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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Secondo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO NONO (41-60)

XLI
De' mali e de' pericoli che seguirono a la nostra città appresso.
Partito il legato di Firenze, la città rimase in grande gelosia e in male stato. Avenne che del mese di dicembre seguente, andando messer Corso Donati e' suoi seguaci e que' della casa de' Cerchi e' loro seguaci armati a una morta di casa i Frescobaldi, isguardandosi insieme l'una parte e l'altra, si vollono assalire, onde tutta la gente ch'era a la morta si levarono a romore; e così fuggendo e tornando ciascuno a casa sua, tutta la città fu ad arme, faccendo l'una parte e l'altra grande raunata a casa loro; messer Gentile de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baldinaccio e Corso degli Adimari, Baschiera della Tosa, e Naldo de' Gherardini con loro consorti e seguaci a cavallo e a piè, corsono a porte San Piero a casa i Donati, e non trovandogli a porte San Piero, corsono a San Piero Maggiore, ov'era messer Corso co' suoi consorti e raunata, da' quali furono riparati, e rincacciati, e fediti con onta e vergogna de' Cerchi e de' loro seguaci; e di ciò furono condannati l'una parte e l'altra dal Comune. Poi poco appresso essendo certi de' Cerchi in contado a Nepozzano e Pugliano, e in quelle loro contrade e poderi, volendo tornare a Firenze, que' della casa de' Donati raunata loro amistà a Remole, contesono il passo, e ebbevi fedite e assalti d'una parte e d'altra; per la qual cosa l'una parte e l'altra furono accusati e condannati della raunata e assalti; e quegli di casa i Donati la maggior parte per non potere pagare andarono dinanzi, e furono messi in pregione. Que' de' Cerchi volendo fare a·lloro esemplo, dicendo messer Torrigiano di Cerchio: "Per questo non ci vinceranno, come feciono i Tedaldini, che gli consumarono per pagare le condannagioni"; sì fece andare gli suoi dinanzi, e sostenuti in pregione contra volere di messer Vieri de' Cerchi e degli altri savi della casa, che conosceano la complessione e morbidezza de' loro giovani; avenne che uno maladetto ser Neri degli Abati soprastante di quella pregione, mangiando co·lloro, fece venire uno presente d'uno migliaccio avelenato, del quale mangiarono, onde poco appresso in due dì morirono due de' Cerchi bianchi, e due de' Neri, e Piggello Portinari, e Ferraino de' Bronci, e di ciò non fue nulla vendetta.
XLII
Di quello medesimo.
Essendo la città di Firenze in tanto bollore e pericoli di sette e di nimistà, onde molto sovente la terra era a romore e ad arme, messer Corso Donati, Ispini, Pazzi, e parte de' Tosinghi, e Cavicciuli, e loro seguaci, grandi e popolani di loro setta di parte nera, co' capitani di parte guelfa ch'allora erano al loro senno e volere si raunarono nella chiesa di Santa Trinita, e ivi feciono consiglio e congiura di mandare ambasciadori a corte a papa Bonifazio, acciò che commovesse alcuno signore della casa di Francia, che gli rimettesse in istato, e abattesse il popolo e parte bianca, e in ciò spendere ciò che potessono fare; e così misono a seguizione; onde sappiendosi per la città per alcuna spirazione, il Comune e 'l popolo si turbò forte, e fune fatta inquisizione per la signoria, onde messer Corso Donati che n'era capo fu condannato nell'avere e persona, e gli altri caporali che furono a·cciò in più di XXm libbre, e pagarle. E ciò fatto, furono mandati a' confini Sinibaldo fratello di messer Corso, e de' suoi, e messer Rosso, e messer Rossellino della Tosa, e degli altri loro consorti; e messer Giachinotto e messer Pazzino de' Pazzi e di loro giovani, e messer Geri Spini e de' suoi al castello della Pieve. E per levare ogni sospetto il popolo mandò i caporali dell'altra parte a' confini a Serrezzano: ciò fu messer Gentile, e messer Torrigiano, e Carbone de' Cerchi, e di loro consorti, Baschiera de la Tosa e de' suoi, Baldinaccio degli Adimari e de' suoi, Naldo de' Gherardini e de' suoi, Guido Cavalcanti e de' suoi, e Giovanni Giacotti Malespini. Ma questa parte vi stette meno a' confini, che furono revocati per lo 'nfermo luogo, e tornonne malato Guido Cavalcanti, onde morìo, e di lui fue grande dammaggio, perciò ch'era come filosafo, virtudioso uomo in più cose, se non ch'era troppo tenero e stizzoso. In questo modo si guidava la nostra città fortuneggiando.
XLIII
Come papa Bonifazio mandò in Francia per messer Carlo di Valos.
Tornato a corte di papa il legato frate Matteo d'Acquasparta, e informato papa Bonifazio del male stato e dubitoso della città di Firenze, e poi per le novità seguite dopo la partita del legato, come detto avemo, e per infestagione e spendio de' capitani di parte guelfa e de' detti confinati, ch'erano al castello della Pieve presso a la corte, e di messer Geri Spini (ch'egli e la sua compagnia erano mercatanti di papa Bonifazio, e del tutto guidatori) co·lloro procaccio e studio, e di messer Corso Donati che seguiva la corte, sì prese per consiglio il detto papa Bonifazio di mandare per messer Carlo di Valos fratello del re di Francia, per doppio intendimento; principalmente per aiuto del re Carlo per la guerra di Cicilia, dando intendimento al re di Francia e al detto messer Carlo di farlo eleggere imperadore de' Romani, e di confermarlo, o almeno per autorità papale e di santa Chiesa di farlo luogotenente d'imperio per la Chiesa, per la ragione ch'ha la Chiesa vacante imperio; e oltre a questo gli diè titolo di paciario in Toscana, per recare co la sua forza la città di Firenze al suo intendimento. E mandato in Francia per lo detto messer Carlo suo legato, il detto messer Carlo con volontà del re suo fratello venne, come innanzi faremo menzione, colla speranza d'essere imperadore per le promesse del papa, come detto avemo.
XLIV
Come i Guelfi furono cacciati d'Agobbio, e poi come ricoveraro la terra, e cacciarne i Ghibellini.
Nel detto anno, del mese di maggio, la parte ghibellina d'Agobbio colla forza degli Aretini e de' Ghibellini de la Marca, per tradimento ordinato ne la terra, cacciarono i Guelfi d'Agobbio e uccisonne assai; ma poi, a dì XXIIII di giugno vegnente, i Guelfi usciti d'Agobbio colla forza de' Perugini entrarono in Agobbio, e ricoverarono loro stato, e cacciarne i Ghibellini con grande danno e uccisione di loro.
XLV
Come la parte nera furono cacciati di Pistoia.
Negli anni di Cristo MCCCI, del mese di maggio, la parte bianca di Pistoia coll'aiuto e favore de' Bianchi che governavano la città di Firenze ne cacciarono la parte nera, e disfeciono le loro case, palazzi, e possessioni, intra l'altre una forte e ricca possessione de' palazzi e torri ch'erano de' Cancellieri neri, che si chiamava Dammiata.
XLVI
Come gl'Interminelli e' loro seguaci furono cacciati di Lucca.
Nel detto anno, e in quello tempo, essendo la città di Lucca molto insollita per la mutazione di Pistoia, e per le parti bianca e nera, la casa degl'Interminelli di Lucca co·lloro seguaci Mordicastelli, e que' del Fondo, e altri di loro setta, i quali teneano parte bianca, e s'accostavano co' Ghibellini e' Pisani, credendo fare così in Lucca come i Cancellieri bianchi in Pistoia, sì uccisono messer Obizzo degli Obizzi giudice. Per la qual cosa la città di Lucca corse ad arme, e trovandosi la parte nera e' Guelfi di Lucca più possenti, sì ne cacciarono di Lucca combattendo gl'Interminelli e' loro seguaci, e disfeciono le loro possessioni, e misono fuoco nella contrada che si chiamava il fondo di porta San Cervagio, e arsonvi più di C case. E così si venne spandendo la maladetta parte per Toscana.
XLVII
Come i Guelfi usciti di Genova per pace furono rimessi in Genova.
