, e quello confermato l'anno MCCC, come adietro facemmo menzione, parendo al detto papa e cardinali ch'aspettando l'altro centesimo molti fedeli cristiani che sono vivi per le corte vite degli uomini saranno morti, onde molto perderebbono la grazia e 'l benificio, sì ordinò e confermò che 'l detto giubileo e perdono fosse di L anni in L anni, cominciando l'anno MCCCL per la natività di Cristo, ritraendo per l'autorità della sacra iscrittura che di L anni in L anni si celebrava il giubileo di figliuoli d'Isdrael per comandamento di Dio, tutto fosse in altra forma. Della qual cosa il detto papa e suoi cardinali molto furono commendati da tutti i Cristiani, e maggiormente da' Romani, che·nn'aspettavano la grascia.
XII
D'uno gran fuoco che·ffu in Pietrasanta.
Nel detto anno, del mese di febraio, per fuoco apreso, e·cchi disse fatto mettere per li Pisani, arse gran parte di Pietrasanta, salvo la rocca, e·lli abitanti la volieno abandonare, se non che 'l duca d'Atene, a·ccui guardia era per lo nostro Comune, mandò loro danari e C moggia di grano per sovvenire la loro necessità, e fu ben fatto.
XIII
D'alcuna novità stata in Firenze in questo anno.
Nel detto anno e mese di febraio per impetuoso vento caddono le mura del nuovo dormentoro di frati di San Marco, e morìvi sotto due frati e uno laico; ben erano le mura per povertà assai sottili e mal fondate. E nel detto anno si mise la nuova via dal Pozzo Toscanelli su per la costa di sopra Santa Felicita e sopra la chiesa di San Giorgio infino alla porta che va inn-Arcetri, acciò che' popolani d'Oltrarno potessono soccorrere al bisogno la detta porta, e andare spediti intorno alle mura d'Oltrarno sanza convenirli andare sotto la forza di Rossi e di Bardi, e fu ben fatto per lo popolo. Ancora si recò la misura dello staio, ove si facea al colmo, perché vi s'usava frode si recò a raso, crescendo il colmo nel raso, e più da libra I e mezza in II lo staio del grano; e questo anno valse lo staio del grano da soldi XX, e il seguente anno del MCCCXLIII valse da soldi XXV. E il vino comune di vendemmia carissimo da fiorini V in VI cogno, di soldi LXV e mezzo il fiorino.
XIV
Come Messina fu rubellata a que' d'Araona che·lla signoreggiava, e come la raquistò.
Nel detto anno, anzi da due mesi che il re Ruberto morisse, per suo trattato con certi rubelli di quello don Piero che tenea Cicilia, ciò erano que' della casa de' Palizzi i più possenti di Messina, per loro amici e di loro setta corsono la città di Messina con armata mano, e uccisono il vicaro, overo capitano, che v'era per lo loro re, e più di sua gente, e presono il forte castello di San Salvadore, ch'è sopra il porto di Messina; e·cciò fatto, mandarono XXX di loro stadichi a Melazzo per dare di loro fidanza al conte Scalore delli Uberti di Firenze, che v'era per capitano per lo re Ruberto, fatto rubello di don Piero, che mandasse sua gente per la terra e per lo castello, il quale vi mandò quelli che poté, non isfornendo Melazzo. Ancora mandarono a Napoli al re Ruberto per soccorso, il quale se di sùbito v'avesse mandato, come potea e dovea, sanza fallo avea raquistata Messina, e poi tutta l'isola; ma·lla tardezza del re Ruberto e·lla sua avarizia, la quale guasta ogni nobole impresa, o forse volle Idio o promisse per non darli tanta gloria mondana inanzi che morisse, tardò tanto il soccorso, che in quella stanza don Guiglielmo figliuolo fu di don Federigo, guardiano e vicario dell'isola per lo figliuolo del re Piero suo fratello, ch'era di poca età, venne a Messina con CCCC cavalieri e popolo assai, e per li cittadini di sua setta contradi di Palizzi li fu data l'entrata della terra, e corse la città di Messina, e uccisono e cacciaro tutti i loro ribelli e genti che v'erano per lo re Ruberto; e per forza di navi e cocche ch'erano nel porto fece combattere Santo Salvadore, e raquistollo, uccidendo quanti dentro ve n'avea. E nota, che·ssi confa alquanto alla presente matera, ch'è delle maraviglie del secolo, i figliuoli di meser Scalore delli Uberti nostri cittadini Ghibellini e rubelli, e quelli d'Antioccia della casa di Soave, e quelli da Lentino, e 'l conte di XX Miglia, e que' di meser Palmieri Abati principali, che rubellarono i loro antichi l'isola di Cicilia al re Carlo vecchio, e de' detti Palizzi di Messina, e altri loro seguaci per soperchio e ingratitudine di Catalani s'erano ribellati da quelli che tenea la Cicilia, e tornati al re Ruberto, ed elli ricevutoli e dotatili nel regno di grande baronie. E ben disse il propio meser Farinata, l'antico delli Uberti, dimandato che cosa era parte, cavallerescamente in brieve rispuose: "Volere e disvolere per oltraggi e grazie ricevute"; e·ffu vera sentenzia.
XV
Come il re di Raona tolse Maiolica al re di quella suo cugino.
Nel detto anno il re d'Araona con trattato di grandi borgesi di Maiolica tolse Maiolica al re di quella, suo cugino; la qual cosa fu molto biasimata, e messa per grande tradigione, con tutto che quelli che·nn'era re era uomo di cattiva vita e di poco valore, e tenea per sua amica la nipote, e cacciava la moglie, e non amato da sua gente. Lasceremo di più dire de' fatti delli strani, e torneremo a nostra matera, a racontare de' fatti di Firenze; e come il duca d'Atene, che se n'era fatto signore per lo modo detto adietro, ne fu cacciato; e molte revoluzioni e novità che alla nostra città ne seguiro apresso, le quali a·nnoi autore, che·lle vedemmo e fummo presenti, ci paiono quasi impossibili a credere, tanto furono diverse e maravigliose.
XVI
Di certe congiurazioni che furono fatte in Firenze contra il duca d'Atene che·nn'era signore.
E' si dice fra·nnoi Fiorentini uno antico e materiale proverbio, cioè: "Firenze non si muove, se tutta non si duole"; e bene che 'l proverbio sia di grosse parole e rima, per isperienza s'è trovato di vera sentenzia, e viene a caso della nostra presente matera; che a certo il duca nonn-ebbe regnato III mesi, che quasi a' più di cittadini non dispiacesse nella sua signoria per li suoi inniqui e malvagi processi, come detto avemo adietro, e più ancora che scritto non s'è per noi; però ch'ogni singulare cosa e sue operazioni nonn-ho potuto sapere né ricogliere, ma per le generali e aperte assai si può comprendere. Prima che' grandi che·ll'aveano fatto signore, e aspettavano da·llui stato e grandezza, come avea loro promesso, sì trovato ingannati e traditi, ed eziandio que' grandi ch'elli avea rimessi in Firenze, non parea loro esere ben trattati; e i grandi e possenti popolani che prima avieno retta la terra, ch'al tutto gli avea anullati e tolto loro ogni stato, onde il nimicavano a morte. A' mediani e artefici dispiacea la sua signoria per lo non guadagnare, e per lo male stato della città, e per le 'ncomportabili gravezze sì d'estimo, sì di prestanze, e d'intollerabili gabelle, e per levare che fece a' cittadini gli asegnamenti sopra le gabelle di danari prestati al Comune. E dove i cittadini avieno speranza che per lo suo reggimento scemasse le spese, e desse loro buono stato, fece il contrario; e per le male ricolte montò il grano in più di soldi XX lo staio, onde il popolo minuto male si contentava. E per li oltraggi delle donne fatti per lui e per le sue genti, e altre forze, e crude giustizie, per le quali cagioni quasi i più di cittadini commossi a mala volontà contro a·llui, onde più congiurazioni s'ordinaro per torli la signoria e·lla vita, chi per una forma, e·cchi per un'altra, non sappiendo al cominciamento l'una setta dell'altra, né s'ardieno a scoprire per le sue crudeli giustizie; che eziandio chi·lle rivelava gli facea morire, come detto è adietro. E principali furono III sette e congiurazioni; della prima fu capo il nostro vescovo degli Acciaiuoli frate predicatore, che al cominciamento delle sue prediche tanto il magnificava e gloriava, e co·llui tenieno i Bardi; ciò furono principali: messere Piero, messere Gerozzo, messere Iacopo, e Andrea di Filippozzo, Simone di Geri, tutti della casa de' Bardi, e rimessi in Firenze per lo duca, e di Rossi Salvestrino e meser Pino, e più suoi consorti. E de' Frescobaldi i caporali il priore di Sa·Iacopo meser Agnolo Giramonte anche di rimessi in Firenze per lo duca, e Vieri delli Scali, e più altri grandi e popolani, Altoviti, Magalotti, Strozzi, e Mancini. Dell'altra congiura era capo meser Manno e Corso di meser Amerigo de' Donati, Bindo e Beltramo e Mari de' Pazzi, e Niccolò di mesere Alamanno, e Tile Benzi de' Cavicciuli e certi degli Albizi. Della terza era capo Antonio di Baldinaccio degli Adimari, e Medici, e Bordoni, Oricellai, e Luigi di Lippo Aldobrandini, e più altri popolani mediani. E più modi si trovò che cercaron di torli la signoria e·cchi la vita, chi con trattato di Pisani, chi con Sanesi e Perugini e con conti Guidi, alcuni d'asalirlo in palagio andando al consiglio; ma per sua gelosia, di ciò si provide, che due volte