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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

La Divina Commedia

di: Dante Alighieri

  
PARADISO

[Canto I] [Canto II] [Canto III] [Canto IV]  

[Canto V] [Canto VI] [Canto VII] [Canto VIII]

 

Canto I

 La gloria di colui che tutto move

per l'universo penetra, e risplende

in una parte più e meno altrove.

Nel ciel che più de la sua luce prende

fu' io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là sù discende;

perché appressando sé al suo disire,

nostro intelletto si profonda tanto,

che dietro la memoria non può ire.

Veramente quant'io del regno santo

ne la mia mente potei far tesoro,

sarà ora materia del mio canto.

O buono Appollo, a l'ultimo lavoro

fammi del tuo valor sì fatto vaso,

come dimandi a dar l'amato alloro.

Infino a qui l'un giogo di Parnaso

assai mi fu; ma or con amendue

m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.

Entra nel petto mio, e spira tue

sì come quando Marsia traesti

de la vagina de le membra sue.

O divina virtù, se mi ti presti

tanto che l'ombra del beato regno

segnata nel mio capo io manifesti,

vedra'mi al piè del tuo diletto legno

venire, e coronarmi de le foglie

che la materia e tu mi farai degno.

Sì rade volte, padre, se ne coglie

per triunfare o cesare o poeta,

colpa e vergogna de l'umane voglie,

che parturir letizia in su la lieta

delfica deità dovria la fronda

peneia, quando alcun di sé asseta.

Poca favilla gran fiamma seconda:

forse di retro a me con miglior voci

si pregherà perché Cirra risponda.

Surge ai mortali per diverse foci

la lucerna del mondo; ma da quella

che quattro cerchi giugne con tre croci,

con miglior corso e con migliore stella

esce congiunta, e la mondana cera

più a suo modo tempera e suggella.

Fatto avea di là mane e di qua sera

tal foce, e quasi tutto era là bianco

quello emisperio, e l'altra parte nera,

quando Beatrice in sul sinistro fianco

vidi rivolta e riguardar nel sole:

aquila sì non li s'affisse unquanco.

E sì come secondo raggio suole

uscir del primo e risalire in suso,

pur come pelegrin che tornar vuole,

così de l'atto suo, per li occhi infuso

ne l'imagine mia, il mio si fece,

e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso.

Molto è licito là, che qui non lece

a le nostre virtù, mercé del loco

fatto per proprio de l'umana spece.

Io nol soffersi molto, né sì poco,

ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,

com'ferro che bogliente esce del foco;

e di sùbito parve giorno a giorno

essere aggiunto, come quei che puote

avesse il ciel d'un altro sole addorno.

Beatrice tutta ne l'etterne rote

fissa con li occhi stava; e io in lei

le luci fissi, di là sù rimote.

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

qual si fé Glauco nel gustar de l'erba

che 'l fé consorto in mar de li altri dèi.

Trasumanar significar per verba

non si poria; però l'essemplo basti

a cui esperienza grazia serba.

S'i' era sol di me quel che creasti

novellamente, amor che 'l ciel governi,

tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.

Quando la rota che tu sempiterni

desiderato, a sé mi fece atteso

con l'armonia che temperi e discerni,

parvemi tanto allor del cielo acceso

de la fiamma del sol, che pioggia o fiume

lago non fece alcun tanto disteso.

La novità del suono e 'l grande lume

di lor cagion m'accesero un disio

mai non sentito di cotanto acume.

Ond'ella, che vedea me sì com'io,

a quietarmi l'animo commosso,

pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,

e cominciò: "Tu stesso ti fai grosso

col falso imaginar, sì che non vedi

ciò che vedresti se l'avessi scosso.

Tu non se' in terra, sì come tu credi;

ma folgore, fuggendo il proprio sito,

non corse come tu ch'ad esso riedi".

S'io fui del primo dubbio disvestito

per le sorrise parolette brevi,

dentro ad un nuovo più fu' inretito,

e dissi: "Già contento requievi

di grande ammirazion; ma ora ammiro

com'io trascenda questi corpi levi".

Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,

li occhi drizzò ver' me con quel sembiante

che madre fa sovra figlio deliro,

e cominciò: "Le cose tutte quante

hanno ordine tra loro, e questo è forma

che l'universo a Dio fa simigliante.

Qui veggion l'alte creature l'orma

de l'etterno valore, il qual è fine

al quale è fatta la toccata norma.

Ne l'ordine ch'io dico sono accline

 tutte nature, per diverse sorti,

più al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti

per lo gran mar de l'essere, e ciascuna

con istinto a lei dato che la porti.

Questi ne porta il foco inver' la luna;

questi ne' cor mortali è permotore;

questi la terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fore

d'intelligenza quest'arco saetta

ma quelle c'hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta,

del suo lume fa 'l ciel sempre quieto

nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;

e ora lì, come a sito decreto,

cen porta la virtù di quella corda

che ciò che scocca drizza in segno lieto.

Vero è che, come forma non s'accorda

molte fiate a l'intenzion de l'arte,

perch'a risponder la materia è sorda,

così da questo corso si diparte

talor la creatura, c'ha podere

di piegar, così pinta, in altra parte;

e sì come veder si può cadere

foco di nube, sì l'impeto primo

l'atterra torto da falso piacere.

Non dei più ammirar, se bene stimo,

lo tuo salir, se non come d'un rivo

se d'alto monte scende giuso ad imo.

Maraviglia sarebbe in te se, privo

d'impedimento, giù ti fossi assiso,

com'a terra quiete in foco vivo".

Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.

 

Canto II

O voi che siete in piccioletta barca,

desiderosi d'ascoltar, seguiti

dietro al mio legno che cantando varca,

tornate a riveder li vostri liti:

non vi mettete in pelago, ché forse,

perdendo me, rimarreste smarriti.

