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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Terzo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO DODECIMO (58-86)

LVIII
Ancora della detta guerra da·nnoi a mesere Mastino.
Nel detto anno, a dì XXVIIII di gennaio, messere Piero Rosso si partì da Bovolento con IIm cavalieri e gente a piè assai, e andò a Padova, e assalì la porta del borgo d'Ognesanti, ch'era in trattato d'avere il detto borgo per tenervi l'oste, e affocata la porta per entrarvi dentro, e parte di sua gente ve n'entrò. La gente di mesere Alberto, ch'era in Padova, furono accorti, e missono fuoco nel borgo; per la qual cosa veggendo mesere Piero che non potea aquistare, si partì e tornò a Bovolento. Ma poco apresso, a dì VII di febraio, il detto meser Piero si partì di notte dal campo di Bovolento con CCC cavalieri eletti e con alquanti pedoni, e ordinò che MCC cavalieri richesti il seguissono apresso, e giunse di notte meser Piero al borgo di San Marco di Padova; e quello, come ordinato era, li fu dato, ed entrovvi colla sua gente. Li MCC cavalieri e pedoni che venieno apresso fallirono la notte il cammino. E per soperchia freddura e fiumi e canali a passare non poterono giugnere a Padova; ma poi che furono molto ravvolti, si tornarono a Bovolento: alcuni dissono che per inganni furono traviati. Messere Piero essendo nel detto borgo infino a ora di nona, e non giugnendo la sua gente, dubitò della stanza; e bisognava che meser Alberto e sua gente avessono saputo il vero: meser Piero e sua compagnia erano tutti morti e presi, però che in Padova avea più di IIm cavalieri e popolo grandissimo. Il valente messer Piero veggendosi a tal partito, come savio e aveduto capitano, con tutta sua gente armata fece sembianti d'assalire la porta della città e quella combattere, e faccendo vista d'avere presso il suo soccorso della sua gente che gli era fallita. Messere Alberto temendo della città fece di quella chiudere le porti e·llevare i ponti. Messere Piero e sua gente si ritrasse e uscì del borgo, faccendo al fine di quello mettere, fuoco, acciò che' nimici per quello nol potessono seguire, e con tutta sua gente si tornò la sera sano e salvo al campo di Bovolento. E nota che meser Piero andava sì spesso a Padova, però che al continuo era in trattato, con meser Marsilio da Carrara suo zio e co' suoi consorti, i quali, come dicemmo adietro più tempo passato, per gara di loro vicini e cittadini aveano data la signoria di Padova a meser Cane della Scala; e Messere Alberto e Mastino gli trattavano male, e maggiormente per lo 'nganno e tradimento fatti a' detti Rossi di Parma loro nipoti sotto loro confidanza, quando feceno rendere Parma, come adietro facemmo menzione. E poi a dì XX di febraio essendo partiti del campo da Bovolento da DL cavalieri, e cavalcato in sul padovano e·llevata grande preda, que' di Padova in quantità di DCCC cavalieri si pararono loro dinanzi ad un passo e combatterli e' nostri furon sconfitti, e rimasonvi tra morti e presi intorno di cento e più di mezza la preda. Per quella cagione a dì XXIII di febraio, meser Piero cavalcò con MD cavalieri fino alle porte di Padova, e prese un borgo e misevi fuoco, e arsonvi più di CCCC case. In questa cavalcata di meser Piero meser Mastino ordinò con ribaldi, e fece mettere fuoco nel campo da Bovolento, e arse bene il quarto, e tutta la camera dell'oste. E se non fosse il buono soccorso di quelli che v'erano rimasi a guardia, ardeva tutto; e così va ne' casi di guerra per pulire i peccati de' popoli. Tornato mesere Piero al campo, in pochi dì fu ristorato e rifatto l'arsione del detto campo, che i Viniziani di presente vi mandarono ogni guernimento che bisognava a·rraconcio della bastita. E pochi dì apresso all'entrata di marzo, si rubellò a mesere Mastino III ville, ciò furono Coldigrano in trevigiana, e Cittadella e Campo San Piero in padovana. Lasceremo alquanto della guerra del Mastino, e torneremo a' nostri fatti di Toscana e d'altre parti.
LIX
Come sotto trattato d'accordo cogli Aretini vollono i Perugini pigliare Arezzo, e poi ebbono Lucignano.
Nel detto anno, all'entrante del mese di febraio, non lasciando il nostro Comune per la grande impresa di Lombardia e di guerreggiare la città di Lucca e quella d'Arezzo, essendo la città d'Arezzo molto afritta da' Perugini e da' Fiorentini, però che da mesere Mastino non potieno avere soccorso perch'era assediato elli medesimo nella città di Padova, come detto è dinanzi; né d'altra parte da niuno Ghibellino d'Italia non poteano avere soccorso, e per loro male si poteano difendere da' detti due Comuni; in più trattati d'accordo e di pace furono da·lloro a' detti Comuni, ma più co' Perugini, che·lli tenieno più stretti, ed avieno de' loro prigioni. Alla fine i Perugini volieno sì larghi vantaggi e di castella e della signoria della città d'Arezzo, che i Tarlati che·nn'erano signori in nulla guisa si vollono accordare né fidare de' Perugini, però che in que' dì, stando nel detto trattato d'accordo co' detti Perugini, i detti Perugini di notte con grande forza di gente a·ppiè e a cavallo vennero infino alle mura d'Arezzo. E per alcuno della terra fu loro insegnato d'entrare per la fogna, overo cateratta, della gora delle mulina che corre per Arezzo; e alcuni di loro v'entrarono. Ma·cciò sentito nella terra, corsono con arme a·rriparo, e uccisono quelli ch'erano passati dentro; onde i Perugini la mattina si partirono e tornarsi a·cCortona; e per questa cagione si ruppe il trattato dell'acordo dagli Aretini a' Perugini. Ma de' Fiorentini si volieno ben fidare i Tarlati d'Arezzo, e dar loro la guardia della terra, però che meser Piero Saccone e meser Tarlato erano nati per madre di casa i Frescobaldi di Firenze, e aveanvi più singulari amici e parenti, e da' Fiorentini si tenieno meno gravati che da' Perugini. E così per la detta cagione de' Perugini si ruppe il trattato, e si ricominciò guerra contro agli Aretini, con tutto che nel segreto tuttora rimasono gli Aretini in trattato d'accordo co' Fiorentini. E rotto il detto trattato co' Perugini, quelli di Lucignano d'Arezzo, ch'erano molto oppressati da' Perugini per le loro masnade, che stavano nel Monte San Savino, sì mandarono a Firenze loro ambasciadori e sindachi con pieno mandato per dare Lucignano al Comune di Firenze. I Fiorentini no·lli vollono prendere per non dispiacere a' Perugini, né rompere i patti della lega; che intra gli altri patti era che ogni conquisto di terra o castella si facesse sopra il Comune d'Arezzo fosse a comune de' detti II Comuni. Ancora v'era lo 'nfrascritto patto, che i collegati della detta lega durante la detta lega per sé né per altrui né possa né debbia fare pace o triegua overo altra composizione overo alcuno trattato tenere co' nemici de' detti allegati sanza espressa volontà e consentimento de' detti collegati, bene ch'allora era già spirato il termine della detta lega; per la qual cosa i detti sindachi e ambasciadori di Lucignano se n'andarono poi a Perugia, e dieronsi liberi a·lloro: e' Perugini li presono sanza farne nulla richesta al Comune di Firenze. E per simile modo il vescovo d'Arezzo, ch'era de' detti collegati, si prese Montefocappio, un forte castello degli Aretini. Onde i Fiorentini sdegnarono molto, e seguirono apresso il trattato segreto co' Tarlati d'Arezzo, e misero a seguizione, come diremo apresso nel seguente capitolo.
LX
Come i Fiorentini ebbono per patti la città d'Arezzo e 'l suo contado.