mutò i sergenti e' famigliari che guardavano il palagio, e per sospetto fece ferrare le finestre del palagio; alcuni di saettarlo quando andava per la terra. L'altra setta ordinaro d'asalirlo in casa gli Albizi il dì di san Giovanni, che vi dovea venire a vedere correre il palio; anche per sospetto non v'andò. La terza setta aveno ordinato, imperò ch'egli cavalcava sovente per amore di donna da casa i Bordoni alla Croce a Trebbio. Questi v'allogaro due case, una da ciascuno capo della via, e quelle guernirono d'arme e di balestra e di sbarre per asserragliare la via dall'uno capo e dall'altro e inchiuderlo nel mezzo, e ordinati da L masnadieri arditi e franchi, che 'l dovieno assalire con certi caporali giovani e grandi e popolani a·ccui ne calea, e aveano voglia di farlo, e assalito il duca, levare la terra a romore, e' caporali di fuori dovieno esere in arme a cavallo e a piè al soccorso e per atterrare lui e sua compagnia; che al principio cavalcava con XXV o XXX di sua gente disarmati, con alquanti cittadini grandi e popolani, di coloro medesimi ch'erano congiurati contro a·llui. Ma tanto gli fu messo sospetto, che poi menava a sua guardia II masnade di L di sue genti a cavallo armati e da C fanti, e smontato lui da cavallo restavano armati in sulla piazza del palazzo a sua guardia: ma poco gli valieno al suo riparo per l'ordine preso per le dette congiure alla sua rovina; però che quasi tutti i cittadini erano commossi contro a·llui per le sue ree opere. Ma come piacque a Dio, per lo meno male, la terza setta e congiura, la qual era più pronta a·cciò fare, fu scoperta per uno masnadiere sanese, che dovea essere a·cciò fare; il rivelò a meser Francesco Brunelleschi, non per tradimento, ma per consiglio e come a suo signore, credendo il sapesse e tenesse mano alla congiura; il quale cavaliere per paura di non esere incolpato, overo per male di suoi nimici, che di tali erano caporali alla detta congiura, il manifestò al duca, e menogli il detto fante sotto fidanza, il quale ritenne segreto e disaminollo, e seppe d'alcuno ch'era de' detti congiurati e caporali di masnadieri; e di presente fece pigliare Pagolo di Francesco del Manzeca orrevole popolano di porta San Piero, tutto fosse brigante, e uno Simone da Monterappoli a dì XVIII di luglio, e questi per tormento confessarono e manifestaro come Antonio di Baldinaccio era loro capo con più altri; il quale Antonio richesto, per sicurtà di sua grandezza comparì. Il duca il fece ritenere nel palagio; e·llui preso, tutti gli altri principali d'ogni setta per tema di loro chi·ssi partì della città, e·cchi si nascose, onde tutta la città fu in gelosia e in grande sospetto e tremore. Il duca trovando la congiura contro a·llui sì grande, e·cche tanti grandi e possenti cittadini vi tenieno mano, non ardì di fare giustizia de' detti presi; che·sse di sùbito l'avesse fatta, e corsa la terra colla sua gente e popolazzo minuto che 'l seguiva, rimaneva signore; ma il suo peccato l'accecò, e·lli misse tanta viltà e paura nell'animo, che non sapea che·ssi fare; e mandò d'intorno alla terre e castella per la sua gente, e al signore di Bologna per aiuto, il quale gli mandò CCC cavalieri. E pensossi di fare una grande vendetta e crudele di molti cittadini con grande tradimento, che perché sabato mattina a dì XXVI di luglio era il dì di santa Anna, e il dì dinanzi fece richiedere più di CCC di maggiori cittadini di Firenze, grandi e popolani d'ogni famiglia e casato, che venissono dinanzi a·llui in palagio per consigliarlo quello ch'avesse a·ffare de' presi, con intenzione (e questo fu poi fuori di Firenze manifesto) che come fossono ragunati nella sala del palagio, ch'avea le finestre ferrate, come detto avemo, di fare serrare la sala, e quanti dentro ve n'avesse fare uccidere e tagliare, e correre la terra al modo fece l'empissimo Totila Fragellum Dei quando distrusse Firenze. Ma Iddio, che sempre ha guarentita al bisogno la nostra città per le limosine e per li meriti delle sante persone religiose e laici, che vi sono innocenti, la guardò di tanto male e pericolo; che prima misse sospetto in cuore a tutti i richiesti di non andare in palagio al detto consiglio, intra' quali ve n'avea molti di congiurati, e poi il dì medesimo quasi tutti i cittadini di grande accordo insieme, diponendo tra·lloro ogni ingiuria e malavoglienza, scoprendosi l'una setta all'altra, di loro ordine e trattati tutti s'armarono per rubellarsi da·llui, come diremo apresso nel seguente capitolo.
XVII
Come la città di Firenze si levò a romore, e cacciaronne il duca d'Atene che·nn'era signore.
Essendo la città di Firenze in tanto bollore, e sospetto e gelosia, sì per lo duca avendo scoperte le congiurazioni fatte per tanti cittadini contra·llui, e fallitoli il suo proponimento di non potere raccogliere i nobili e possenti cittadini al falso e disleale consiglio, e d'altra parte i cittadini i più possenti sentendosi in colpa della congiura, e sentendo il mal volere del duca, e che già nella terra avea più di DC cavalieri di sue masnade, e ogni dì agiugneva; e·lla gente del signore di Bologna e certi altri Romagnuoli che venieno in suo aiuto avieno già valicata l'alpe, dubitarono che·llo indugio non fosse a·lloro pericolo, ricordandosi del verso di Lucano: "Tolle mora, semper etc. ". Gli Adimari, e Medici, e Donati principali, sabato sonata nona, usciti i lavoranti delle botteghe dì XXVI di luglio, il dì di santa Anna anni Domini MCCCXLIII, ordinarono in Mercato Vecchio e in porta San Piero che certi ribaldi fanti fitiziamente s'azzuffassono insieme, e gridassono: "All'arme, all'arme!"; e così feciono. La terra era insollita e in paura, incontanente tutta corse a furore e a sgombrare i cari luoghi; e di presente, com'era ordinato, tutti i cittadini furo armati a cavallo e a piè, ciascuno alla sua contrada e vicinanza, traendo fuori bandiere dell'armi del popolo e del Comune, com'era ordinato, gridando: "Muoia il duca e' suoi seguaci, e viva il popolo e 'l Comune di Firenze e libertà!". E di presente fu abarrata e aserragliata tutta la città ad ogni capo di vie e di contrade. Quelli del sesto d'Oltrarno, grandi e popolani, si giurarono insieme e baciarono in bocca, e abarraro i capi de' ponti, con intenzione che se tutta la terra di qua si perdesse, di tenersi francamente di là. E mandato il dì dinanzi da parte del Comune segretamente per soccorso e aiuto a' Sanesi; e certi di Bardi e Frescobaldi stati a Pisa e tornati di nuovo in Firenze mandarono per loro ispezialtà per aiuto a' Pisani. La qual cosa quando si seppe per lo Comune e per li altri cittadini, forte se ne turbaro. La gente del duca sentendo il romore s'armaro e montaro a cavallo, e chi potéo di loro al cominciamento corsono alla piazza del palagio in quantità di CCC a cavallo; gli altri, chi·ffu preso, e rubato per li alberghi, e·cchi per le vie fediti e morti e scavallati, e per li serragli impacciati, e rubati i cavalli e·ll'arme. Al cominciamento trassono al soccorso del duca in sulla piazza di priori certi cittadini amici del duca, cui avea serviti, che non sapieno il segreto delle congiure; ciò furono de' principali: messer Uguiccione Bondelmonti con alcuno suo consorto e cogli Acciaiuoli, e meser Giannozzo Cavalcanti e di suoi consorti, e Peruzzi, e Antellesi, e certi scardassieri e alcuno beccaio, gridando: "Viva lo signore lo duca!". Ma come s'avidono che quasi tutti i cittadini erano sommossi a furore contro a·llui, si tornarono a casa, e seguirono il popolo, salvo messere Uguiccione Bondelmonti, cui il duca ritenne seco in palagio, e i priori dell'arti per sicurtà di sua persona, i quali erano rifuggiti in palagio. Essendo levato il detto romore e tutta gente ad arme, quelli de' cinque sesti, ond'erano capo gli Adimari, per scampare Antonio di Baldinaccio loro consorto e gli altri presi per lo duca, e Medici, e Altoviti, e Oricellai, e degli altri offesi da·llui, com'è detto adietro, presono le bocche delle vie che menano in sulla piazza del palagio de' priori, ch'erano più di XII vie, e quelle abarrarono e aforzarono sicché nullo non potea entrare né uscire del palagio e piazza, e di dì e di notte si combattero colla gente del duca, ch'erano in sul palagio e 'n sulla piazza, ov'ebbe alquanti morti, ma molti fediti di cittadini per lo molto saettamento e pietre che venia del palagio dalla gente del duca. Ma alla fine la gente del duca ch'era in sulla piazza, la sera medesima, non poterono durare e non avendo da vivere, lasciando i loro cavalli, i più di loro si fuggiro nel compreso del palagio ov'era il duca e' suoi baroni, e alquanti si guerentirono tra' nostri lasciando l'armi e cavalli, e·cchi preso e·cchi fedito. E come si cominciò il detto romore, Corso di meser Amerigo Donati co' suoi fratelli e altri seguaci ch'avieno loro amici e parenti in prigione assaliro e combattero la carcere delle