Nel detto anno i Genovesi feciono pace co' Grimaldi e gli altri loro usciti guelfi e col re Carlo, e rimisorgli in Genova, e riebbono il castello di Monaco che 'l teneano gli usciti, e colla forza del re Carlo faceano grande guerra a' Genovesi. Nel detto anno fu guerra e battaglia tra i Veronesi e 'l vescovo di Trento, onde i Veronesi ebbono il peggiore e furono sconfitti. E nel detto anno poco appresso morì messer Alberto de la Scala capitano e signore di Verona, e grande tiranno in Lombardia, e appresso di lui rimasono signori messer Cane e gli altri figliuoli del detto messer Alberto, tutto fossono assai di piccola etade; ma innanzi che morisse fece cavalieri VII tra' suoi figliuoli e nipoti, ch'avea il maggiore meno di XII anni.
XLVIII
Come aparve in cielo una stella commata.
Nel detto anno, del mese di settembre, apparve in cielo una stella commata con grandi raggi di fummo dietro, apparendo la sera di verso il ponente, e durò infino al gennaio, de la quale i savi astrolagi dissono grandi significazioni di futuri pericoli e danni a la provincia d'Italia, e a la città di Firenze, e massimamente perché la pianeta di Saturno e quella di Marti in quello anno s'erano congiunte due volte insieme nel mese di gennaio e di maggio nel segno del Leone, e la luna scurata del detto mese di gennaio similemente nel segno del Leone, il quale s'atribuisce a la provincia d'Italia. E bene asseguì la significazione, come innanzi leggendo potrete comprendere; ma singularmente si disse che la detta commeta significò l'avento di messer Carlo di Valos, per la cui venuta molte rivolture ebbe la provincia d'Italia e la nostra città di Firenze.
XLIX
Come messer Carlo di Valos di Francia venne a papa Bonifazio, e poi venne in Firenze e caccionne la parte bianca.
Nel detto anno MCCCI, del mese di settembre, giunse ne la città d'Anagna in Campagna, ov'era papa Bonifazio co la sua corte, messer Carlo conte di Valos e fratello del re di Francia con più conti e baroni, e da Vc cavalieri franceschi in sua compagnia, avendo fatta la via da Lucca ad Anagna sanza entrare in Firenze, perché n'era sospetto; il quale messer Carlo dal papa e da' suoi cardinali fu ricevuto onorevolemente; e venne ad Anagna lo re Carlo e' suoi figliuoli a parlamentare co·llui e a onorarlo; e 'l papa il fece conte di Romagna. E trattato e messo in assetto col papa e co·re Carlo il passaggio di Cicilia a la primavera vegnente, per la principale cagione perch'era mosso di Francia, il papa non dimenticato lo sdegno preso contro a la parte bianca di Firenze, non volle che soggiornasse e vernasse invano, e per infestamento de' Guelfi di Firenze, sì gli diede il titolo di paciaro in Toscana, e ordinò che tornasse a la città di Firenze. E così fece, colla sua gente, e con molti altri Fiorentini e Toscani e Romagnuoli, usciti e confinati di loro terra per parte guelfa e nera. E venuto a Siena e poi a Staggia, que' che governavano la città di Firenze, avendo sospetto di sua venuta, tennero più consigli di lasciarlo entrare nella città o no. E mandandogli ambasciadori, e egli con belle e amichevoli parole rispondendo come venia per loro bene e stato, e per mettergli in pace insieme; per la qual cosa quegli che reggeano la terra, tutto fossono a parte bianca, si vocavano e voleansi tenere Guelfi, presono partito di lasciarlo venire. E così il dì d'Ognesanti MCCCI entrò messer Carlo in Firenze, disarmata sua gente, faccendogli i Fiorentini grande onore, vegnendogli incontro a processione, e con molti armeggiatori con bandiere, e coverti i cavagli di zendadi. E lui riposato e soggiornato in Firenze alquanti dì, sì richiese il Comune di volere la signoria e guardia de la cittade, e balìa di potere pacificare i Guelfi insieme. E ciò fu asentito per lo Comune, e a dì V di novembre nella chiesa di Santa Maria Novella, essendosi raunati podestà, e capitano, e' priori, e tutti i consiglieri, e il vescovo, e tutta la buona gente di Firenze, e della sua domanda fatta proposta e diliberata, e rimessa in lui la signoria e la guardia della città. E messer Carlo dopo la sposizione del suo aguzzetta di sua bocca accettò e giurò, e come figliuolo di re promise di conservare la città in pacifico e buono stato; e io scrittore a queste cose fui presente. Incontanente per lui e per sua gente fu fatto il contradio, che per consiglio di messer Musciatto Franzesi, il quale infino di Francia era venuto per suo pedoto, sì come era ordinato per gli Guelfi neri, fece armare sua gente, e innanzi che messer Carlo fosse tornato a casa, ch'albergava in casa i Frescobaldi Oltrarno; onde per la detta novitade di vedere i cittadini la sua gente a cavallo armata, la città fu tutta in gelosia e sospetto, e a l'arme grandi e popolani, ciascuno a casa de' suoi amici secondo suo podere, abarrandosi la città in più parti. Ma a casa i priori pochi si raunarono, e quasi il popolo fue sanza capo, veggendosi traditi e ingannati i priori e coloro che reggeano il Comune. In questo romore messer Corso de' Donati, il qual era isbandito e rubello, com'era ordinato, il dì medesimo venne in Firenze da Peretola con alquanto séguito di certi suoi amici e masnadieri a piè, e sentendo la sua venuta i priori e' Cerchi suoi nemici, vegnendo a·lloro messer Schiatta de' Cancellieri, ch'era in Firenze capitano per lo Comune di CCC cavalieri soldati, e volea andare contro al detto messer Corso per prenderlo e per offenderlo, messer Vieri caporale de' Cerchi non aconsentì, dicendo: "Lasciatelo venire", confidandosi nella vana speranza del popolo, che 'l punisse. Per la qual cosa il detto messer Corso entrò ne' borghi della cittade, e trovando le porte de le cerchie vecchie serrate, e non potendo entrare, sì se ne venne a la postierla da Pinti, ch'era di costa a San Piero Maggiore tra le sue case e quelle degli Uccellini, e quella trovando serrata cominciòe a tagliare, e dentro per gli suoi amici fu fatto il somigliante, sì che sanza contasto fu messa in terra. E lui entrato dentro schierato in su la piazza di San Piero Maggiore, gli crebbe genti e séguito di suoi amici, gridando: "Viva messere Corso e 'l barone!", ciò era messer Corso, che così il nomavano; ed egli veggendosi crescere forza e séguito, la prima cosa che fece, andòe a le carcere del Comune, ch'erano nelle case de' Bastari nella ruga del palagio, e quelle per forza aperse e diliberò i pregioni; e ciò fatto, il simile fece al palazzo de la podestà, e poi a' priori, faccendogli per paura lasciare la signoria e tornarsi a·lloro case. E con tutto questo stracciamento di cittade, messer Carlo di Valos né sua gente non mise consiglio né riparo, né atenne saramento o cosa promessa per lui. Per la qual cosa i tiranni e malfattori e isbanditi ch'erano nella cittade, presa baldanza, e essendo la città sciolta e sanza signoria, cominciarono a rubare i fondachi e botteghe, e le case a chi era di parte bianca, o chi avea poco podere, con molti micidii, e fedite faccendo ne le persone di più buoni uomini di parte bianca. E durò questa pestilenzia in città per V dì continui con grande ruina della terra. E poi seguì in contado, andando le gualdane rubando e ardendo le case per più di VIII dì, onde in grande numero di belle e ricche possessioni furono guaste e arse. E cessata la detta ruina e incendio, messer Carlo col suo consiglio riformarono la terra e la signoria del priorato di popolani di parte nera. E in quello medesimo mese di novembre venne in Firenze il sopradetto legato del papa, messer Matteo d'Acquasparta cardinale, per pacificare i cittadini insieme, e fece fare la pace tra que' della casa de' Cerchi e gli Adimari e' loro seguaci di parte bianca co' Donati e' Pazzi e' loro seguaci di parte