L'acqua ch'io prendo già mai non si corse;

Minerva spira, e conducemi Appollo,

e nove Muse mi dimostran l'Orse.

Voialtri pochi che drizzaste il collo

per tempo al pan de li angeli, del quale

vivesi qui ma non sen vien satollo,

metter potete ben per l'alto sale

vostro navigio, servando mio solco

dinanzi a l'acqua che ritorna equale.

Que' gloriosi che passaro al Colco

non s'ammiraron come voi farete,

quando Iasón vider fatto bifolco.

La concreata e perpetua sete

del deiforme regno cen portava

veloci quasi come 'l ciel vedete.

Beatrice in suso, e io in lei guardava;

e forse in tanto in quanto un quadrel posa

e vola e da la noce si dischiava,

giunto mi vidi ove mirabil cosa

mi torse il viso a sé; e però quella

cui non potea mia cura essere ascosa,

volta ver' me, sì lieta come bella,

"Drizza la mente in Dio grata", mi disse,

"che n'ha congiunti con la prima stella".

Parev'a me che nube ne coprisse

lucida, spessa, solida e pulita,

quasi adamante che lo sol ferisse.

Per entro sé l'etterna margarita

ne ricevette, com'acqua recepe

raggio di luce permanendo unita.

S'io era corpo, e qui non si concepe

com'una dimensione altra patio,

ch'esser convien se corpo in corpo repe,

accender ne dovrìa più il disio

di veder quella essenza in che si vede

come nostra natura e Dio s'unio.

Lì si vedrà ciò che tenem per fede,

non dimostrato, ma fia per sé noto

a guisa del ver primo che l'uom crede.

Io rispuosi: "Madonna, sì devoto

com'esser posso più, ringrazio lui

lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.

Ma ditemi: che son li segni bui

di questo corpo, che là giuso in terra

fan di Cain favoleggiare altrui?".

Ella sorrise alquanto, e poi "S'elli erra

l'oppinion", mi disse, "d'i mortali

dove chiave di senso non diserra,

certo non ti dovrien punger li strali

d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi

vedi che la ragione ha corte l'ali.

Ma dimmi quel che tu da te ne pensi".

E io: "Ciò che n'appar qua sù diverso

credo che fanno i corpi rari e densi".

Ed ella: "Certo assai vedrai sommerso

nel falso il creder tuo, se bene ascolti

l'argomentar ch'io li farò avverso.

La spera ottava vi dimostra molti

lumi, li quali e nel quale e nel quanto

notar si posson di diversi volti.

Se raro e denso ciò facesser tanto,

una sola virtù sarebbe in tutti,

più e men distributa e altrettanto.

Virtù diverse esser convegnon frutti

di princìpi formali, e quei, for ch'uno,

seguiterìeno a tua ragion distrutti.

Ancor, se raro fosse di quel bruno

cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte

fora di sua materia sì digiuno

esto pianeto, o, sì come comparte

lo grasso e 'l magro un corpo, così questo

nel suo volume cangerebbe carte.

Se 'l primo fosse, fora manifesto

ne l'eclissi del sol per trasparere

lo lume come in altro raro ingesto.

Questo non è: però è da vedere

de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,

falsificato fia lo tuo parere.

S'elli è che questo raro non trapassi,

esser conviene un termine da onde

lo suo contrario più passar non lassi;

e indi l'altrui raggio si rifonde

così come color torna per vetro

lo qual di retro a sé piombo nasconde.

Or dirai tu ch'el si dimostra tetro

ivi lo raggio più che in altre parti,

per esser lì refratto più a retro.

Da questa instanza può deliberarti

esperienza, se già mai la provi,

ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.

Tre specchi prenderai; e i due rimovi

da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,

tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso

ti stea un lume che i tre specchi accenda

e torni a te da tutti ripercosso.

Ben che nel quanto tanto non si stenda

la vista più lontana, lì vedrai

come convien ch'igualmente risplenda.

Or, come ai colpi de li caldi rai

de la neve riman nudo il suggetto

e dal colore e dal freddo primai,

così rimaso te ne l'intelletto

voglio informar di luce sì vivace,

che ti tremolerà nel suo aspetto.

Dentro dal ciel de la divina pace

si gira un corpo ne la cui virtute

l'esser di tutto suo contento giace.

Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,

quell'esser parte per diverse essenze,

da lui distratte e da lui contenute.

Li altri giron per varie differenze

le distinzion che dentro da sé hanno

dispongono a lor fini e lor semenze.

Questi organi del mondo così vanno,

come tu vedi omai, di grado in grado,

che di sù prendono e di sotto fanno.

Riguarda bene omai sì com'io vado

per questo loco al vero che disiri,

sì che poi sappi sol tener lo guado.

Lo moto e la virtù d'i santi giri,

come dal fabbro l'arte del martello,

da' beati motor convien che spiri;

e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello,

de la mente profonda che lui volve

prende l'image e fassene suggello.

E come l'alma dentro a vostra polve

per differenti membra e conformate

a diverse potenze si risolve,

così l'intelligenza sua bontate

multiplicata per le stelle spiega,

girando sé sovra sua unitate.

Virtù diversa fa diversa lega

col prezioso corpo ch'ella avviva,

nel qual, sì come vita in voi, si lega.

Per la natura lieta onde deriva,

la virtù mista per lo corpo luce

come letizia per pupilla viva.

Da essa vien ciò che da luce a luce

par differente, non da denso e raro;

essa è formal principio che produce,

conforme a sua bontà, lo turbo e 'l chiaro".

