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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Secondo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO UNDECIMO (1-46)

I
Qui comincia lo XI libro, il quale conta de la venuta in Firenze di Carlo duca di Calavra figliuolo del re Ruberto, per la cui venuta fu cagione che lo re eletto de' Romani venne de la Magna in Italia.
Carlo duca di Calavra e primogenito del re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia entrò nella città di Firenze mercolidì all'ora di mezzodì, dì XXX di luglio MCCCXXVI, co la duchessa sua moglie e figliuola di messere Carlo di Valos di Francia, cogl'infrascritti signori e baroni, cioè messer Gianni fratello del re Ruberto e prenze de la Morea colla donna sua, messer Filippo dispoto di Romania e figliuolo del prenze di Taranto nipote del re, il conte di Squillaci, messer Tommaso di Marzano, il conte di Sansoverino, il conte di Chiermonte, il conte di Catanzano e quello di Sangineto in Calavra, il conte d'Arriano, il conte Romano di Nola, il conte di Fondi nipote di papa Bonifazio, il conte di Minerbino, messer Guiglielmo lo Stendardo, messer Amelio dal Balzo, il signore di Berra e quello di Merlo, messer Giuffredi di Gianvilla, e messer Iacomo di Cantelmo, e Carlo d'Artugio di Proenza, e 'l signore del Sanguino, e messer Berardo di siri Grori d'Aquino, e messer Guiglielmo signore d'Ebole, e più altri signori e cavalieri francesci e provenzali e catalani e del Regno e napoletani, i quali furono in quantità, co' Provenzali che vennono per mare, da MD cavalieri, sanza quegli del duca d'Atene, ch'erano IIIIc; intra' quali tutti avea bene CC cavalieri a sproni d'oro, molto bella gente e nobile, e bene a cavallo, e in arme, e in arnesi, che bene MD some a muli a campanelle aveano. Da' Fiorentini fu ricevuto con grande onore e processione; albergò nel palagio del Comune di costa a la Badia, ove solea stare la podestà, e sì tenea ragione; e la signoria e le corti de la ragione andò a stare in Orto Sammichele ne le case che furono de' Macci. E nota la grande impresa de' Fiorentini, che avendo avute tante afflizzioni e dammaggi di persone e d'avere, e così rotti insieme, in meno d'uno anno col loro studio e danari feciono venire in Firenze uno sì fatto signore, e con tanta baronia e cavalleria, e il legato del papa, che fu tenuta grande cosa da tutti gl'Italiani, e dove si seppe per l'universo mondo. E dimorato il duca in Firenze alquanti dì, sì mandò per l'amistà. I Sanesi gli mandarono CCCL cavalieri, i Perugini CCC cavalieri, i Bolognesi CC cavalieri, gli Orbitani C cavalieri, i signori Manfredi da Faenza con C cavalieri, il conte Ruggieri mandò CCC fanti, e 'l conte Ugo in persona con CCC fanti, e la cerna de' pedoni del nostro contado; e per tutti si credette che facesse oste; e l'apparecchiamento fu grande, e fece imporre a' cittadini ricchi LXm fiorini d'oro. Poi, quale si fosse la cagione, non procedette l'oste: chi disse perché il re suo padre non volle, sentendo che tutti i tiranni di Lombardia e di Toscana s'apparecchiavano di venire in aiuto a Castruccio per combattere col duca; e chi disse che l'ordine fatto per lo duca sì dell'armata e sì d'altri trattati, e ancora i Fiorentini molto stanchi delle spese, non era bene disposta la materia; e per alcuno si disse che Castruccio era stato in trattato di pace col legato e col duca, e sotto il trattato trasse suoi vantaggi da la lega de' Ghibellini di Lombardia, e si fornì; e così ingannò il duca, e tornò in vano la 'mpresa; e a questa diamo più fede, che fummo presenti; con tutto che molti dissono che se 'l duca fosse stato franco signore, avendo tanta baronia e cavalleria, sanza porsi a soggiornare nella sua venuta né a Siena né a Firenze, e del mese di luglio e d'agosto che Castruccio fu forte malato, avendo cavalcato verso Lucca, avea vinta la guerra a·ccerto.
II
Di quistioni che 'l duca mosse a' Fiorentini per istendere sua signoria.
Poi a dì XXVIIII d'agosto sequente il duca volle dichiarare co' Fiorentini la sua signoria, e allargare i patti, spezialmente di potere liberamente fare priori a sua volontà, e simile ogni signoria e ufici e guardia di castella e in città e in contado, e a potere a sua volontà fare guerra e pace, e rimettere in Firenze isbanditi e ribelli, nonistante altri capitoli; e fecesi riconfermare la signoria per X anni, cominciandosi in calen di settembre, MCCCXXVI. E in questa mutazione ebbe grande gelosia in Firenze, però che' grandi e' potenti per rompere gli ordini della giustizia del popolo si raunarono insieme, e voleano dare la signoria libera al duca e sanza termine, e niuno salvo; e ciò non faceano né per amore né fede ch'al duca avessono, né che a·lloro piacesse sua signoria per sì fatto modo, ma solamente per disfare il popolo e gli ordini della giustizia. Il duca sopra·cciò ebbe savio consiglio, e tenne col popolo, il quale gli avea data la signoria, e così s'aquetò la città, e' grandi rimasono di ciò molto ispagati.
III
Come il cardinale piuvicò processo contra Castruccio e 'l vescovo d'Arezzo.
Nel detto tempo, a dì XXX d'agosto, il legato cardinale, veggendo che Castruccio e 'l vescovo d'Arezzo l'aveano tenuto in parole dell'accordo e fare i suoi comandamenti, sì piuvicò nella piazza di Santa Croce, ove fu il duca e tutta sua gente e' Fiorentini e' forestieri contra' detti, aspri processi contra Castruccio, sì come scomunicato per più casi, e sismatico e fautore degli eretici, e persecutore de la Chiesa, privandolo d'ogni sua dignità, e che ogni uomo lui e sua gente potesse offendere in avere e persone sanza peccato, iscomunicando chi gli desse aiuto o favore; e il vescovo d'Arezzo de' Tarlati scomunicò per simile modo, e 'l privò del vescovado, dello spirituale e temporale.
IV
Del fallimento della compagnia degli Scali di Firenze.
Nel detto tempo, a dì IIII d'agosto, fallì la compagnia degli Scali e Amieri e figliuoli Petri di Firenze, la quale era durata più di CXX anni, e trovarsi a dare tra cittadini e forestieri più di IIIIc migliaia di fiorini d'oro; e fue a' Fiorentini maggiore sconfitta, sanza danno di persone, che quella d'Altopascio, però che chi aveva danari in Firenze perdé co·lloro; sì che da ogni parte il detto anno i Fiorentini sì di sconfitte, sì di mortalità, sì di perdita di possessioni arse e guaste, e sì di pecunia, ebbono grande persecuzione; e molte d'altre buone compagnie di Firenze per lo fallimento di quella furono sospette con grande danno di loro.
V
Come si murò il castello di Signa per gli Fiorentini.
Nel detto anno MCCCXXVI, dì XIIII del mese di settembre, i Fiorentini veggendo che 'l duca loro signore non era acconcio di fare oste né cavalcata contra Castruccio signore di Lucca in quello anno, sì ordinarono di riporre ed afforzare Signa e Gangalandi, acciò che 'l piano e contado da quella parte si potesse lavorare; e così fu fatto, e Signa fu murata di belle mura e alte, e con belle torri e forti, de' danari del Comune di Firenze, e fu fatta certa immunità e grazia a quale terrazzano vi rifacesse le case; e Gangalandi s'ordinò di riporre per me' la pieve scendendo verso l'Arno sopra capo al ponte: fecionsi i fossi, ma non si compié allora.
VI
Conta della prima impresa di guerra che 'l duca di Calavra fece con tra Castruccio.