Stinche, mettendo fuoco nello sportello e bertesca ch'era di legname, e collo aiuto de' prigioni dentro ruppero le dette carcere, e uscinne tutti i prigioni, e con quello empito, crescendo loro séguito di meser Manno Donati, e di Niccolò di meser Alamanno, e Tile di Guido Benzi de' Cavicciuli, e Beltramo de' Pazzi, e di più altri, ch'avieno loro amici in bando e presi in palagio, assalirono combattendo il palagio della podestà, ov'era mesere Baglione da Perugia podestà per lo duca, il quale né egli né sua famiglia si misono a risistenza, ma con grande paura e pericolo si fuggì a guarentigia in casa gli Albizi, che 'l ricolsono; e·cchi di sua famiglia si fuggì in Santa Croce; e rubato il palagio d'ogni loro arnesi infino alle finestre e panche del Comune; e ogni atto e scritture vi furono prese e arse, e rotta la carcere della Volognana, e scapolati i prigioni; e poi ruppono la camera del Comune, e di quella tratti tutti i libri ov'erano scritti gli sbanditi e rubelli e condannati, e arsi tutti; e simile rubati gli atti dell'uficiale della mercatantia sanza contasto niuno. Altra ruberia od offensione corporale non fu fatta in tanto scioglimento di città, se non contro alla gente del duca; che·ffu gran cosa, e tutto avenne per l'unità in che·ssi trovaro i cittadini a ricoverare la loro libertà e quella della republica del Comune. E·cciò fatto, il detto sabato quelli d'Oltrarno apersono l'entrata de' ponti, e valicaro di qua a cavallo e a piè in arme, e cogli altri cittadini de' V sesti feciono levare le sbarre e serragli delle rughe mastre, colle 'nsegne del Comune e del popolo cavalcarono per la città gridando: "Viva il popolo e Comune in sua libertà, e muoia il duca e' suoi! "; e trovarsi i cittadini più di mille a cavallo ben montati, e inn-arme tra di loro cavalli e di quelli tolti alla gente del duca, e più di Xm cittadini armati a corazze e barbute come cavalieri, sanza l'altro minuto popolo tutto in arme, sanza alcuno forestiere o contadino; il quale popolo fu molto amirabile a vedere, e possente, e unito. Il duca e sua gente veggendosi così fieramente assaliti e assediati dal popolo nel palagio con più di CCCC uomini (e non avea quasi altro che biscotto e aceto e acqua), ma credendosi guarentire dal furioso popolo, la domenica fece cavaliere Antonio di Baldinaccio il quale non si volea fare di sua mano; ma i priori, ch'erano rinchiusi in palagio, vollono si facesse a onore del popolo di Firenze; poi lasciò lui e gli altri cui avea presi, e puose in sul palagio bandiere del popolo, ma però non cessò l'asedio e furia del popolo. La domenica di notte giunse il soccorso di Sanesi, CCC cavalieri e CCCC balestieri molto bella gente, e co·lloro sei grandi e popolani cittadini di Siena per ambasciadori. I Saminiatesi mandato al servigio del nostro Comune IIm pedoni armati, e' Pratesi D. E venne di presente il conte Simone da Battifolle, e Guido suo nipote con CCCC fanti. E di nostri contadini armati il seguente dì vennero in grandissima quantità al Comune e a' singulari cittadini, onde tutta la città fu piena d'innumerabile gente. I Pisani mandavano alla richiesta di loro amici, come toccammo adietro, sanza assento del Comune, D cavalieri, i quali vennero infino al borgo della Lastra di là da Settimo. Sentendosi in Firenze, se n'ebbe grande gelosia e grande mormorio contro a que' grandi a·ccui richiesta venivano; e per lo Comune e per loro fu contramandato che non venissono, e così feciono; ma tornandosi adietro, da quelli di Montelupo e di Capraia e d'Empoli e di Puntormo furono assaliti, e tra morti e presi più di cento pure de' migliori; e perderono più di CC cavalli, che furono loro tra morti e rubati.
Arezzo sentito come il duca era assediato da' cittadini di Firenze, incontanente si rubellarono alla gente e uficiali del duca per li Guelfi. E il castello dentro fatto per li Fiorentini rendé Guelfo di meser Bindo Bondelmonti. E Castiglione Aretino rendé Andrea e Iacopo Laino de' Pulci, che·nn'erano castellani, a' Tarlati. Pistoia si rubellò, e ridussonsi a·lloro libertà e a popolo guelfi, e disfeciono il castello fatto per li Fiorentini e ripresono Serravalle. E rubellossi Santa Maria a Monte e Montetopoli tenendosi per loro; rubellossi Volterra, e tornò alla signoria di meser Attaviano de' Belforti, che prima la signoreggiava; e Colle, e San Gimignano dalla signoria del duca, e disfeciono le castella, e rimasono i·lloro libertà. Tale fu la rovina della signoria del duca in Firenze e d'intorno. In pochi giorni venuti in Firenze i Sanesi e·ll'altra amistà, il vescovo con certi buoni cittadini grandi e popolani feciono richiedere a bocca tutta buona gente, e sonare la campana della podestà, e bandire parlamento per riformare lo stato e signoria della città. E congregati tutti in Santa Reparata in arme il lunedì apresso, di grande accordo elessono l'infrascritti XIIII cittadini, VII grandi e VII popolani con piena balìa di riformare la terra e fare uficiali e leggi e statuti, per tempo fino a calen di ottobre vegnente; ciò furono del sesto d'Oltrarno messer Ridolfo di Bardi, messer Pino de' Rossi, e Sandro di Cenni Biliotti; di San Piero Scheraggio messer Giannozzo Cavalcanti, messer Simone Peruzzi, Filippo Magalotti; per Borgo meser Giovanni Gianfigliazzi, Bindo Altoviti; per San Brancazio messer Testa Tornaquinci, Marco degli Strozzi; per porta del Duomo messer Bindo della Tosa, messer Francesco de' Medici; di porta San Piero mesere Talano degli Adimari, messer Bartolo de' Ricci. I detti XIIII elessono per podestà il conte Simone, e ragunavansi nel vescovado. Ma il detto conte, come savio, rinuziò e non voll'essere giustiziere de' Fiorentini; e però chiamato meser Giovanni marchese da Valiano, e infino che penasse a venire elessono luogotenente di podestà l'infrascritti VI cittadini, uno per sesto, III grandi e III popolani; messer Berto di meser Stoldo Frescobaldi, Nepo delli Spini, meser Francesco Brunelleschi, Taddeo dell'Antella, Paolo Bordoni, Antonio degli Albizi; e stavano nel palagio del podestà con CC fanti pratesi, tegnendo ragione sommaria di ruberie e forze e di simili, sanz'altro uficio. In questa stanza non cessava l'assedio del duca, di dì e di notte combattendo il palagio, e di cercare di suoi uficiali. Fu preso uno notaio del conservadore per li Altoviti stato crudele e reo, fu tutto tagliato a bocconi. E apresso fu trovato meser Simone da Norcia stato uficiale sopra le ragioni del Comune, il quale molti cittadini cui a diritto e cui a torto avea tormentati crudelmente e condannati, per simile modo a pezzi tutto tagliato. E uno notaio napoletano, ch'era stato capitano di sergenti a piè del duca, reo e fellone tutto fu abocconato dal popolo. E ser Arrigo Fei, ch'era sopra le gabelle, fuggendosi da' Servi vestito come frate, conosciuto da San Gallo fu morto, e poi da' fanciulli tranato ignudo per tutta la città, e poi in sulla piazza de' priori impeso per li piedi, e sparato e sbarrato come porco: tal fine ebbe della sua isforzata industria di trovare nuove gabelle, e·lli altri di su detti della loro crudeltà. I signori XIIII col vescovo, e 'l conte Simone e·lli ambasciadori di Siena al continuo erano in trattato col duca per trarlo di palagio, e sovente a vicenda a parte a parte di loro entravano e uscivano di palagio, benché poco piacesse al popolo. Alla fine nulla concordia asentiva il popolo, se non avessono dal duca il conservadore, e 'l figliuolo, e meser Cerritieri per farne giustizia. Il duca in nulla guisa l'asentiva, ma i Borgognoni ch'erano assediati in palagio s'allegarono insieme, e dissono al duca che inanzi che volessono morire di fame e a tormento, darebbono preso lui al popolo, non che i detti tre, e ordinato l'avieno, e il podere avieno di farlo, tanti erano, e sì erano forti. Il duca veggendosi a tal partito acconsentì; e venerdì, a dì primo d'agosto, in sull'ora della cena i Borgognoni presono meser Guiglielmo d'Ascesi, detto conservadore delle tirannie del duca, e un suo figliuolo d'età di XVIII anni, di poco fatto cavaliere per lo duca, ma bene era reo e fellone a tormentare i cittadini, e pinsollo fuori dell'antiporto del palagio in mano dell'arrabbiato popolo, e di parenti e amici cui il padre avea giustiziati, Altoviti, Medici, Oricellai, e quelli di Bettone principali, e più altri, i quali, in presenza del padre per più suo dolore, il suo figliuolo pinto fuori inanzi il tagliarono e smembrarono a minuti pezzi; e·cciò fatto pinsono fuori il conservadore e feciono il somigliante, e chi·nne portava un pezzo in sulla lancia e·cchi in sulla spada per tutta la città; ed ebbevi de' sì crudeli, e con furia bestiale e tanto animosa, che mangiaro delle loro carni cruda e cotta. Cotale fu la fine del traditore e persecutore del popolo di Firenze. E nota che·cchi è crudele crudelmente dee morire, disit Domino. E fatta la detta furiosa vendetta molto