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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

La Divina Commedia

di: Dante Alighieri

    PARADISO

[Canto IX] [Canto X] [Canto XI] [Canto XII]

 [Canto XIII] [Canto XIV] [Canto XV] [Canto XVI]

Canto IX

 Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,

m'ebbe chiarito, mi narrò li 'nganni

che ricever dovea la sua semenza;

ma disse: "Taci e lascia muover li anni";

sì ch'io non posso dir se non che pianto

giusto verrà di retro ai vostri danni.

E già la vita di quel lume santo

rivolta s'era al Sol che la riempie

come quel ben ch'a ogni cosa è tanto.

Ahi anime ingannate e fatture empie,

che da sì fatto ben torcete i cuori,

drizzando in vanità le vostre tempie!

Ed ecco un altro di quelli splendori

ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi

significava nel chiarir di fori.

Li occhi di Beatrice, ch'eran fermi

sovra me, come pria, di caro assenso

al mio disio certificato fermi.

"Deh, metti al mio voler tosto compenso,

beato spirto", dissi, "e fammi prova

ch'i' possa in te refletter quel ch'io penso!".

Onde la luce che m'era ancor nova,

del suo profondo, ond'ella pria cantava,

seguette come a cui di ben far giova:

"In quella parte de la terra prava

italica che siede tra Rialto

e le fontane di Brenta e di Piava,

si leva un colle, e non surge molt'alto,

là onde scese già una facella

che fece a la contrada un grande assalto.

D'una radice nacqui e io ed ella:

Cunizza fui chiamata, e qui refulgo

perché mi vinse il lume d'esta stella;

ma lietamente a me medesma indulgo

la cagion di mia sorte, e non mi noia;

che parria forse forte al vostro vulgo.

Di questa luculenta e cara gioia

del nostro cielo che più m'è propinqua,

grande fama rimase; e pria che moia,

questo centesimo anno ancor s'incinqua:

vedi se far si dee l'omo eccellente,

sì ch'altra vita la prima relinqua.

E ciò non pensa la turba presente

che Tagliamento e Adice richiude,

né per esser battuta ancor si pente;

ma tosto fia che Padova al palude

cangerà l'acqua che Vincenza bagna,

per essere al dover le genti crude;

e dove Sile e Cagnan s'accompagna,

tal signoreggia e va con la testa alta,

che già per lui carpir si fa la ragna.

Piangerà Feltro ancora la difalta

de l'empio suo pastor, che sarà sconcia

sì, che per simil non s'entrò in malta.

Troppo sarebbe larga la bigoncia

che ricevesse il sangue ferrarese,

e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia,

che donerà questo prete cortese

per mostrarsi di parte; e cotai doni

conformi fieno al viver del paese.

Sù sono specchi, voi dicete Troni,

onde refulge a noi Dio giudicante;

sì che questi parlar ne paion buoni".

Qui si tacette; e fecemi sembiante

che fosse ad altro volta, per la rota

in che si mise com'era davante.

L'altra letizia, che m'era già nota

per cara cosa, mi si fece in vista

qual fin balasso in che lo sol percuota.

Per letiziar là sù fulgor s'acquista,

sì come riso qui; ma giù s'abbuia

l'ombra di fuor, come la mente è trista.

"Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia",

diss'io, "beato spirto, sì che nulla

voglia di sé a te puot'esser fuia.

Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla

sempre col canto di quei fuochi pii

che di sei ali facen la coculla,

perché non satisface a' miei disii?

Già non attendere' io tua dimanda,

s'io m'intuassi, come tu t'inmii".

"La maggior valle in che l'acqua si spanda",

incominciaro allor le sue parole,

"fuor di quel mar che la terra inghirlanda,

tra ' discordanti liti contra 'l sole

tanto sen va, che fa meridiano

là dove l'orizzonte pria far suole.

Di quella valle fu' io litorano

tra Ebro e Macra, che per cammin corto

parte lo Genovese dal Toscano.

Ad un occaso quasi e ad un orto

Buggea siede e la terra ond'io fui,

che fé del sangue suo già caldo il porto.

Folco mi disse quella gente a cui

fu noto il nome mio; e questo cielo

di me s'imprenta, com'io fe' di lui;

ché più non arse la figlia di Belo,

noiando e a Sicheo e a Creusa,

di me, infin che si convenne al pelo;

né quella Rodopea che delusa

fu da Demofoonte, né Alcide

quando Iole nel core ebbe rinchiusa.

Non però qui si pente, ma si ride,

non de la colpa, ch'a mente non torna,

ma del valor ch'ordinò e provide.

Qui si rimira ne l'arte ch'addorna

cotanto affetto, e discernesi 'l bene

per che 'l mondo di sù quel di giù torna.

Ma perché tutte le tue voglie piene

ten porti che son nate in questa spera,

proceder ancor oltre mi convene.

Tu vuo' saper chi è in questa lumera

che qui appresso me così scintilla,

come raggio di sole in acqua mera.