Nel detto anno, a l'entrante d'ottobre, il duca di Calavra signore di Firenze ordinò con Ispinetta marchese Malispina ch'egli entrasse nelle sue terre di Lunigiana a guerreggiare da quella parte Castruccio, e soldogli in Lombardia CCC cavalieri, e il legato di Lombardia gline diè CC di quegli della Chiesa, e C ne menò da Verona di quegli di messer Cane suo signore, e valicò da Parma l'alpi e venne nelle sue terre, e puosesi ad assedio del castello di Verruca Buosi, che Castruccio gli avea tolto. Da l'altra parte in quello medesimo tempo usciti di Pistoia a petizione del duca, sanza saputa o consiglio di niuno Fiorentino, rubellarono a Castruccio nell'alpe e montagne di Pistoia due castella, Cavignano e Mammiano. Castruccio veggendosi assalire per sì fatto modo, con tutto che l'agosto dinanzi fosse stato malato a moRte d'una sua gamba, come valente signore, vigorosamente e con grande sollecitudine s'argomentò a riparo, che incontanente fece porre campo e battifolli, overo bastite, molto forti a le dette due castella, ed egli cogli più della sua cavalleria venne a Pistoia per fornire la sua oste, e per istare a·ppetto al duca e a' Fiorentini, acciò che non potessono soccorrere le dette castella. Al duca e al suo consiglio parve avere fatta non savia impresa, ma perché avea promesso a quelle castella il suo soccorso, sì vi mandò la masnada de' Tedeschi, ch'erano CC cavalieri, i quali teneano i Fiorentini, e C altri soldati con Vc pedoni, e capitano di loro messer Biagio de' Tornaquinci di Firenze, i quali salirono a la montagna; ma per forti passi e per grandi nevi che vennono in quegli giorni non s'ardirono di scendere a fornire le castella; e sentendo l'assedio de la gente di Castruccio, ch'era grosso, il duca fece cavalcare a Prato quasi tutta sua gente e l'amistadi, che furono intorno di IIm cavalieri e pedoni assai. E da Prato si partì di questa gente messer Tommaso conte di Squillaci con CCC cavalieri scelti, e co·llui messer Amerigo Donati, e messere Giannozzo Cavalcanti con M pedoni, e salirono a la montagna per pugnare di fornire per forza le dette castella; e l'altra cavalleria e popolo ch'era in Prato cavalcarono infino a le porte di Pistoia, e poi si puosono a campo in sul castellare del Montale, e stettonvi III dì attendati; e in questa stanza fu il più forte tempo di vento e d'acqua, e a la montagna di nevi, che si ricordi di gran tempo; che per necessitade quelli ch'erano al Montale, non possendo tenere le tende tese, convenne che·ssi levassono e tornassono in Prato; e levati, tornaro sanza niuna buona ordine di guerra per tal modo che se Castruccio fosse stato in Pistoia, avrebbono avuto assai a·ffare. E la gente nostra ch'era a le montagne, per lo grande freddo e nevi appena poteano vivere, e falliva loro la vittuaglia sì che per necessità, e ancora perché Castruccio con tutta sua gente vi cavalcò da Pistoia e rafforzò l'oste e prese i passi che venieno a le dette castella, sì che la gente del duca in nulla guisa poterono fornire le dette castella, e furono in aventura d'essere sorpresi; e se poco avessono atteso che la gente di Castruccio si fossono ingrossati e stesi sopra i passi delle montagne, non ne scampava mai uno. E pur così ebbono assai a·ffare, e lasciarono per le montagne assai cavagli e somieri istraccati, e convenne loro per forza tornare per lo contado di Bologna. E partita la gente del duca, i detti due castelli, quegli che v'erano dentro, di notte si fuggirono; ma gli più di loro furono morti e presi, e la nostra gente tornarono in Firenze a dì XX d'ottobre con onta e con vergogna. Avute Castruccio le dette castella, sanza tornare in Pistoia o andarne a Lucca, come sollecito e valoroso signore sì traversò colla sua oste per le montagne di Carfagnana e di Lunigiana, per torre il passo e la vittuaglia a Spinetta e alla sua oste. Il detto Spinetta sentendo la venuta di Castruccio, e udendo com'egli avea prese le dette castella, e più, che·lle spie non vere rapportarono come la gente del duca era stata sconfitta a la montagna, si ritrasse con sua gente e lasciò la 'mpresa, e ripassò l'alpe, e ritornò in Parma. E di vero, se poco più vi fosse dimorato, sì v'era preso con tutta sua gente. E così la prima impresa del duca per non proveduto consiglio tornò in vano, e con vergogna. E ciò fatto, Castruccio fece disfare in Lunigiana le più delle fortezze che v'erano, perché non gli si rubellassono, e tornò in Lucca con gran trionfo, e fece ardere e guastare il suo castello di Montefalcone in su la Guisciana, e quello del Montale di Pistoia per avere meno a guardare, e perché la gente del duca non gli potessono prendere. Avemo sì lungamente detto sopra la materia, imperciò che furono nuovi e diversi avenimenti di guerra in pochi giorni. Lasceremo alquanto de' fatti della nostra guerra, e diremo di grandi e nuove cose ch'avennono in Inghilterra in quegli medesimi tempi.
VII
Come la reina d'Inghilterra fece oste sopra il re suo marito, e preselo.
Egli avenne, come adietro si fece in alcuna parte menzione, che la reina Isabella d'Inghilterra, serocchia del re di Francia, passò col suo maggiore figliuolo in Francia per compiere la pace dal marito al re di Francia della guerra di Guascogna, e per suo studio vi si diede compimento; e ciò fatto, si dolfe al re suo fratello e agli altri suoi parenti del portamento disonesto e cattivo che tenea il re Adoardo secondo d'Inghilterra suo marito, il quale co·llei non volea stare; ma tegnendo vita in avolterio e in lussuria in più disonesti modi, a la sodotta d'uno messer Ugo il Dispensiere suo barone, e guidatore del reame, e lasciandogli usare sua mogliera, la quale era nipote del re, e altre donne, acciò che la reina non degnasse vedere; e sì era delle più belle donne del mondo la reina. Il quale messer Ugo Dispensiere il nutricava in questa misera vita, e del tutto avea rovesciato in lui il governo di sé e di tutto il reame, mettendo adietro quegli di suo lignaggio e tutti gli altri gran baroni, e la reina e 'l figliuolo recati a niente. Questo messer Ugo era di piccolo lignaggio d'Inghilterra, e Dispensieri avea nome, però che l'avolo fu dispensiere del re Arrigo d'Inghilterra, e poi messer Ugo il padre fu dispensiere del re Adoardo primo, padre di questo re; ma per lo grande uficio e cattività del re era questo messer Ugo montato in grande signoria, e avea l'anno più di XXXm marchi di sterlini di rendita, e tutto il governo del reame in mano, e per moglie una nipote del re nata di sua suora; e per la sua disordinata trascotanza era montato in tanta superbia che si credea essere re, e la reina e' figliuoli del re non volea ch'avessono nulla signoria né stato. Per la qual cosa la donna non volendo tornare in Inghilterra, se 'l re non cessasse da sé il governo del detto messere Ugo il Dispensiere e de' suoi seguaci, e di ciò fece scrivere e mandare ambasciatori al re di Francia; ma però niente valse, e de la moglie e figliuolo si mise a non calere, sì era amaliato del consiglio del detto messere Ugo. Per la qual cosa la valente reina, data per moglie al figliuolo la figliuola del conte d'Analdo, e con aiuto di moneta del re di Francia suo fratello e d'altri suoi amici, ordinò in Olanda ne le terre del detto conte d'Analdo una armata di LXXX tra navi e cocche picciole e grandi, e soldò tra d'Analdo e di Brabante e di Fiandra VIIIc cavalieri, e ricolti in su la detta armata ella e 'l figliuolo co la detta gente, onde fece capitano messer Gianni fratello del conte d'Analdo, e partìsi d'Olanda del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVI, faccendo disfidare il marito e chi 'l seguisse; e fece intendere e dare boce in Inghilterra ch'ella fosse allegata cogli Scotti e nimici del re, e là a le confini d'Inghilterra e di Scozia farebbe porto co la sua armata per accozzarsi cogli Scotti.
VIII
Di quello medesimo.
Lo re Adoardo sentendo l'aparecchiamento del navilio e de' cavalieri che gli venia adosso co la moglie e col figliuolo, col consiglio del detto messer Ugo si ritrasse con sua gente d'arme verso le marce e' confini di Scozia per non lasciare la detta armata porre in terra. Ma il capitano de la detta armata maestrevolemente procedendo, non andarono al luogo ove aveano data la boce, ma puosono a Giepsivi presso di Londra a LXX miglia, a dì XV d'ottobre MCCCXXVI. Incontanente ch'ebbono posto in terra, il popolo di Londra si levò a romore, e corsono la terra, gridando: "Viva la reina e il giovane re, e muoiano i dispensieri e i loro seguaci"; e presono il vescovo di Silcestri, ch'era aguzzetta del detto messer Ugo, e tagliargli la testa; e tutti i famigliari e' seguaci de' dispensieri che trovarono uccisono; e le case della compagnia de' Bardi loro mercatanti rubarono e arsono, e più giorni durò la città ad arme e disciolta infino a la venuta della reina; e simile quasi tutti i baroni d'Inghilterra si ridussono co la reina, e abandonarono lo re. E giunta la reina in Londra fu ricevuta a grande onore, e riformata la terra, non s'intese ad altro che perseguitare i dispensieri e lo re. E in questo mese fu preso messer Ugo il vecchio, padre di messer Ugo il giovane il Dispensiere che guidava il re, e fu tranato co le sue armi indosso, e poi impiccato. E ciò fatto, la reina e 'l figliuolo con sua oste seguirono il re e messer Ugo infino in Guales, ch'erano nel castello chiamato Carfagli, gli assediarono più tempo, il quale era molto forte di selve e di marosi. A la fine s'accordò il re col detto messer Ugo, e comunicarsi insieme di mai non abbandonarsi, e armarono uno battello, e di notte uscirono del castello per andarsene in Irlanda con uno loro seguace ch'avea nome il Baldotto, prete e roffiano, e più altri famigliari. Ma come piacque a Dio, non erano sì tosto infra mare XX miglia, che 'l vento e tempesta di fortuna e la corrente gli recava a terra, e questo fu per più volte; e veggendo che non poteano passare, sì scesono in terra nel profondo e salvatico di Gales per venire al castello di Carsigli ov'era il figliuolo del detto messer Ugo, quasi con poca compagnia e sconosciuti. Il conte di Lancastro cugino del re, e fratello di colui a cui fece tagliare la testa con gli altri baroni, come inn-altra parte facemmo menzione, sì gli faceva a sua gente perseguitare il re e messere Ugo tanto, che gli trovarono presso di Meti in Guales: gli sorpresono; e 'l re domandando s'erano amici, dissono di sì, e che l'aveano per loro signore, e inginocchiarsi a·llui, ma che voleano messer Ugo; allora disse il re: "Non siete con meco, se voi siete contra costui"; e lo re tenendo messer Ugo accostato a·llui, e 'l braccio in collo per guarentillo, nullo gli ardia a porre mano adosso per prenderlo; ma il capitano di quella gente sagacemente richiese il re di parlarli in segreto per suo grande bene. Il re iscostandosi da messer Ugo per parlare a colui, un altro della compagnia... disse al detto messere Ugo, se volea scampare il seguisse; e così fece.