 

Canto III

Quel sol che pria d'amor mi scaldò 'l petto,

di bella verità m'avea scoverto,

provando e riprovando, il dolce aspetto;

e io, per confessar corretto e certo

me stesso, tanto quanto si convenne

leva' il capo a proferer più erto;

ma visione apparve che ritenne

a sé me tanto stretto, per vedersi,

che di mia confession non mi sovvenne.

Quali per vetri trasparenti e tersi,

o ver per acque nitide e tranquille,

non sì profonde che i fondi sien persi,

tornan d'i nostri visi le postille

debili sì, che perla in bianca fronte

non vien men forte a le nostre pupille;

tali vid'io più facce a parlar pronte;

per ch'io dentro a l'error contrario corsi

a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte.

Sùbito sì com'io di lor m'accorsi,

quelle stimando specchiati sembianti,

per veder di cui fosser, li occhi torsi;

e nulla vidi, e ritorsili avanti

dritti nel lume de la dolce guida,

che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.

"Non ti maravigliar perch'io sorrida",

mi disse, "appresso il tuo pueril coto,

poi sopra 'l vero ancor lo piè non fida,

ma te rivolve, come suole, a vòto:

vere sustanze son ciò che tu vedi,

qui rilegate per manco di voto.

Però parla con esse e odi e credi;

ché la verace luce che li appaga

da sé non lascia lor torcer li piedi".

E io a l'ombra che parea più vaga

di ragionar, drizza'mi, e cominciai,

quasi com'uom cui troppa voglia smaga:

"O ben creato spirito, che a' rai

di vita etterna la dolcezza senti

che, non gustata, non s'intende mai,

grazioso mi fia se mi contenti

del nome tuo e de la vostra sorte".

Ond'ella, pronta e con occhi ridenti:

"La nostra carità non serra porte

a giusta voglia, se non come quella

che vuol simile a sé tutta sua corte.

I' fui nel mondo vergine sorella;

e se la mente tua ben sé riguarda,

non mi ti celerà l'esser più bella,

ma riconoscerai ch'i' son Piccarda,

che, posta qui con questi altri beati,

beata sono in la spera più tarda.

Li nostri affetti, che solo infiammati

son nel piacer de lo Spirito Santo,

letizian del suo ordine formati.

E questa sorte che par giù cotanto,

però n'è data, perché fuor negletti

li nostri voti, e vòti in alcun canto".

Ond'io a lei: "Ne' mirabili aspetti

vostri risplende non so che divino

che vi trasmuta da' primi concetti:

però non fui a rimembrar festino;

ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,

sì che raffigurar m'è più latino.

Ma dimmi: voi che siete qui felici,

disiderate voi più alto loco

per più vedere e per più farvi amici?".

Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco;

da indi mi rispuose tanto lieta,

ch'arder parea d'amor nel primo foco:

"Frate, la nostra volontà quieta

virtù di carità, che fa volerne

sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.

Se disiassimo esser più superne,

foran discordi li nostri disiri

dal voler di colui che qui ne cerne;

che vedrai non capere in questi giri,

s'essere in carità è qui necesse,

e se la sua natura ben rimiri.

Anzi è formale ad esto beato esse

tenersi dentro a la divina voglia,

per ch'una fansi nostre voglie stesse;

sì che, come noi sem di soglia in soglia

per questo regno, a tutto il regno piace

com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia.

E 'n la sua volontade è nostra pace:

ell'è quel mare al qual tutto si move

ciò ch'ella cria o che natura face".

Chiaro mi fu allor come ogni dove

in cielo è paradiso, etsi la grazia

del sommo ben d'un modo non vi piove.

Ma sì com'elli avvien, s'un cibo sazia

e d'un altro rimane ancor la gola,

che quel si chere e di quel si ringrazia,

così fec'io con atto e con parola,

per apprender da lei qual fu la tela

onde non trasse infino a co la spuola.

"Perfetta vita e alto merto inciela

donna più sù", mi disse, "a la cui norma

nel vostro mondo giù si veste e vela,

perché fino al morir si vegghi e dorma

con quello sposo ch'ogni voto accetta

che caritate a suo piacer conforma.

Dal mondo, per seguirla, giovinetta

fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi

e promisi la via de la sua setta.

Uomini poi, a mal più ch'a bene usi,

fuor mi rapiron de la dolce chiostra:

Iddio si sa qual poi mia vita fusi.

E quest'altro splendor che ti si mostra

da la mia destra parte e che s'accende

di tutto il lume de la spera nostra,

ciò ch'io dico di me, di sé intende;

sorella fu, e così le fu tolta

di capo l'ombra de le sacre bende.

Ma poi che pur al mondo fu rivolta

contra suo grado e contra buona usanza,

non fu dal vel del cor già mai disciolta.

Quest'è la luce de la gran Costanza

che del secondo vento di Soave

generò 'l terzo e l'ultima possanza".

Così parlommi, e poi cominciò 'Ave,

Maria' cantando, e cantando vanio

come per acqua cupa cosa grave.

La vista mia, che tanto lei seguio

quanto possibil fu, poi che la perse,

volsesi al segno di maggior disio,

e a Beatrice tutta si converse;

ma quella folgorò nel mio sguardo

sì che da prima il viso non sofferse;

e ciò mi fece a dimandar più tardo.

 

Canto IV

Intra due cibi, distanti e moventi

d'un modo, prima si morria di fame,

che liber'omo l'un recasse ai denti;

sì si starebbe un agno intra due brame

di fieri lupi, igualmente temendo;

sì si starebbe un cane intra due dame:

per che, s'i' mi tacea, me non riprendo,

da li miei dubbi d'un modo sospinto,

poi ch'era necessario, né commendo.

Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto

m'era nel viso, e 'l dimandar con ello,

più caldo assai che per parlar distinto.