Nel detto anno, a dì VII di marzo MCCCXXXVI, si compié il trattato e accordo dal Comune di Firenze a' signori Tarlati d'Arezzo in questo modo, ch'egli ebbono dal Comune di Firenze fiorini XXVm d'oro per la dazione della terra e rinunziagione della signoria di quella; e fiorini XIIIIm d'oro per la loro ragione e parte, che' detti messere Piero e meser Tarlato aveano nel viscontado comperato per lo vescovo d'Arezzo loro fratello da' conti Guidi, il quale, come dicemmo adietro, s'era renduto prima al Comune di Firenze, e fiorini IIImDCCC d'oro n'ebbe per patti Guido Alberti conte per la sua quarta parte del viscontado, e venderlo colla solennità si convenne al Comune di Firenze; che·ffu al Comune di Firenze uno nobile e bello aquisto, tutto fossero terre d'imperio. E oltre a·cciò il comune d'Arezzo ebbe inpresto dal Comune di Firenze fiorini XVIIIm per pagare le loro masnade a cavallo e a piè, ch'erano a pagare di presso a sei mesi; e e·lli diedono con solenni sindachi d'accordo quasi di tutti gli Aretini ch'erano inn Arezzo la signoria e guardia della città d'Arezzo e del contado al Comune e popolo di Firenze per tempo e termine di X anni a venire con mero e misto imperio, rimanendo a' Tarlati tutte loro posessioni e castella, e lasciando i Tarlati ogni signoria, e rimanendo semprici cittadini d'Arezzo alla guardia del Comune di Firenze, faccendoli i Fiorentini cittadini e popolani di Firenze, e altri vantaggi per guardia di loro. E a dì X del detto marzo a ora di nona i Fiorentini ebbono la posessione della città d'Arezzo per lo modo diremo apresso. Che v'andarono a prenderla XII de' maggiori cittadini di Firenze grandi e popolani con sindacato e pieno mandato, e i·lloro compagnia D cavalieri in arme, e IIIm e più pedoni del Valdarno di sopra. A' quali gli Aretini, uomini e donne, piccoli e grandi, con solenne processione e grande allegrezza e buona voglia con rami d'ulivo in mano, gridando: "Pace, pace, e viva il Comune e popolo di Firenze!", vennono loro incontro presso a due miglia. E giunti alla città con grande onore e magnificenza furono ricevuti per meser Piero Saccone che·nn'era stato signore. Fu dato il gonfalone del popolo d'Arezzo e·lle chiavi delle porti al sindaco del Comune di Firenze con nobile diceria e grandi autorità, magnificando il popolo e Comune di Firenze. E poi i detti XII nostri cittadini riformarono la città di podestà per patti, i primi sei mesi meser Currado de' Panciatichi di Pistoia del lato guelfo, e gli altri seguenti VI mesi meser Giovanni Panciatichi suo fratello. Dall'anno inanzi dovieno esere podestà fiorentini alla lezione del Comune di Firenze; e per simile modo rifermarono la città d'Arezzo di nuovi anziani cittadini d'Arezzo, quelli che a·lloro piacque, Guelfi e Ghibellini. E capitano di guardia e conservadore di pace fu Bonifazio de' Peruzzi grande popolano, il primo per termine di VI mesi con XXV cavalieri e fanti; e poi per conseguente di sei in sei mesi il detto uficio, uno popolano guelfo di Firenze alla elezione del detto Comune di Firenze; e rifeciono popolo in Arezzo, e diedono i gonfaloni delle compagnie del popolo. Ed ebbono gli Aretini per lo Comune di Firenze perpetua pace, dimettendo e perdonando ogni ingiuria, interessi e danni ricevuti, l'uno Comune dall'altro, rimettendo i Guelfi in Arezzo, e ogni altro uscito che vi potesse tornare, cancellando ogni bando e levando ogni rapresaglia e divieto dall'uno Comune all'altro, e singulari persone e·lloro seguaci. E poi a dì X d'aprile vegnente mesere Piero Saccone venne in Firenze con certi de' suoi consorti e altri buoni uomini d'Arezzo, con più di cento a cavallo. Da' Fiorentini fu ricevuto onorevolemente come gran signore, e dimorò in Firenze VI dì; e alla fine ricevuti più corredi da' priori, e dati continovo desinare e cene a' cittadini, alla sua partita fece un corredo in Santa Croce molto nobile, ov'ebbe M o più buoni cittadini alla prima mensa, con IIII messe di pesce, molto onoratamente serviti da donzelli di Firenze, fornita tutta la corte di capoletti franceschi molto nobili. E in questa stanza, a dì XVI d'aprile, i marchesi del Monte Sante Marie co' castellani e col favore e masnade di Perugini per tradimento presono il castello di Monterchi, salvo la rocca, che v'era uno de' Tarlati. Per la qual cosa meser Piero e sua gente si partì di Firenze sùbito; ma il capitano della guardia d'Arezzo, sanza attesa, avuta la novella vi fece cavalcare CCCL cavalieri delle masnade di Firenze ch'erano in Arezzo, con popolo assai di volontà colle 'nsegne del Comune di Firenze, e venuti a Monterchi il dì di venerdì santo, trovarono i nimici accampati di fuori del castello e parte dentro; più prieghi furono fatti a' detti marchesi e a' castellani e a quelli conestaboli che v'erano per lo Comune di Perugia, che per amore del Comune di Firenze si dovessono partire e·llasciare il castello ch'era a·lloro guardia; dopo molte parole scusandosi non facieno contro al Comune di Firenze, ma contro a' Tarlati loro nimici, e dilaiando per parole, attendendo la cavalleria di Perugia, che venia al soccorso, quelli che v'erano per lo Comune di Firenze ciò sentendo per loro spie, assalirono il campo de' castellani e de' marchesi ch'erano schierati in arme, e forte combattendo in poca d'ora gli sconfissono; e poi combattendo entrarono nella terra, e per forza d'arme la raquistaro con gran danno di castellani e di loro seguaci; e più sarebbe stato di morti, se non fosse la divozione del dì ch'era. Di questo raquisto di Monterchi i Tarlati e tutti gli Aretini si tennono molto contenti di Fiorentini, e presono di loro maggiore confidanza. E poco apresso i Fiorentini ordinarono in Firenze XII consiglieri popolani due per sesto di tre in tre mesi, con grande balìa co' priori insieme a provedere al continuo sopra lo stato pacifico e guardia d'Arezzo. E di presente per ciò seguire ordinarono e feciono cominciare e compiere uno grande e forte castello al di sopra della piazza di Perci della città d'Arezzo, il quale costò più di XIIm fiorini d'oro pagati per li Fiorentini; e ordinarvi II castellani con C fanti alla guardia, e fornito tuttora per VI mesi di vittuaglia e d'arme e di guernimento grandissimo; e al continuo si teneva in Arezzo per li Fiorentini il meno CCC cavalieri di loro masnade alla guardia, e più come bisognava. Di questo castello parte degli Aretini ne furono contenti, spezialmente i Tarlati e' loro seguaci, per sicurtà di loro, che disposti loro della signoria quasi tutto il popolo gli odiava, i Guelfi perch'erano loro nimici, e i Ghibellini perch'erano mal contenti, perch'aveano data la terra; ma al vero i più degli Aretini ne furono mal contenti. Ma poi vi feciono fare i Fiorentini in Arezzo un altro piccolo castello sopra la porta del piano che va a·lLaterino, per più sicura entrata, con corridoio di fuori grande tra 'l muro e parapetto per li cavalieri, e·ssu per le mura per li pedoni per correre dall'uno castello all'altro. In somma i Fiorentini misero inn-Arezzo in uno anno tra di questo e di dono più di Cm fiorini d'oro, sanza quelli vi si spesono poi, che·ffu un gran fatto, compensando la spesa di Lombardia e·ll'altre spese che facea il Comune di Firenze e a mantenere la guerra al continovo contro a·lLucca. Del detto aquisto della città d'Arezzo, tutto costasse a' Fiorentini danari assai, n'agrandì e montò molto la magnificenza del Comune di Firenze, e da lungi di gran fama per tutti i Cristiani, che 'l sentirono, e d'apresso più onorati e dottati dalle comuni vicinanze. Il detto aquisto, tutto fosse mediante costo di moneta, e industria di certi nostri cittadini che 'l trattarono, che non ne valsono di peggio al modo usato di corrotti cittadini; ma di certo, se non fosse stato la nobile e alta impresa di Lombardia, e risistenza fatta contro a meser Mastino per lo Comune di Firenze e quello di Vinegia, non venia fatto, che i signori Tarlati non vi sarebbono mai aconsentiti; ma feciollo per la cagioni dette per non potere altro, perduta ogni speranza di soccorso. E nota che più di LX anni era stata retta la città d'Arezzo per parte ghibellina e imperiale, e quasi in guerra col Comune di Firenze.
LXI
Ancora delle sequele de' fatti d'Arezzo da·nnoi a' Perugini.
Dapoi che' Fiorentini ebbono la città d'Arezzo per lo modo detto nel passato capitolo, i Perugini isdegnarono forte contro a Fiorentini, tegnendosi da·lloro ingannati e traditi per li patti, ch'avieno avuti insieme della lega fatta tra·lloro e col re Ruberto e co' Bolognesi, e mandarne in Firenze loro ambasciadori a dolersi di ciò e in piuvico consiglio, ove fu loro risposto saviamente a tutti i loro capitoli, come per ragione e secondo i patti contro a·lloro non s'era fallito in niuno articolo, però che·lla lega non conteneva niente, che dandosi la città d'Arezzo a niuno de' detti Comuni, l'uno all'altro fosse tenuto, o·ssi rompesse lega; e già era il termine della lega ispirato; mostrando ancora a' Perugini come gli Aretini in niuna guisa si volieno accordare o fidare di Perugini per cagione delli loro collegati ghibellini, vescovo d'Arezzo, Pazzi, Ubertini, conti da Montefeltro, Nieri da Faggiuola, conti da Montedoglio, e' figliuoli di Tano da Castello, e il signore di Cortona, e tutti i loro usciti, i quali erano nimici caporali de' Tarlati. E se i Fiorentini non avessono preso Arezzo sanza indugio, come feciono, di certo potea riuscire in mal luogo per parte guelfa e per l'uno Comune e per l'altro. Ancora allegando come prima avieno fallito i Perugini e rotti i patti a' Fiorentini, quando presono Lucignano d'Arezzo per lo modo detto per noi nel terzo capitolo innanzi a questo. Ma secondo buona e caritevole compagnia non era però del tutto licito di fare per Fiorentini, che come dice il Provenzale in sua gobola "Uomo saggio non dee faglia per l'altrui faglia". Ben dice la legge in alcuna parte: "Qui frangit fidem, fides frangatur eidem"; ma·cciò non basta alla magnificenza del nostro Comune. Ma come si fosse, o ragione o torto dell'uno Comune o dell'altro, o d'ambedue, i Perugini rimasono mal contenti. Alla fine dibattuta la quistione per ambasciadori dell'uno Comune e dell'altro, si trovò un mezzo d'accordo, che i Perugini avessono in Arezzo un giudice d'appellaggione in termine di V anni sotto titolo di conservadore di pace con salaro di D fiorini d'oro in sei mesi con sua famiglia. Questo uficio fu in nome più che in fatto, però ch'al tutto erano gli ufici e signoria d'Arezzo di Fiorentini. E dopo il termine di V anni dovessono rimanere a' Perugini il castello d'Anghiari, e Foiano, e Lucignano, e Monte San Savino, ch'ellino s'aveano presi e si tenieno; e pace faccendo cogli Aretini, lasciando mesere Ridolfo Tarlati e i figliuoli e più altri prigioni d'Arezzo, ch'elli aveano in prigione in Perugia, presi nella Città di Castello quando l'ebbono, come contammo adietro. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze e d'Arezzo e di Perugia, ch'assai n'è detto, e torneremo a nostra matera a seguire il processo della guerra di Lombardia contro a meser Mastino.