Incontanente dal Guales il traviarono per boschi di lungi bene XXX miglia; e lo re veggendosi così ingannato si dolfe molto, ma poco gli valse; che cortesemente fu menato egli e 'l Baldotto e gli altri ch'erano co·lloro presi. Come il conte sentì come lo re e sua compagnia erano presi, sì cavalcò in quella parte, e trovando traviato messer Ugo, andò in verso la casa di colui che l'avea preso; trovando, lo menò; e partito da' compagni, e' prese la moglie e' figliuoli, e minacciogli d'uccidere, o gl'insegnassono quegli ch'aveano messer Ugo. Quivi patteggiò e vollene il Gualese libbre M di sterlini. Incontanente il conte lo fece pagare per averlo. E ciò fatto, furono menati messer Ugo, e 'l Baldotto suo prete, e Sime di Radinghe presi con grandi grida e molti corni dinanzi a la reina, ch'era ad Eriforte; e poco appresso messer Ugo coll'armi sue a ritroso fue tranato, e poi impiccato, e poi tagliata la testa e squartato, e mandato ciascuno quartiere in diverse parti del reame, e ivi penduti, e le 'nteriora arse. E ciò fu del mese di novembre MCCCXXVI, a dì XXIIII. E per questo modo la valente reina si vendicò del suo nimico ch'avea guasto il re suo marito e tutto il reame. Lo re fu menato per lo conte di Lancastro a Gudistocco, e in quello castello fu tenuto cortesemente pregione; poi i baroni raunati a parlamento richiesono lo re ch'egli perdonasse a la reina e al figliuolo e a chiunque l'avea perseguito, e giurasse e promettesse di guidare il reame per consiglio de' suoi baroni; e se ciò non volesse fare, e' farebbono re Adoardo suo figliuolo. Lo re aontato de la vergogna a·llui fatta, in nulla guisa volle vedere la moglie né 'l figliuolo, né dimettere, né perdonare; innanzi volle essere disposto re ed essere pregione. Per la qual cosa i baroni feciono coronare re Adoardo il terzo suo figliuolo, e ciò fu il dì della Candellora, anno MCCCXXVI. E la reina veggendo che 'l re no·lle volle perdonare, né tornare a esser re, mai poi non fue allegra; ma come vedova si contenne in dolore, e volentieri avrebbe ritratto ciò ch'ella avea fatto. E poi il detto re Adoardo stando in pregione, per dolore infermò, e morìo del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e per molti si disse che fu fatto morire; e dianvi fede. E così i laidi peccati, chi gli segue contra Idio, hanno mali cominciamenti, e mali mezzi, e dolorosa fine. Lasceremo de' fatti d'Inghilterra, che assai n'avemo detto, e torneremo alquanto a' nostri di Firenze e d'Italia.
IX
Come i Parmigiani e poi i Bolognesi diedono la signoria al legato del papa.
Nel detto anno MCCCXXVI, in calen di ottobre, il Comune di Parma diede la signoria al legato del papa messer Ramondo dal Poggetto cardinale, il qual era in Lombardia per la Chiesa di Roma, e in Parma dimorò alquanto con sua corte, e avea a suo comandamento le masnade de' cavalieri della Chiesa, ch'erano bene IIIm cavalieri, la maggiore parte oltramontani, buona gente d'arme; ma poco d'onore o di stato feciono a santa Chiesa o a sua parte in aquisto di terre, o danno di nimici ribelli della Chiesa; e di ciò tutta la colpa si dava al detto legato, che 'l papa vi mandava moneta infinita, e male erano pagate le masnade, e nullo bene poteano fare. Poi per iscandalo che' Bolognesi aveano tra·lloro, per simile modo diedono la signoria a la Chiesa e al detto legato, il quale venne in Bologna a dì...
X
Come il re Ruberto e 'l duca mosse i primi patti a' Fiorentini.
Nel detto anno, del mese di dicembre, lo re Ruberto mandò al Comune di Firenze che oltre al primo patto che' Fiorentini aveano fatto al duca, come addietro è fatta menzione, volea che' Fiorentini stessono a pagare la taglia di VIIIc cavalieri oltramontani; per gli quali avea mandati in Proenza e in Valentinese e in Francia, e l'altre città amici di Toscana, come sono Perugini e' Sanesi e l'altre terre d'intorno, acciò che 'l duca in su la guerra fosse meglio acompagnato; e se ciò non si facesse per gli Fiorentini, mandò al duca che si partisse di Firenze e tornassene a Napoli. Per la quale richesta i Fiorentini si turbarono molto, imperciò che assai parea loro essere caricati di spese, e parea loro, ed era vero, che 'l re rompéo loro i patti; e mal partito aveano di lasciare partire il duca di Firenze, e le terre vicine male voleano concorrere alla spesa, onde il più del carico tornava sopra il Comune di Firenze. Per la qual cosa per lo meno reo partito i Fiorentini feciono composizione col duca di dargli XXXm fiorini d'oro per gli detti cavalieri, e' Sanesi ne diedono anche parte, e l'altre piccole terre d'intorno, ma i Perugini non vollono stare alla spesa. Ma come s'andasse la spesa, infra uno anno che 'l duca era venuto in Firenze, tra per lo suo salario e l'altre spese opportune che fece portare a' Fiorentini, più di IIIIcL migliaia di fiorini d'oro si trovò speso il Comune di Firenze, usciti di gabelle e d'imposte e libbre e altre entrate di Comune; che fu tenuta grande cosa e maravigliosa, e molto se ne doleano i Fiorentini. E oltre a questo, per lo consiglio de' suoi aguzzetti savi del regno di Puglia, si recò al tutto la signoria da la piccola cosa a la grande di Firenze, e avilì sì l'uficio de' priori, che nonn-osavano fare niuna cosa quanto si fosse piccola, eziandio chiamare uno messo; e sempre stava con loro uno de' savi del duca, onde a' cittadini, ch'erano usati di signoreggiare la città, ne parea molto male: ma grande sentenzia di Dio fu che per le loro sette passate fosse avilita la loro giuridizione e signoria per più vile gente e men savi di loro.
XI
Come a le donne di Firenze fue renduto certo ornamento.
Nel detto anno MCCCXXVI, e del detto mese di dicembre, il duca a priego che le donne di Firenze fatto a la duchessa sua moglie, sì rendé a le dette donne uno loro spiacevole e disonesto ornamento di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce di capegli dinanzi al viso, lo quale ornamento perché spiacea a' Fiorentini, perch'era disonesto e trasnaturato, aveano tolto a le dette donne, e fatti capitoli contro a·cciò e altri disordinati ornamenti, come adietro è fatta menzione: e così il disordinato appetito de le donne vince la ragione e 'l senno degli uomini.
XII
Come il papa fece nuovo vescovo d'Arezzo.
Nel detto anno e mese di dicembre papa Giovanni fece vescovo d'Arezzo uno degli Ubertini, possenti e gentili uomini del contado d'Arezzo, acciò che co' suoi fosse contro a Guido Tarlati disposto per lui del vescovado d'Arezzo; ma però poco aprodò, ché 'l nuovo eletto, con tutto l'aiuto del papa e del legato cardinale ch'era in Firenze, non avea uno danaio di rendita, che tutto il temporale e spirituale d'Arezzo tenea per forza il detto Guido Tarlati, ed erane tiranno e signore.
XIII
Come Castruccio volle torre a' Pisani Vico loro castello.
Nel detto anno MCCCXXVI, a dì V di gennaio, Castruccio signore di Lucca essendo nimico di quelli che reggeano Pisa, sì ordinò di torre a' Pisani il castello di Vicopisano, e mandòvi messer Benedetto Maccaioni de' Lanfranchi rubello di Pisa con CL cavalieri di sue masnade, e Castruccio con gran gente venne ad Altopascio per soccorrere, se bisognasse. Il quale messer Benedetto entrato la mattina per tempo per tradimento in Vico, corse la terra; ma i terrazzani levati, presono l'arme, e cominciarsi a difendere, e per forza ne cacciarono il detto messer Benedetto e la gente di Castruccio, e più di L ve ne rimasono tra presi e morti, onde i Pisani maggiormente s'inanimarono contra Castruccio.
XIV
Come più terre di Toscana si diedono al duca.
Nel detto anno MCCCXXVI, del mese di gennaio e di febbraio, i Pratesi e' Samminiatesi e quegli di San Gimignano e di Colle diedono la signoria al duca di Calavra figliuolo del re Ruberto in certo tempo e sotto certi patti, salvo che' Pratesi per loro discordia si diedono a perpetuo al duca e a sue rede.
XV
Di cavalcata fatta sopra Pistoia.
Nel detto anno, a dì XXI di gennaio, il conte Novello colla gente del duca, in quantità di VIIIc cavalieri de la migliore gente, cavalcarono infino a le porte di Pistoia e ruppono l'antiporto, e poi guastarono e arsono tutta Valle di Bura, e guastarono le mulina con grande danno di preda de' Pistolesi.
XVI
De' fatti degli usciti di Genova.
Nel detto anno, a l'entrante di febbraio, gli usciti di Genova con gente di Castruccio presono il castello di Siestri; e poi a dì III d'agosto vegnente, anni MCCCXXVII, i detti usciti per inganno presono il forte castello di Monaco, e tolsollo al Comune di Genova.
XVII
Dell'estimo fatto in Firenze.
Nell'anno MCCCXXVII, del mese d'aprile, si trasse in Firenze uno nuovo estimo ordinato per lo duca, e fatto con ordine per uno giudice forestiere per sesto, a la isaminazione di VII testimoni segreti e vicini, stimando ciò che ciascuno avea di stabile e di mobile e di guadagno, pagando certa cosa per centinaio del mobile, e certa cosa per centinaio lo stabile, e così del procaccio e guadagno. L'ordine si cominciò bene; ma gli detti giudici corrotti, cui puosono a ragione, e a cui fuori di ragione, onde grande ramarichio ebbe in Firenze; e così mal fatto, se ne ricolse LXXXm fiorini d'oro.
XVIII
Come la parte ghibellina feciono venire in Italia Lodovico duca di Baviera eletto re de' Romani.