s'aquetò e contentò la rabbia del popolo; e·ffu però scampo di meser Cerritieri, che dovea esere il terzo; ma saziati i loro aversari no·llo domandaro; e fuggendosi la sera fu nascosto e poi traviato da certi di Bardi, e altri suoi amici e parenti. E per la detta furiosa vendetta fatta sopra il conservadore e 'l figliuolo, ch'avea giudicati Naddo di Cenni e Guiglielmo Altoviti e gli altri, poco apresso si feciono cavalieri due delli Oricellai e poi due delli Altoviti; la qual cosa poco fu loro lodata da' cittadini. Ma torniamo a nostra matera de' fatti del duca, che·lla domenica apresso, dì III d'agosto, il duca s'arrendé e diede il palagio al vescovo e a' XIIII e a' Sanesi e conte Simone, salve le persone di lui e di sue genti. La qual sua gente n'uscirono con gran paura acompagnati da' Sanesi e da più buoni cittadini. E il duca rinuziò con saramento ogni signoria e giuridizione e ragione ch'avesse aquistata sopra la città contado e distretto di Firenze, dimettendo e perdonando ogni ingiuria; e a cautela promettendo di retificare ciò, quando fosse fuori del contado di Firenze. E per paura della furia del popolo, con sua privata famiglia rimase in palagio alla guardia de' detti signori infino mercoledì notte di VI d'agosto; e raquetato il popolo, in sul mattutino uscì di palagio acompagnato dalla gente de' Sanesi e del conte Simone, e di più nobili e popolani e possenti cittadini ordinati per lo Comune. E uscì per la porta di San Niccolò e passò Arno al ponte a Rignano salendo a Valembrosa e a Poppi; e·llà fatta la ritificagione promessa, passò per Romagna a Bologna, e dal signore di Bologna fu bene ricevuto, e donatogli danari e cavalli; e poi se n'andò a Ferrara e a Vinegia. E·llà fatte armare II galee, sanza prendere congio di più di sua gente che gli erano iti dietro, lasciandogli mal contenti di loro gaggi, privatamente di notte si partì di Vinegia, e·nn'andò in Puglia. Cotale fu la fine della signoria del duca d'Atene, ch'avea con inganno e tradimento usurpata sopra in Comune e popolo di Firenze, e il suo tirannico reggimento mentre la signoreggiò, e com'elli tradì il Comune, così da' cittadini fu tradito. Il quale n'andò con molta sua onta e vergogna, ma con molti danari tratti da·nnoi Fiorentini, detti orbi e inn-antico volgare e proverbio per li nostri difetti e discordie, e lasciandoci di male sequele. E partito il duca di Firenze, la città s'aquetò e disarmarsi i cittadini, e disfecionsi i serragli, e partirsi i forestieri e' contadini, e apersonsi le botteghe, e ciascuno attese a·ssuo mestiere e arte. E detti XIIII cassarono ogni ordine e dicreto che 'l duca avea fatto, salvo che confermarono le paci tra' cittadini fatte per lui. E nota che come il detto duca occupò con frode e tradigione la libertà della republica di Firenze il dì di nostra Donna di settembre, non guardando sua reverenza, quasi per vendetta divina così permisse Iddio che i franchi cittadini con armata mano la raquistassono il dì di sua madre madonna santa Anna, dì XXVI di luglio MCCCXLIII; per la qual grazia s'ordinò per lo Comune che·lla festa di santa Anna si guardasse come pasqua sempre in Firenze, e si celebrasse solenne uficio e grande oferta per lo Comune e per tutte l'arti di Firenze.
XVIII
Come la città di Firenze si recò a quartieri e si raccomunarono gli ufici co' grandi, ma poco durò.
Riposato alquanto la città di Firenze del furore della cacciata del duca, i signori XIIII col vescovo tennero più consigli co' cittadini di riformare la terra dell'uficio di priori e collegio di XII e gonfalonieri e degli altri ufici. A' grandi parea loro ragionevole, siccom'erano stati principali a ricoverare la libertà del Comune, d'avere parte degli ufici del priorato e di tutti gli altri; e certi popolani grassi ch'erano usi di regnare vi si accordavano per tornare inn-istato collo apoggio di grandi, co' quali aveano molti parentadi. Gli altri artefici e popolo minuto erano contenti di dare parte loro d'ogni uficio, salvo del priorato e di dodici e gonfalonieri delle compagnie del popolo, e a questi s'acordavano per pace del popolo più al convenevole. Ma pure si vinse per lo vescovo, per l'oficio de' XIIII e col consiglio di Sanesi che' grandi avessono parte di tutti gli ufici per più unità di Comune. E con ciò sia cosa che quelli del sesto d'Oltrarno e di San Piero Scheraggio parea loro, che non fosse giusto d'avere uno priore per sesto, ed ellino più grandi che gli altri quattro, e portavano delle gravezze del Comune più che·lla metà, cioè il sesto d'Oltrarno della 'mposta di Cm fiorini d'oro XXVIIIm e San Piero Scheraggio XXIIIm, e Borgo XIIm, e San Brancazio XIIIm; e porta del Duomo XIm, e porta San Piero XIIIm; sì·ssi acordarono di recare la terra a quartieri in questo modo; Oltrarno il primo, e chiamossi il quartiere di Santo Spirito colla 'nsegna in arme, il campo azurro, e una colomba bianca co' razzi d'oro in becco. Il secondo quartiere fu tutto il sesto di San Piero Scheraggio, togliendo più che 'l terzo di porta San Piero, cominciandosi in Calimala fiorentina al chiasso di Rimaldelli con tutto Orto San Michele, e giù per la via di Sa·Martino, e della Badia e di San Brocolo, rimanendo le dette chiese e più che mezzi i popoli loro nel detto quartiere; e·ffu al diritto per la via di San Brocolo per la Città Rossa infino di costa alla porta Guelfa e mura nuove, togliendo del popolo di San Piero Maggiore e di Santo Ambruogio infino a mezza alla via Ghibellina, e più quello ch'era di là dalla via Ghibellina del detto popolo; e questo si chiamò il quartiere di Santa Croce, coll'arme il campo azurro e·lla croce ad oro. Il terzo quartiere fu tutto il sesto di Borgo e quello di San Brancazio, e chiamarlo il quartiere di Santa Maria Novella, coll'arme il campo azurro e uno sole con razzi d'oro. Il quarto quartiere fu tutta porta del Duomo col rimanente di porta San Piero, e chiamarlo il quartiere di San Giovanni, coll'arme il campo azurro e colla cappella di San Giovanni ad oro, con due chiavi dal lato al Duomo per contentare in parte quelli di porte San Piero, che solo di cinque sesti era partito quello per lo modo ch'è detto; che in prima erano i confini di porte San Piero cominciando alla casa dell'arte della lana e tutto Orto San Michele, dividendo la via che viene da casa i Cerchi Bianchi, volgendosi nel Garbo al chiasso che parte le case de' Sacchetti alle case della Badia e mezzo il palagio del podestà, e tutta quasi quella via dall'uno lato e dall'altro infino alla via delle Taverne, e poi mezza la via Ghibellina, e poi passava quella al crocicchio di sopra infino al Tempio, e tutta quasi l'isola dentro alle mura e del popolo di Santo Ambruogio, ed era del sesto di porta San Piero. Partita la terra a quartieri, sì s'ordinò per lo vescovo e per li XIIII lo squittino per fare i priori, ed elessono XVII popolani e VIII grandi per quartiere, e co·lloro i detti XIIII e 'l vescovo, sicché in tutto furono CXV; e per lo consiglio de' Sanesi e del conte Simone, per recare la città più a comune, sì ordinaro d'eleggere XII priori per uficio, III per quartiere, uno di grandi e II di popolo, e VIII consiglieri a diliberare le gravi cose co' priori, in luogo di XII come solieno esere, cioè IIII grandi IIII popolani, II per quartiere, e tutti gli altri ufici fossero per metà co' grandi. Compiuto il detto squittino di grande acordo, fu messa una voce per la terra, che de' priori dovea esere meser Manno Donati e di simili caporali di case troppo possenti, onde il popolo si turbò forte, e·ffu quasi in arme per contradiare infino che non furono tratti e palesati i nuovi priori; ciò fu dì II all'uscita d'agosto, dovendo stare infino a Ognisanti. I nomi de' quali furono questi: nel quartiere di Santo Spirito Zanobi di meser Lapo di Mannelli di grandi, Sandro da Quarata, Niccolò di Cione Ridolfi popolani; nel quartiere di Santa Croce meser Razzante di Foraboschi di grandi, Borghino Taddei, Nastagio Tolosini popolani; nel quartiere di Santa Maria Novella Ugo di Lapo delli Spini di grandi, meser Marco di Marchi giudice, Antonio d'Orso popolani; nel quartiere di San Giovanni meser Francesco Trita delli Adimari di grandi, e Billincione degli Albizi e Neri di Lippo popolani. E gli otto consiglieri de' priori, II per quartiere, furono questi: Bartolo di meser Ridolfo de' Bardi, Adoardo Belfredelli, Domenico di meser Ciampolo Cavalcanti, meser Francesco Salvi giudice, Nepo delli Spini, ser Piero di ser Feo da Signa, Beltramo de' Pazzi, e Piero Rigaletti. Veggendo il popolo ch'erano convenevoli e pacifichi grandi, e non di tiranni gli eletti, s'aquetarono, ma però malcontenti di sì fatto mischiato, come poco apresso si mostrò. E messi i detti priori in palagio, i XIIII si tornarono a·ccasa loro, riserbandosi la loro balìa, e ragunandosi alcuno dì della settimana in vescovado col vescovo a ordinare l'altre bisogne del Comune.