Fé sì Beatrice qual fé Daniello,

Nabuccodonosor levando d'ira,

che l'avea fatto ingiustamente fello;

e disse: "Io veggio ben come ti tira

uno e altro disio, sì che tua cura

sé stessa lega sì che fuor non spira.

Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura,

la violenza altrui per qual ragione

di meritar mi scema la misura?".

Ancor di dubitar ti dà cagione

parer tornarsi l'anime a le stelle,

secondo la sentenza di Platone.

Queste son le question che nel tuo velle

pontano igualmente; e però pria

tratterò quella che più ha di felle.

D'i Serafin colui che più s'india,

Moisè, Samuel, e quel Giovanni

che prender vuoli, io dico, non Maria,

non hanno in altro cielo i loro scanni

che questi spirti che mo t'appariro,

né hanno a l'esser lor più o meno anni;

ma tutti fanno bello il primo giro,

e differentemente han dolce vita

per sentir più e men l'etterno spiro.

Qui si mostraro, non perché sortita

sia questa spera lor, ma per far segno

de la celestial c'ha men salita.

Così parlar conviensi al vostro ingegno,

però che solo da sensato apprende

ciò che fa poscia d'intelletto degno.

Per questo la Scrittura condescende

a vostra facultate, e piedi e mano

attribuisce a Dio, e altro intende;

e Santa Chiesa con aspetto umano

Gabriel e Michel vi rappresenta,

e l'altro che Tobia rifece sano.

Quel che Timeo de l'anime argomenta

non è simile a ciò che qui si vede,

però che, come dice, par che senta.

Dice che l'alma a la sua stella riede,

credendo quella quindi esser decisa

quando natura per forma la diede;

e forse sua sentenza è d'altra guisa

che la voce non suona, ed esser puote

con intenzion da non esser derisa.

S'elli intende tornare a queste ruote

l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse

in alcun vero suo arco percuote.

Questo principio, male inteso, torse

già tutto il mondo quasi, sì che Giove,

Mercurio e Marte a nominar trascorse.

L'altra dubitazion che ti commove

ha men velen, però che sua malizia

non ti poria menar da me altrove.

Parere ingiusta la nostra giustizia

ne li occhi d'i mortali, è argomento

di fede e non d'eretica nequizia.

Ma perché puote vostro accorgimento

ben penetrare a questa veritate,

come disiri, ti farò contento.

Se violenza è quando quel che pate

niente conferisce a quel che sforza,

non fuor quest'alme per essa scusate;

ché volontà, se non vuol, non s'ammorza,

ma fa come natura face in foco,

se mille volte violenza il torza.

Per che, s'ella si piega assai o poco,

segue la forza; e così queste fero

possendo rifuggir nel santo loco.

Se fosse stato lor volere intero,

come tenne Lorenzo in su la grada,

e fece Muzio a la sua man severo,

così l'avria ripinte per la strada

ond'eran tratte, come fuoro sciolte;

ma così salda voglia è troppo rada.

E per queste parole, se ricolte

l'hai come dei, è l'argomento casso

che t'avria fatto noia ancor più volte.

Ma or ti s'attraversa un altro passo

dinanzi a li occhi, tal che per te stesso

non usciresti: pria saresti lasso.

Io t'ho per certo ne la mente messo

ch'alma beata non poria mentire,

però ch'è sempre al primo vero appresso;

e poi potesti da Piccarda udire

che l'affezion del vel Costanza tenne;

sì ch'ella par qui meco contradire.

Molte fiate già, frate, addivenne

che, per fuggir periglio, contra grato

si fé di quel che far non si convenne;

come Almeone, che, di ciò pregato

dal padre suo, la propria madre spense,

per non perder pietà, si fé spietato.

A questo punto voglio che tu pense

che la forza al voler si mischia, e fanno

sì che scusar non si posson l'offense.

Voglia assoluta non consente al danno;

ma consentevi in tanto in quanto teme,

se si ritrae, cadere in più affanno.

Però, quando Piccarda quello spreme,

de la voglia assoluta intende, e io

de l'altra; sì che ver diciamo insieme".

Cotal fu l'ondeggiar del santo rio

ch'uscì del fonte ond'ogni ver deriva;

tal puose in pace uno e altro disio.

"O amanza del primo amante, o diva",

diss'io appresso, "il cui parlar m'inonda

e scalda sì, che più e più m'avviva,

non è l'affezion mia tanto profonda,

che basti a render voi grazia per grazia;

ma quei che vede e puote a ciò risponda.

Io veggio ben che già mai non si sazia

nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra

di fuor dal qual nessun vero si spazia.

Posasi in esso, come fera in lustra,

tosto che giunto l'ha; e giugner puollo:

se non, ciascun disio sarebbe frustra.

Nasce per quello, a guisa di rampollo,

a piè del vero il dubbio; ed è natura

ch'al sommo pinge noi di collo in collo.

Questo m'invita, questo m'assicura

con reverenza, donna, a dimandarvi

d'un'altra verità che m'è oscura.

Io vo' saper se l'uom può sodisfarvi

ai voti manchi sì con altri beni,

ch'a la vostra statera non sien parvi".

Beatrice mi guardò con li occhi pieni

di faville d'amor così divini,

che, vinta, mia virtute diè le reni,

e quasi mi perdei con li occhi chini.

Canto V

"S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore

di là dal modo che 'n terra si vede,

sì che del viso tuo vinco il valore,

non ti maravigliar; ché ciò procede

da perfetto veder, che, come apprende,

così nel bene appreso move il piede.