nera, ordinando matrimoni tra·lloro; e volendo raccomunare gli ufici, quegli di parte nera co la forza di messer Carlo non lasciarono, onde il legato turbato si tornò a corte, e lasciòe interdetta la cittade. E la detta pace poco durò, che avenne il dì di pasqua di Natale presente, andando messer Niccola de' Cerchi bianchi al suo podere e molina con suoi compagni a cavallo, passando per la piazza di Santa Croce, che vi si facea il predicare, Simone di messer Corso Donati, nipote per madre del detto messer Niccola, sospinto e confortato di mal fare, con suoi compagni e masnadieri seguì a cavallo il detto messer Niccola, e giugnendolo al ponte ad Africo l'assalì combattendo; per la qual cosa il detto messer Niccola sanza colpa o cagione, né guardandosi di Simone, dal detto suo nipote fu morto e atterrato da cavallo. Ma come piacque a·dDio, la pena fu apparecchiata a la colpa, che fedito il detto Simone dal detto messer Niccola per lo fianco, la notte presente morìo; onde tutto fosse giusto giudicio, fu tenuto grande danno, che 'l detto Simone era il più compiuto e virtudioso donzello di Firenze, e da venire in maggiore pregio e stato, ed era tutta la speranza del suo padre messer Corso, il quale della sua allegra tornata e vittoria ebbe in brieve tempo doloroso principio di suo futuro abbassamento. In questo tempo poco appresso, non possendo la città di Firenze posare, essendo pregna dentro del veleno della setta de' Bianchi e Neri, convenne che partorisse doloroso fine; onde avenne che·ll'aprile vegnente con ordine e con trattato fatto per gli Neri uno barone di messer Carlo, ch'avea nome messer Piero Ferrante di Linguadoco, cercò cospirazione co' detti della casa de' Cerchi, e con Baldinaccio degli Adimari, e Baschiera de' Tosinghi, e Naldo Gherardini, e altri loro seguaci di parte bianca, di volergli con suo séguito e di sua gente rimettere in istato, e tradire messer Carlo, con grandi impromesse di pecunia; onde lettere e co·lloro suggelli furono fatte, overo falsificate, le quali per lo detto messer Piero Ferrante, com'era ordinato, furono portate a messer Carlo. Per la qual cosa i detti caporali di parte bianca, ciò furono tutti quegli della casa de' Cerchi bianchi da porte San Piero, Baldinaccio e Corso degli Adimari, con quasi tutto il lato de' Bellincioni, Naldo de' Gherardini col suo lato della casa, Baschiera de' Tosinghi col suo lato de la detta casa, alquanti di casa i Cavalcanti, Giovanni Giacotto Malispini e' suoi consorti, questi furono i caporali che furono citati, e non comparendo, o per tema del malificio commesso, o per tema di non perdere le persone sotto il detto inganno, si partiro de la città, acompagnati da' loro aversari; e chi n'andò a Pisa, e chi ad Arezzo e Pistoia, accompagnandosi co' Ghibellini e nimici de' Fiorentini. Per la qual cosa furono condannati per messer Carlo come ribelli, e disfatti i loro palazzi e beni in città e in contado, e così di molti loro seguaci grandi e popolani. E per questo modo fue abattuta e cacciata di Firenze la 'ngrata e superba parte de' Bianchi, con séguito di molti Ghibellini di Firenze, per messer Carlo di Valos di Francia per la commessione di papa Bonifazio, a dì IIII d'aprile MCCCII, onde a la nostra città di Firenze seguirono molte rovine e pericoli, come innanzi per gli tempi potremo leggendo comprendere.
L
Come messer Carlo di Valos passò in Cicilia per fare guerra per lo re Carlo, e fece ontosa pace.
Nel detto anno MCCCII, del mese d'aprile, messer Carlo di Valos fornito in Firenze quello perché era venuto, cioè sotto trattato di pace cacciata la parte bianca di Firenze, si partì, e andonne a corte, e poi a Napoli; e là trovato lo stuolo e apparecchiamento fatto per lo re Carlo di più di cento tra galee e uscieri e legni grossi, sanza i sottili, per passare in Cicilia, sì si ricolse in mare, e in sua compagnia Ruberto duca di Calavra figliuolo del re Carlo con più di MD cavalieri. E apportato in Cicilia al porto di..., scese in terra per guerreggiare l'isola, ma don Federigo di Raona signore di Cicilia, non possendo resistere né comparire a la forza di messer Carlo in mare né in terra, con suoi Catalani si mise a fare guerra guerriata a messer Carlo, andandoli fuggendo innanzi di luogo in luogo, e talora di dietro a impedirgli la vittuaglia, per modo che in poco tempo sanza acquistare terra neuna di rinomo, se non Termole, messer Carlo e sua gente furono per malatia di loro e de' cavagli, per difalta di vittuaglia, quasi straccati. Per la qual cosa per necessitade convenne che si partisse con suo poco onore. E veggendo che altro non potea, messer Carlo sanza saputa del re Carlo ordinò una dissimulata pace con don Federigo, cioè ch'egli prendesse per moglie la figliuola del re Carlo detta Alienora, e che, quando la Chiesa e 'l re Carlo gli atassono acquistare altro reame, ch'egli lascerebbe a queto al re Carlo l'isola di Cicilia; e se non, sì·lla dovesse tenere per dote della moglie tutta sua vita, e appresso la sua morte i suoi figliuoli lasciare l'isola al re Carlo e a sue rede, dando loro Cm once d'oro. La qual cosa fatta, e promessa e giurata per le parti, e tornato messer Carlo coll'armata a Napoli, e mandatagli la figliuola del re Carlo, sì la sposò; ma poi di promessa fatta nulla s'aseguìo: e così per contradio si disse per motto: "Messer Carlo venne in Toscana per paciaro, e lasciòe il paese in guerra; e andòe in Cicilia per fare guerra, e reconne vergognosa pace". Il quale il novembre vegnente si tornò in Francia, scemata e consumata sua gente e con poco onore.
LI
Come si cominciò la compagna di Romania.
Nel detto anno MCCCII, partito messer Carlo di Cicilia e rimasa l'isola in pace, una grande gente di soldati catalani, genovesi, e altri italiani istati in Cicilia a la detta guerra per l'una parte e per l'altra, si partirono di Cicilia con XX galee e altri legni, onde feciono loro capitano uno frate Ruggieri dell'ordine de' Tempieri, uomo dissoluto, e di sangue, e crudele, e passarono in Romania per conquistare terra, e puosonsi nel reame di Salome e quello distrussono, e guastarono la Grecia infino in Gostantinopoli, e crescendo il loro podere d'ogni colletta di gente latina, fuggitivi, dissoluti, e paterini, e d'ogni setta scacciati, vivendo illibitamente fuori d'ogni legge, si chiamaro la Compagna, stando e vivendo in corso e in guerra a la roba d'ogni uomo; e ciò ch'aquistavano era comune, distruggendo e rubando ciò che trovavano, sanza ritenere città, o castella, o casale che prendessono, ma quelle rubate ardendo e guastando. E così durò la detta dissoluta compagna più di XII anni, uccidendo più loro signori, e rimutandoli in poco tempo chi più avea séguito o podere. A la fine tornaro sopra le terre del dispoto, cioè il reame di Macedonia, e quelle distrussono; e poi ne vennero nel ducato d'Atena, e rubellarsi dal conte di Brenna ch'era duca d'Atena, e loro capitano e signore, e per quistioni da·llui a·lloro si combatterono insieme, e sconfissono il detto duca loro signore, e a·llui tagliarono la testa, e presono le terre sue, e di quelle della Morea; e quegli signoraggi tra·lloro si partirono; e disabitarono e distrussono gli antichi fii de' Franceschi, che que' signoraggi teneano, e le loro donne e figliuole che a·lloro piacquero ritennero e le presono per mogli, e rimasono abitanti e paesani della terra. E così le delizie de' Latini, acquistate anticamente per gli Franceschi, i quali erano i più morbidi e meglio stanti che in nullo paese del mondo, per così dissoluta gente furono distrutte e guaste. Lasceremo de' fatti di Romania e di Cicilia, e torneremo a le novità che sursono in Firenze e in Toscana per la cacciata de' Bianchi di Firenze.