XIX
Come il popolo trassono i grandi dell'uficio del priorato, e riformaro la terra.
Ma il nimico dell'umana generazione e d'ogni concordia seminò la sua superbia e invidia nell'animo di certi malvagi grandi e popolani. Prima veggendosi certi rei de' grandi il favore della signoria, e non essendo rifermi gli ordini della giustizia; e bene avieno ordinato i XIIII che·ssi facesse uno libro di malabbiati, ove si scrivessono i mafattori de' grandi, e quelli fossero puniti, ma però non si raffrenavano i malvagi grandi, ma cominciaro a·ffare delle forze e micidi in città e in contado, e di false accuse contra i popolani, onde i popolani si tenieno mal contenti della loro consorteria delli ufici, e cominciaro forte a dubitare di maggiore pericolo, sentendo che colle borse dello squittino avea di maggiori caporali grandi di Firenze. Onde il popolo si commosse contro a' grandi, e collo aiuto e favore di meser Giovanni della Tosa, e di mesere Antonio degli Adimari, e di meser Geri de' Pazzi cavalieri del popolo, a' quali dispiacea i modi di tali di loro consorti e degli altri grandi contro al popolo, e non parea loro stato fermo. Bene ci ebbe anche colpa la 'nvidia di certi popolani, che non volieno negli ufici volentieri la compagnia di loro maggiori, e per essere più signori e fare del Comune a·lloro guisa; onde segretamente trattato co' detti cavalieri e con certi caporali di popolo, e col vescovo, e con certi de' priori medesimi, ch'erano all'uficio e popolani, di recare il secondo uficio di priori ch'uscisse pure agli otto popolani, due per quartiere, e uno gonfaloniere di giustizia, e nullo de' grandi per lo meglio del Comune e del popolo, rimanendo a comune co' grandi gli altri ufici; ed era ben fatto per aquetare il popolo. Il vescovo credendo ben fare, se ne scoperse a' compagni suoi XIIII, ch'erano, come detto è, VII grandi pure di maggiori, dicendo ch'era il meglio di farlo d'amore e d'accordo co' grandi, onde ne tenne co' detti suoi compagni e con altri grandi più consigli in Santa Felicita Oltrarno, ov'erano capo i Bardi e' Rossi e' Frescobaldi e di più altre case di grandi di Firenze, pregandoli che·cciò asentissono; i quali nulla ne vollono udire, parlando di grosso e con minacce: "Noi vedremo chi·cci torrà la parte nostra della signoria, e·cci vorrà cacciare di Firenze, che·lla francammo dal duca". E di ciò erano più principali i Bardi, chiamando il vescovo traditore, ch'avea tradito prima il Comune e popolo, e data la signoria al duca, e poi tradito e cacciato lui, "e ora vuogli tradire noi"; e cominciarsi a fornire d'armi e di gente, e a mandare per amici di fuori. Sentendosi questo per la città, tutta fu in gelosia e sotto l'arme, col consiglio e ordine di sopradetti III cavalieri del popolo, che·nn'erano capo; sì vennero molti popolani armati sulla piazza de' priori gridando: "Viva il popolo, e muoiano i grandi traditori!"; gridando a' priori popolani ch'erano in palagio: "Gittatene dalle finestre i priori vostri compagni de' grandi, o·nnoi v'arderemo in palagio co·lloro insieme"; e recarono la stipa, e misono il fuoco all'antiporto del palagio. I priori popolani scusavano i loro compagni di grandi, dicendo ch'erano diritti e·lleali e bene inn-accordo, con tutto che i più di loro il dicevano alla 'nfinta, ed era stato loro operazione. Alla fine crescendo la forza e furore del popolo, convenne che' detti priori de' grandi rinuziassono all'uficio, e per grazia uscissono di presente di palagio sotto sicurtà del popolo, e con grande paura acompagnati a casa loro; e·cciò fu lunedì a dì XXII di settembre MCCCXLIII. E nota che in così piccolo tempo la città nostra ebbe tante novità e varie rivoluzioni, come avemo fatto menzione, e faremo nel seguente e terzo capitolo. E bene difinì il grande filosofo maestro Michele Scotto quando fu domandato anticamente della disposizione di Firenze, che·ssi confa alla presente matera; disse in brieve motto in latino: "Non diu stabit stolida Florenzia florum; decidet in fetidum, disimulando vivet". Ciò è in volgare: "Non lungo tempo la sciocca Firenze fiorirà; cadrà in luogo brutto, e disimulando vive". Ben disse questa profezia alquanto dinanzi la sconfitta di Monte Aperti; ma poi pure asseguito ciò si vede manifesto per nostri processi. E 'l nostro poeta Dante Allighieri scramando contra al vizio della incostanza de' Fiorentini nella sua Commedia, capitolo VI Purgatoro, disse intra·ll'altre parole:
Attena e·lLacedemonia, che fenno
L'antiche leggi e furon sì civili,
Feciono al viver bene un piccol cenno
Verso di te, che·ffai tanto sottili
Provedimenti, ch'a mezzo novembre
Non giugne quel che·ttu d'ottobre fili.
E bene fu profezia e vera sentenzia in questo nostro fortuito caso, e in quelli che seguiranno apresso, per le nostre disimulazioni. Partiti i quattro priori di palagio di grandi, e disfatto l'uficio delli otto loro consiglieri mischiato co' grandi, col consiglio delle capitudini delle XXI arti, i priori popolari ch'erano rimasi all'uficio elessono i XII consiglieri de' priori, tutti popolani, ed elessono gonfalonieri delle compagnie del popolo; e de' XVIIII ch'erano prima che 'l duca regnasse gli recarono a XVI, quattro per quartiere; e feciono gonfaloniere di giustizia Sandro da Quarata, ch'era de' priori; e feciono il consiglio del popolo LXXV per quartiere. Così fortunando e disimulando si rifermò la città alla signoria del popolo.
XX
Di quello medesimo, e d'altre novità che·nne seguirono.