LXII
Come per ordine di mesere Mastino volle esere morto mesere Piero Rosso a Bovolento per rompere l'oste nostra.
All'uscita del mese di marzo, cominciando l'anno MCCCXXXVII, essendo mesere Piero Rosso capitano dell'oste nostro e de' Viniziani all'asedio di Padova a Bovolento, per trattato di Messer Mastino da certi conestaboli tedeschi ch'erano nell'oste, con séguito di mille cavalieri, volle esere tradito e morto; ma come piacque a·dDio, si scoperse il trattato, e non vegnendo loro fatto, si partirono e missono fuoco nel campo, e arsene gran parte; per la qual novità fu grande scompiglio alla nostra oste. Ma il valentre meser Piero per l'accidente occorso, poco ismosso dagli aguati della fortuna, non dubitando; ma a dì V d'aprile apresso con IIIm cavalieri cavalcò subitamente infino alle porte di Trevigi, e fece loro gran danno di preda e d'arsione, lasciando a guardia del campo a Bovolento M cavalieri. E nota che in quelli tempi all'asedio di Padova avea al soldo de' Fiorentini e Viniziani Vm uomini a cavallo con barbute, sanza quelli da·ppiè ch'erano grande quantità, sanza l'oste che in que' tempi il Comune di Firenze fece sopra la città di Lucca, come faremo menzione nel seguente capitolo; che considerato lo stato d'Italia, la città di Firenze mostrò con effetto gran potenza. In questi tempi, a dì XIIII di maggio, si rifermò la lega da·nnoi a' Viniziani cogli altri Lombardi contro a meser Mastino; e·ll'avogaro di Trevigi per soperchi ricevuti si rubellò da meser Mastino col suo forte Castello Nuovo, e venne in persona a Vinegia per allegarsi coll'altra lega.
LXIII
Come i Fiorentini feciono oste sopra Lucca.
A dì XVI di maggio del detto anno MCCCXXXVII mesere Azzo da Coreggia, sentendosi in Lombardia che' Fiorentini volieno fare oste a Lucca, venne per meser Mastino per suo vicaro in Lucca con CCC cavalieri alla guardia della città. I Fiorentini per la sua venuta, e per oservare i patti della lega, avendo ordinata oste sopra Lucca, e·lla lega di Lombardia sopra Verona, a dì XXX di maggio si diedono le 'nsegne, e mosse l'oste; e furono i Fiorentini co·lloro soldati DCCC cavalieri e popolo grandissimo, onde fu capitano Orlando de' Rossi da Parma, uomo grosso e materiale, ma per amore di meser Piero e di mesere Marsilio Rossi, ch'erano in Lombardia al servigio de' Fiorentini e Viniziani, li feciono quello onore. E di Bologna in servigio de' Fiorentini furono CL cavalieri, e da meser Malatesta da Rimino C cavalieri, da Ravenna XXX, da Perugia C cavalieri, d'Arezzo meser Piero Saccone de' Tarlati con LX cavalieri e con C fanti, e del Comune d'Arezzo CCC fanti, d'Orbivieto LX cavalieri, del re Ruberto CLXXX cavalieri, della Città di Castello XXXV cavalieri, da Cortona cento fanti; da Siena C cavalieri, ma non vollono andare in su quello di Lucca, istettono alla guardia di Sa·Miniato, però che non vollono esere alla lega. E poi, partita l'oste, soldarono i Fiorentini CCCXL cavalieri di quelli della compagnia della Colomba, ch'erano stati co' Perugini, e mandarli nella detta oste; sicch'ella fu di IIm cavalieri e popolo assai; e guastarono Pescia e Buggiano e·ll'altre castella di Valdinievole, e andarono infino a Lucca e di là dal Serchio sanza contasto alcuno, faccendo gran guasto. Tornò la detta oste in Firenze a dì XXX di luglio male ordinata, però che fu sanza ordine e male capitanata.
LXIV
Come la forza della lega cavalcarono sopra la città di Verona, e partirsene con poco onore.
Tornando a nostra materia della guerra da·nnoi a meser Mastino, com'era dato l'ordine della lega, esendo la nostra propia oste sopra la città di Lucca, come detto avemo, mesere Marsilio Rosso, uomo di gran senno e valore, si partì dall'oste da Bovolento a dì VIIII di giugno del detto anno con IImCCCC cavalieri di nostri e de' Viniziani, rimanendo al campo di Bovolento mesere Piero Rosso con MDC cavalieri e popolo assai; e andonne a Mantova meser Marsilio per cavalcare sopra Verona, e a dì XX del detto giugno vi giunse in Mantova messer Luchino Visconti di Melano cogli altri allegati di Lombardia, co' marchesi da Esti, e con quelli da Gonzago di Mantova, in somma co' nostri cavalieri e de' Viniziani più di IIIIm, onde fu fatto capitano generale mesere Luchino detto; e di presente cavalcarono fin presso alla città di Verona. E meser Carlo figliuolo del re Giovanni, ch'era alla lega nostra de' Lombardi contro a meser Mastino, venne di Chiarentana con suo sforzo. E in quelli giorni ebbe che·lli si arendero la città di Belluna e poi quella di Feltro, che·ssi tenieno per meser Mastino. Il tiranno mesere Mastino, veggendosi così accanato dalla forza della lega da tante parti, come disperato, ma però francamente, uscì di Verona con IIIm cavalieri e popolo grande, e richiese di battaglia meser Luchino e gli altri allegati. Mesere Luchino o per sua viltà, che così si disse, overo per tema di tradimento, overo che·ll'uno tiranno al tutto non vuole abattere l'altro, ma quale si fosse la cagione, veggendo che meser Mastino colle sue forze uscito a·ccampo per combattere, la notte a dì XXVII di giugno si sbarattò la nostra oste e della lega, e villanamente si dipartirono chi da una parte e chi da un'altra, onde messere Luchino fu molto spregiato. Messere Mastino avendo vinto quella punga prese vigore, e·llasciata fornita Verona, si partì con IImD cavalieri, e venne presso a Mantova a VII miglia sanza alcuno contasto. E poi sentendo che' Padovani tenieno trattato con mesere Piero Rosso perché meser Marsilio Rosso e·lla sua cavalleria non potesse tornare al campo di Bovolento, subitamente si mosse il primo dì di luglio, e in due giorni fu posto in sul canale tra Bovolento e Chioggia, acciò che vettuaglia o altro fornimento non potesse venire da Vinegia né da Chioggia all'oste di Bovolento, e per impedire mesere Marsilio ch'era ivi presso colla sua gente e cavalleria a V miglia, e per la sùbita venuta di meser Mastino non potea andare più inanzi sanza grande pericolo di lui e di sua gente. E venia fatto a meser Mastino al tutto di rompere quella oste, se non fosse la provedenza di meser Piero Rosso ch'era all'oste a Bovolento, che sapiendo che meser Mastino era in parte ch'elli non potea aver acqua per la sua oste, se non di quella del canale, ordinò che tutta l'ordura dell'oste di Bovolento al continuo si gittasse nel canale; e oltre a·cciò in quella contrada ha molta erba, che·ssi chiama cicuta, donde del sugo si fa veleno; faceva cogliere a' ribaldi, e tagliare, e pestare, e gittare per lo canale; per la qual cosa l'acqua del canale venea sì corrotta all'oste di mesere Mastino, che v'era presso a·ttre miglia, che uomini né bestie non ne potieno né ardivano di bere; e quale uomo o bestia ne beveano erano a pericolo di morte. Per la qual cosa convenne di nicissità che meser Mastino colla sua oste si levasse e partisse, e tornandosi a Verona a dì XIII di luglio. E il dì apresso messere Marsilio Rosso colla sua cavalleria passò e venne al campo di Bovolento. E nota, lettore, isvariate vicende e casi che·ffa la fortuna del secolo, spezialmente nelle guerre, che in pochi dì la guerra da·nnoi a meser Mastino fu inn-istretti partiti d'esere vinta e perduta per ciascuna parte, come fatto avemo menzione.
LXV
Come la città di Padova s'arrende a mesere Piero Rosso, e fuvi preso mesere Alberto della Scala.