LII
Come i Fiorentini e' Lucchesi feciono oste sopra la città di Pistoia, e come ebbono per assedio il castello di Serravalle.
Nel detto anno MCCCII, del mese di maggio, essendo la città di Pistoia ribellata a' Fiorentini e a' Lucchesi per la cacciata de' Bianchi di Firenze e degl'Interminelli di Lucca, e parte di loro detti usciti ridotti in Pistoia per fare guerra, il Comune di Firenze e quello di Lucca di concordia feciono oste a la città di Pistoia, e furonvi di Firenze tra cavallate e soldati M cavalieri e VIm pedoni, e di Lucca più di VIc cavalieri e bene Xm pedoni; e la città di Pistoia guastarono intorno intorno, istandovi ad assedio per XXIII dì. Dentro a Pistoia era messer Tosolato degli Uberti loro capitano di guerra con IIIc cavalieri, e guardò e difese bene la cittade. A la fine veggendo i Lucchesi che la stanza di Pistoia era speranza vana di potere per forza o per assedio avere la città, s'accordaro di ritrarsi adietro co·lloro oste, e di porsi all'assedio del castello di Serravalle, ch'era de' Pistolesi ed era molto forte; e così fu fatto. E al detto assedio rimasono le due sestora delle cavallate di Firenze, rimutandosi a tempo a tempo con parte di loro soldati e gente a piè assai, tenendo i Fiorentini il loro campo di verso Pistoia. E quello castello combattuto, e con più difici grossi che gittavano dentro macerato, ma per tutto ciò non s'arendea, però che dentro v'avea più di IIIIc de' maggiori e de' migliori cittadini di Pistoia, i quali difendeano il castello, e al continuo assalivano il campo vigorosamente, a la fine per mala provisione di vittuaglia a tanta gente, quanta avea dentro tra Pistolesi e terrazzani e forestieri, ch'era più di MCC uomini, sanza le femmine e' fanciulli, fallì loro; per la qual cosa per necessità di vivanda s'arrenderono pregioni al Comune di Lucca a dì VI di settembre del detto anno; onde più di CCC Pistolesi n'andarono legati pregioni a la città di Lucca, e gli altri terrazzani rimasono fedeli de' Lucchesi, i quali Lucchesi vi feciono una nuova e forte rocca da la parte loro di Valdinievole, e uno grosso muro da la rocca vecchia di qua ov'è la pieve a la Nuova, per tenere meglio il detto castello a·lloro ubbidienza, recandogli a loro contado.
LIII
Come i Fiorentini ebbono il castello di Piano di Trevigne e più altre castella ch'aveano rubellate i Bianchi.
Nella stanza del detto assedio di Pistoia si rubellò a' Fiorentini il castello di Piano di Trevigne in Valdarno per Carlino de' Pazzi di Valdarno, e in quello col detto Carlino si rinchiusono de' migliori nuovi usciti Ghibellini e Bianchi di Firenze, grandi e popolani, e faceano grande guerra nel Valdarno; per la qual cosa fu cagione di levarsi l'oste da Pistoia, lasciando i Fiorentini il terzo della loro gente all'assedio di Serravalle in servigio de' Lucchesi, come detto avemo, e tutta l'altra oste tornata in Firenze, sanza soggiorno n'andarono del mese di giugno in Valdarno e al detto castello di Piano, e a quello istettono, e assediarono per XXVIIII dì. A la fine per tradimento del sopradetto Carlino e per moneta che n'ebbe i Fiorentini ebbono il castello. Essendo il detto Carlino di fuori, fece a' suoi fedeli dare l'entrata del castello, onde molti vi furono morti e presi, pure de' migliori usciti di Firenze. E ciò fatto, tornati a Firenze con questa vittoria, sanza soggiorno andarono popolo e cavalieri di Firenze in Mugello sopra i signori Ubaldini, i quali co' Bianchi e co' Ghibellini s'erano rubellati al Comune di Firenze, e guastarono i loro beni di qua da l'alpe e di là. E tornati in Firenze, la state medesima cavalcarono in Valdigrieve sopra il castello di Monte Agliari e di Monte Aguto, i quali aveano rubellati que' della casa de' Gherardini, ch'erano di parte bianca, e quelle due castella s'arrenderono a patti, salve le persone, al Comune di Firenze, le quali il Comune di Firenze fece disfare. E nel detto anno i Fiorentini ebbono gran vittoria in ogni loro oste e cavalcata che feciono, bene aventurosamente perseguitando in ogni parte gli usciti bianchi e' ghibellini con loro distruzzione.
LIV
Come l'isola d'Ischia gittò maraviglioso fuoco.
Nel detto anno MCCCII l'isola d'Ischia, la quale è presso a Napoli, gittò grandissimo fuoco per la sua solfaneria, per modo che gran parte dell'isola consumò, e guastò infino al girone d'Ischia; e molte genti, e bestiame, e la terra medesima per quella pestilenzia morirono e si guastarono. E molti per iscampare fuggirono a l'isola di Procita e a quella di Capri, e a terra ferma a Napoli, e a Baia, e a Pozzuolo, e in quelle contrade; e durò la detta pestilenzia più di due mesi. Lasceremo alquanto de' nostri fatti di Firenze e di que' d'Italia, e faremo incidenza e disgressione per raccontare grandi e maravigliose novitadi che a questo tempo avennero ne·reame di Francia, cioè nelle parti di Fiandra, le quali sono bene da notare e da farne ordinata memoria nel nostro trattato.
LV
Come il popolo minuto di Bruggia si rubellò dal re di Francia, e uccisono i Franceschi.
Come noi lasciammo adietro nel capitolo, che 'l re di Francia ebbe al tutto la signoria di Fiandra, e in sua pregione il conte e due suoi figliuoli l'anno MCCLXXXXVIIII, e lasciato guernito di sua gente e di suoi balii il paese, e che gli artefici minuti di Bruggia, come sono tesserandoli e foloni di drappi, e beccari, e calzolai, e altri, fossono uditi a ragione per la loro petizione data a lo re, e adirizzati di loro pagamenti per gli loro lavorii, e dell'assise de la terra, le quali erano loro incomportabili; la detta gente de la Comune non fu udita né adirizzati; ma i balii del re a preghiera de' grandi borgesi e per loro moneta i caporali de' detti artefici e popolo minuto, i quali erano i principali Piero le Roi tesserandolo e Giambrida beccaio, con più di XXX de' maggiori di loro mestieri e arti misono in pregione in Bruggia. E nota che 'l detto Piero le Roi fu il capo e commovitore de la Comune, e per sua franchezza fu sopranominato Piero le Roi, e in fiammingo Connicheroi, cioè Piero lo re. Questo Piero era tessitore di panni povero uomo, e era piccolo di persona e sparuto, e cieco dell'uno occhio, e d'età di più di LX anni; lingua francesca né latina non sapea, ma in sua lingua fiamminga parlava meglio, e più ardito e stagliato che nullo di Fiandra e per lo suo parlare commosse tutto il paese a le grandi cose che poi seguiro, e però è bene ragione di fare di lui memoria. E per la presa di lui e de' suoi compagni il popolo minuto di Bruggia corsono la terra e combatterono il borgo, cioè il castello ove stanno gli schiavini e' rettori della terra, e uccisono de' borgesi, e per forza trassono di pregione i loro caporali. E ciò fatto, di questa querela si fece triegua e appello a Parigi dinanzi al re, e durò bene uno anno la quistione; e a la fine per moneta spesa per gli grandi borgesi di Fiandra intorno a la corte del re il popolo minuto ebbono la sentenzia incontro; onde venuta la novella a Bruggia, que' de la Comuna si levarono da capo a romore e ad arme; ma per paura delle masnade e de' grandi borgesi si partirono di Bruggia, e andarne a la terra del Damo ivi presso a III miglia, e quella corsono, e uccisono