Io veggio ben sì come già resplende

ne l'intelletto tuo l'etterna luce,

che, vista, sola e sempre amore accende;

e s'altra cosa vostro amor seduce,

non è se non di quella alcun vestigio,

mal conosciuto, che quivi traluce.

Tu vuo' saper se con altro servigio,

per manco voto, si può render tanto

che l'anima sicuri di letigio".

Sì cominciò Beatrice questo canto;

e sì com'uom che suo parlar non spezza,

continuò così 'l processo santo:

"Lo maggior don che Dio per sua larghezza

fesse creando, e a la sua bontate

più conformato, e quel ch'e' più apprezza,

fu de la volontà la libertate;

di che le creature intelligenti,

e tutte e sole, fuoro e son dotate.

Or ti parrà, se tu quinci argomenti,

l'alto valor del voto, s'è sì fatto

che Dio consenta quando tu consenti;

ché, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,

vittima fassi di questo tesoro,

tal quale io dico; e fassi col suo atto.

Dunque che render puossi per ristoro?

Se credi bene usar quel c'hai offerto,

di maltolletto vuo' far buon lavoro.

Tu se' omai del maggior punto certo;

ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,

che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto,

convienti ancor sedere un poco a mensa,

però che 'l cibo rigido c'hai preso,

richiede ancora aiuto a tua dispensa.

Apri la mente a quel ch'io ti paleso

e fermalvi entro; ché non fa scienza,

sanza lo ritenere, avere inteso.

Due cose si convegnono a l'essenza

di questo sacrificio: l'una è quella

di che si fa; l'altr'è la convenenza.

Quest'ultima già mai non si cancella

se non servata; e intorno di lei

sì preciso di sopra si favella:

però necessitato fu a li Ebrei

pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta

sì permutasse, come saver dei.

L'altra, che per materia t'è aperta,

puote ben esser tal, che non si falla

se con altra materia si converta.

Ma non trasmuti carco a la sua spalla

per suo arbitrio alcun, sanza la volta

e de la chiave bianca e de la gialla;

e ogni permutanza credi stolta,

se la cosa dimessa in la sorpresa

come 'l quattro nel sei non è raccolta.

Però qualunque cosa tanto pesa

per suo valor che tragga ogni bilancia,

sodisfar non si può con altra spesa.

Non prendan li mortali il voto a ciancia;

siate fedeli, e a ciò far non bieci,

come Ieptè a la sua prima mancia;

cui più si convenia dicer 'Mal feci',

che, servando, far peggio; e così stolto

ritrovar puoi il gran duca de' Greci,

onde pianse Efigènia il suo bel volto,

e fé pianger di sé i folli e i savi

ch'udir parlar di così fatto cólto.

Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:

non siate come penna ad ogni vento,

e non crediate ch'ogni acqua vi lavi.

Avete il novo e 'l vecchio Testamento,

e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;

questo vi basti a vostro salvamento.

Se mala cupidigia altro vi grida,

uomini siate, e non pecore matte,

sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!

Non fate com'agnel che lascia il latte

de la sua madre, e semplice e lascivo

seco medesmo a suo piacer combatte!".

Così Beatrice a me com'io scrivo;

poi si rivolse tutta disiante

a quella parte ove 'l mondo è più vivo.

Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante

puoser silenzio al mio cupido ingegno,

che già nuove questioni avea davante;

e sì come saetta che nel segno

percuote pria che sia la corda queta,

così corremmo nel secondo regno.

Quivi la donna mia vid'io sì lieta,

come nel lume di quel ciel si mise,

che più lucente se ne fé 'l pianeta.

E se la stella si cambiò e rise,

qual mi fec'io che pur da mia natura

trasmutabile son per tutte guise!

Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura

traggonsi i pesci a ciò che vien di fori

per modo che lo stimin lor pastura,

sì vid'io ben più di mille splendori

trarsi ver' noi, e in ciascun s'udìa:

"Ecco chi crescerà li nostri amori".

E sì come ciascuno a noi venìa,

vedeasi l'ombra piena di letizia

nel folgór chiaro che di lei uscia.

Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia

non procedesse, come tu avresti

di più savere angosciosa carizia;

e per te vederai come da questi

m'era in disio d'udir lor condizioni,

sì come a li occhi mi fur manifesti.

"O bene nato a cui veder li troni

del triunfo etternal concede grazia

prima che la milizia s'abbandoni,

del lume che per tutto il ciel si spazia

noi semo accesi; e però, se disii

di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia".

Così da un di quelli spirti pii

detto mi fu; e da Beatrice: "Dì, dì

sicuramente, e credi come a dii".

"Io veggio ben sì come tu t'annidi

nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,

perch'e' corusca sì come tu ridi;

ma non so chi tu se', né perché aggi,

anima degna, il grado de la spera

che si vela a' mortai con altrui raggi".

Questo diss'io diritto alla lumera

che pria m'avea parlato; ond'ella fessi

lucente più assai di quel ch'ell'era.

Sì come il sol che si cela elli stessi

per troppa luce, come 'l caldo ha róse

le temperanze d'i vapori spessi,

per più letizia sì mi si nascose

dentro al suo raggio la figura santa;

e così chiusa chiusa mi rispuose

nel modo che 'l seguente canto canta.

 

Canto VI 

"Poscia che Costantin l'aquila volse

contr'al corso del ciel, ch'ella seguio

dietro a l'antico che Lavina tolse,

cento e cent'anni e più l'uccel di Dio

ne lo stremo d'Europa si ritenne,

vicino a' monti de' quai prima uscìo;

e sotto l'ombra de le sacre penne

governò 'l mondo lì di mano in mano,

e, sì cangiando, in su la mia pervenne.

Cesare fui e son Iustiniano,

che, per voler del primo amor ch'i' sento,

d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.