Negli anni di Cristo MCCCXXVI, del mese di gennaio, per cagione della venuta del duca di Calavra in Firenze i Ghibellini e' tiranni di Toscana e di Lombardia di parte d'imperio mandarono loro ambasciadori in Alamagna a sommuovere Lodovico duca di Baviera eletto re de' Romani, acciò che potessono resistere e contastare a la forza del detto duca e de la gente della Chiesa, ch'era in Lombardia; e con grandi impromesse il detto Lodovico con poca gente condussono col duca di Chiarentana insieme a uno parlamento a Trento a' confini de la Magna di là da Verona; e al detto parlamento fu messer Cane signore di Verona con VIIIc cavalieri, e andovvi così guernito di gente d'arme per tema del detto duca di Chiarentana, con cui avea avuta briga per la signoria di Padova; e fuvi messer Passerino signore di Mantova, e uno de' marchesi d'Esti, e messer Marco, e messer Azzo Visconti di Milano, e fuvi Guido de' Tarlati che si chiamava vescovo d'Arezzo, e ambasciadori di Castruccio e de' Pisani e degli usciti di Genova e di don Federigo di Cicilia, e d'ogni caporale di parte d'imperio e Ghibellini d'Italia. Nel quale parlamento prima si fece l'accordo di triegua dal detto duca di Chiarentana a messer Cane di Verona. Apresso, a dì XVI di febbraio, il detto eletto re de' Romani, il quale volgarmente Bavero era chiamato da coloro che non voleano essere scomunicati, sì promise e giurò nel detto parlamento di passare in Italia, e venire a Roma sanza tornare in suo paese; e' detti tiranni e ambasciadori de' Comuni ghibellini gli promisono di dare CLm fiorini d'oro come fosse a Milano, salvo ch'a la detta lega non si legarono i Pisani, ma cercavano da parte di dargli danari assai, acciò che promettesse di non entrare in Pisa. E nel detto parlamento piuvicò non dovutamente papa Giovanni XXII essere eretico e non degno papa, apponendogli sedici articoli incontro; e ciò fece con consiglio di più vescovi e altri prelati e frati minori e predicatori e agostini, i quali erano sismatici e ribelli di santa Chiesa per più diversi casi, e co·lloro era il maestro della magione degli Alamanni, e tutta la sentina degli apostici e sismatici di Cristianità. E intra gli altri più forte e maggiore capitolo che opponesse contro al detto papa sì rinovò la quistione mossa in corte che Cristo nonn-ebbe propio, dicendo come il papa e la chericia amavano propio, ed erano nimici de la santa povertà di Cristo, e intorno a·cciò più articoli di scandalo in fede; e piuvicamente egli scomunicato, e simile i suoi prelati, continuo facea celebrare l'uficio sacro, e scomunicare papa Giovanni; e per diligione il chiamavano il papa prete Giovanni, onde grande errore se ne commosse in Cristianità. E ciò fatto, a dì XIII di marzo, si partì da Trento con poca di sua gente, e poveramente e bisognoso di danari, che in tutto non avea VIc cavalieri: e per le montagne ne venne a la città di Commo, e poi di là venne e entrò in Milano, a dì... d'aprile MCCCXXVII.
XIX
Come l'eletto di Baviera detto Bavero si fece coronare in Milano.
E poi, a dì XXXI di maggio, anni di Cristo MCCCXXVII, il dì della Pentecosta, quasi all'ora di nona, si fece coronare in Milano il detto Bavero della corona del ferro nella chiesa di Santo Ambruogio per mano di Guido de' Tarlati disposto vescovo d'Arezzo, e per mano di... di quegli di casa Maggio disposto vescovo di Brescia, e scomunicati; e già l'arcivescovo di Milano, a cui pertenea la coronazione, non vi volle essere in Milano. E a la detta coronazione fu messer Cane signore di Verona con VIIc cavalieri, e' marchesi da Esti ribelli della Chiesa con IIlc cavalieri, e 'l figliuolo di messere Passerino signore di Mantova con IIlc cavalieri, e più altri caporali di parte d'imperio e Ghibellini di Italia vi furono; ma però piccola festa v'ebbe. E rimase in Milano infino a dì XII d'agosto per avere moneta e gente. Lasceremo alquanto di lui, incidendo lo suo avento, per dire de le sequele e novitadi che s'apparecchiarono in Italia per la detta sua venuta.
XX
Di novitadi che fece il popolo di Roma per l'avento del Bavero che si chiamava loro re.
Per la venuta del detto Bavero eletto re de' Romani, incontanente, e in quello medesimo tempo, si commosse quasi tutta Italia a novitade; e' Romani si levarono a romore e feciono popolo, perché nonn-aveano la corte del papa né dello 'mperadore, e tolsono la signoria a tutti i nobili e grandi di Roma e le loro fortezze; e tali mandarono a' confini: ciò fu messer Nepoleone Orsini e messer Stefano de la Colonna, i quali di poco per lo re Ruberto erano fatti cavalieri a Napoli, per tema che non dessono la signoria di Roma al re Ruberto re di Puglia; e chiamaro capitano del popolo di Roma Sciarra della Colonna che reggesse la cittade col consiglio di LII popolani, IIII per rione; e mandarono loro ambasciadori a Vignone in Proenza a papa Giovanni, pregandolo che venisse colla corte a Roma, come dee stare per ragione; e se ciò non facesse, riceverebbono a signore il loro re de' Romani, detto Lodovico di Baviera; e simile mandarono loro ambasciadori a sommuovere il detto Lodovico chiamato Bavero; e la mossa loro fue simulata sotto quella cagione di rivolere la corte del papa per trarne grascia, come per antico erano usati; ma poi riuscì con maggiori sequele come innanzi si farà menzione. Il papa rispuose a' Romani per suoi ambasciadori, ammonendoli e confortandogli che non ricevessono il Bavero per loro re, però ch'egli era eretico e scomunicato e perseguitatore di santa Chiesa, e ch'egli a tempo convenevole, e tosto, verrebbe a Roma. Ma però non lasciarono i Romani il loro errore, trattando col papa e col Bavero e col re Ruberto, dando a ciascuno intendimento di tenere la città di Roma per loro, reggendosi a signoria di popolo, e dissimulando quasi a parte ghibellina e d'imperio.
XXI
Come il re Ruberto mandò il prenze della Morea suo fratello con M cavalieri ne le terre di Roma.
Lo re Ruberto, sentendo la venuta del detto Bavero in Lombardia, mandò messer Gianni prenze de la Morea suo fratello con M cavalieri a l'Aquila per avere a sua signoria le terre ch'erano in su i passi, e dell'entrate del Regno; e ebbe Norcia del Ducato a sua guardia, e poi la città di Rieti, ne la quale lasciò il duca d'Atene con gente d'arme; e poi fornì tutte le terre di Campagna con rettore che v'era per lo papa, a sua guardia e de la Chiesa. E poi credette potere entrare in Roma co la forza de' nobili; ma da' Romani non volle essere ricevuto. Per la qual cosa venne a oste a Viterbo, e guastogli intorno e prese assai del loro contado, perché non gli vollono dare la terra. E infra 'l detto tempo che 'l prenze de la Morea guerreggiava le terre di Roma lo re Ruberto mandò in Cicilia contra don Federigo LXX galee con Vc cavalieri, la quale armata partì di Napoli a dì VIII di luglio anni MCCCXXVII, e all'isola di Cicilia in più parti feciono danno assai, e presono più legni de' nimici. In questa stanza V galee di Genovesi de la detta armata per mandato del re Ruberto vennono a la guardia de la foce del fiume del Tevero, acciò che grascia e vittuaglia non entrasse per la via di mare ne la città di Roma; le quali galee presono la cittadella d'Ostia a dì V d'agosto nel detto anno, e rubarla tutta. Per la qual cosa il popolo di Roma furiosamente e non ordinati vi corsono parte di loro a Ostia, e assalendo la terra molti ne furono fediti e morti di moschetti di balestri di Genovesi, e ritornarsi in Roma. E ciò fatto, i Genovesi misono fuoco ne la terra e partirsi, e tornarono a loro galee; de la qual cosa il popolo di Roma molto si turbò contra il re Ruberto, e certi trattati ch'aveano co·llui d'accordo ruppono; onde il legato cardinale ch'era in Firenze n'andò verso Roma a dì XXX d'agosto nel detto anno per riconciliare i Romani col re Ruberto, e per entrare in Roma con messer Gianni prenze della Morea e co' nobili di Roma, che n'erano fuori a' confini; ma il popolo di Roma nulla ne volle udire. Onde veggendo che per accordo non poteano entrare in Roma, sì ordinarono d'entrarvi per inganno e forza; onde lunidì notte, a dì XXVIII di settembre nel detto anno, il detto prenze [...]
XXII
Come il prenze della Morea fratello del re Ruberto e il legato cardinale entrarono in Roma, e furonne cacciati con onta e danno.
[...] il legato cardinale degli Orsini e messer Nepoleone Orsini feciono rompere le mura del giardino di San Piero de la città detta Leonina, e entrarono in Roma con Vc cavalieri e altrettanti pedoni; ma messer Stefano della Colonna non vi volle entrare; e la detta gente presono la chiesa di San Piero, e la piazza e 'l borgo de' rigattieri, e uccisono tutti i Romani che la notte v'erano a la guardia, e feciono barre al detto borgo verso Castello Santo Angiolo. Ma faccendosi giorno, la parte de' Romani ch'aveano promesso di cominciare battaglia ne la terra a·ppetizione degli Orsini non ne feciono niente, né la gente del prenze e del legato non si trovarono nullo séguito da' Romani, ma il contradio. Il popolo di Roma, sonando la campana di Campidoglio a stormo, la notte furono a l'arme, e vennero assalire il detto prenze e·legato e loro gente, e a le sbarre fatte ebbe gran battaglia e fuvi morto uno degli Anibaldeschi, e altri assai Romani; ma a la fine soprastando il popolo, e crescendo in forza da tutte parti, la gente del prenze, ch'erano da C cavalieri e pedoni assai a difendere le sbarre, furono sconfitti e rotti, e morìvi messer Giuffrè di Gianville, e altri cavalieri intorno di XX, e a piè assai. E ciò veggendo il prenze e·legato, ch'erano schierati coll'altra cavalleria nella piazza di San Piero, feciono mettere fuoco nel detto borgo, acciò che 'l popolo non premesse loro adosso, ch'altrimenti tutti erano morti e presi, e si ricolsono salvamente, e partirsi di Roma con danno e disinore, e si ritornaro ad Orti; e ciò fu a dì XXVIII di settembre. Lasceremo de' fatti del re Ruberto e del prenze e de' Romani, e torneremo adietro a raccontare de' nostri fatti di Firenze e di Toscana e di Lombardia, che furono nell'avento del detto Bavero.