Tegnendosi i grandi forte gravati della villana disposizione di loro priori, e volentieri a·lloro podere n'avrebbono fatta vendetta, e minacciavano al continuo, e d'altra parte temieno della forza e furia dell'arrabbiato e commosso popolo, sì·ssi guernirono d'arme e di cavalli, e mandarono per gente e·lloro amistà. Il popolo non raquetato, rifeciono i serragli per la città più grandi e più forti che quando fu cacciato il duca, faccendo grande guardia di dì e di notte e stando sotto l'arme, temendo che i grandi non facessono novità, e rimandaro pe' Sanesi e per altra amistà. In questo bollore di città si levò uno folle e matto cavaliere popolano, messere Andrea delli Strozzi, contro a volere de' suoi consorti, montò a cavallo coverto armato, ragunando rubaldi e scardassieri e simile gente volonterosi di rubare, in grande numero di parecchie migliaia, promettendo loro di farli tutti ricchi, e dare loro dovizia di grano, e farli signori, menandoglisi dietro per la terra, il martedì apresso, dì XXIII di settembre, gridando: "Viva il popolo minuto, e muoiano le gabelle e 'l popolo grasso!"; e così ne vennono sanza contasto in sulla piazza de' priori per assalire il palagio, dicendo di volervi mettere e fare signore del popolo messere Andrea. E fattigli ammunire da' priori e da' consorti di meser Andrea e altri buoni popolani, e comandare al detto commosso popolo e a meser Andrea che·ssi si partissono, non ebbe luogo infino che dal palagio non si cominciò a gittare e pietre e saettare verrettoni, onde alcuno ne fu morto e molto fediti. Allora lo scomunato e disarmato popolazzo col loro pazzo caporale si partiro, e vennero al palagio della podestà per prenderlo, ma per simile modo saettandosi di palagio per la gente del marchese da Valiano podestà, e collo aiuto di buoni popolani vicini, gli mandarono via, e cominciarsi a sciarrare, e·cchi andare in una parte e·cchi in un'altra lo scomunato popolo; e mesere Andrea bestia, tornato a casa, fu preso da' consorti suoi e vicini, e mandato a suo contrario fuori della città, e·ffu poi condannato nell'avere e nella persona siccome ribello, e somovitore di romore e di congiura contro alla republica e pacifico stato di Firenze. Di questa commovizione del popolo minuto i grandi, ch'avieno mal volere contro al popolo, furono molti allegri, credendo si dovidessono insieme il popolo; e presono speranza d'acostarsi insieme col popolo minuto, gridando a' loro ridotti e serragli in simile voce: "Viva il popolo minuto, e muoia il popolo grasso e·lle gabelle!", afforzandosi al continuo e aspettando gente i·lloro aiuto. E sentendo i grandi che' Sanesi venieno a richiesta e servigio del Comune e popolo, mandarono alcuno di loro per ambasciadore, meser Giovanni Gianfigliazzi e altri, infino a San Casciano, pregando che non venissono in Firenze, e che·lla loro venuta poteva generare scandalo tra' cittadini. E credendolo i Sanesi, s'arestarono più d'uno dì. Questo si disse che i grandi feciono per paura di loro, ma i più dissono il facieno acciò che il loro soccorso giugnesse prima che·lla venuta de' Sanesi per assalire il popolo; ma a buona opinione noi crediamo che il guernimento che facieno i grandi era più per paura di loro che per assalire il popolo; con tutto ci fosse la loro mala voglia, non ci era il podere, se·ggià il popolo minuto non gli avesse seguiti, onde pure avieno alcuna vana speranza. Ma i priori, ciò sentendo di Sanesi, vi mandarono per lo Comune ambasciadori popolani con lettere, pure che venissono, che n'avieno gran bisogno per sicurtà e aiuto del Comune e del popolo, per la scomovizione della città per li malvagi cittadini che·lla voleano guastare. I quali Sanesi vennero incontanente molto bella gente a·ccavallo e a piè, altrettanti e più che quando il duca fu cacciato; e i Perugini ci mandarono CL cavalieri, e d'ogni parte venia gente d'arme, chi in servigio del popolo e chi in servigio di grandi, onde la città era tutta inn-arme, e con molti forestieri e contadini, e tutta iscommossa in gelosia e paura, il popolo di grandi, e' grandi del popolo. Ma il Comune e popolo si trovò più possente, ch'avieno i palagi e·lle campane e·lla dominazione delle porte della città, salvo di quella di San Giorgio tenieno i Bardi. E avea il Comune da CCC soldati a cavallo sanza l'amistadi, sicché la forza di grandi nonn-era a comparazione con quella del popolo, se nuovo soccorso non venisse da Pisa o di Lombardia a' grandi, onde per lo popolo s'avea grande gelosia; e chi avea cose care o mercatantie le fuggia in chiese e in luoghi di riligiosi sicuri. Tal era la disposizione della nostra infortunata città.
XXI
Come il popolo di Firenze assaliro e combattero i grandi e rubarono i Bardi e missono fuoco in casa loro.
Stando tutta la città inn-arme e gelosia, i grandi del popolo e 'l popolo de' grandi, com'è detto, dicendosi molte e varie novelle per la terra, e come i grandi arebbono grande aiuto da' conti e Ubaldini e Pisani e d'altri tiranni di Lombardia e di Romagna, e che dovieno afforzarsi Oltrarno, ch'avieno la signoria di tutti i ponti, e di qua fare cominciare l'assalto giovedì a dì XXV di settembre; i popolani del quartiere di San Giovanni, onde si feciono capo i Medici e' Rondinelli e meser Ugo della Stufa giudice, e' popolani di borgo Sa·Lorenzo co' beccari e altri artefici, sanza ordine di Comune, in quantità di mille uomini sanz'altra compagnia o forza di gente al cominciamento, mercoledì dopo desinare, dì XXIIII di settembre, per non aspettare il giovedì vegnente, che·ssi dicea che' grandi doveano fare l'assalto e correre la terra, con tre di loro gonfaloni delle compagnie del loro quartiere, tutti armati a barbute e corazze a piè, e molte balestra, asalirono da più parti quelli del lato degli Adimari chiamati i Cavicciuli, i quali con grandi serragli e guernimento di torri e di palagi e loro case dal crocicchio del Corso dalla loggia loro alla piazza di San Giovanni s'erano aforzati con molta gente d'arme. E cominciato per lo popolo l'asalto e battaglia manesca a' serragli, saettando e gittando pietre l'una parte all'altra, crescendo al continovo la forza del popolo; i Cavicciuli veggendo non poteano resistere, e aiuto di fuori d'altri grandi non avieno né attendeano, patteggiati s'arrenderono al popolo, salve le persone e·lloro cose, e disfeciono i loro serragli, e puosonsi in su' loro palagi le bandiere del popolo. E·cchi di loro andò inn-uno luogo e chi inn-altro a casa di loro amici e parenti popolani, sanza danno niuno, se non di fediti dall'una parte e dall'altra. Vintosi per lo detto popolo la detta prima punga e asalto sopra i Cavicciuli, ch'erano i più virili e arditi e possenti grandi di Firenze, presono i popolani molto ardire e vigore, e al continovo crescendo loro la massa del popolo e aiuto d'alquanti di soldati del Comune ch'erano in Firenze, corsono a casa i Donati e poi a casa i Cavalcanti. Ellino sentendo come i Cavicciuli s'erano arrenduti al popolo, non feciono nulla risistenza, ma per simile modo s'arrenderono al popolo. In somma, in poca d'ora tutte le case di grandi di qua da Arno feciono il somigliante, e disarmarsi e disfeciono loro guernigioni e serragli. Le case de' grandi d'Oltrarno, Bardi, e Rossi, e Frescobaldi, e Mannelli, e Nerli s'erano aforzati molto, e prese le bocche de' ponti. Il detto commosso popolo volendo passare Oltrarno per lo detto ponte Vecchio, ch'ancora era di legname, non ebbe luogo, però che·lla forza di Bardi e di Rossi era sì grande e di sì forti serragli, e armata la torre della parte e 'l palagio de' figliuoli di meser Vieri de' Bardi e·lle case di Mannelli di capo del ponte Vecchio, che 'l popolo non vi potea accedere né passare. Ma combattendo però francamente il serraglio, molti ve n'ebbe fediti di sassi e di verrettoni di balestri. Veggendo il popolo che da quella parte non poteano passare, e dal ponte Rubaconte peggio, per la