Partito meser Mastino e perduta la punga della sua impresa, e messere Marsilio Rosso colla sua cavalleria tornato al campo di Bovolento, come detto è, e·ll'oste nostra molto rinvigorita, incontanente mesere Piero con tutta l'oste si partì dal campo di Bovolento, ove tanto era dimorata, e puosonsi presso alle mura di Padova; a dì XXII del mese di luglio del detto anno i Padovani, a' quali pareva male stare per la tirannia di quelli della Scala, spezialmente a meser Albertino da Carrara e a' suoi ch'avieno data la terra a meser Mastino, ed elli in ogni cosa gli trattava come servi o ischiavi, ispezialmente il matto e scellerato mesere Alberto della Scala ch'era alla guardia di Padova, e sentendo partito meser Mastino colle sue forze, e·ll'oste nostra e di Viniziani così possente di costa alla città, dond'erano capitani i suoi parenti messere Piero e mesere Marsilio de' Rossi, ordinarono di tradire e di pigliare meser Alberto della Scala con tutti i suoi consiglieri e caporali e conestaboli ch'erano in Padova; e così venne loro fatto, e·llevarono la città a romore. E quelli del campo con ordine fatta assalirono la terra da più parti: quelli da Carrara col popolo corsono a furore al palazzo e presono mesere Alberto e tutti i suoi seguaci, e apersono la porta verso il campo, e missono nella città meser Piero e meser Marsilio Rosso con tutta la cavalleria; i quali entrarono nella città con più di IIIIm cavalieri, sanza i pedoni, a dì III d'agosto MCCCXXXVII. E corsono la città sanza fare nullo male o ruberia, se nonne a' soldati e gente v'erano con messere Alberto della Scala. E il detto mesere Alberto co' caporali ch'erano co·llui ne furono mandati prigioni a Vinegia. E meser Albertino da Carrara fatto signore di Padova, e messo alla lega con CCCC cavalieri di taglia. Dell'aquisto di Padova si fece grande allegrezza in Vinegia e in Firenze e in tutte le terre guelfe di Toscana.
LXVI
Come morì il valentre capitano messere Piero Rosso, e poco apresso messer Marsilio suo fratello.
Pella perdita di Padova e presura di mesere Alberto della Scala e de' suoi seguaci e consiglieri molto abassò la potenza e·llo stato di meser Mastino e di suoi, e così ne montò la grandezza de' Fiorentini e de' Viniziani e delli altri collegati di Lombardia, e massimamente de' Rossi di Parma, avendo fatta sì alta vendetta di meser Mastino e di messere Alberto della Scala, colla speranza della loro vittoria e stato di raquistare la signoria della loro città di Parma; e sarebbe loro venuto fatto assai tosto coll'aiuto e potenza di Fiorentini e Viniziani e degli altri della lega. Ma·lla fortuna fallace delle cose mondane le più volte dopo la grande allegrezza e vana filicità per lei mostrata è tosto con uscimenti miseri e dolorosi; e così avenne molto poco apresso, che tegnendosi per meser Mastino il forte e ben guernito castello di Monselici, di presente avuta Padova, meser Piero vi cavalcò con grande oste a·ccavallo e a piè, e a' borghi di sotto faccendo dare continovi e solleciti assalti e battaglie da più parti, e quasi vinti per lui parte de' fossi e delli steccati di quelli, aversi i borghi per forza di battaglia, meser Piero per dare più vigore di combattere alle sue genti smontò da·ccavallo, e a piè con più altri cavalieri, la quale capitaneria già non fu lodata, ma ripresa. Combattendo meser Piero l'antiporto, lanciata gli fu una corta lancia manesca, la quale il percosse alla giuntura delle corazze e ficcoglisi per lo fianco. Il valente capitano però non ismagato si trasse il troncone del fianco, e gittossi nel fosso di costa all'antiporto per passare alla terra, credendola avere vinta. Per la qual cosa l'acqua gli entrò per la piaga, e quella incrudelita per lo molto sangue perduto, il valentre e vertudioso duca spasimò, e per li suoi tratto del fosso e portato per lo canale in burchio così fedito a Padova, il quale passò di questa vita a dì VII d'agosto del detto anno MCCCXXXVII: della cui morte fu grandissimo danno a tutta quanta la lega, imperò che egli era il più sofficiente capitano e savio di guerra e prode di sua persona, che nullo altro ch'a·ssuo tempo fosse non che in Lombardia, ma in tutta Italia. Fu soppellito alla chiesa di San Francesco in Padova con grande corrotto, onorato il corpo suo, come a grande signore si convenia; in Firenze e in Vinegia avuta la novella se ne fece grande dolore. E poi fatto per sua anima l'esequio con grande solennità, messer Marsilio suo fratello per soperchio affanno per lui durato nell'aspre cavalcate, com'è detto adietro, innanzi che meser Piero fosse morto, era caduto malato in Padova, e colla giunta del dolore della morte di messer Piero s'accorò duramente l'animo, e come piacque a Dio, passò di questa vita a dì XIIII del detto mese d'agosto, e fu sopellito in Padova di costa al fratello a grande onore. Questo meser Marsilio era de' più savi e valorosi cavalieri di Lombardia, e del migliore consiglio. E così in pochi dì quasi fu annullata la casa de' Rossi di Parma, quand'erano per ricoverare loro stato. Lasceremo alquanto de' fatti di Lombardia, e diremo d'altre novità che furono a que' tempi.
LXVII
Di novità fatte in questi tempi in Firenze, e di grande dovizia fu di vittuaglia.
Ritornando alquanto adietro per seguire l'ordine del tempo nel nostro trattato, all'uscita di giugno del detto anno MCCCXXXVII nacquero in Firenze VI lioncini della lionessa vecchia e delle due giovani sue figliuole. La qual cosa secondo l'agurio delli antichi pagani fu segno di grande magnificenzia della nostra città di Firenze; e certo in questo tempo e poco apresso fu in grande colmo e potenzia, come leggendo poco apresso si potrà trovare. De' detti piccoli lioni alquanto cresciuti il Comune di Firenze ne fece presenti a più Comuni e signori loro amici. E nel detto anno, a dì XXVIIII di luglio, si cominciò a fondare i pilastri della loggia d'Orto Sammichele di pietre conce, grossi e ben formati, ch'erano prima sottili, e di mattoni, mal fondati. Furonvi a·cciò cominciare i priori e podestà e capitano con tutto l'ordine delle signorie di Firenze con grande solennità; e ordinarono che di sopra fosse un grande e magnifico palazzo con due volte, ove si governasse e guardasse la provisione del grano ogn'anno per lo detto popolo. E·lla detta opera e fabrica si diè in guardia all'arte di porta Santa Maria, e diputossi al lavorio la gabella della piazza e mercato del grano e altre gabellette di piccole entrate a tale impresa, a volerla tosto compiere. E ordinossi che ciascuna arte di Firenze prendesse il suo pilastro, e in quello facesse fare la figura di quel santo in cui l'arte ha riverenza; e ogni anno per la festa del detto santo i consoli della detta arte facessono co' suoi artefici offerta, e quella fosse della compagnia di Santa Maria d'Orto San Michele per dispensare a' poveri di·dDio; che·ffu bello ordine e divoto e onorevole a tutta la città. In quel tempo la notte del dì XXX di luglio, che 'l dì era tornata l'oste da Lucca, s'aprese il fuoco Oltrarno in via IIII Leoni, e arsonvi III case con gran danno. E·lla notte medesima s'aprese nel monistero delle donne della Trinita in campo Corbolino, e arse il loro dormentoro. In questo anno in Firenze e d'intorno in Toscana fu grande dovizia e abondanza di vettuaglia, e in Firenze valse lo staio del grano al colmo soldi VIII di soldi LXII il fiorino dell'oro, che·ffu disordinata viltà al corso usato, e a interesso di coloro ch'avieno le posessioni, ed eziandio di lavoratori di quelle; ma poco tempo apresso ne fu vendetta di grande carestia, come inanzi faremo menzione.
LXVIII
Come in questo anno aparirono in cielo due stelle comete.
Nel detto anno, all'entrata di giugno, aparve in cielo la stella comata chiamata Ascone, con grande chioma, cominciandosi quasi a vista sotto la tramontana quasi nella regione del segno del Tauro, durando più di IIII mesi atraversando l'emisperio insino al mezzogiorno, e·llà ebbe fine. E poi apresso, inanzi che quella venisse meno, n'aparve un'altra nella regione del segno del Cancro chiamata Rosa, e durò da due mesi. Queste stelle comate non sono stelle fisse, benché stelle paiano co' raggi, o chiome, o nubolose; ma dicono i filosofi e astrolagi che·cciò sono vapori secchi, e talori misti, che·ssi criano entro l'aria del fuoco sotto il cielo della luna per grandi congiunzioni de' corpi celesti, ciò sono le pianete; e sonne di nove maniere, quale per la potenza di Saturno, e quale di Giove o di Marte, e così degli altri, e tali miste di due pianete o più. Ma quale si sieno, ciascuna è segno di futura novità al secolo, il più in male, e talora segno di morte di grandi re e signori, o tramutagioni di regni e di genti, e massimamente nel crimato del pianeto che·ll'ha criata, dove stende sua signoria; ma·lle più significano male, cioè fame e mortalità, e altri grandi accidenti e mutazioni di secoli; e queste pure significarono grandi cose e novità, come leggendo poco apresso si potrà vedere per buono intenditore e discreto.
LXIX
Di battaglie in mare tra' Genovesi e Viniziani.
Nel detto anno e mese di giugno X galee degli usciti guelfi di Genova armate a Monaco trovandosi in Romania in corso con altre X galee del Comune di Vinegia si combatterono insieme, e·lle Viniziane furono sconfitte e prese la maggiore parte con grande loro dannaggio d'avere e di persone; ma però i Viniziani non s'ardirono di cominciare guerra scoperta co' Genovesi d'entro o quelli di fuori.
LXX
Come la città di Bologna venne alla signoria di meser Taddeo di Peppoli loro cittadino.