E prima ch'io a l'ovra fossi attento,

una natura in Cristo esser, non piùe,

credea, e di tal fede era contento;

ma 'l benedetto Agapito, che fue

sommo pastore, a la fede sincera

mi dirizzò con le parole sue.

Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era,

vegg'io or chiaro sì, come tu vedi

ogni contradizione e falsa e vera.

Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,

a Dio per grazia piacque di spirarmi

l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi;

e al mio Belisar commendai l'armi,

cui la destra del ciel fu sì congiunta,

che segno fu ch'i' dovessi posarmi.

Or qui a la question prima s'appunta

la mia risposta; ma sua condizione

mi stringe a seguitare alcuna giunta,

perché tu veggi con quanta ragione

si move contr'al sacrosanto segno

e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.

Vedi quanta virtù l'ha fatto degno

di reverenza; e cominciò da l'ora

che Pallante morì per darli regno.

Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora

per trecento anni e oltre, infino al fine

che i tre a' tre pugnar per lui ancora.

E sai ch'el fé dal mal de le Sabine

al dolor di Lucrezia in sette regi,

vincendo intorno le genti vicine.

Sai quel ch'el fé portato da li egregi

Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,

incontro a li altri principi e collegi;

onde Torquato e Quinzio, che dal cirro

negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi

ebber la fama che volontier mirro.

Esso atterrò l'orgoglio de li Aràbi

che di retro ad Annibale passaro

l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.

Sott'esso giovanetti triunfaro

Scipione e Pompeo; e a quel colle

sotto 'l qual tu nascesti parve amaro.

Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle

redur lo mondo a suo modo sereno,

Cesare per voler di Roma il tolle.

E quel che fé da Varo infino a Reno,

Isara vide ed Era e vide Senna

e ogni valle onde Rodano è pieno.

Quel che fé poi ch'elli uscì di Ravenna

e saltò Rubicon, fu di tal volo,

che nol seguiteria lingua né penna.

Inver' la Spagna rivolse lo stuolo,

poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse

sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo.

Antandro e Simeonta, onde si mosse,

rivide e là dov'Ettore si cuba;

e mal per Tolomeo poscia si scosse.

Da indi scese folgorando a Iuba;

onde si volse nel vostro occidente,

ove sentia la pompeana tuba.

Di quel che fé col baiulo seguente,

Bruto con Cassio ne l'inferno latra,

e Modena e Perugia fu dolente.

Piangene ancor la trista Cleopatra,

che, fuggendoli innanzi, dal colubro

la morte prese subitana e atra.

Con costui corse infino al lito rubro;

con costui puose il mondo in tanta pace,

che fu serrato a Giano il suo delubro.

Ma ciò che 'l segno che parlar mi face

fatto avea prima e poi era fatturo

per lo regno mortal ch'a lui soggiace,

diventa in apparenza poco e scuro,

se in mano al terzo Cesare si mira

con occhio chiaro e con affetto puro;

ché la viva giustizia che mi spira,

li concedette, in mano a quel ch'i' dico,

gloria di far vendetta a la sua ira.

Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replìco:

poscia con Tito a far vendetta corse

de la vendetta del peccato antico.

E quando il dente longobardo morse

la Santa Chiesa, sotto le sue ali

Carlo Magno, vincendo, la soccorse.

Omai puoi giudicar di quei cotali

ch'io accusai di sopra e di lor falli,

che son cagion di tutti vostri mali.

L'uno al pubblico segno i gigli gialli

oppone, e l'altro appropria quello a parte,

sì ch'è forte a veder chi più si falli.

Faccian li Ghibellin, faccian lor arte

sott'altro segno; ché mal segue quello

sempre chi la giustizia e lui diparte;

e non l'abbatta esto Carlo novello

coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli

ch'a più alto leon trasser lo vello.

Molte fiate già pianser li figli

per la colpa del padre, e non si creda

che Dio trasmuti l'arme per suoi gigli!

Questa picciola stella si correda

di buoni spirti che son stati attivi

perché onore e fama li succeda:

e quando li disiri poggian quivi,

sì disviando, pur convien che i raggi

del vero amore in sù poggin men vivi.

Ma nel commensurar d'i nostri gaggi

col merto è parte di nostra letizia,

perché non li vedem minor né maggi.

Quindi addolcisce la viva giustizia

in noi l'affetto sì, che non si puote

torcer già mai ad alcuna nequizia.

Diverse voci fanno dolci note;

così diversi scanni in nostra vita

rendon dolce armonia tra queste rote.

E dentro a la presente margarita

luce la luce di Romeo, di cui

fu l'ovra grande e bella mal gradita.

Ma i Provenzai che fecer contra lui

non hanno riso; e però mal cammina

qual si fa danno del ben fare altrui.

Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,

Ramondo Beringhiere, e ciò li fece

Romeo, persona umìle e peregrina.

E poi il mosser le parole biece

a dimandar ragione a questo giusto,

che li assegnò sette e cinque per diece,

indi partissi povero e vetusto;

e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe

mendicando sua vita a frusto a frusto,

assai lo loda, e più lo loderebbe".

 

Canto VII

"Osanna, sanctus Deus sabaòth,

superillustrans claritate tua

felices ignes horum malacòth!".

Così, volgendosi a la nota sua,

fu viso a me cantare essa sustanza,

sopra la qual doppio lume s'addua:

ed essa e l'altre mossero a sua danza,

e quasi velocissime faville,

mi si velar di sùbita distanza.

Io dubitava e dicea 'Dille, dille!'

fra me, 'dille', dicea, 'a la mia donna

che mi diseta con le dolci stille'.

Ma quella reverenza che s'indonna

di tutto me, pur per Be e per ice,

mi richinava come l'uom ch'assonna.