fortezza de' palagi de' Bardi da San Ghirigoro, sì presono partito di lasciare alla guardia del ponte Vecchio parte de' gonfaloni del quartiere di Santa Croce e di quelli di borgo di Santo Apostolo, e parte rimasono alla guardia del ponte Rubaconte di qua. L'altro popolo molto cresciuto co' soldati a cavallo si misono ad andare dal ponte alla Carraia, il quale guardavano i Nerli; ma·lla forza di popolani di borgo San Friano e della Cuculia e del Fondaccio fu sì grande, che inanzi che passasse il popolo di qua da Arno presono il capo del ponte e·lle case de' Nerli, e loro ne cacciaro; e preso per li popolani d'Oltrarno il ponte alla Carraia, il vittorioso popolo di qua passaro al detto ponte incontanente, e acozzatosi co' popolani d'Oltrarno, e furiosamente assaliro i Frescobaldi, i quali prima assaliti e combattuti a' loro serragli da quelli di via Maggio e circustanti popolani, ma però non vinti; ma veggendosi venire adosso la furia del detto popolo di qua da Arno, ebbono gran paura, e abandonarono la piazza loro, lasciando ogni fortezza e guernigione, balestra, pavesi, saettamento, fuggendosi in casa, e faccendo croce colle braccia, chieggendo mercé al popolo, il quale gli ricevette sanza fare loro alcuno male. E·cciò fatto, corsono alla piazza a ponte sopra i Rossi, i quali saputo come i Frescobaldi s'erano arenduti al popolo, e tutte le case di grandi di qua da Arno, sanza alcuna risistenza s'arrenderono al popolo. Que' di casa Bardi veggendosi abandonati da' Rossi e Frescobaldi ebbono gran paura, ma pure francamente si misono alla difesa de' loro serragli combattendo, gittando, saettando, dov'ebbe di morti alcuno e di fediti assai, d'una parte e d'altra, però che' Bardi erano molto forti e guerniti a cavallo e a piè, e con molti masnadieri, sicch'era invano al popolo di vincere il serraglio per forza; ma ordinaro que' del popolo che i tre di gonfaloni d'Oltrarno salissono al poggio di San Giorgio per la via nuova dal pozzo Toscanelli, e così feciono; e cominciaro loro la battaglia al di dietro. I Bardi veggendosi sì aspramente asaliti da tante parti, isbigottirono forte, e cominciaro abandonare parte di loro il serraglio della piazza a ponte, ch'era sotto la guardia della torre della parte guelfa e del palagio di figliuoli di meser Vieri de' Bardi, per difendersi di dietro dal canneto e San Giorgio. Allora uno Strozza tedesco conestabole con sua masnada si misse dentro al serraglio della piazza al ponte a grande pericolo, ricevendo di molti sassi e quadrella, e corse infino a Santa Maria sopr'Arno, e il popolo francamente dietro; e quelli del popolo ch'erano di qua alla guardia del ponte Vecchio allora ruppono il serraglio del capo del ponte e valicarono di là, e al tutto cogli altri popolani, ch'erano di là, ruppono la resistenzia e forza di Bardi, i quali tutti si fuggirono nel borgo di San Niccolò, raccomandandosi alla vicinanza, onde furono le loro persone guarentiti da quelli da Quarata e da quelli da Panzano e·ll'altra vicinanza del gonfalone della Scala, i quali per lo popolo avieno in prima alquanto, per non esere corsi e rubati, presi i palagi di Bardi da Santo Ghirigoro ella guardia del capo del ponte di là incontanente i popolani, ch'erano alla guardia del capo del ponte Rubaconte di qua del quartiere di Santa Croce; e quello iscampò i Bardi da morte, i quali per la loro buona vicinanza da San Niccolò ritennero il furioso popolo con quella forza e per guardare la loro contrada. Ma tutti i palagi e case di Bardi da Santa Lucia alla piazza a ponte furono rubate dal minuto popolo d'ogni sustanzia, maserizie e arnesi, quello dì e·ll'altro, ed eziandio di loro vicini non possenti. E·ll'arabbiato popolo, rubate le case, misono fuoco in casa loro, e arsonvi XXII tra palagi e case grandi e ricche, e stimossi il loro danno tra di ruberie e d'arsione il valere di più di LXm fiorini d'oro. Tale fu la fine della risistenza de' Bardi contro al popolo per la loro superbia e maggioranza e per lo sfrenato popolo. Ma·ffu grande maraviglia e grazia di Dio, che di tanta furia di popolo e di tanti assalti e battaglie fatte in quella giornata, come avemo raccontato, non morì in Firenze nullo uomo di rinomea, e d'altri pochi, ma fediti assai. Per la ghiottornia della ruberia da casa i Bardi, che infino alle lastre de' tetti e ogni vili cose, non che le care, tale fu il giudicio contro a' Bardi, che infino alle femminelle e' fanciulli, non che gli uomini, non si potieno saziare né raffrenare di rubare. Il giovedì medesimo si levò una compagna di malandrini in quantità di più di mille a piè, e si ragunarono per combattere i Visdomini e rubarli sotto titolo di difetti di mesere Cerritieri loro consorte fatti intorno al duca; ma non ci era a ciò giusta cagione, che de' difetti e falli di meser Cerritieri i Visdomini erano stati crucciosi; ma non movea se non solo per potere rubare, e non sarebbero rimasi a tale, ma tutta la città corsa e rubata, e grandi e popolani; ma·lla vicinanza con molta altra buona gente armata, e·lle signorie e soldati del Comune a cavallo e a piè corsono al soccorso e riparo, e cessarono tanta rovina e pistolenza alla nostra città, andando per la terra le signorie in più parti coll'aiuto della gente di Sanesi, e Perugini, e dell'altre amistadi, e degli altri buoni cittadini a cavallo e a piè, con ceppi e mannaie, tagliando di fatto piedi e mani a' mafattori; e in questo modo s'atutò la furia dello sfrenato popolo disposti a rubare e a mal fare, e cominciarsi aprire i fondachi e botteghe, e ciascuno fare i fatti suoi.
XXII
Come si fece nuovo squittino di lezione di priori e de' XII e gonfalonieri per più tempo, e tutti popolani.
Riposata la città di Firenze di tanta furia e pericolo, e il popolo fatta sua pruova contro a' grandi, e vinte le loro forze e risistenze in ogni parte, il popolo montò in grande stato e baldanza e signoria, ispezialmente i mediani e artefici minuti, ch'al tutto il reggimento della città rimase alle XXI capitudini dell'arti. E per riformare la terra di nuovi priori e gonfalonieri delle compagnie, e de' XII consiglieri di priori, i priori e' dodici col consiglio delli ambasciadori di Siena e di Perugia e del conte Simone, acciò che·lla lezione andasse più comune, diedono l'ordine nello 'nfrascritto modo, e di grande concordia s'aseguì, e celebrarono in casa i priori nuovo squittino; ciò furono VIIII i priori, e XII consiglieri, e XVI gonfalonieri, e V della mercatantia, e LII uomini delle XXI capitudini, e XXVIII arroti per quartiere, popolani tutti artefici, sicché in somma furono CCVI, mettendo allo squittino ogni buono uomo popolaro degno d'essere all'uficio, e vincendosi, chi rimanesse priore e gonfaloniere di giustizia, e di dodici per CX fave nere il meno; e andato allo squittino IIImCCCCXLVI uomini, ma non ve ne rimasono il decimo, ordinaro che fossono VIII priori, II per quartiere, e uno gonfaloniere di giustizia, acoppiandoli insieme in questo modo, che dovessono esere per priorato popolani II grassi, III mediani, III artefici minuti, e 'l gonfaloniere della giustizia per simile modo, uno d'ogni sorta detta, traendosi a vicenda a quartiere a quartiere come venisse, cominciando a Santo Spirito. E il detto squittino fu compiuto dì XX d'ottobre MCCCXLIII. L'ordine fu assai comune e buono, quando non fosse poi corrotto. Ma trovossi poi per li tempi, quando si traevano i priori, che degli artefici minuti v'aveva più per la rata, che non fu l'ordine dato; e·cciò adivenne, che quando si fece lo squittino furono più forti nelle boci gli artefici delle XXI capitudini e·lli arroti popolani minuti, che·lle boci de' popolani grassi e de' mediani; e però si corruppe il buono ordine dato per li ambasciadori di Siena e per lo conte Simone.
XXIII
Come si riformaro gli ordini della giustizia sopra i grandi, e·ssi ricorressono in alcuna parte; e più casati di grandi furono recati a essere popolani.