XXIII
Come al duca di Calavra nacque uno figliuolo in Firenze.
Nel detto anno MCCCXXVII, a dì XIII d'aprile, nacque in Firenze uno figliuolo al duca di Calavra de la sua donna figliuola di messer Carlo di Valos di Francia, il quale fu fatto Cristiano per messer Simone della Tosa e per Salvestro Manetti de' Baroncelli sindachi fatti per lo Comune e popolo di Firenze, e fu chiamato Martino; e grande festa e armeggiare se ne fece per gli Fiorentini; ma all'ottavo dì di sua natività si morì e soppellì a Santa Croce, onde grande cordoglio n'ebbe in Firenze.
XXIV
Come la città di Modana si rubellò dalla signoria di messere Passerino di Mantova.
Nel detto anno, a dì IIII di giugno, il popolo della città di Modana per trattato del legato di Lombardia si levò a romore gridando pace, e cacciarne fuori la signoria e' soldati che v'erano per messer Passerino signore di Mantova, e acconciarsi col detto legato, rimagnendo la terra a·lloro parte ghibellina, prendendo signoria dal legato, e rendendo i loro beni agli usciti loro guelfi, istandone certi caporali a' confini, e avendo gli amici de la Chiesa per amici, e' nimici per nimici. E di questo accordo si disse che vi spese la Chiesa a certi cittadini XVm fiorini d'oro; sì che con senno e con danari si recarono in pacefico stato i Modanesi, ch'erano molto aflitti d'assedio e di guerra e di tirannica signoria.
XXV
Di novità fatte in Pisa per la coronazione del Bavero.
Nel detto tempo, a l'entrare di giugno, venuta in Pisa la novella e l'olivo della coronazione del Bavero in Milano, se ne fece falò e festa per certi usciti di Firenze e d'altre città, e alcuno popolano minuto pisano gridando: "Muoia il papa e 'l re Ruberto e' Fiorentini, e viva lo 'mperadore!". Per la qual cosa coloro che allora reggeano Pisa, ch'erano i migliori e' più possenti e ricchi popolani della città, e per setta nimici di Castruccio, e non voleano la venuta del Bavero, ma al continuo trattavano col papa e col re Ruberto, sì cacciarono di Pisa quasi tutti i forestieri usciti di loro cittadi, e mandarono a' confini de' maggiori cittadini sospetti al loro stato, e ch'amavano la venuta del Bavero e la signoria di Castruccio; e tutti i soldati tedeschi mandarono via e tolsono loro i cavagli per sospetto; e quasi si teneano più a·reggimento di parte di Chiesa che ghibellina, onde grande novità ne seguì in Pisa a la venuta del Bavero, sì come innanzi faremo menzione.
XXVI
D'uno trattato che 'l duca ordinò per torre la città di Lucca a Castruccio, e fu discoperto.
Nel detto anno MCCCXXVII il duca di Calavra signore di Firenze avendo menato segretamente uno trattato con certi della casa de' Quartigiani di Lucca ch'eglino co·lloro seguaci rubellerebbono la città di Lucca a Castruccio, per soperchi ricevuti da la sua tirannesca signoria, e per molta moneta che vi spendea il duca e 'l Comune di Firenze; e ciò fu ordinato in questo modo: che la gente del duca doveano cavalcare in sul terreno e a l'assedio di Pistoia, e come Castruccio uscisse de la città colla sua cavalleria per soccorrere Pistoia, doveano trarre bandiere e pennoni dell'arme della Chiesa e del duca da più parti della terra, le quali insegne erano mandate di Firenze segretamente; e levato il romore in Lucca e presa alcuna porta, la gente del duca e de' Fiorentini, che in buona quantità n'avea a Fucecchio e nelle terre di Valdarno, incontanente per cenno doveano cavalcare a Lucca, e prendere la terra. E veniva fatto, se non che lo 'ndugio de la cavalcata de la gente del duca si tardò, e in questo mezzo alcuno de la casa medesima de' Quartigiani per viltà e paura lo scoperse a Castruccio. Per la qual cosa Castruccio subitamente fece serrare le porte di Lucca, e corse la terra con sue genti, e fece pigliare XXII di casa i Quartigiani e più altri, e trovare le dette insegne. Messer Guerruccio Quartigiani con III suoi figliuoli fece impiccare co le dette insegne a ritroso, e altri di loro fece propagginare, e tutti gli altri de la casa de' Quartigiani, ch'erano più di C, gli cacciò de la città di Lucca e del contado. E questo fu a dì XII di giugno nel sopradetto anno. E ciò fu grande sentenzia e giudicio di Dio che gli detti della casa de' Quartigiani anticamente guelfi furono caporali a dare la città e signoria di Lucca a Castruccio, e tradendo i Guelfi, per lui furono morti e disertati per lo simile peccato di tradimento. E trovato Castruccio il detto tradimento, il quale era con tanti seguaci buoni cittadini di Lucca e del contado, non s'ardì a scoprirlo più innanzi, ma vivendo in tanta paura e gelosia, che non s'ardia a uscire della città. E di certo per lo male volere de' suoi cittadini, e per la forza del duca e de' Fiorentini, tosto avrebbe perduta la terra, se non fosse il soccorso brieve e venuta del Bavero, come innanzi farà menzione.
XXVII
Come il legato cardinale piuvicò in Firenze i processi fatti per lo papa sopra il Bavero.
Nel detto anno MCCCXXVII, il dì de la festa di santo Giovanni di giugno, messer Gianni Guatano degli Orsini cardinale, legato in Toscana, a la detta festa ne la piazza di San Giovanni piuvicò nuovi processi venuti dal papa contra Lodovico duca di Baviera eletto re de' Romani, sì come contra eretico e persecutore di santa Chiesa: e poco appresso dimorò in Firenze, che n'andò verso Roma per rimuovere i Romani per lo modo che dicemmo addietro.
XXVIII
Della rubellazione di Faenza in Romagna, il figliuolo al padre.
Nel detto anno, a dì VIII di luglio, Alberghettino figliuolo di Francesco de' Manfredi signore di Faenza rubellò e tolse la signoria de la detta città di Faenza al padre e a' frategli, e cacciogline fuori, e egli se ne fece signore; e così mostra che non volesse tralignare e del nome e del fatto di frate Alberigo suo zio, che diede le male frutta a' suoi consorti, faccendogli uccidere e tagliare al suo convito, sì che Francesco Manfredi, che fu a·cciò fare, ricevette in parte del detto peccato guidardone dal figliuolo.
XXIX
De' fatti di Firenze.
Nel detto anno, a dì XI di luglio, la notte vegnente s'aprese fuoco in Firenze in borgo Santo Appostolo nel chiasso tra' Bonciani e gli Acciaiuoli, e arsonvi VI case e 'l palagio di Giotti, sanza danno di persone.
XXX
Come il duca e' Fiorentini feciono oste sopra Castruccio, e presono per forza il castello di Santa Maria a Monte.
Nel detto anno, a dì XXV di luglio, si partì l'oste di Firenze ordinata per lo duca e per lo detto Comune, e rassegnaronsi e feciono mostra la cavalleria ne la piazza di Santa Croce; e furono la gente del duca MCCC a cavallo, e' Fiorentini C caporali con II o III compagni ciascuno, molto nobile gente e bene in arme e a cavallo; e nell'isola dietro a Santa Croce si rassegnarono i pedoni, che furono più di VIIIm. E avuta la benedizione dal legato cardinale e date le 'nsegne per lo duca, si mossono e andarono la sera, e puosonsi a campo a piè di Signa in su l'Ombrone; e stettonvi III dì, che niuno non sapea dove l'oste si dovesse andare, onde molto si maravigliavano i Fiorentini; ma ciò fu fatto cautamente acciò che Castruccio non si prendesse guardia ove l'oste si dovesse porre, o a Pistoia, o andare in sul contado di Lucca, e acciò che gli convenisse partire la gente sua in due parti. E ciò fatto, subitamente di notte si levarono, e lasciarono tutte le tende tese infino la mattina a terza, acciò che' nimici non s'accorgessono che l'oste fosse levata, e tutta la notte cavalcarono per lo cammino di Montelupo, e l'altro giorno anzi l'ora di nona passarono la Guisciana a uno ponte che fu posto la detta notte al passo di Rosaiuolo; e passati innanzi CCCC cavalieri ch'erano in Valdarno, e' subitamente si puosono all'assedio al castello di Santa Maria a Monte. E poi s'agiunse a la detta oste messer Vergiù di Landa con CCCL cavalieri che mandò il Comune di Bologna, e·legato ed altre amistà, sì che 'l giorno appresso v'ebbe intorno MMD cavalieri, e più di XIIm pedoni, de la quale oste era capitano il conte Novello di Montescheggioso e d'Andri, che il duca era rimaso in Firenze con Vc cavalieri, però che non fu oste generale, e non era onore del duca di porsi a oste a uno castello. Il detto castello era molto forte di tre gironi di mura co la rocca, e di vittuaglia assai fornito, e gente v'avea da Vc uomini, e non più; però che temendo Castruccio che l'oste non andasse a Carmignano, vi mandò CC de' migliori masnadieri che fossono in Santa Maria a Monte. E dato termine a quegli del castello d'arendersi, non obbedendo, domenica a dì II d'agosto si diede per la detta oste la battaglia da più parti al primo girone di sotto da' borghi; e' maggiori baroni e cavalieri dell'oste ismontarono da cavallo, e col pavese in braccio e elmi in capo si misono sotto le mura e per li fossi rizzando scale a le mura; e 'l popolo a piè veggendo ciò fare a' cavalieri, feciono maraviglie di combattere; e fu sì aspra battaglia da ogni parte, che di saettamento per gli balestrieri genovesi ch'erano all'assedio, sì de' Fiorentini e d'ogni altro assalto, che que' d'entro non poterono durare; e uno scudiere provenzale ch'avea nome... fu il primaio che salì in su le mura co le 'nsegne, e poi molti apresso, il quale dal duca fu fatto cavaliere, e donogli rendita in suo paese. E ciò veggendo i terrazzani, isbigottiti abbandonarono i borghi, e entrarono nel secondo girone. Ma i Fiorentini e la gente del duca entrati nel primo girone, sanza riposo o indugio incontanente si misono a combattere l'altro girone, e simile per forza e con iscale e con fuoco che misono, con grande affanno il dì medesimo il vinsono, e quanta gente vi trovarono dentro piccioli e grandi misono alle spade, se non alquanti che ricoverarono nella rocca, e 'l castello da più parti ardendo per lo fuoco prima messo per gli nostri a la battaglia, e poi la gente nostra rubando la preda, e togliendola gli oltramontani a' nostri acciò che no·ll'avessono salva, innanzi metteano i nostri fuoco nelle case e nella preda. E per questo modo non vi rimase casa piccola né grande che non ardesse; e' terrazzani, uomini e femmine e fanciugli ch'erano scampati e nascosi, non scamparono del fuoco, imperciò che molti se ne trovarono morti e arsi. E ciò fu grande giudicio di Dio e non sanza cagione, imperciò che quegli di Santa Maria a Monte sempre erano stati di parte guelfa, e aveano tradita la terra e data a Castruccio: e gli usciti di Lucca e di loro parte assai, e de' migliori ch'allora erano nel castello, per lo detto tradimento furono dati presi nelle mani di Castruccio. E oltre a·cciò dapoi che si rendé a Castruccio, era stata spilonca di tutte le ruberie e micidi e presure e villani peccati fatti in Valdarno e nel paese ne la detta guerra. E poi che la gente nostra ebbe il castello, si tenne la rocca VIII dì aspettando soccorso da Castruccio, il quale non s'ardì con sua gente d'uscire di Vivinaia ov'era a campo, e ciò fue a dì X d'agosto nel detto anno; e quegli ch'erano nella rocca n'uscirono, salve le persone. E avuta la rocca, l'oste nostra vi dimorò di fuori a campo VIII giorni per rafforzare la terra e rifare le bertesche e torri e case, e lasciarla poi guernita di C cavalieri e Vc pedoni. Avemo sì lungamente detto de la presura del detto castello, però ch'era il più forte castello di Toscana e meglio fornito, e ebbesi per forza di battaglia, per la virtù e vigoria de la buona gente ch'era ne la nostra oste, la quale simile vigoria non si ricorda fosse in Toscana a' nostri tempi; per la qual cosa Castruccio e sua gente forte isbigottiro, e in nulla parte s'ardivano a mettere né avisare poi co la nostra gente e con quella del duca.