Nel detto anno, a dì VII di luglio, essendo i Bolognesi in male ordine e peggiore disposizione tra·lloro di sette e di parti, dapoi che uscirono dalla signoria della Chiesa e del legato, volendo ciascuna casa di coloro che 'l cacciarono esere signori, i Peppoli co·lloro seguaci di popolo furono ad arme, e cacciarono di Bologna meser Brandalis Goggiadini, quelli propio che·ffu principale a cacciarne il legato e' suoi consorti e seguaci. E poi apresso, a dì XXVIII d'agosto, messer Taddeo figliuolo che·ffu di Romeo de' Peppoli coll'aiuto de' marchesi da Ferrara suoi parenti si fece fare capitano di popolo e signore di Bologna. E poi conseguente a dì II di gennaio il papa apo Vignone fece aspri processi contro al detto meser Taddeo e contro al Comune di Bologna, perché non volieno ubidire la Chiesa, né amendare il danno fatto al legato, quando il cacciarono di Bologna. E poi apresso all'uscita del mese di marzo seguente si scoperse tradimento e congiura in Bologna, i quali avieno ordinato d'uccidere il capitano e torli la signoria; e di ciò era caporale Macerello de' conti da Panago stretto parente del detto capitano, e di cui più si fidava, con suo séguito e d'alcuno di Ghisolieri e altri Bolognesi. Il quale trattato scoperto, alcuno ne fu preso e tagliato il capo. Ma quello Macerello con molti altri uscirono di Bologna rubelli. E meser Taddeo al tutto rimase signore, e fortificossi di stato e di gente d'arme, tenendo DCCC soldati alle spese del Comune, e allegossi co' Fiorentini. E nota, lettore, se·lla comata, onde dinanzi facemmo menzione, ch'aparì nel segno del Tauro, il quale troviamo intra altre città e paesi essere attribuito alla città di Bologna, e mostrò assai tosto le sue infruenze di tanta mutazione di signoria alla città di Bologna. E come più adietro facemmo menzione, quando il legato cardinale ne fu cacciato, poco dinanzi scurò la luna nel segno del Tauro, e per alquanti intendenti di quella scienzia fu pronosticato dinanzi la mutazione di Bologna contro al legato, e noi fummo di quelli che·llo 'ntendemmo, con tutto che·ll'operazioni di lui e di sua gente e uficiali assai aparecchiarono l'opere e·lla matera alla costellazione, onde si sperava quella uscita. Assai avemo detto de' fatti di Bologna, ma ènne paruto di nicistà, come di città vicina e amica di Firenze, considerando l'antica unione e libertà e stato e potenza del buono popolo di Bologna, tornato a' nostri tempi per discordie e signoria tirannica di singulare cittadino, per dare asempro alla nostra città e popolo di Firenze a·ssapere i nostri cittadini guardare la libertà della nostra republica, e non cadere a tirannia di signore. Onde mi fa temere della nostra città di Firenze per le discordie e, male reggimento: e questo basti a' buoni intenditori.
LXXI
Della morte del re Federigo di Cicilia, e di novità ne seguì all'isola.
Nel detto anno, a dì XXIIII di giugno, morì di suo male don Federigo re, che tenea l'isola di Cicilia: lasciò più figliuoli, ma il suo maggiore don Piero, cui egli a·ssua vita avea coronato re, come in adietro in alcuna parte si fece menzione, ed era quasi uno mentacatto; per la qual cosa dopo la morte del padre molte mutazioni ebbe l'isola, che 'l conte Francesco di Ventimiglia, de' maggiori baroni dell'isola, per soperchi ricevuti dal detto Federigo prendendo parte contro a·llui per lo conte di Chiermonte suo cognato, si rubellò con tutte le sue castella, e cercò trattato col re Ruberto di Puglia, di cui di ragione era l'isola, e mandò a Napoli un suo figliuolo. Ma per suo poco senno, overo peccato, affrettandosi troppo inanzi ch'avesse soccorso del Regno, male glie n'avenne, che cavalcandogli adosso l'oste del re Piero, subitamente per iscontrazzo presono due suoi figliuoli, e per simile modo egli in persona con un altro suo figliuolo scontrandosi co' nimici, combattendo furono morti. E così fu quasi distrutto quello lignaggio, e perderono tutte loro castella, che·nn'avea assai e forti; ma però l'isola rimase in grande tribolazione e sospetto, come inanzi faremo menzione. Lasceremo di ciò, e diremo alquanto della guerra dal re di Francia e quello d'Inghilterra.
LXXII
Come il re di Francia fece prendere l'Italiani, e piggiorò la sua moneta; e come l'armata del re d'Inghilterra venne in Fiandra.
Nel detto anno MCCCXXXVII Filippo di Valos re di Francia, lasciato il suo buono proponimento giurato del santo passaggio d'oltremare, come adietro facemmo menzione, per seguire la guerra cominciata col re d'Inghilterra, per la sua avarizia cominciò a seguire male sopra male; che inn-una giornata, a dì X d'aprile, per tutto il suo reame subitamente fece prendere tutti l'Italiani, così i mercatanti e·lle compagnie di Firenze e d'altre parti come i prestatori a usura, e tutti gli fece rimedire, pognendo a ciascuno certa grande taglia di moneta, e convennela a ciascuno pagare. E fece fare nuova moneta d'oro, che·ssi chiamavano scudi, piggiorando la lega della buona moneta XXV per C, e·lle monete dell'argento all'avenante. E poi fece un'altra moneta d'oro, che chiamò leoni, e poi un'altra che chiamò padiglioni, piggiorando ciascuna e di lega e di corso, per modo che dove il nostro fiorino d'oro, ch'è ferma e leale moneta e di fine oro, valea alla buona moneta ch'era prima in Francia soldi X di parigini inanzi fosse gli anni MCCCXXXVIIII, valse il fiorino d'oro in Francia soldi XXIIII e mezzo di parigini e il quarto più a tornesi piccioli. E poi l'anno MCCCXL fece un'altra moneta nuova d'oro chiamata agnoli, e peggiorolla tanto, e così quella dell'argento, e' piccioli, che 'l nostro fiorino d'oro valse a quella moneta soldi XXX di parigini. Lasceremo alquanto a dire delle corrotte monete del re di Francia, e seguiremo a nostra matera dell'ordine della detta guerra, cioè che poi del mese di luglio vegnente alla festa della Maddalena, com'era ordinato per la lega e giura fatta contro al re di Francia, il Bavero, che·ssi facea chiamare imperadore, venne a Colonia, che vi dovea esere il re d'Inghilterra, il quale per molto affare dell'isola e per la guerra ch'avea di Guascogna fallì la giornata. Fuvi il duca di Brabante, e quello di Ghelleri, e quello di Giulieri, e il conte d'Analdo, e altri signori allegati, e gli ambasciadori del re d'Inghilterra; e a quella asembrea si rifermò la lega, e gli ambasciadori d'Inghilterra per lo re promisono i gaggi e' soldi alli Alamanni e agli altri allegati e·lla venuta del re in persona alla settembria. Per la qual cosa il detto Bavero e gli altri allegati mandarono disfidando il re di Francia, dicendo di venirlo a vedere insino alla città di Cambragio alla frontiera del reame di Francia, e di tenere campo in su·rreame, e combattere co·llui; del quale sfidamento il re di Francia prese grande sdegno e onta, e providesi di presente di tesoro e d'ordine di cavalieri e di gente d'arme per fornire la sua impresa guerra. E poi conseguente non potendo il re d'Inghilterra passare di qua da mare, come promesso avea alli allegati, per molti affari di là e perché venia il verno, volendo fornire la promessa di gaggi, sì mandò CCC cocche e CXX batti a remi armati; in sulla quale armata fu il vescovo Niccola, e il conte di Monte Aguto, e quello di Sofolco, e meser Gianni d'Arsi, signori di gran valore con molta altra buona gente d'arme, e con danari assai e con XIIm sacca di lana de lo re, istimandosi tra moneta e·lle lane DCm di fiorini d'oro e più; e arrivaro alla Suma in Fiandra all'entrante di novembre, e puosonsi all'isola di Gaggiante alla bocca del porto della Suma detto le Schiuse, e in sull'isola scesero parte di loro gente, e co' Fiamminghi che v'erano per lo conte di Fiandra, il quale ubidia il re di Francia, si combatterono; e al principio furono morti dell'Inghilesi ch'erano scesi non proveduti, e in sull'isola del Gaggiante era il fratello bastardo del conte di Fiandra con gente d'arme alla difesa. Sentendo ciò la gente dello stuolo, isceserne in grande abondanza, e quanti Fiamminghi vi trovarono misono a morte; e presono il fratello del conte, e tutta l'isola misono a fuoco e a fiamma. E poi la detta armata non potendo porre alle Schiuse, perché i Fiaminghi ubidiano il conte loro e·rre di Francia, sì n'andarono a Dordette inn-Olanda, e·llà scaricaro, e vennero in Brabante, e tennero parlamento colli allegati, e diedono ordine alla guerra. Sentendo papa Benedetto e' suoi cardinali la 'mpresa della sopradetta guerra, mandò due legati cardinali in Francia al re per mettere accordo da·llui a quello d'Inghilterra; e parlamentato co·llui assai a Parigi, n'andarono verso Inghilterra, e passarono il mare a dì XXVII di novembre; ma niente adoperaro. Lasceremo alquanto a dire di questa guerra, che assai tosto ce ne converrà dire maggiori cose, e torneremo a dire della nostra guerra col Mastino.
LXXIII
Come la città di Brescia si rubellò a mesere Mastino, e·ssi diede alla nostra lega e altre castella.