Poco sofferse me cotal Beatrice

e cominciò, raggiandomi d'un riso

tal, che nel foco faria l'uom felice:

"Secondo mio infallibile avviso,

come giusta vendetta giustamente

punita fosse, t'ha in pensier miso;

ma io ti solverò tosto la mente;

e tu ascolta, ché le mie parole

di gran sentenza ti faran presente.

Per non soffrire a la virtù che vole

freno a suo prode, quell'uom che non nacque,

dannando sé, dannò tutta sua prole;

onde l'umana specie inferma giacque

giù per secoli molti in grande errore,

fin ch'al Verbo di Dio discender piacque

u' la natura, che dal suo fattore

s'era allungata, unì a sé in persona

con l'atto sol del suo etterno amore.

Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona:

questa natura al suo fattore unita,

qual fu creata, fu sincera e buona;

ma per sé stessa pur fu ella sbandita

di paradiso, però che si torse

da via di verità e da sua vita.

La pena dunque che la croce porse

s'a la natura assunta si misura,

nulla già mai sì giustamente morse;

e così nulla fu di tanta ingiura,

guardando a la persona che sofferse,

in che era contratta tal natura.

Però d'un atto uscir cose diverse:

ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte;

per lei tremò la terra e 'l ciel s'aperse.

Non ti dee oramai parer più forte,

quando si dice che giusta vendetta

poscia vengiata fu da giusta corte.

Ma io veggi' or la tua mente ristretta

di pensiero in pensier dentro ad un nodo,

del qual con gran disio solver s'aspetta.

Tu dici: "Ben discerno ciò ch'i' odo;

ma perché Dio volesse, m'è occulto,

a nostra redenzion pur questo modo".

Questo decreto, frate, sta sepulto

a li occhi di ciascuno il cui ingegno

ne la fiamma d'amor non è adulto.

Veramente, però ch'a questo segno

molto si mira e poco si discerne,

dirò perché tal modo fu più degno.

La divina bontà, che da sé sperne

ogni livore, ardendo in sé, sfavilla

sì che dispiega le bellezze etterne.

Ciò che da lei sanza mezzo distilla

non ha poi fine, perché non si move

la sua imprenta quand'ella sigilla.

Ciò che da essa sanza mezzo piove

libero è tutto, perché non soggiace

a la virtute de le cose nove.

Più l'è conforme, e però più le piace;

ché l'ardor santo ch'ogni cosa raggia,

ne la più somigliante è più vivace.

Di tutte queste dote s'avvantaggia

l'umana creatura; e s'una manca,

di sua nobilità convien che caggia.

Solo il peccato è quel che la disfranca

e falla dissìmile al sommo bene,

per che del lume suo poco s'imbianca;

e in sua dignità mai non rivene,

se non riempie, dove colpa vòta,

contra mal dilettar con giuste pene.

Vostra natura, quando peccò tota

nel seme suo, da queste dignitadi,

come di paradiso, fu remota;

né ricovrar potiensi, se tu badi

ben sottilmente, per alcuna via,

sanza passar per un di questi guadi:

o che Dio solo per sua cortesia

dimesso avesse, o che l'uom per sé isso

avesse sodisfatto a sua follia.

Ficca mo l'occhio per entro l'abisso

de l'etterno consiglio, quanto puoi

al mio parlar distrettamente fisso.

Non potea l'uomo ne' termini suoi

mai sodisfar, per non potere ir giuso

con umiltate obediendo poi,

quanto disobediendo intese ir suso;

e questa è la cagion per che l'uom fue

da poter sodisfar per sé dischiuso.

Dunque a Dio convenia con le vie sue

riparar l'omo a sua intera vita,

dico con l'una, o ver con amendue.

Ma perché l'ovra tanto è più gradita

da l'operante, quanto più appresenta

de la bontà del core ond'ell'è uscita,

la divina bontà che 'l mondo imprenta,

di proceder per tutte le sue vie,

a rilevarvi suso, fu contenta.

Né tra l'ultima notte e 'l primo die

sì alto o sì magnifico processo,

o per l'una o per l'altra, fu o fie:

ché più largo fu Dio a dar sé stesso

per far l'uom sufficiente a rilevarsi,

che s'elli avesse sol da sé dimesso;

e tutti li altri modi erano scarsi

a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio

non fosse umiliato ad incarnarsi.

Or per empierti bene ogni disio,

ritorno a dichiararti in alcun loco,

perché tu veggi lì così com'io.

Tu dici: "Io veggio l'acqua, io veggio il foco,

l'aere e la terra e tutte lor misture

venire a corruzione, e durar poco;

e queste cose pur furon creature;

per che, se ciò ch'è detto è stato vero,

esser dovrien da corruzion sicure".

Li angeli, frate, e 'l paese sincero

nel qual tu se', dir si posson creati,

sì come sono, in loro essere intero;

ma li elementi che tu hai nomati

e quelle cose che di lor si fanno

da creata virtù sono informati.

Creata fu la materia ch'elli hanno;

creata fu la virtù informante

in queste stelle che 'ntorno a lor vanno.

L'anima d'ogni bruto e de le piante

di complession potenziata tira

lo raggio e 'l moto de le luci sante;

ma vostra vita sanza mezzo spira

la somma beninanza, e la innamora

di sé sì che poi sempre la disira.

E quinci puoi argomentare ancora

vostra resurrezion, se tu ripensi

come l'umana carne fessi allora

che li primi parenti intrambo fensi".

 

Canto VIII

Solea creder lo mondo in suo periclo

che la bella Ciprigna il folle amore

raggiasse, volta nel terzo epiciclo;

per che non pur a lei faceano onore

di sacrificio e di votivo grido

le genti antiche ne l'antico errore;

ma Dione onoravano e Cupido,

quella per madre sua, questo per figlio,

e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;

e da costei ond'io principio piglio

pigliavano il vocabol de la stella

che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.