il balio e' sergenti che v'erano per lo re, e rubarono i grandi borgesi de la terra, e uccisorne; e ciò fatto, come genti disperati e in furia, vennero a la terra d'Andiborgo e feciono il somigliante; e poi ne vennero al maniere del conte che si chiama Mala, presso a Bruggia a tre miglia, che v'era dentro il balio di Bruggia e da LX sergenti del re, e quella fortezza per forza presono, e sanza misericordia o redenzione quanti Franceschi dentro avea misero a morte. I grandi borgesi di Bruggia veggendo così adoperare e crescere la forza al minuto popolo, temettono di loro e de la terra; incontanente mandarono in Francia per soccorso; per la qual cosa lo re incontanente vi mandò messer Giacomo di San Polo sovrano balio di tutta Fiandra, con MD cavalieri franceschi, e con sergenti assai; e giunti a Bruggia, presono e fornirono i palagi de l'Alle del Comune e tutte le fortezze de la terra con guernigione di loro genti d'arme, istando la terra di Bruggia in grande sospetto e guardia. E crescendo la forza e l'ardire al minuto popolo, come piacque a·dDio, per pulire il peccato de la superbia e avarizia de' grandi borgesi e abattere l'orgoglio de' Franceschi, quegli artefici e popolo minuto ch'erano rimasi in Bruggia feciono tra·lloro giura e cospirazione di disperarsi per uccidere i Franceschi e' grandi borgesi, e mandarono per gli loro isfuggiti a la terra del Damo e quella d'Andiborgo, ond'erano loro capi e maestri Piero le Roi e Giambrida, che venissono a Bruggia, li quali cresciuti in baldanza per la vittoria e uccisione per loro cominciata contro a' Franceschi, a bandiere levate, e le femmine come gli uomini, vennero in Bruggia la notte di... com'era ordinato; e poteallo fare, però che lo re avea fatti abattere i fossi e porte di Bruggia. E giunti nella terra, dandosi nome con que d'entro, e gridando in loro linguaggio fiamingo, che da' Franceschi nonn-erano intesi; "Viva la Comune, e a la morte de' Franceschi!", abarraro le rughe de la terra. Per la qual cosa si cominciò la dolorosa pestilenzia e morte de' Franceschi, per modo che qualunque Fiammingo avea in sua casa nullo Francesco, o l'uccidea, o 'l menava preso a la piazza dell'Alla, ove la Comune era raunata e armata, e là giugnendo i presi, come tonnina in pezzi erano tagliati e morti. Sentendo i Franceschi levato il romore, e armandosi per raunarsi insieme, si trovavano da' loro osti tolti i freni, e le selle de' cavalli nascose. E più ne faceano le femmine che gli uomini; e chi era montato a cavallo trovava le rughe abarrate, e gittati loro i sassi da le finestre, e morti per le vie. E così durò tutto il giorno la detta persecuzione, ove morirono, che con ferri, e che di sassi, e d'esser gittati gli uomini dalle finestre delle torri e palazzi dell'Alle, ov'erano in fortezze più di MCC Franceschi a cavallo e più di MM sergenti a piede, onde tutte le rughe e piazze di Bruggia erano piene di corpi morti, e di sangue e carogna de' Franceschi, che più di tre dì gli penarono a sotterrare, portandogli in carra fuori della terra, e gittandogli in fosse a' campi; e de' grandi borgesi assai vi furono morti, e tutte loro case rubate. Messer Giache di San Polo con pochi fuggendo scampò, perch'abitava presso all'uscita della terra; e questa pestilenzia fu uno... del mese di..., gli anni di Cristo MCCCI.
LVI
De la grande e disaventurosa sconfitta che' Franceschi ebbono a Coltrai da' Fiaminghi.
Dopo la detta rubellazione di Bruggia e morte de' Franceschi i maestri e' capitani della Comune di Bruggia, parendo loro avere fatte e cominciate grandi imprese, e grande misfatto contro a·re di Francia e sua gente, e considerando di non potere per loro medesimi sostenere sì gran fascio, essendo sanza il loro signore e sanza altro aiuto, sì mandarono in Brabante per lo giovane Guiglielmo di Giulieri, fratello dell'altro messer Guiglielmo di Giulieri che morì per la sconfitta di Fornes ad Arazzo in pregione del conte d'Artese, come adietro facemmo menzione. Questo Guiglielmo era nato per madre della figliuola del vecchio conte Guido di Fiandra, e figliuolo del conte di Giulieri di Valdireno, ed era gran cherico. Sì tosto come fu richesto da que' di Bruggia, per vendicare il suo fratello da' Franceschi, lasciò la chericia e venne in Fiandra, e da que' di Bruggia fu ricevuto a grande onore, e fatto loro signore. Incontanente fece gridare oste sopra la villa e terra di Guanto, che si tenea per lo re; ma la terra era forte de le più del mondo per sito e per mura, fossi, e riviere, e paduli, sicché il loro assalto fue invano; onde si partirono e andarono a le terre del Franco di Bruggia de le marine di Fiandra, e quelle quasi tutte con poca fatica recaro in loro signoria, come fu le Schiuse, Nuovoporto, Berghe, e Fornes, e Gravalingua, e più altre ville; onde gran popolo crebbe a que' di Bruggia. E ciò sentendo il giovane Guido figliuolo del conte di Fiandra della seconda donna, nato della contessa di Namurro, venne in Fiandra, e accozzossi con Guiglielmo di Giulieri suo nipote, e furono insieme fatti signori e guidatori del popolo di Fiandra ribello del re di Francia; e tornando da le terre delle marine, ebbono a patti Guidendalla, il ricco maniere del conte, ove avea più di Vc Franceschi. E ciò fatto, venne messer Guido a oste sopra Coltrai con XVm di Fiaminghi a piè, e ebbe la terra, salvo il castello del re, ch'era molto forte e guernito de' Franceschi a cavallo e a piè. Guiglielmo di Giulieri andòe all'assedio al castello di Cassella con parte dell'oste, e in questa istanza quegli della terra d'Ipro e di Camua di loro volontà s'arendero a messer Guido di Fiandra, onde crebbe gran podere a' Fiaminghi, e ingrossossi l'oste a Coltrai. Quegli del castello che v'erano per lo re, si difendeano francamente, e co·lloro ingegni e difici disfeciono e arsono gran parte della terra di Coltrai; ma per lo improviso assedio de' Fiamminghi non erano guerniti di vittuaglia quanto bisognava loro; e però mandarono in Francia al re per soccorso tostano, onde il re sanza indugio vi mandò il buono conte d'Artese suo zio e de la casa di Francia, con più di VIIm cavalieri gentili uomini, conti, e duchi, e castellani, e banderesi, onde de' caporali fareno menzione, e con XLm sergenti a piè, de' quali erano più di Xm balestrieri. E giunti sopra il colle il quale è di contro a Coltrai, verso la via che va a Tornai, in su quello s'acamparono, presso del castello a mezzo miglio. E per fornire le spese della cominciata guerra di Fiandra lo re di Francia, per male consiglio di messer Biccio e Musciatto Franzesi nostri contadini, sì fece peggiorare e falsificare la sua moneta, onde traeva grande entrata, però che ella venne peggiorando di tempo in tempo, sì che la recò a la valuta del terzo, onde molto ne fu abominato e maldetto per tutti i Cristiani; e molti mercatanti e prestatori di nostro paese ch'erano co·lloro moneta in Francia ne rimasono diserti. Il buono e valente giovane messer Guido di Fiandra, veggendo l'esercito de' Franceschi a cavallo e a piè che gli erano venuti adosso, e conoscendo ch'egli non potea schifare la battaglia, o abandonare la terra di Coltrai e l'assedio del castello, e lasciandolo e tornando