Nel detto anno, all'entrante di settembre, s'arrendé alla nostra lega il castello di Mestri e quello delli Orci e quello di Canneto in bresciana. E poi a dì VIII d'ottobre per trattato della detta lega i Bresciani ch'erano sotto la tirannia di meser Mastino, e parea loro male stare, e veggendo che meser Mastino era molto abassato di suo stato e di podere, e perdute le dette castella, sì levarono la città a romore e rubellarono la parte detta la città vecchia di Brescia. In Brescia era per capitano per meser Mastino uno meser Bonetto con D cavalieri tedeschi, il quale si ridusse in parte della città nuova di verso Verona, e mandò per soccorso a meser Mastino. E' cittadini con ordine fatta in quello medesimo dì che' Bresciani levarono la città a romore, certi gentili uomini de' più possenti di Brescia, i quali erano cortesemente istadichi a Verona, subitamente se ne partirono per diverse vie, e vennono a Brescia. Per la qual cosa i Bresciani veggendosi a quello punto, e temendo la venuta della forza di meser Mastino, sì mandarono per la nostra gente della lega; e di presente vi giunsono da MD cavalieri, com'era ordinato, e fu data loro la porta di San Gianni, ed entrarono nella città. E di presente misono fuoco nella porta di San Giustino per assalire nella città nuova la gente di mesere Mastino. Messere Bonetto e sua gente veggendosi a pericolo, dubitando di non esere sopresi dalla forza della nostra cavalleria ch'era nella città, si partì di Brescia per porta Torre Alta e andossene a Verona. E poi quelli della lega colla volontà e procaccio de' Fiorentini ciechi, che·sse ne feciono capo, fu data la signoria di Brescia a meser Azzo Visconti signore di Milano, che·nn'era grande quistione tra' Lombardi, che ciascuno di quelli signori la voleva. E certo i Fiorentini l'aveano a procacciare a messere Azzo, per amore che con Castruccio ci fu a sconfiggere ad Altopascio, e poi alle porte di Firenze. Messer Mastino veggendosi perduta Padova e presovi il fratello, e poi Brescia e più altre terre ch'elli tenea, come per noi è fatta menzione, e fallitoli e venuto meno suo tesoro, isbigottì molto, e mandò suoi ambasciadori a Vinegia per trattato di meser Alberto che v'era prigione, del mese di dicembre; e cercarono co' Viniziani certo accordo sanza saputa dell'altra lega. Onde i Fiorentini e gli altri allegati presono grande sospetto. I Viniziani si scusaro che·cciò che facieno era a onore della lega, e però i Viniziani volieno e dimandavano tali patti e sì larghi, che meser Mastino no·lli volle oservare; e ricominciossi la guerra più aspra che prima, che apresso, all'entrante di marzo, la nostra gente cavalcaro sul veronese sanza trovare alcuno contasto, e passarono il fiume dell'Alice, e guastarono XVI grosse ville con gran danno del paese.
LXXIV
Di certe novità fatte in Firenze.
Nel detto anno MCCCXXXVII, essendosi pacificati insieme la casa di Malatesti da Rimino, i Fiorentini elessono per loro capitano di guerra meser Malatesta il giovane, uomo assai valoroso, e venne in Firenze molto onorevolemente a dì XIII d'ottobre, tegnendo molto onorata vita, sanza prendere parte o setta alcuna nella città, o farsi bargello, però che·cci amava per comune; ma al suo tempo non si fece né oste né cavalcata sopra Lucca, però ch'al continovo i Fiorentini stavano inn-isperanza d'averla per trattati, che' Viniziani tenieno d'accordo con meser Alberto e con meser Mastino; la quale riuscì vana speranza per la dislealtà e tradimento de' Viniziani, come per lo inanzi faremo menzione. In questo anno, a dì VIII di gennaio, meser Benedetto Maccaioni di Lanfranchi ribello di Pisa avendo segretamente soldati in Firenze CCC soldati a cavallo subitamente cavalcò in Maremma e di dì e di notte, che·lli dovea esere dato Castiglione della Pescaia, e fulli data una porta; ma·lla gente della terra subitamente furono alle difese, e cacciarline fuori. Della detta cavalcata si dolfono molto i Pisani de' Fiorentini, ed ebbono gran paura di perdere Castiglione o Piombino. Il vero fu ch'alcuno de' reggenti di Firenze seppono il detto trattato, e diedonvi aiuto e favore; ma i priori non ne sentirono niente; ma per tema di peggio i Pisani ne furono più cortesi contro a' Fiorentini, che prima tutto dì cercavano gavillazioni in Pisa contro a' nostri mercatanti per abattere la nostra franchigia per indirette soffisme. In questo tempo, a l'entrante di febraio, i Fiorentini ebbono in guardia dal vescovo d'Arezzo ch'era degli Ubertini, la forte rocca del suo castello di Civitella e Castiglione degli Ubertini in Valdarno e pacificaro il vescovo e' suoi co' Tarlati d'Arezzo per fortificamento della signoria presa per li Fiorentini della città d'Arezzo. E fecesi legge e decreto in Firenze a dì XIIII di marzo che nullo cittadino comperasse castello alcuno alle frontiere del distretto di Firenze. E·cciò si fece perché quelli della casa de' Bardi per loro grande potenzia e ricchezza avieno in que' tempi comperati il castello di Vernia e quello di Mangone da meser Benuccio Salimbeni da Siena, e quello del Pozzo da Decomano da' conti, dubitando il popolo di Firenze non montassono ellino e gli altri grandi in potenzia e superbia per abassare il popolo, come feciono apresso non gran tempo, come si farà menzione. In quelli giorni s'aprese il fuoco nel popolo di San Brocolo nella casa alta de' Riccomanni presso alla Badia, e arse tutta di mezzogiorno di sopra la volta, non potendo esere difesa. E dopo l'uficio di meser Malatesta, e lui partito, quelli che reggeano Firenze, feciono venire sotto titolo di capitano di guerra, overo per bargello, meser Iacopo Gabrielli d'Agobbio, il quale entrò in uficio in calen di febraio MCCCXXXVIII, e stette II anni con grande balìa; il quale per la sua asprezza fece in Firenze e nel contado di sconce cose e albitrare sanza ordine di ragione, onde nacquero novitadi sconce di città, come inanzi faremo menzione.
LXXV
Come nella città d'Orbivieto feciono popolo, e simile quella di Fabriano.
Alla fine del detto anno MCCCXXXVII, dì XXIIII di marzo, la città d'Orbivieto si levò a romore e inn-arme per soperchio di quelli della casa di Monaldeschi, che tirannescamente la signoreggiavano; e feciono popolo, e cacciarne i detti Monaldeschi e' loro seguaci. E per simile modo si fece in que' dì popolo nella città di Fabriano nella Marca, e cacciarne i loro tiranni e potenti che signoreggiavano la terra.
LXXVI
Come certa gente di Lucca furono sconfitti da' marchesi Malespini guelfi.
L'anno MCCCXXXVIII, a dì XXVI di marzo, essendo cavalcati CC soldati a cavallo della città di Lucca e popolo a piè assai nella contrada di Lunigiana adosso a marchesi Malespini da Villafranca, da' detti marchesi e loro genti furono sconfitti e ricevettonvi gran danno di prigioni e di morti la gente di meser Mastino, secondo la quantità di gente ch'erano, che pochi ne tornarono in Lucca. Lasceremo alquanto delle novità di Firenze e di Toscana e d'altre parti, e torneremo a dire sopra la guerra da·nnoi a meser Mastino, che·nne cresce matera.
LXXVII
Come la nostra oste di Lombardia andarono infino alle porte di Verona, e corsonvi il palio, ed ebbono Montecchio.
Nel detto anno, rotto ogni trattato d'accordo da·nnoi e Viniziani con meser Mastino, la nostra gente intorno di IIIm cavalieri cavalcaro sopra la città di Verona a dì XVIII d'aprile, e per forza combattendo ebbono la terra di Soave presso a Verona, ch'era guernita per meser Mastino, e morìvi di sua gente più di CCCC uomini. E poi a dì XXI d'aprile si strinsono presso alle porte di Verona al gittare d'uno balestro, e' nostri capitani dell'oste, che tuttora v'avea uno cavaliere di nobili e uno popolano di maggiori di Firenze, e simile di Vinegia, per dispetto e vergogna di meser Mastino feciono correre uno palio di sciamito dinanzi alla porta di Verona, mandando bando che ciascuno di Verona che volesse potesse sicuramente venire di fuori a vedere il giuoco e correre il palio; ma pochi n'uscirono. E partitosi l'oste nostra da Verona, a dì III di maggio s'arrendé a·lloro il grande e forte castello di Montecchio, il quale è·lla chiave tra Verona e Vincenza; e quello fornito di vettuaglia e di gente d'arme, la nostra oste si tornò al castello di Lungara, il quale era a quelle frontiere ben disposto a·ffare guerra al Mastino. E nota, lettore, come adopera la fortuna nel secolo, e maggiormente ne' processi delle guerre, che poco tempo dinanzi messere Mastino ch'era in tanto stato e signoria, che signoreggiava Verona, Padova, Trevigi, Vincenza, Parma, Lucca, e·lla città di Feltro, e Civita Belluna, e molti grandi e forti castelli, e avea gran tesoro ragunato, e a' suoi soldi al continovo tenea più di Vm cavalieri tedeschi alle spese delle dette otto città; ed era un grande e possente tiranno, il maggiore di tutta Italia o che fosse stato intra C anni; e poco dinanzi minacciati avea i Fiorentini di venirli a vedere infino alle porte di Firenze con Vm barbute di ferro, e fatta fare una ricchissima corona d'oro e di pietre preziose per coronarsi re di Toscana e di Lombardia; e poi intendea d'andare nel regno di Puglia e torlo per forza d'arme al re Ruberto; e sarebbegli venuto fatto, se non fosse il giudicio di Dio per aumiliare la sua superbia, e·lla potenza del Comune di Firenze e di quello di Vinegia, che ripugnaro e recaro a poca potenza e basso stato co·lloro operazione e danari, per lo modo che leggendo avete inteso; e ancora, come intenderete, il recarono a maggiore stremità, che convenne che 'ngaggiasse a usura la sua corona e tutti i suoi gioelli per avere danari per resistere alla sua guerra; però che per guardare le sue terre e tenute gli convenia in ciascuna mettere grossamente, salvo che di Lucca e di Verona, tiranneggiandole con grandi torzioni traeva alcuna cosa. E però nullo signore o tiranno o Comune si può fidare nella sua potenza, imperò ch'ogni potenza umana è vana e fallace. E·ll'onnipotente Iddio Sabaot dà vinto e perduto a·ccui gli piace secondo i meriti e i peccati. Lasceremo alquanto della guerra da·nnoi a meser Mastino per dire d'altre novità ocorse inn-Italia e oltremonti in questi tempi.