Io non m'accorsi del salire in ella;

ma d'esservi entro mi fé assai fede

la donna mia ch'i' vidi far più bella.

E come in fiamma favilla si vede,

e come in voce voce si discerne,

quand'una è ferma e altra va e riede,

vid'io in essa luce altre lucerne

muoversi in giro più e men correnti,

al modo, credo, di lor viste interne.

Di fredda nube non disceser venti,

o visibili o no, tanto festini,

che non paressero impediti e lenti

a chi avesse quei lumi divini

veduti a noi venir, lasciando il giro

pria cominciato in li alti Serafini;

e dentro a quei che più innanzi appariro

sonava 'Osanna' sì, che unque poi

di riudir non fui sanza disiro.

Indi si fece l'un più presso a noi

e solo incominciò: "Tutti sem presti

al tuo piacer, perché di noi ti gioi.

Noi ci volgiam coi principi celesti

d'un giro e d'un girare e d'una sete,

ai quali tu del mondo già dicesti:

'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete';

e sem sì pien d'amor, che, per piacerti,

non fia men dolce un poco di quiete".

Poscia che li occhi miei si fuoro offerti

a la mia donna reverenti, ed essa

fatti li avea di sé contenti e certi,

rivolsersi a la luce che promessa

tanto s'avea, e "Deh, chi siete?" fue

la voce mia di grande affetto impressa.

E quanta e quale vid'io lei far piùe

per allegrezza nova che s'accrebbe,

quando parlai, a l'allegrezze sue!

Così fatta, mi disse: "Il mondo m'ebbe

giù poco tempo; e se più fosse stato,

molto sarà di mal, che non sarebbe.

La mia letizia mi ti tien celato

che mi raggia dintorno e mi nasconde

quasi animal di sua seta fasciato.

Assai m'amasti, e avesti ben onde;

che s'io fossi giù stato, io ti mostrava

di mio amor più oltre che le fronde.

Quella sinistra riva che si lava

di Rodano poi ch'è misto con Sorga,

per suo segnore a tempo m'aspettava,

e quel corno d'Ausonia che s'imborga

di Bari e di Gaeta e di Catona

da ove Tronto e Verde in mare sgorga.

Fulgeami già in fronte la corona

di quella terra che 'l Danubio riga

poi che le ripe tedesche abbandona.

E la bella Trinacria, che caliga

tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo

che riceve da Euro maggior briga,

non per Tifeo ma per nascente solfo,

attesi avrebbe li suoi regi ancora,

nati per me di Carlo e di Ridolfo,

se mala segnoria, che sempre accora

li popoli suggetti, non avesse

mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!".

E se mio frate questo antivedesse,

l'avara povertà di Catalogna

già fuggeria, perché non li offendesse;

ché veramente proveder bisogna

per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca

carcata più d'incarco non si pogna.

La sua natura, che di larga parca

discese, avria mestier di tal milizia

che non curasse di mettere in arca".

"Però ch'i' credo che l'alta letizia

che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio,

là 've ogni ben si termina e s'inizia,

per te si veggia come la vegg'io,

grata m'è più; e anco quest'ho caro

perché 'l discerni rimirando in Dio.

Fatto m'hai lieto, e così mi fa chiaro,

poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso

com'esser può, di dolce seme, amaro".

Questo io a lui; ed elli a me: "S'io posso

mostrarti un vero, a quel che tu dimandi

terrai lo viso come tien lo dosso.

Lo ben che tutto il regno che tu scandi

volge e contenta, fa esser virtute

sua provedenza in questi corpi grandi.

E non pur le nature provedute

sono in la mente ch'è da sé perfetta,

ma esse insieme con la lor salute:

per che quantunque quest'arco saetta

disposto cade a proveduto fine,

sì come cosa in suo segno diretta.

Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine

producerebbe sì li suoi effetti,

che non sarebbero arti, ma ruine;

e ciò esser non può, se li 'ntelletti

che muovon queste stelle non son manchi,

e manco il primo, che non li ha perfetti.

Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?".

E io: "Non già; ché impossibil veggio

che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi".

Ond'elli ancora: "Or di': sarebbe il peggio

per l'omo in terra, se non fosse cive?".

"Sì", rispuos'io; "e qui ragion non cheggio".

"E puot'elli esser, se giù non si vive

diversamente per diversi offici?

Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive".

Sì venne deducendo infino a quici;

poscia conchiuse: "Dunque esser diverse

convien di vostri effetti le radici:

per ch'un nasce Solone e altro Serse,

altro Melchisedèch e altro quello

che, volando per l'aere, il figlio perse.

La circular natura, ch'è suggello

a la cera mortal, fa ben sua arte,

ma non distingue l'un da l'altro ostello.

Quinci addivien ch'Esaù si diparte

per seme da Iacòb; e vien Quirino

da sì vil padre, che si rende a Marte.

Natura generata il suo cammino

simil farebbe sempre a' generanti,

se non vincesse il proveder divino.

Or quel che t'era dietro t'è davanti:

ma perché sappi che di te mi giova,

un corollario voglio che t'ammanti.

Sempre natura, se fortuna trova

discorde a sé, com'ogni altra semente

fuor di sua region, fa mala prova.

E se 'l mondo là giù ponesse mente

al fondamento che natura pone,

seguendo lui, avria buona la gente.

Ma voi torcete a la religione

tal che fia nato a cignersi la spada,

e fate re di tal ch'è da sermone;

onde la traccia vostra è fuor di strada".

 

 Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento: 10/07/05 17.05