XXXI
Come l'oste de' Fiorentini e del duca ebbono per forza il castello d'Artimino.
Avuto il castello di Santa Maria a Monte, si partì l'oste de' Fiorentini di là a dì XVIII d'agosto, e passarono la Guisciana, e accamparsi a piè di Fucecchio, e quivi dimorarono due giorni, acciò che Castruccio non si potesse avisare ove l'oste dovesse fedire, o nel contado di Lucca, o in quello di Pistoia; e ciò fatto, subitamente ripassarono la Guisciana, e andarono a campo a piè del Cerruglio apresso di Vivinaia, e ivi e a Gallena dimorarono per III dì, schierandosi e o trombando e richeggendo di battaglia Castruccio, il quale era in sul Cerruglio e Montechiaro con VIIIc cavalieri e più di Xm pedoni; e sarebbonsi messi a passare e andare in verso Lucca per forza, se non che·lla stanza bisognava grande ispendio e fornimento, e aveasi novelle che 'l Bavero detto re de' Romani di corto dovea passare in Toscana, sì che per lo migliore consiglio si ritornarono di qua da la Guisciana, e sanza restare la detta oste passò Monte Albano, e puosonsi ad assedio del castello d'Artimino, il quale era rimurato e molto afforzato per Castruccio, e bene fornito di vittuglia e di gente; e stettonvi ad assedio III giorni. Al terzo dì vi diedono la più forte battaglia tutto intorno che mai si desse a castello, e per gli migliori cavalieri dell'oste; e durò da mezzodì infino al primo sonno de la notte, ardendo gli steccati e la porta del castello; per la qual cosa quegli d'entro molto impauriti, e di saettamento i più fediti, sì dimandarono misericordia, e che si voleano arendere, salve le persone. E così fu fatto; e la mattina, a dì XXVII d'agosto, si partirono, e renderono il castello; ma con tutti i patti, partiti da·lloro i cavalieri che gli scorgeano, molti ne furono morti: e con quella vittoria l'oste intendeva di seguire e combattere Carmignano e Tizzano, e sanza dubbio gli avrebbono presi per lo sbigottimento de la battaglia di Santa Maria a Monte e d'Artimino; ma il duca ebbe ferme novelle come il Bavero con sua gente era a Pontriemoli, sì che, acciò che·lla sua gente non trovasse a campo, rimandò che l'oste tornasse in Firenze; e così tornò bene aventurosamente a dì XXVIII d'agosto del detto anno. E nota che poi che 'l duca venne in Firenze, che fu uno dì anzi calen d'agosto MCCCXXVI, infino a la tornata de la detta oste in Firenze, che fu pochi dì più d'uno anno, si trovò speso il Comune di Firenze cogli danari del salaro del duca più di Vc migliaia di fiorini d'oro, che sarebbe gran cosa a uno ricco reame. E tutti uscirono delle borse de' Fiorentini, onde ciascuno cittadino forte si dolea. Lasceremo alquanto de' nostri fatti di Firenze ritornando adietro, dicendo di quello che 'l Bavero, lui coronato a Milano, fece in Lombardia e poi in Toscana.
XXXII
Come il Bavero dispuose della signoria di Milano i Visconti e misegli in pregione.
Coronato in Milano Lodovico detto Bavero eletto re de' Romani, come adietro lasciammo, essendo in Milano e volea moneta come promessa gli fu al parlamento a Trento, Galeasso Visconti signore di Milano, il quale per sua superbia e signoria si tenea maggiore del detto Bavero in Milano, e avea a suo soldo bene XIIc di cavalieri tedeschi, essendoli domandata la detta moneta per lo Bavero, rispuose arrogantemente al signore, dicendo come imporrebbe la moneta, quando gli paresse luogo e tempo. E ciò non dicea sanza cagione, imperciò che tutti i nobili di Milano, e eziandio messer Marco suo fratello e gli altri suoi consorti, e quasi tutto il popolo di Milano odiavano la sua tirannesca signoria per gli soperchi incarichi e gravezze a·lloro fatte, e volea tutto e non parte, sì non s'ardia d'imporre i danari al popolo; e se fatto l'avesse non sarebbe ubbidito. E già molti de' maggiorenti de la sua signoria s'erano compianti al Bavero, per la qual cosa il detto signore rimandò per lo suo maliscalco e sua gente, ch'erano andati al soccorso di Voghiera, e fece parlare a tutti i conostaboli tedeschi ch'erano a messer Galeasso, e giurare segretamente a·llui; e venuto il suo maliscalco, il Bavero raunò uno grande consiglio, ove fu Galeasso e' suoi e tutti i migliori di Milano, e in quello dogliendosi del detto Galeasso e de' suoi, in prima gli fece rifiutare la signoria, e poi nel detto consiglio al detto suo maliscalco fece pigliare Galeasso e Azzo suo figliuolo, e Marco e Luchino suoi frategli; e ciò fu a dì VI del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCCXXVII; per la qual cosa i nobili e 'l popolo di Milano furono molto allegri e contenti. E ciò fatto, riformò la terra di signoria d'uno suo barone vicario col consiglio di XXIIII de' migliori di Milano, i quali incontanente impuosono e ricolsono Lm fiorini d'oro, e diedongli al detto Bavero. E per questo modo la Chiesa di Dio fu vendicata de la superbia de' suoi nimici Visconti per lo suo nimico Lodovico di Baviera suo persecutore; sì che veramente s'adempié la parola di Cristo nel suo santo Vangelio, ove dice: "Io ucciderò il nimico mio col nimico mio etc.".
XXXIII
Come il Bavero, fatto suo parlamento in Lombardia, passò in Toscana.
Per la detta presura di Galeasso e de' suoi si maravigliarono e impaurirono tutti i tiranni ghibellini di Lombardia e di Toscana, imperciò che propio lo studio e podere e dispendio di Galeasso, e per suo consiglio, il detto Bavero s'era mosso d'Alamagna e venuto in Lombardia; ed egli prima l'avea abbattuto di signoria e messo in pregione. Per la qual cosa il detto Bavero ordinò di fare uno parlamento generale a uno castello di bresciana che si chiama Liorci, e fece sommuovere e richiedere tutti i caporali di parte d'imperio di Lombardia e di Toscana al detto parlamento; e Galeasso mandò legato in pregione nel castello di Moncia; e Marco lasciò, perché nol trovò in nulla colpa; e Luchino e Azzo gli tagliò in XXVm di fiorini d'oro per loro redenzione, de' quali pagaro XVIm, e menò seco presi cortesemente al detto parlamento. E partissi di Milano a dì XII d'agosto nel detto anno. E al detto parlamento fu messer Cane signore di Verona, e messer Passerino signore di Mantova, e Rinaldo de' marchesi d'Esti, e Guido Tarlati disposto vescovo d'Arezzo, e ambasciadori di Castruccio e di tutte le terre di parte d'imperio, nel quale parlamento palesò lettere di trattato che Galeasso mandava al legato del papa contra 'l detto Bavero, per mostrare la cagione perché preso l'avea. Chi disse che furono vere, e chi che furono false. E nel detto parlamento in dispetto di santa Chiesa fece tre vescovi, uno in Chermona e l'altro in Commo e l'altro, uno de' Tarlati, a la Città di Castello. E ciò fatto, ordinò suo passaggio in Toscana; e truovasi ch'ebbe infino allora da' Milanesi e tiranni e terre ghibelline d'Italia CCm fiorini d'oro; e bisognavangli, però ch'egli e sua gente erano molto poveri di danari. E partito il detto parlamento, Marco e Luchino e Azzo Visconti si fuggirono e entrarono nel castello di Liseo, e poi feciono guerra a Milano. Il Bavero venne a Chermona, e di là passò per lo ponte il fiume del Po a dì XXIII d'agosto, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e venne al borgo a San Donnino con MD cavalieri de' suoi, con quegli ch'avea trovati in Milano, e CCL di quegli di messer Cane, e CL di messer Passerino, e C di quegli de' marchesi d'Esti; e sanza nullo contasto passò per lo contado di Parma le montagne apennine, e capitò a Pontriemoli in calen di settembre nel detto anno. E sì avea il legato che in Lombardia era per la Chiesa più di IIIm cavalieri soldati, e non si mise a contastarlo, ch'assai era leggere per li forti passi; onde il detto legato molto fu abbominato di tradimento da' fedeli di santa Chiesa di Toscana, ed iscusavasi come non avea dal papa i danari di loro paghe, e però non poteva fare cavalcare la sua gente.