a Bruggia col suo popolo era morto e confuso, sì mando per messer Guiglielmo di Giulieri ch'era all'assedio di Cassella che lasciasse l'assedio, e colla sua oste venisse a·llui, e così fu fatto; e trovarsi insieme con XXm uomini a piè, che nullo v'avea cavallo per cavalcare se non i signori. E diliberato al nome di Dio e di messer san Giorgio di prendere la battaglia, uscirono della terra di Coltrai, e levarono il loro campo, ch'era di là dal fiume de la Liscia, e passarono in su uno rispianato poco di fuori della terra, per lo cammino che va a Guanto, e quivi si schieraro incontro a' Franceschi; ma segacemente presono vantaggio, che a traverso di quella pianura corre uno fosso che raccoglie l'acque della contrada e mette nella Liscia, il quale è largo il più V braccia e profondo III, e sanza rilevato che si paia di lungi, che prima v'è altri su, che quasi s'acorga che v'abbia fossato. In su quello fosso dal loro lato si schieraro a modo d'una luna come andava il fosso, e nullo rimase a cavallo, ma ciascuno a piè, così i signori e' cavalieri come la comune gente, per difendersi da la percossa delle schiere de' cavalli de' Franceschi, e ordinarsi uno con lancia (che l'usano ferrate, tegnendole a guisa che si tiene lo spiedo a la caccia del porco salvatico), e uno con uno grande bastone noderuto come manica di spiedo, e dal capo grosso ferrato e puntaguto, legato con anello di ferro da ferire e da forare; e questa salvaggia e grossa armadura chiamano godendac, cioè in nostra lingua buono giorno. E così aringati uno ad uno, che altre poche armadure aveano da offendere o da difendere, come genti povere e non usi in guerra, come disperati di salute, considerando il grande podere de' loro nimici, si vollono innanzi conducere a morire al campo, che fuggire e essere presi e per diversi tormenti giudicati: feciono venire per tutto il campo uno prete parato col corpo di Cristo, sì che ciascuno il vide, e in luogo di comunicarsi, ciascuno prese uno poco di terra e si mise in bocca. Messer Guido di Fiandra e messer Guiglielmo di Giulleri andavano dinanzi a le schiere confortandogli e amonendo di ben fare, ricordando loro l'orgoglio e superbia de' Franceschi, e 'l torto che faceano a' loro signori e a·lloro, e a quello che verrebbono per le cose fatte per loro, se' Franceschi fossono vincitori; e mostrando loro ch'essi combatteano per giusta causa, e per iscampare loro vita e di loro figliuoli, e che francamente dovessero principalmente intendere pure amazzare e fedire i cavalli. E messer Guido di sua mano in su 'l campo fece cavaliere il valente Piero le Roi con più di XL de la Comune, promettendo, se vincessono, a ciascuno dare retaggio di cavaliere. Il conte d'Artese capitano e duca dell'oste de' Franceschi, veggendo i Fiamminghi usciti a campo, fece stendere il campo suo, e scese più al piano contro a' nemici, e ordinò i suoi in X schiere in questo modo: che de la prima fece guidatore messer Gianni di Barlas con MCCCC cavalieri soldati, Provenzali, Guasconi, Navarresi, Spagnuoli, e Lombardi, molto buona gente; de la seconda fece conduttore messere Rinaldo d'Itria valente cavaliere con Vc cavalieri; la terza schiera fu di VIIc cavalieri, onde fu capitano messer Rau di Niella, conestabile di Francia; la quarta battaglia fu di VIIIc cavalieri, la quale guidava messer Luis di Chiermonte della casa di Francia; la quinta, il conte d'Artese generale capitano con M cavalieri; la sesta, il conte di San Polo con VIIc cavalieri; la settima, il conte d'Albamala, e il conte di Du, e il ciamberlano di Francavilla con M cavalieri; l'ottava, messer Ferri figliuolo del duca de·Loreno, e il conte di Sassona con VIIIc cavalieri; la nona battaglia guidava messer Gottifredi fratello del duca di Brabante, e messer Gianni figliuolo del conte d'Analdo con Vc cavalieri brabanzoni e anoieri; la decima fu di CC cavalieri e di Xm balestrieri, la quale guidava messere Giache di san Polo con messer Simone di Piemonte e Bonifazio di Mantova, con più d'altri XXXm sergenti d'arme a piè, Lombardi, Franceschi, e Provenzali, e Navarresi, detti bidali, con giavellotti. Questa fu la più nobile oste di buona gente che mai facesse il detto re di Francia, dov'era il fiore de la baronia e baccelleria de' cavalieri de·reame di Francia, di Brabante, d'Analdo, e di Valdireno. Essendo aringate le battaglie dell'una parte e dell'altra per combattere, messer Gian di Burlas, e messer Simone di Piemonte, e Bonifazio, capitani di soldati e balestrieri forestieri, molto savi e costumati di guerra, furono al conastabole e dissono: "Sire, per Dio lasciamo vincere questa disperata gente e popolo di Fiaminghi sanza volere mettere a pericolo il fiore della cavalleria del mondo. Noi conosciamo i costumi de' Fiaminghi: e' sono usciti di Coltrai come disperati d'ogni salute, o per combattere o per fuggirsi, e sono acampati di fuori, e lasciato nella terra i loro poveri arnesi e vivanda. Voi starete schierati co la vostra cavalleria, e noi co' nostri soldati che sono usi di fare assalti e correrie, e co' nostri balestrieri, e cogli altri pedoni, che n'avemo due cotanti di loro, enterremo tra loro e la terra di Coltrai, e gli assaliremo da più parti, e terregli in badalucchi e scheremugi gran parte del dì. I Fiaminghi sono di grande pasto, e tutto dì sono usi di mangiare e di bere; tegnendoli noi in bistento e digiuni, gli straccheremo, e non potranno durare, perché non si potranno rinfrescare; si partiranno del campo a rotta da·lloro schiere, e come voi vedrete ciò, spronate loro adosso con vostra cavalleria, e avrete la vittoria sanza periglio di vostra gente". E di certo così veniva fatto, ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno, e per le peccata commesse si mostra il giudicio di Dio; e intra gli altri peccati il conte d'Artese avea dispregiate le lettere di papa Bonifazio, e con tutte le bolle gittate nel fuoco. Udito questo consiglio il conastabole, sì gli piacque e parve buono, e venne co' detti conostaboli al conte d'Artese, e dissegli il consiglio, e come gli parea il migliore. Il conte d'Artese rispuose per rimproccio: "Pru diable, ce sont de guiglie di Lombars, e vos conostable aves ancore du pol del lu"; cioè volle dire ch'e' non fosse leale al re, perché la figliuola era moglie di messer Guiglielmo di Fiandra. Allora il conestabole irato per lo rimproccio udito, disse al conte: "Sire, se vos verres u gie irai vos ires bene avant". E come disperato, stimandosi d'andare a la morte, fece muovere sue bandiere, e brocciò a·ffedire francamente, non prendendosi guardia, né sappiendo del fosso a traverso dov'erano schierati i Fiamminghi, come adietro facemmo menzione. E giugnendo sopra il detto fosso, i Fiamminghi ch'erano dall'una parte e dall'altra cominciarono a fedire di loro bastoni detti godendac a le teste de' destrieri, e facevagli rivertire e ergere adietro. Il conte Artese e l'altre schiere e battaglie de' Franceschi, veggendo mosso a fedire il conastabole con sua gente, il seguiro l'uno appresso l'altro a sproni battuti, credendo per forza de' petti de' loro cavalli rompere e partire la schiera de' Fiamminghi; a·lloro avenne tutto per contrario, che per lo pingere