LXXVIII
Come il duca di' Brabante co' suoi allegati fece grande oste sopra il vescovo di Legge, e fer pace.
Nel detto anno MCCCXXXVIII, a dì VIIII d'aprile, il duca di Brabante cogli altri allegati e giurati contro al re di Francia, e col figliuolo del Bavero, con VIIIm cavalieri e più di LXm pedoni brabanzoni e d'intorno al paese, quali tutti armati a corazze e barbute come cavalieri, andarono sopra il vescovo di Legge per la quistione che 'l duca avea co·llui per la terra di Mallina; e maggiormente perché il detto vescovo era in collega col re di Francia, per levarsi di mezzo loro paese, e i·rre di Francia non avesse podere e non potesse fare risistenza alla impresa loro della guerra incominciata. Il vescovo veggendosi sì sùbito assalire da tanta potenza, ed egli male proveduto al riparo della detta oste, e da·rre di Francia non avuto soccorso, s'accordò col duca e colli altri allegati, siccome seppono divisare, giurando loro di non essere più di collega col re di Francia.
LXXIX
D'una grande armata che il re Ruberto mandò sopra l'isola di Cicilia con poco aquisto.
Nel detto anno, sentendo il re Ruberto che·ll'isola di Cicilia era in mala disposizione per lo nuovo re Pietro, e per la rubellazione del conte Francesco di Ventimiglia e di suoi seguaci, ordinò una grande armata per passare in Cicilia; e partissi la detta armata di Napoli a dì V di maggio con LXX tra galee e uscieri, con MCC cavalieri, e di là arrivaro dì VII di maggio nella contrada di Tremole, ed ebbono di presente tre castella d'ivi intorno, e puosonsi ad assedio a Tremole. E poi a dì X di giugno si partì di Napoli la seconda armata con maggior navilio, con gran gente di baroni del Regno e Provenzali, onde furono capitani Carlo il duca di Durazzo nipote del re figliuolo di suo fratello, messer Gianni, e 'l conte Novello di quelli dal Balzo; e puosonsi al detto asedio di Tremole, ed ebbollo a patti all'uscita d'agosto, salvo la rocca, dopo molte battaglie date e fracasso di difici, e arsono la terra tutta. E rubellossi al re Piero il conte Ruggieri da Lentino con tutte le sue castella, ch'era uno de' maggiori baroni dell'isola e di discendenti de' principali baroni che rubellarono l'isola al re Carlo primo: e così si rivolge il secolo. La detta armata per infermità si partì e tornaro a Napoli con poco aquisto od onore; ch'essendo più di IImD cavalieri, potieno cavalcare tutta l'isola sanza contasto, ed e' non si mossono mai da Tremole, onde infracidò l'oste; e corrotta, ingenerò pestilenza d'infermità e di mortalità.
LXXX
Come molte città del regno di Puglia ebbono discordia e divisione tra loro cittadini.
Nel detto anno si cominciò nel regno di Puglia, che signoreggiava il re Ruberto, una grande discordia e maladizione nella città di Sermona, e in quella dell'Aquila, e in Gaeta, e in Salerno, e in Barletta, che in ciascuna delle dette terre si criò parte, e combattendosi insieme; e·ll'una parte cacciò l'altra, e guastarsi quasi le dette terre, e d'intorno a quelle; e il paese per cagione delle dette discordie tutto s'empié di malandrini e di ladroni, rubando per tutto; e a queste discordie tenieno mano molti baroni del Regno, chi coll'una parte e chi coll'altra. E·lla maggiore fu quella di Barletta, e che più durò e con maggiori battaglie. Dell'una parte era capo casa Marra, e co·lloro il conte di Sanseverino e tutti i suoi seguaci; dell'altra la casa di Gatti, e co·lloro il conte di Minerbino, chiamato il Paladino, e co' suoi seguaci, i quali feciono molto di male, e guastando la terra di Barletta e tutto il paese d'intorno. Delle quali discordie il re ne fu molto ripreso, e dovea esere a tanto savio signore come era, e di senno naturale e di scienzie; e per propia avarizia delle pene e composizioni di misfatti di suoi sudditi sofferia il guastamento del suo regno, possendolo correggere e salvare con alquanta giustizia. E niente si ricordava delle parole del savio re Salamone: "Diligite iustitiam, qui iudicatis terram". Bene che poi che·lle dette terre furono ben guaste, il re vi mandò le sue forze assediando Minerbino e 'l conte; e' suoi fratelli vennono a Napoli alla misericordia del re, e tutti i loro beni piubicati alla corona, e venduti e barattati, ed ellino prigioni a Napoli; e furono diserti con male fine e disfatti. Questi conti di Minerbino furo stratti di vile nascimento, che furono figliuoli d'uno figliuolo di meser Gianni Pipino, il quale fu nato d'uno piccolo e vile notaiuolo di Barletta; ma per sua industria fu molto grande al tempo del re Carlo secondo, e guidava tutto il regno, guadagnando d'ogni cosa, e arricchì per modo che lasciò i suoi figliuoli conti; i quali poi per loro superbia e stracotanza, com'è detto, vennero tosto a mal fine. E nota che rade volte i sùbiti avenimenti di grande stato hanno tosto dolorosa fine, e 'l male aquistato non passa le più volte terza reda; e così avenne di costoro. Lasceremo de' fatti del Regno e di Cicilia, e diremo alquanto de' fatti di Firenze stati nel detto anno.
LXXXI
Come i Colligiani si diedono al Comune di Firenze, e di novitadi di Firenze nel detto anno.
Nel detto anno MCCCXXXVIII, il dì di san Giovanni di giugno, cavalcando IIII bandiere da cento a·ccavallo di nostri soldati verso Buggiano per levare preda, messo loro aguato, furo sconfitti, e presi due conestaboli e·lla maggiore parte di loro gente. E nel detto anno, a dì XII di luglio, essendo i Colligiani in grande divisione tra·lloro, e per guastarsi la terra e cacciarne parte, di concordia diedono la signoria della terra e·lloro distretto alla guardia del Comune di Firenze per XV anni, chiamando al continovo podestà e capitano cittadini di Firenze, e·lla guardia della rocca a·lloro spese; e così s'aquetaro le loro discordie sotto il bastone del Comune e popolo di Firenze, rimanendo in pace e buono stato. E nel detto anno, a dì XV di dicembre, s'aprese il fuoco Oltrarno in via Quattro Paoni, e arsonvi II case. E poi a dì VII di febraio di mezzodì s'aprese il fuoco da casa i Cerretani dalla porta del vescovo, e arse il loro palagio con più di X case dall'una via e dall'altra con grande dannaggio, sanza potersi difendere. E nota che apunto in cinquanta anni s'aprese il fuoco e arse il detto palagio de' Cerretani, come in questa adietro si troverrà, che·ffu grande maladizione a quella schiatta non sanza cagione.
LXXXII
Ancora della guerra da·nnoi a mesere Mastino.