XXXIV
Come il Bavero si puose ad assediare la città di Pisa.
Come il Bavero e la donna sua, la quale era figliuola del conte d'Analdo, furono passati in Toscana, Castruccio con grande compagnia e grandi doni e presenti e rinfrescamento di vittuaglia andò loro incontro infino a Pontriemoli, e acompagnogli in più giorni infino a Pietrasanta nel contado di Lucca, e là s'arestò, e non volle entrare in Lucca, se prima non avesse la città di Pisa, la quale da certi che·lla reggeano, i quali erano i più ricchi e possenti di Pisa e aversari di Castruccio, in nulla guisa voleano ubbidire il detto Bavero per tema di Castruccio e de le gravezze de le spese, dando cagione di non voler fare contra la Chiesa, imperciò che 'l Bavero era scomunicato, e non era imperadore con autorità di santa Chiesa; e ancora non voleano i Pisani rompere pace al re Ruberto e a' Fiorentini. E mandato il Bavero suoi ambasciadori, non gli lasciarono entrare in Pisa, ma si fornirono di gente e di vittuaglia, e afforzarono la città, e cacciarne i soldati tedeschi ch'aveano, e tolsono loro i cavagli; onde il detto Bavero molto s'aontò, e fermossi di non passare più innanzi, se prima non avesse Pisa a suo comandamento. E in questo intervallo di tempo Guido Tarlati disposto vescovo d'Arezzo si mise mezzano, e venne a Ripafratta, e mandò che' Pisani gli mandasson loro ambasciadori, i quali vi mandarono tre de' maggiori di Pisa, ciò fu messer Lemmo Guinizzelli Sismondi, e messer Albizzo da Vico, e ser Iacopo da Calci; e stati più giorni in trattato, e accordandosi i Pisani di dare al Bavero LXm fiorini d'oro, e s'andasse a suo viaggio sanza entrare in Pisa; il quale accordo in nulla guisa volle accettare. E partendosi i detti ambasciadori a rotta del trattato, Castruccio passò il fiume di Serchio con gente d'arme, e prese i detti ambasciadori; e poi il Bavero con sua gente passò simigliante, e il suo maliscalco con anche gente venne da Lucca, e puosono oste a la città di Pisa a dì VI di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e la persona del signore si mise a Sammichele degli Scalzi.
XXXV
Come il Bavero ebbe la città di Pisa.
I Pisani veggendosi traditi de la 'mpresa de' loro ambasciadori, e così subitamente venuto il Bavero e Castruccio all'assedio della città, isbigottirono assai; ché se ciò avessono creduto, di certo avrebbono prima mandato per soccorso in Firenze al duca di cavalieri e di gente, con tutto ch'a la 'nfinta stessono in trattato co·llui, e ebbono da' Fiorentini arme e saettamento assai. Ma veggendosi così assaliti francamente, ripresono vigore e buono ordine di guardia della città, rimurando tutte le porte, e guardando le mura. Il secondo dì il Bavero passò Arno, e puosesi nel borgo di San Marco, e Castruccio rimase dal lato de la città di verso Lucca con sua oste, e poi si stese l'oste a la porta di San Donnino e a quella della Legatia sanza contasto niuno, e in pochi dì feciono uno ponte di legname dal borgo a San Marco a San Michele de' Prati, e un altro ne fece fare in su barche dal lato di sotto a la Legatia, sì che in pochi giorni tutta ebbono assediata la città intorno intorno; ne la quale oste avea il Bavero, tra di sua gente e di quella di Castruccio e d'altri Ghibellini di Toscana e di Lombardia, IIIm cavalieri o più, male a cavallo, e popolo grandissimo del contado di Lucca e di Pisa medesimo, e di quello di Luni e della riviera di Genova; e di presente ebbono Porto Pisano; e poi faccendo cavalcare per lo contado co' caporali degli usciti di Pisa, in pochi giorni ebbe a suo comandamento tutte le castella e terre di Pisa. Onde ciò sappiendo i Pisani che teneano la città, molto isbigottiro: né già però non mandarono per soccorso al duca, se non di moneta, per pagare i loro soldati ch'erano a la guardia della terra, perché non s'ardivano a fare gravezza a' cittadini, perché il popolo minuto non si levasse contro a·lloro; e 'l duca vi mandò moneta per lettere di compagnie di Firenze ch'erano dentro, e più ve ne avrebbe mandati, se non ch'egli sentì ch'eglino stavano in trattato col Bavero, avegna che a la difensa fossono uniti e feroci. E più assalti e battaglie diede a le porte, e fece cavare sotto le mura, e più difici strani levare per dare battaglia a la città; ma tutto era niente, si era forte e bene guernita. E così vi stette il Bavero all'assedio con grande affanno e con più difalte più d'uno mese. Ma come piacque a Dio, per pulire i peccati de' Pisani, disensione nacque tra coloro che governavano la terra, e de' primi fu il conte Fazio figliuolo del conte Gaddo, giovane uomo, e Vanni di Banduccio Bonconti, che per lettere e promesse di Castruccio dissono di volere pace, e gli altri che co·lloro reggeano la terra, temendo, dissono il simigliante; e feciono trattato d'acordo, e di dargli la città, LXm fiorini d'oro, rimanendo in loro giuridizione e stato, e che Castruccio né' loro usciti non potessono entrare in Pisa sanza loro volontà, stando a' confini. E compiuto e giurato per lo Bavero il detto falso accordo, gli diedono la terra a dì VIII d'ottobre, gli anni della incarnazione di Cristo MCCCXXVII al nostro corso; e la domenica dì XI d'ottobre appresso v'entrò il Bavero e la donna sua con tutta sua gente paceficamente sanza nulla novità fare; e Castruccio e sua gente e gli usciti di Pisa rimasono di fuori. Ma al terzo giorno i Pisani medesimi per piacere al signore, e per paura, non potendo altro per lo popolo minuto, arsono i patti scritti del loro trattato, e liberamente sanza niuno nisi da capo gli diedono la signoria de la città, e rivocarono Castruccio e tutti i loro usciti i quali di presente tornarono in Pisa. E nulla novità v'ebbe, se non che uno ser Guiglielmo da Colonnata, il qual era stato bargello in Pisa, menandolo al Bavero uno suo conastabole, e il popolo minuto gli venia gridando dietro, il detto conastabole l'uccise ne la piazza in presenza del signore, credendoli piacere; per la qual cosa il detto Bavero per mostrare giustizia fece prendere il detto, ch'avea nome messer Currado de la Scala tedesco, e fecegli tagliare il capo, e fece mandare bando che ogni maniera di gente potesse andare e venire sano e salvo per Pisa e per lo contado, pagando la gabella di danari VIII per libbra d'ogni mercatantia: e ciò fece perché i mercatanti non si partissono di Pisa, e per avere maggiore entrata, e i Pisani civanza di moneta. E ciò fatto, fece una colta sopra i Pisani di LXm fiorini d'oro per pagare suoi cavalieri, e appena fu cominciata di pagare, che ne puose sopra quella una di Cm fiorini d'oro per fornire suo viaggio a Roma; onde i Pisani si tennono morti e consumati, imperciò che per la perdita di Sardigna e per quella guerra erano molto assottigliati d'avere; e chiunque avea niente in Pisa, si pentea forte dell'accordo, che di certo se si fossono sostenuti un altro mese, come poteano, aveano diliberi del Bavero loro e tutta Italia, ma dopo volta si ravidono co·lloro danno e struggimento. Del detto accordo da' Pisani al Bavero s'ebbe grande dolore per gli Fiorentini e per tutti coloro che teneano a la parte della Chiesa, imperciò che come il Bavero era per istraccarsi durando l'assedio, per la impresa di Pisa fu esaltato e ridottato da tutte genti.
XXXVI
Come quegli che fu vescovo d'Arezzo si partì male in accordo dal Bavero, e tornando ad Arezzo morì in Maremma.