Riformata la città di Firenze a signoria del popolo, come detto avemo, volendo il popolo rifare gli ordini della giustizia contro a' grandi, i quali aveva anullati il duca e poi l'uficio de' XIIII, come è detto adietro, gli ambasciadori di Siena e quelli di Perugia e 'l conte Simone, che a ogni nostra fortuna e pericolo ci avieno soccorsi e difesi, e col loro buono consiglio riformata la città a signoria del popolo, per amore e grazia di loro Comuni e di loro e pacifico stato di Comune e di popolo, e contentamento in alcuna parte di grandi che volieno bene vivere, e dimandarono al popolo due pitizioni: l'una, che i capitoli della giustizia dov'era la rigidezza e crudeltà, che' buoni uomini grandi consorti di mafattori portassono la pena di loro malifici, si correggesse; l'altra, che certe schiatte di grandi meno possenti e non malificiosi si recassono a popolo. Le quali petizioni furono asaudite in parte, come diremo apresso, e fermate per li consigli dì XXV d'ottobre MCCCXLIII. Prima dove diceva l'ordine della giustizia che dove il malfattore di grandi facesse micidio contra la persona d'alcuno popolare, oltre alla sua pena, tutta la casa e schiatta pagasse al Comune libre IIIm, si corresse che non toccasse, se non a' suoi propinqui, infino terzo grado per diritta linea; e dove mancasse il terzo grado, toccasse al quarto, con patto dove e quando rendessono preso il malfattore, o l'uccidessero, riavessono dal Comune le libre IIIm ch'avessono pagate. Tutti gli altri ordini della giustizia rimasono i·lloro primo stato. Le schiatte de' nobili di città e di contado che furono recate a popolo furono questi: i figliuoli di meser Bernardo de' Rossi, IIII de' Mannelli, tutti i Nerli di borgo Sa·Iacopo, e due di quelli dal ponte alla Carraia, tutti i Manieri, tutti gli Spini, tutti gli Scali, tutti i Brunelleschi, e parte degli Agli, tutti i Pigli, tutti li Allotti, tutti i Compibiesi, tutti gli Amieri, meser Giovanni di Tosinghi e fratelli e nipoti, e Nepo di meser..., messere Antonio di Baldinaccio degli Adimari e fratelli e nipoti, e alcuno altro loro consorto, tutti i Giandonati e Guidi, e altre schiatte quasi spente. Di nobili di contado, il conte da Certaldo e' figliuoli e' nipoti, il conte da Puntormo e' figliuoli e' nipoti; e con tutto ch'avessono nome di conti erano sì annullati, ch'erano al pari d'altri meno possenti gentili uomini; tutti quelli da Lucardo, quelli da Cacchiano, quelli da Monterinaldi, quelli dalla Torricella, quelli da Sezzata, quelli da Mugnano, i Benzi da Feghine, e da Lucolena, quelli da Colle di Valdarno, e quelli da Monteluco della Gerardinga, e più altre schiatte di contado anullati e divenuti lavoratori di terra. In somma furon Vc i tratti di grandi e recati a esere popolari, per fortificare il popolo e afiebolire e partire la potenza de' grandi coll'infrascritti patti e ordini. Ma certi altri grandi, onde non faremo menzione, che s'erano messi nella detta petizione, che s'erano messi a morte per francare il popolo, e francaro, per invidia non furono accettati per lo 'ngrato popolo; e tali sono le più volte i meriti de' servigi si fanno a' popoli, ispezialmente a quello di Firenze. I patti e' salvi furono questi. Che i detti grandi e nobili recati a benificio d'essere di popolo non possino esere di priori, dodici e gonfalonieri delle compagnie del popolo, o capitani di lega del contado infra cinque anni; ogni altro uficio possano avere; e·sse alcuno de' detti infra X anni pensatamente facesse micidio o tagliasse membro, o desse fedita innorma in persona d'alcuno popolano, o facesse fare, o ingiuriasse posessione di popolano, dichiaritosi per lo consiglio del popolo, dee a perpetuo esere rimesso tra' grandi. Ma nota che parecchie schiatte e case di popolani erano più degne d'esere messe tra' grandi, che·lla maggior parte di que' che per grandi rimasono, se andasse pari la bilancia della giustizia, per le loro ree opere e tirannie; e tutto è questo per difetti del nostro male reggimento. Fermati i detti ordini, e tratti del nuovo squittino i priori, e' dodici, e' gonfalonieri, ch'entrarono in calen di novembre apresso, si trovarono i più artefici minuti, onde il popolo fu contento, e aquetossi la città d'ogni sospetto e gelosia. E nota ancora e ricogli lettore che quasi in poco più d'uno anno la nostra città avute tante rivolture, e mutati stati di reggimento, ciò sono; inanzi che fosse signore il duca d'Atene signoreggiavano i popolari grassi, e guidarla sì male, come adietro avete inteso, che per loro difetto venne alla tirannica signoria del duca; e cacciato il duca tessono i grandi e' popolani insieme, tutto fosse piccolo tempo, e con uscita di gran fortuna. Ora siamo al reggimento quasi delli artefici e minuto popolo. Piaccia a·dDio che sia asaltazione e salute della nostra republica, onde mi fa temere per li nostri peccati e difetti, e perché i cittadini sono voti d'ogni amore e carità tra·lloro, ma pieni d'inganni e tradimenti l'uno cittadino contro all'altro; ed è rimasa questa maladetta arte in Firenze in quelli che·nne sono rettori, di promettere bene e fare il contrario, se non sono proveduti o di grandi prieghi o d'onde aspettino utile; onde, e non sanza cagione, permette Iddio il suo giudicio a' popoli; e questo basti a chi sente e intende.
XXIV
Alquante cose fatte in Firenze di nuovo.
Ne' detti tempi e mese di settembre, per servigi ricevuti dal conte Simone da Battifolle e da Guido suo nipote figliuolo del conte Ugo, il Comune gli ristituì le terre d'Ampinana, Moncione e Balbischio. E diliberossi il Comune d'Arezzo della signoria del Comune di Firenze, dando al servigio del Comune a' suoi bisogni C cavalieri di qui a IIII anni, rendendo al Comune fiorini... in... anni, che v'avea messi CCm di fiorini d'oro. Diedesi il castello di Pietrasanta al vescovo di Luni, acciò che guerreggiasse i Pisani coll'aiuto di meser Luchino signore di Melano suo cognato, come assai tosto faremo più stesa menzione. Per la rivoltura del duca si perdé la signoria d'Arezzo, e di Pistoia, e Serravalle, e di Volterra, e San Gimignano, e Colle, Pietrasanta, Santa Maria a Monte, e Montetopoli, Castiglione Aretino, e più altre castella, per colpa i più di nostri rei e barattieri cittadini castellani di quelle. E così riescono i nostri mali aquisti, quando il Comune è in divisione e male guidato. Ancora del detto mese s'apresono in Firenze più fuochi da Santo Apostolo e arsonvi XII case, e una a San Giorgio, e una a San Piero Gattolino, e una nel Corso di Tintori, e una a San Piero Celoro con grande danno; e tutto questo è del giudicio di Dio per li nostri peccati.
XXV
Come i Fiorentini rifeciono di nuovo pace co' Pisani.
Riformato il nuovo stato del popolo in Firenze per lo modo ch'avemo detto, per nonn-avere guerra di fuori per lo nostro variato stato, si fece accordo co' Pisani per lo nostro Comune con poco nostro onore, e guardando più secondo il tempo, con questi patti: che Lucca rimanesse libera alla signoria di Pisani, rimettendo in Lucca i loro usciti, chi vi volesse tornare, e i loro beni rendere alle loro famiglie, e di dare al Comune di Firenze di censo di Lucca, per lo debito, obrigati i Fiorentini per quella a meser Mastino, fiorini Cm d'oro in XIIII anni, ogn'anno la rata per la festa di san Giovanni; e rimanendo al Comune di Firenze tutte le castella e terre di Lucca che si tenieno, franchi i Fiorentini in Pisa di quello venisse per mare l'anno la valuta di CCm di fiorini d'oro allo stimo della legatia, che sono la valuta del quarto più, e da indi in su pagare danari II per libra; che sempre ab anticho erano i Fiorentini al tutto liberi e franchi, e' Pisani in Firenze. Ma per questi nuovi patti sono i Pisani franchi in Firenze l'anno la valuta di fiorini XXXm d'oro di loro mercatantia che venisse da Vinegia, e 'l soprapiù, pagare danari due per libra. Tale fu la 'nfinta pace co' Pisani rimagnendo la mala volontà; fu piuvicata e bandita a dì XVI di novembre MCCCXLIII. E con tutto che il duca la facesse co' Pisani al suo reggimento, come detto è adietro, fu in più casi più onorevole per lo nostro Comune che questa.
XXVI
Come mesere Luchino Visconti di Milano si fece nimico di Pisani.
Ma i Fiorentini, come toccammo adietro, lasciarono a' Pisani una mala azione, quando diedono Pietrasanta al vescovo di Luni di marchesi Malispini, il qual era cognato per la sirocchia moglie di meser Luchino Visconti signore di Milano, il quale indegnato contro a' Pisani, perché tenieno Serezzano, Lavenza, e Massa di marchesi, e altre loro castella in Lunigiana, né per suoi prieghi no·ll'avieno volute rendere, né a·llui data la 'mpromessa di molti danari gli restavano a date del gran servigio fatto della sua gente contro al nostro Comune, quando ci sconfissono a Lucca, e poi a sostenere l'assedio, ond'ebbono la città; per la quale ingratitudine di Pisani, e per la vergogna feciono a meser Giovanni Visconti stato loro capitano, quando uscì della nostra prigione, come toccammo adietro, e perché avieno cacciati di Lucca i figliuoli di Castruccio suoi amici e racomandati; e con coperto conforto de' Fiorentini col vescovo di Luni e colla serocchia, messere Luchino si fece nimico di Pisani, e mise in prigione XII stadichi ch'avea figliuoli di maggiori di Pisa, e mandò in aiuto al vescovo di Luni MCC di suoi cavalieri, capitano il detto meser Giovanni Visconti, i quali con altri che mandò apresso feciono molta guerra a' Pisani, faccendo capo in Pietrasanta, come tosto faremo menzione. Lasceremo alquanto di fatti di Firenze e de' Pisani, e diremo d'altre novità delli strani state in questi tempi per seguitare il nostro stile.

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Ultimo Aggiornamento:10/07/05 18:027