e urtare, i cavagli dell'altre schiere per forza pinsono il conostabole, e il conte Artese, e sua schiera a traboccare nel detto fosso l'uno sopra l'altro; e 'l polverio era grande, che que' di dietro non poteano vedere, né per lo romore de' colpi e grida intendere i·loro fallo, né·lla dolorosa isventura di loro feditori; anzi credendo ben fare pignevano pure innanzi urtando i loro cavagli, per modo ch'eglino medesimi per l'ergere e cadere di loro cavagli l'uno sopra l'altro s'afollavano, e faceano affogare e morire gran parte, o i più, sanza colpo di ferri, o di lance, o di spade. I Fiamminghi ch'erano aserrati e forti in su la proda del fosso, veggendo traboccare i Franceschi e' loro cavagli, non intendeano ad altro che amazzare i cavalieri, e' loro cavagli isfondare e isbudellare, sicché in poco d'ora non solamente fu ripieno il fosso d'uomini e di cavagli, ma fatto gran monte di carogna di quegli. Ed era sì fatto giudicio, che' Franceschi non poteano dare colpo a' loro nemici, ma eglino medesimi afollavano, e uccideano l'uno l'altro per lo pignere che faceano, credendo per urtare rompere i Fiaminghi. Quando i Franceschi furono quasi tutte loro schiere radossati l'uno sopra l'altro, e confusi per modo che per loro medesimi convenia o che traboccassono co' loro cavagli, o fossono sì stretti e annodati a schiera che non si poteano reggere, né andare innanzi né tornare adietro, i Fiaminghi ch'erano freschi, e poco travagliati i capi de' corni de la loro schiera, onde dell'uno era capitano messer Guido di Fiandra, e dell'altro messer Guiglielmo di Giulieri, gli quali in quello giorno feciono maraviglie d'arme di loro mano, essendo a piè, passaro il fosso, e rinchiusono i Franceschi, per modo che uno vile villano era signore di segare la gola a' più gentili uomini. E per questo modo furono sconfitti e morti i Franceschi, che di tutta la sopradetta nobile cavalleria non iscampò se non messer Luis di Chiermonte, e il conte di San Polo, e quello di Bologna con pochi, perché si disse che non si strinsono al fedire; onde sempre portarono poi grande onta e rimproccio in Francia. Tutti gli altri duchi, conti, e baroni, e cavalieri furono morti in su il campo, e alquanti fuggendo per le fosse e maresi morti furono; in somma più di VIm cavalieri, e di pedoni a piè sanza numero, rimasono morti a la detta battaglia sanza menarne nullo a pregione. E questa dolorosa e sventurata sconfitta de' Franceschi fue il dì di santo Benedetto, a dì XI di luglio, gli anni di Cristo MCCCII; e non sanza grande giudicio divino, però che fu quasi uno impossibile avenimento. E bene ci cade la parola che Dio disse al popolo suo d'Israel, quando la potenzia e moltitudine di loro nimici venia loro adosso, i quali erano con piccola forza a·lloro comparazione, e temendo di combattere, disse: "Combattete francamente, ché la forza della battaglia nonn-è solo ne la moltitudine de le genti, anzi è in mia mano, però ch'io sono lo Idio Sabaoth, cioè lo Idio dell'oste". Di questa sconfitta abassò molto l'onore, e lo stato, e fama de l'antica nobilità e prodezza de' Franceschi, essendo il fiore della cavalleria del mondo isconfitta e abbassata da' loro fedeli, e la più vile gente che fosse al mondo, tesserandi, e folloni, e d'altre vili arti e mestieri, e non mai usi di guerra, che per dispetto e loro viltade da tutte le nazioni del mondo i Fiaminghi erano chiamati conigli pieni di burro; e per queste vittorie salirono in tanta fama e ardire, ch'uno Fiamingo a piè con uno godendac in mano avrebbe atteso due cavalieri franceschi.
LVII
Di quale lignaggio furono i presenti conti e signori di Fiandra.
Dapoi ch'avemo innarrato le grandi novità e battaglie cominciate tra 'l re di Francia e 'l conte di Fiandra e' suoi, e seguiranno appresso per gli tempi, ne pare convenevole di raccontare dell'esser e legnaggio de' detti conti, però che feciono grandi cose, e di loro furono valenti signori. Questi conti non sono per lignaggio mascolino dello stocco degli antichi conti di Fiandra, onde fue il buono primo imperadore Baldovino che conquistò Gostantinopoli, e 'l valente conte Ferrante, il quale si combatté collo imperadore Otto insieme col buono re Filippo il Bornio, come adietro facemmo menzione; e fu suo non solamente Fiandra, ma la contea d'Analdo, e Vermandois, e Tiracia infino presso a Compigno. E quegli primi conti portarono l'arme agheronata gialla e nera; ma questi d'oggi ne nacquero per femmina in questo modo. Quando morì il detto conte Ferrante, di lui non rimase figliuolo maschio, ma solo una piccola figlia femmina chiamata Margherita. Questa rimase a guardia e tuteria d'uno savio cherico, ch'avea nome messer Gian d'Avenes, figliuolo del signore di Don piero in Borgogna, overo Campagna, e per suo senno avea guidato il conte Ferrante e tutto il suo paese. Questi ritenne la signoria per la fanciulla; e quand'ella fue in età, si giacque co·llei, e ebbene uno figliuolo chiamato Gianni; e per coprire la vergogna di lui e della damigella lasciòe la chericia, e sposò la contessa Margherita a moglie, e poi n'ebbe uno figliuolo, e questi fue il presente valente e buono Guido conte di Fiandra; e poco apresso morìo messer Gian d'Avenes, e rimase la detta contessa Margherita co' detti due suoi figliuoli, e non riprese marito; e guidava molto saviamente sua terra e paese, e quando bisognò, andò in arme com'uno cavaliere, e fu molto savia e ridottata donna, e fece molte buone leggi e costume in Fiandra che ancora s'oservano. Avenne, quando Gianni e Guido suoi figliuoli furono cavalieri, ciascuno volea esser conte di Fiandra, onde piato ne nacque ne la corte del re di Francia, e convenne ne fosse sentenzia; e citata la contessa Margherita al giudicio innanzi al re, disse che Guido era degno d'essere conte di Fiandra, però ch'egli era nato di matrimonio, e Gianni no; onde crucciato Gianni, ch'era il maggiore, inanzi al re di Francia e suo consiglio in presenza della madre disse: "Dunque sono io figliuolo della più ricca puttana del mondo?". La contessa, come savia, si gabbò delle parole, e rispuose a Gianni: "Io non ti posso torre Analdo di tuo retaggio, ma io ti voglio torre che a la tua arme, ch'è il campo ad oro e leone nero, a·leone tu non facci mai unghioni né lingua, perché la tua è stata villana; e Guido voglio il porti tutto intero". E così fu giudicato e confermato per lo re di Francia e per gli dodici peri. Onde di messer Gianni sono discesi i conti d'Analdo, e di messer Guido conte di Fiandra messere Ruberto di Bettona, e messer Guiglielmo e messer Filippo della sua prima donna avogada di Bettona; e della seconda donna figliuola del conte di Luzzimborgo e contessa di Namurro, la quale contea fece comperare per gli figliuoli al conte di Fiandra, sì nacquero messer Gianni conte di Namurro, e il buono messer Guidone, e messer Arrigo di Fiandra; del quale Guidone la nostra storia ha parlato ne la detta sconfitta di Coltrai, e parlerà ancora in più parti di loro prodezze e valentie, e però ne paiono degni di loro nazione avere voluto fare memoria.
LVIII
Come lo re di Francia rifece sua oste, e con tutto suo podere venne sopra i Fiaminghi; e tornossi in Francia con poco onore.