Nel detto anno Guido Tarlati signore d'Arezzo, e stato disposto vescovo, si partì di Pisa dal Bavero assai male contento, per grosse parole e rimprocci avuti da Castruccio dinanzi al detto signore; intra gli altri rimprocci che Castruccio il chiamò traditore, dicendo che quand'egli sconfisse i Fiorentini ad Altopascio, e venne con Azzo Visconti a Peretola, se 'l vescovo d'Arezzo fosse venuto colle sue forze verso Firenze per la via di Valdarno, la città di Firenze non si potea tenere; e in parte si potea appressare al vero. Il vescovo rispuose che traditore era egli ch'avea cacciato di Pisa e di Lucca Uguiccione da Faggiuola e tutti i grandi Ghibellini di Lucca che gli avevano data la signoria, sì come tiranno, e ch'egli non dovea rompere la pace a' Fiorentini, se non la rompessono a·llui, come avea fatto elli, rimproverandogli che se non fossono i suoi cavalieri e danari che gli mandò, non potea sostenere l'oste contra i Fiorentini, e per lui avea vinto. Per questi rimprocci il Bavero non gli avea fatto onore, né ripreso Castruccio, onde molto dispetto prese, e si partì di Pisa; e quando fu in Maremma, cadde malato al castello di Montenero, nel quale passò di questa vita a dì XXI del mese d'ottobre. E innanzi che morisse, in presenza di più genti, frati e cherici e secolari, o per isdegno preso o per buona coscienza, si riconobbe sé avere errato contro al papa e santa Chiesa, e confessò come papa Giovanni era giusto e santo, e 'l Bavero, che si facea chiamare imperadore, era eretico e fautore d'eretici, e sostenitore di tiranni, e non giusto né degno signore, promettendo e giurando (e di ciò a più notai fece fare solenni carte) che se Dio gli rendesse santade, che sempre sarebbe obediente a santa Chiesa e al papa, e nimico de' suoi ribelli; e con molte lagrime domandò penitenzia e misericordia: ebbe i sacramenti di santa Chiesa, e co la detta contrizione morì; onde fu tenuto gran fatto in Toscana. E lui morto, per gli suoi ne fu portato il corpo ad Arezzo, e là sepolto a grande onore, come quegli ch'avea molto acresciuta la città d'Arezzo e 'l suo vescovado. Per la sua morte l'oste d'Arezzo e di quegli di Castello, ch'erano con battifolli a l'assedio a Castello di Monte Sante Marie, se ne partirono come in isconfitta e tornarono ad Arezzo; e feciono gli Aretini signori de la terra per uno anno Dolfo e Piero Saccone da Pietramala.
XXXVII
Come il papa diede alcuna sentenzia contro al Bavero.
Nel detto anno MCCCXXVII, a dì XX d'ottobre, papa Giovanni apo Vignone diede ultima sentenzia di scomunica contro al Bavero, sì come a persecutore di santa Chiesa e fautore degli eretici, privandolo d'ogni dignità temporale e spirituale.
XXXVIII
Come il Bavero fece Castruccio duca di Lucca e d'altre terre.
Nel detto anno, a dì IIII di novembre, il Bavero per meritare Castruccio del servigio fattogli d'avere avuta per suo senno e prodezza la città di Pisa n'andò a la città di Lucca con Castruccio insieme, e fugli fatto da' Lucchesi grande festa e onore; e poi il menò Castruccio in Pistoia per mostrargli la città e contado di Firenze, e com'era a la frontiera e presso a guerreggiare la città di Firenze. E tornaro in Lucca per la festa di san Martino, per la quale con grande trionfo e onore il detto Bavero fece Castruccio duca de la città e distretto di Lucca, e del vescovado di Luni, e de la città e vescovado di Pistoia e di Volterra; e mutò arme a Castruccio, lasciando la sua propia della casa degl'Interminelli col cane di sopra, e fecelo armare a cavallo coverto, e bandiere a modo di duca, col campo ad oro, e al traverso una banda a scacchi pendenti azzurri e argento, sì come l'arme propia al tutto, co' detti scacchi del ducato di Baviera. E fatta la detta festa, si tornarono in Pisa a dì XVIII di novembre. E in quello brieve tempo che l'avea presa trasse il Bavero de la città di Pisa e del contado, che di libbre e che d'imposte, CLm di fiorini d'oro, e de' cherici di quella diocesia XXm fiorini d'oro, con grande dolore e torzioni de' Pisani, sanza quegli ch'ebbe da Castruccio quando il fece duca, che si dice che furono Lm fiorini d'oro. Lasceremo alquanto del processo del detto Bavero, che si riposa in Pisa e in Lucca, e rauna danari per fornire suo viaggio a Roma; e faremo incidenza d'altre cose che furono in Firenze e in altre parti del mondo in questi tempi, tornando poi a nostra materia per seguire il corso e andamento del detto Bavero.
XXXIX
Come il re di Scozia corse in Inghilterra.
Nel detto anno MCCCXXVII, del mese d'agosto, il re di Scozia con più di XLm Scotti passò infra l'Inghilterra per guastare il paese più giornate. Il giovane Adoardo terzo re d'Inghilterra con tutta sua cavalleria e forza di gente a piè gli andò incontro, e rinchiuse tutti i detti Scotti in uno parco del vescovo di Durem, e tutti gli avrebbe in quello morti o presi, se non fosse la viltà e tradimento de' suoi Inghilesi, che non faceano la guardia come si convenia, onde i detti Scotti di notte si partirono, e tutti n'andarono sani e salvi sanza battaglia o caccia niuna.
XL
Come il popolo della città d'Imola fu sconfitto da la gente de la Chiesa.
Nel detto anno, a dì VIII di settembre, messer Ricciardo de' Manfredi di Faenza con gente a cavallo, di quegli del legato cardinale ch'era a Bologna, essendo venuti nella città d'Imola, perché quegli della terra per trattato fatto con Alberghettino suo fratello che avea rubellata Faenza, ed egli con sua gente cavalcarono per avere Imola, il popolo d'Imola si levò a romore per cacciarne il detto messer Ricciardo e la gente de la Chiesa, onde si cominciò la battaglia in su la piazza d'Imola; e per forza d'arme il detto messer Ricciardo con gli Alidogi e loro fedeli, e colla detta cavalleria della Chiesa, ch'erano da Vc cavalieri, sconfissono e ruppono il popolo d'Imola, e uccisonne più di CCCC, che non v'ebbe buona casa che uomo non vi rimanesse morto; e poi corsono la terra e rubarla tutta, onde la piccola città d'Imola quasi rimase distrutta di buona gente, e disolata di preda.
XLI
Come in Firenze fu arso maestro Cecco d'Ascoli astrolago per cagione di resia.
Nel detto anno, a dì XVI di settembre, fu arso in Firenze per lo 'nquisitore de' paterini uno maestro Cecco d'Ascoli, il qual era stato astrolago del duca, e avea dette e rivelate per la scienza d'astronomia, overo di nigromanzia, molte cose future, le quali si trovarono poi vere, degli andamenti del Bavero e de' fatti di Castruccio e di quegli del duca. La cagione perché fu arso sì fu perché, essendo in Bologna, fece uno trattato sopra la spera, mettendo che nelle spere di sopra erano generazioni di spiriti maligni, i quali si poteano costrignere per incantamenti sotto certe costellazioni a potere fare molte maravigliose cose, mettendo ancora in quello trattato necessità alle infruenze del corso del cielo, e dicendo come Cristo venne in terra accordandosi il volere di Dio co la necessità del corso di storlomia, e dovea per la sua natività essere e vivere co' suoi discepoli come poltrone, e morire de la morte ch'egli morìo; e come Anticristo dovea venire per corso di pianete in abito ricco e potente; e più altre cose vane e contra fede. Il quale suo libello in Bologna riprovato, e ammonito per lo 'nquisitore che no·llo usasse, gli fu opposto che l'usava in Firenze; la qual cosa si dice che mai non confessò, ma contradisse a la sua sentenzia, che poi che ne fu ammonito in Bologna, mai no·llo usò; ma che il cancelliere del duca, ch'era frate minore vescovo d'Aversa, parendogli abominevole a tenerlo il duca in sua corte, il fece prendere. Ma con tutto che fosse grande astrolago, era uomo vano e di mondana vita, ed erasi steso per audacia di quella sua scienza in cose proibite e non vere, però che la 'nfruenza delle stelle non costringono necessitade, né possono essere contra il libero arbitrio dell'animo dell'uomo, né maggiormente a la proscienzia di Dio, che tutto guida, governa e dispone a la sua volontà.
XLII
De la morte del gran medico maestro Dino di Firenze.
Nel detto tempo, a dì XXX di settembre, morì in Firenze maestro Dino del Garbo grandissimo dottore in fisica e in più scienze naturali e filosofiche, il quale al suo tempo fu il migliore e sovrano medico che fosse in Italia, e più nobili libri fece a richesta e intitolati per lo re Ruberto. E questo maestro Dino fu grande cagione de la morte del sopradetto maestro Cecco, riprovando per falso il detto suo libello, il quale avea letto in Bologna, e molti dissono che 'l fece per invidia.
XLIII
Come messer Cane della Scala ricominciò guerra a' Padovani.
Nel detto tempo messer Cane de la Scala signore di Verona ricominciò guerra a' Padovani col figliuolo di messer Ricciardo da Cammino di Trivigi, e presono il castello d'Esti che teneano i Padovani, e grande danno feciono co·lloro oste intorno a Padova; per la qual cosa i Padovani mandarono per aiuto al duca di Chiarentana, a la cui signoria s'erano dati, il quale mandò in loro aiuto M cavalieri tedeschi, per la qual cosa messer Cane si levò da oste e tornossi a Verona.
XLIV
Come i conti da Santa Fiore riebbono Magliano.
Nel detto anno MCCCXXVII i Pancechieschi di Maremma, ch'aveano in guardia il castello di Magliano per lo duca di Calavra, per paura del maliscalco del Bavero, che cavalcò con grossa gente da Pisa in Maremma per andare verso Roma, temendo che' conti da Santa Fiore con quella gente non gli asediasse, misono fuoco nel detto castello, e vilmente se n'uscirono fuori, e abbandonarono, e' conti il si ripresono e racconciarono; e' loro mallevadori furono presi in Firenze per lo duca, e messi in pregione nelle Stinche.
XLV
Come la gente de la Chiesa osteggiarono Faenza.
Nel detto tempo la gente della Chiesa ch'era col legato in Bologna cavalcarono con messer Ricciardo Manfredi sopra la città di Faenza per raquistarla, la quale avea rubellata Alberghettino suo fratello, e guastarla intorno con grandissimo danno de la contrada, ma però non poté avere la terra.
XLVI
Quando morì il re Giammo d'Araona.
Nel detto anno, del mese d'ottobre, morì lo re Giammo d'Araona di suo male, e fue soppellito in Barzellona; e lo 'nfante Anfus suo figliuolo, il quale conquistò la Sardigna, ne fu fatto e coronato re d'Araona e di Sardigna. Il detto re Giammo fu savio e valoroso signore e di grandi opere e imprese, come per adietro le nostre croniche in più parti fanno menzione.

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Ultimo Aggiornamento:12/07/05 23:18