Nel detto anno MCCCXXXVIII, tornata l'oste nostra e de' Viniziani al castello di Lungara, come adietro facemmo menzione, messere Mastino con suo sforzo venne ad oste sopra il castello di Montecchio per raquistarlo, non sentendolo ben fornito per la sùbita ribellazione, e perché dubitava, tegnendosi Montecchio per la nostra gente, di perdere la città di Vincenza. La nostra gente, ch'era a Lungara, per soccorrere Montecchio e fornirlo si partiro di Lungara, IIm cavalieri e popolo e fornimento assai, a dì XV di giugno, e vegnendo colle schiere fatte per combattere con meser Mastino e colla sua gente, ch'era con MCC cavalieri, non attese la nostra gente e non volle venire alla battaglia, ma si levò da·ccampo con danno e con vergogna da quelli del castello, per la sùbita levata inanzi che·lla nostra gente vi s'apresasse, lasciando tutto il campo fornito; giugnendovi poi la nostra gente, forniro Montecchio riccamente. Come meser Mastino si partì colla sua gente da Montecchio, se ne venne diritto a Lungara a dì XVII di giugno, credendola avere per battaglia, avisandosi ch'ella fosse sguernita per la cavalcata fatta a Montecchio per li nostri. Ma dentro v'erano rimasi alla guardia D cavalieri de' nostri e de' Viniziani, i quali difesono la terra con danno d'alquanti di quelli di meser Mastino. E partito da Lungara, e·llui tornato a Verona con poco onore, rimandò parte della cavalleria che gli era rimasa alla guardia e guernigione delle sue terre, e con poca gente a cavallo si ritenne in Verona. E poi CCC cavalieri de' nostri da Lungara cavalcarono infino a Verona alle porte sanza alcuno contasto, sì era asottigliata la potenzia del Mastino. E in questi tempi, a dì XVIIII d'agosto, s'arrendé a' Padovani il castello di Monselici, salvo la rocca, la qual poi per difetto di vittuaglia s'arrendé a dì XXV di novembre apresso, salve le persone. E a dì XXVIIII di settembre del detto anno, avendo meser Mastino uno falso trattato d'eserli dato il castello di Montagnana, menato per Spinetta marchese e per due suoi famigliari, ch'erano al soldo nostro a Montagnana, i quali lo scopersono a meser Ubertino da Carrara, ed elli notificandolo alla nostra oste di Lungara che stessono aparecchiati al socorso di Montagnana, messer Mastino seguendo il suo trattato vi fece cavalcare Spinetta marchese con Vc cavalieri e MD pedoni. La nostra gente, ch'avieno ordinato lo 'nganno del trattato, in quantità di D cavalieri si partirono dal nostro campo di Lungara, e andarono di sùbito a Montagnana, e simile CC di quelli di Padova. Vegnendo la detta gente di meser Mastino a Montagnana, per aguato fatto per li nostri gli asalirono e missogli inn-isconfitta; ove rimasono annegati e morti ben CCC tra cavallo e a piè, e presi XXII conestaboli tra·ccavallo e a piè, e de' migliori Italiani da XII che meser Mastino avesse a suo soldo, di quelli da Coreggia, e di quelli da Fogliano, e altri Lombardi e gentili uomini co·lloro e gente a cavallo e a piè presi assai, onde fu gran rotta allo stato di meser Mastino, nel suo dichinamento. Lasceremo alquanto de' fatti della guerra da·nnoi al Mastino, che tosto vi torneremo a darvi fine, e torneremo alquanto adietro a dire della 'mpresa della guerra dal re di Francia a quello d'Inghilterra e suoi allegati e Fiamminghi.
LXXXIII
Come i Fiamminghi cacciaro il loro conte, e rubellarsi al re di Francia.
Essendo la contea di Fiandra in grande bollimento per la guerra cominciata dal re di Francia a·rre d'Inghilterra, e il duca di Brabante e gli altri allegati, che parte di Fiaminghi sarebbono stati contenti di rubellarsi al conte di Fiandra e al re di Francia, e parte ne tenieno col conte; per la qual cosa più discordie ebbono col conte loro signore, perché tenea col re di Francia, e cacciarlo di Fiandra alcuna volta alla cortese a modo di confini, e poi rimandavano per lui, come popolo ch'era in bacillare e in non fermo stato. Alla fine si levò in Guanto uno di vile mestiere, che facea e vendea il melichino, cioè cervogia fatta con mele, ch'avea nome Giacopo d'Artivello, e fecesi mastro della Comuna di Guanto. E questo fu l'anno MCCCXXXVII; e per suo bello parlare e franchezza montò in brieve tempo in tanto stato e signoria col favore della Comune di Guanto, che cacciò di Fiandra al tutto il conte e tutti i suoi seguaci, e così di Guanto e di Bruggia e d'Ipro e delle altre ville di Fiandra ch'amavano il conte; imperò che chiunque facea resistenza si partia di Guanto con VIm o più della Comuna, e venia contro a que' cotali, a combatterli e cacciarli; e così in poco tempo fu al tutto signore di Fiandra. Ben si disse di vero che 'l vescovo di Niccola, ch'era in Brabante per lo re d'Inghilterra, col favore e consiglio di Brabanzoni e con molti danari di quelli del re d'Inghilterra spesi in Fiandra fece fare tutta quella rivoltura; onde poi apresso seguì grande favore al re d'Inghilterra, come inanzi leggendo si troverrà.
LXXXIV
Come 'l re d'Inghilterra passò in Brabante.
Essendo Fiandra quasi rubellata al re di Francia e al conte, come detto avemo, lo re Aduardo il giovane giunse ad Anguersa in Brabante con più di CCC navi e con molta baronia e gente d'arme di suo paese, e con molta lana e danari, e colla moglie e due sue figliuole; e·cciò fu a dì XXII di luglio gli anni MCCCXXXVIII, e in Anguersa fece sua stanza ferma infino all'uscita di settembre, bene che in questa stanza andasse colli allegati a più parlamenti a più ville del paese, intra·lli altri nella contea di Los a' confini d'Alamagna colli ambasciadori del Bavero. E in quello parlamento si piuvicò con privilegi imperiali il re d'Inghilterra essere vicaro dello 'mperio, salvo in Italia; e poi ne venne a Borsella, e·llà fermò parentado col duca di Brabante; ciò fu la figliuola del duca al figliuolo maggiore del re d'Inghilterra. E allora il duca da capo giurò la lega e d'esere contro al re di Francia, e mandolli rinuziando ogni omaggio tenea da·llui nel reame di Francia, e mandollo sfidando infino a Parigi per uno franco e ardito cavaliere brabanzone, e bene parlante; e fornì bene la bisogna.
LXXXV
Come il re d'Inghilterra e' suoi allegati vennero ad oste in su il reame di Francia.
E·cciò fatto, si mosse il re d'Inghilterra e il duca di Brabante da Borsella co·lloro oste, e andarne a Valenzina inn-Analdo; e ivi siccome vicario d'imperio fece richiedere il vescovo di Cambrai che dovesse rendere la città di Cambrai, ch'era dello imperio, il quale non vi comparì. Per la qual cosa, a dì XX di settembre, di Valenzina si mosse inanzi meser Gianni d'Analdo zio del conte con IIm cavalieri tra d'Analdo e Alamanni al soldo, e il sire di Falcamonte con D cavalieri, e puosonsi dinanzi alla città di Cambrai alla villa d'Apre. E bene che Cambrai sia terra d'imperio e tenela l'arcivescovo, il re di Francia l'avea guernita di sua gente, che v'era dentro il conestabole di Francia con IIIm armadure. Il re d'Inghilterra venne alla detta oste con sua gente con IImD cavalieri tra Inghilesi e altri suoi amici. Il duca di Brabante con IIIIm cavalieri, tra di Brabante e di Legge e Alamanni a soldo, e popolo di Brabante e d'Analdo per comune, grandissima quantità; e vennevi il conte, overo duca, di Ghelleri, per simile modo con IIm cavalieri, e quello di Giulieri con MD cavalieri. Tutta questa gente e·lla maggiore parte furono a' gaggi o provisione del re d'Inghilterra. Vennevi il marchese di Brandiborgo figliuolo del Bavero con CC armadure sanza soldo; e più di MD cavalieri tedeschi il seguiro di volontà non richesti; sicché l'oste degli allegati fu più di XIIIIm di cavalieri e più di LXm a piè, armati a corazze e barbute la maggior parte; e di costa a Cambrai stette l'oste da VIIII giorni, e corsono infino a Doai guastando e rubando. E il sire di Falcamonte corse infino a Bapalma e a Ros in Vermandos, però che·rre di Francia era ancora a Compigno. E poi si partì di là la detta oste, e puosonsi al monte Sammartino presso a San Quentino a due leghe; poi a dì XIIII d'ottobre mutarono campo e passarono il fiume dell'Osa, e mutaro su per la riviera tre campi; e poi puosono campo a tre leghe presso alla Cina in Francia. E poi sentendo la venuta del re di Francia, si ritrassono adietro alla Capella, e poi vennero alla Samingheria in Tiracia. E di questi campi corsono infino presso appiè da·lLaona e d'Ares in Francia, faccendo infinito danno di ruberie e d'arsioni, però che 'l detto paese è molto pieno di ricche e buone ville e d'assai. E dal tempo che' Romani si partirono del paese, anticamente quando il signoreggiarono, non aveano sentito che guerra si fosse.
LXXXVI
Come il re di Francia con sua oste venne contro al re d'Inghilterra.
Il re di Francia sentendo come il re Aduardo avea passato in Brabante, e il grande aparecchio del detto re che gli altri allegati ch'avieno fatto a Cambrai, incontanente si provide. E prima avendo richiesti tutti suoi baroni del reame, e il re di Navarra, suo cugino, e il re Giovanni di Buemia, e 'l conte di Savoia, e 'l Dalfino di Vienna, e ciascuno gli venne in aiuto con gente d'arme assai a·ccavallo e a piè. E sentendo ch'erano entrati nel reame i nimici, si partì di Parigi subitamente, però che non avisava che' suoi nimici fossono arditi d'entrare in su·reame: e in questo prese fallo. E sanza attendere tutta sua oste, venne di presente a Compigno, e poi di là venne a Perona in Vermandos. E·llà si trovò tra della gente di suo reame e degli altri detti signori e amici con XXVm di buona gente d'arme a cavallo e popolo a piè infinito, e partissi da Perona, e puosesi a campo di costa al fiume dell'Osa, a petto all'oste di quello d'Inghilterra a una lega e mezzo, essendo intra·lle dette osti la riviera d'Osa; e così stettono afrontati più dì.
Qui finisce il dodecimo libro

 

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Ultimo Aggiornamento:12/07/05 23:18