Dopo la detta sconfitta di Coltrai incontanente s'arrendero a messer Guido di Fiandra quegli di Guanto, e que' di Lilla, e Doai, e Cassella, sì che non rimase terra né villa piccola né grande in Fiandra, che non tornasse a le comandamenta di messer Guido; e per la detta vittoria la Comuna d'ogni terra di Fiandra presono ardire e signoria, e cacciarne i loro grandi borgesi, perché amavano i Franceschi; e non tanto in Fiandra, simile avenne in Brabante, e in Analdo, e in tutte loro circustanzie, per lo favore della Comuna di Fiandra. Come in Francia fue la dolorosa novella della detta sconfitta, nonn-è da domandare se v'ebbe dolore e lamento, che non v'ebbe villa, castello, maniero, o signoraggio, che per gli cavalieri e scudieri che rimasono morti a Coltrai non v'avesse dame e damigelle vedove. Lo re di Francia, passato il dolore, fece come valente signore, che incontanente fece bandire oste generale per tutto il reame; e per fornire sua guerra sì fece falsificare le sue monete; e la buona moneta del tornese grosso, ch'era a XI once e mezzo di fine, tanto il fece peggiorare, che tornò quasi a metade, e simile la moneta prima; e così quelle dell'oro, che di XXIII e mezzo carati le recò a men di XX, faccendole correre per più assai che non valeano: onde il re avanzava ogni dì libbre VIm di parigini e più, ma guastò e disertò il paese, che la sua moneta non tornò a la valuta del terzo. E fornito lo re, e apparecchiata la sua grande e ricca oste, si mosse da Parigi, e del mese di settembre presente del detto anno MCCCII, fue ad Arazzo in Artese con più di Xm cavalieri, e con più di LXm pedoni; e in Italia mandò per messer Carlo di Valos suo fratello, che rimossa ogni cagione dovesse tornare in Francia; e così fece poco appresso. I Fiaminghi sentendo l'apparecchio e venuta del re di Francia, mandaro in Namurro per lo conte messer Gianni figliuolo del conte di Fiandra, e maggiore di messer Guido, il quale era molto savio e valente; e lui venuto, il feciono loro generale capitano dell'oste, e come gente calda, e baldanzosa della vittoria da Coltrai, s'apparecchiaro di tende, e padiglioni, e trabacche, con tutto che assai aveano di quelle de' Franceschi; e ciascuna terra e villa per sé si soprasegnaro di soprasberghe e d'arme, e ciascuno mestiere per sé, e raunarsi a Doai, e furono più di LXXXm uomini a piè bene armati e soprasegnati, e con tanto carreggio che portava il loro arnese, che copria tutto il paese, e in somma era a vedere la più bella e ricca oste di gente a piè, che mai fosse tra' Cristiani. Lo re di Francia colla sua grande e nobile oste uscì fuori d'Arazzo per entrare in Fiandra, e acampossi a una villa che si chiama Vetri, tra Doai e Arazzo, e era sì grande, che tenea di giro più di X miglia. I Fiaminghi come franca gente, e bene guidati e condotti, non attesero l'oste a Doai, ma uscirono di Doai, e s'afrontarono incontro a l'oste del re, gridando dì e notte: "Battaglia, battaglia!", e innanimati di combattere, e sovente aveano insieme scarmugi e badalucchi, e non v'avea Fiammingo a piè con suo godendac in mano che non attendesse il cavaliere francesco, per la baldanza presa sopra loro, e' Franceschi per contradio inviliti. E ciò fu del mese d'ottobre, nel quale cominciò grandi piogge, e 'l paese è pieno di paduli e di fosse, e sempre terreno che mai non si puote osteggiare il verno; onde il carreggio del re ch'aducea la vivanda all'oste per li fondati cammini non poteano venire, né i cavalieri co·lloro cavalli apena uscire del campo. Per la quale confusione l'oste del re venne in tanti difetti, e di vittuaglia e d'altro, che non poterono più tenere campo, e convenne che di necessità si levasse da oste, con sua grande onta e vergogna, faccendo triegua per uno anno: e tornossi addietro ad Arazzo, e poi a Parigi, con grande spendio, e con grande mortalità de' suoi cavagli. Alcuno disse in Francia che intra l'altre cagioni della partita dell'oste del re fu per inganno del re Adoardo d'Inghilterra, il quale amava i Fiaminghi, e per favoragli disse a la moglie, la quale era serocchia del re di Francia, in segreto segacemente e con frode: "Io temo che 'l re di Francia non riceva vergogna e pericolo in questa oste, ch'io sento che vi sarà tradito da certi suoi baroni medesimi". La reina prese a vero la parola, e incontanente la significò al re di Francia suo fratello, ond'egli entrò in sospetto e gelosia de' suoi baroni, ma non sapea di cui, e partissi per lo modo che detto avemo con onta e vergogna: e potrebbe esser stata l'una cagione e l'altra della sua partita. E partita l'oste del re, i Fiaminghi si tornarono in loro terre con grande festa e allegrezza. Avemo sì distesamente innarrate queste storie di Fiandra, perché furono nuove e maravigliose, e noi ci trovammo in quegli tempi nel paese, che con oculata fede vedemmo e sapemmo la veritade. Lasceremo alquanto di questa materia, infino che verranno i tempi del termine e fine di questa guerra tra 'l re di Francia e' Fiaminghi, che fu assai piccolo tempo appresso, e torneremo a nostra materia a raccontare le novità d'Italia e della nostra città di Firenze che furono in quegli tempi, seguendo nostro trattato.
LIX
Come Folcieri da Calvoli podestà di Firenze fece tagliare la testa a certi cittadini di parte bianca.
Nel detto anno MCCCII, essendo fatto podestà di Firenze Folcieri da Calvoli di Romagna, uomo feroce e crudele, a posta de' caporali di parte nera, i quali viveano in grande gelosia, perché sentivano molto possente in Firenze la parte bianca e ghibellina, e gli usciti iscriveano tutto dì, e trattavano con quegli ch'erano loro amici rimasi in Firenze, il detto Folcieri fece subitamente pigliare certi cittadini di parte bianca e Ghibellini; ciò furono messer Betto Gherardini, e Masino de' Cavalcanti, e Donato e Tegghia suo fratello di Finiguerra da Sammartino, e Nuccio Coderini de' Galigai, il quale era quasi un mentacatto, e Tignoso de' Macci; e a petizione di messer Musciatto Franzesi, ch'era de' signori della terra, volloro essere presi certi caporali di casa gli Abati suoi nimici, i quali sentendo ciò si fuggiro e partiro di Firenze, e mai poi non ne furono cittadini; e uno massaio de le Calze fu de' presi, oppognendo loro che trattavano tradimento nella città co' Bianchi usciti. O colpa o non colpa, per martorio gli fece confessare che doveano tradire la terra e dare certe porte a' Bianchi e Ghibellini; ma il detto Tignoso de' Macci per gravezza di carni morì in su la colla. Tutti gli altri sopradetti presi gli giudicò, e fece loro tagliare le teste, e tutti quegli di casa gli Abati condannare per ribelli, e disfare i loro beni, onde grande turbazione n'ebbe la città, e poi ne seguì molti mali e scandali. E nel detto anno fue gran caro di vittuaglia, e valse lo staio del grano in Firenze a la rasa soldi XXII di soldi... il fiorino d'oro.
LX
Come la parte bianca e' Ghibellini usciti di Firenze vennero a Pulicciano, e partirsene in isconfitta.
Nel detto anno, del mese di marzo, i Ghibellini e' Bianchi usciti di Firenze co la forza de' Bolognesi che si reggeano a parte bianca, e coll'aiuto de' Ghibellini di Romagna e degli Ubaldini, vennero in Mugello con VIIIc cavalieri e VIm pedoni, ond'era capitano Scarpetta degli Ordilaffi da Forlì, e presono sanza contasto il borgo e poggio di Pulicciano, e assediarono una fortezza che vi teneano i Fiorentini, credendo ivi fare capo grosso, e recare il Mugello sotto loro obbedienza, e poi stendersi co·lloro forza a la città di Firenze. Saputa la novella in Firenze, subitamente cavalcaro in Mugello popolo e cavalieri con tutta la forza de la cittade; e giunti al borgo, e venuti i Lucchesi e l'altra amistà, e di là uscendo ischierati e messi in ordine per andare a' nemici, i cavalieri di Bologna sentendo la sùbita venuta de' Fiorentini, e trovandosi ingannati da' Bianchi usciti di Firenze ch'aveano loro fatto intendere che' Fiorentini per tema di loro amici rimasi dentro non ardirebbono d'uscire della terra, si tennono traditi, e con paura grande sanza niuno ordine si partiro da Pulicciano di Mugello, e andarsene a Bologna, onde i Bianchi e' Ghibellini usciti rimasono rotti e scerrati, e partirsi una notte sanza colpo di spada come sconfitti, lasciando tutti i loro arnesi, e più di loro gittarono l'arme, e rimasonvi de' morti e presi de' migliori per certi iscorridori iti innanzi. Intra gli altri notabili e orrevoli cittadini e antichi Guelfi e fattisi Bianchi vi fu preso messer Donato Alberti giudice, e Nanni di Ruffoli da le porte del vescovo. Nanni vegnendo preso, fu morto da uno de' Tosinghi, e a messer Donato Alberti tagliato il capo, per quella legge medesima ch'egli avea fatta e messa in ordine di giustizia quando egli regnava ed era priore. E col detto messer Donato Alberti furono menati presi e tagliate le teste a due de' Caponsacchi, e uno degli Scolari, e Lapo de' Cipriani, e a Nerlo degli Adimari, e altri intorno di X di piccolo affare; per la quale rotta i Bianchi e' Ghibellini usciti molto abassaro.

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Ultimo Aggiornamento:12/07/05 22.45.57