Or sappi che là entro si tranquilla

Raab; e a nostr'ordine congiunta,

di lei nel sommo grado si sigilla.

Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta

che 'l vostro mondo face, pria ch'altr'alma

del triunfo di Cristo fu assunta.

Ben si convenne lei lasciar per palma

in alcun cielo de l'alta vittoria

che s'acquistò con l'una e l'altra palma,

perch'ella favorò la prima gloria

di Iosuè in su la Terra Santa,

che poco tocca al papa la memoria.

La tua città, che di colui è pianta

che pria volse le spalle al suo fattore

e di cui è la 'nvidia tanto pianta,

produce e spande il maladetto fiore

c'ha disviate le pecore e li agni,

però che fatto ha lupo del pastore.

Per questo l'Evangelio e i dottor magni

son derelitti, e solo ai Decretali

si studia, sì che pare a' lor vivagni.

A questo intende il papa e ' cardinali;

non vanno i lor pensieri a Nazarette,

là dove Gabriello aperse l'ali.

Ma Vaticano e l'altre parti elette

di Roma che son state cimitero

a la milizia che Pietro seguette,

tosto libere fien de l'avoltero".

 

Canto X

 Guardando nel suo Figlio con l'Amore

che l'uno e l'altro etternalmente spira,

lo primo e ineffabile Valore

quanto per mente e per loco si gira

con tant'ordine fé, ch'esser non puote

sanza gustar di lui chi ciò rimira.

Leva dunque, lettore, a l'alte rote

meco la vista, dritto a quella parte

dove l'un moto e l'altro si percuote;

e lì comincia a vagheggiar ne l'arte

di quel maestro che dentro a sé l'ama,

tanto che mai da lei l'occhio non parte.

Vedi come da indi si dirama

l'oblico cerchio che i pianeti porta,

per sodisfare al mondo che li chiama.

Che se la strada lor non fosse torta,

molta virtù nel ciel sarebbe in vano,

e quasi ogni potenza qua giù morta;

e se dal dritto più o men lontano

fosse 'l partire, assai sarebbe manco

e giù e sù de l'ordine mondano.

Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,

dietro pensando a ciò che si preliba,

s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.

Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;

ché a sé torce tutta la mia cura

quella materia ond'io son fatto scriba.

Lo ministro maggior de la natura,

che del valor del ciel lo mondo imprenta

e col suo lume il tempo ne misura,

con quella parte che sù si rammenta

congiunto, si girava per le spire

in che più tosto ognora s'appresenta;

e io era con lui; ma del salire

non m'accors'io, se non com'uom s'accorge,

anzi 'l primo pensier, del suo venire.

E' Beatrice quella che sì scorge

di bene in meglio, sì subitamente

che l'atto suo per tempo non si sporge.

Quant'esser convenia da sé lucente

quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi,

non per color, ma per lume parvente!

Perch'io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,

sì nol direi che mai s'imaginasse;

ma creder puossi e di veder si brami.

E se le fantasie nostre son basse

a tanta altezza, non è maraviglia;

ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.

Tal era quivi la quarta famiglia

de l'alto Padre, che sempre la sazia,

mostrando come spira e come figlia.

E Beatrice cominciò: "Ringrazia,

ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo

sensibil t'ha levato per sua grazia".

Cor di mortal non fu mai sì digesto

a divozione e a rendersi a Dio

con tutto 'l suo gradir cotanto presto,

come a quelle parole mi fec'io;

e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,

che Beatrice eclissò ne l'oblio.

Non le dispiacque; ma sì se ne rise,

che lo splendor de li occhi suoi ridenti

mia mente unita in più cose divise.

Io vidi più folgór vivi e vincenti

far di noi centro e di sé far corona,

più dolci in voce che in vista lucenti:

così cinger la figlia di Latona

vedem talvolta, quando l'aere è pregno,

sì che ritenga il fil che fa la zona.

Ne la corte del cielo, ond'io rivegno,

si trovan molte gioie care e belle

tanto che non si posson trar del regno;

e 'l canto di quei lumi era di quelle;

chi non s'impenna sì che là sù voli,

dal muto aspetti quindi le novelle.

Poi, sì cantando, quelli ardenti soli

si fuor girati intorno a noi tre volte,

come stelle vicine a' fermi poli,

donne mi parver, non da ballo sciolte,

ma che s'arrestin tacite, ascoltando

fin che le nove note hanno ricolte.

E dentro a l'un senti' cominciar: "Quando

lo raggio de la grazia, onde s'accende

verace amore e che poi cresce amando,

multiplicato in te tanto resplende,

che ti conduce su per quella scala

u' sanza risalir nessun discende;

qual ti negasse il vin de la sua fiala

per la tua sete, in libertà non fora

se non com'acqua ch'al mar non si cala.

Tu vuo' saper di quai piante s'infiora

questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia

la bella donna ch'al ciel t'avvalora.

Io fui de li agni de la santa greggia

che Domenico mena per cammino

u' ben s'impingua se non si vaneggia.

Questi che m'è a destra più vicino,

frate e maestro fummi, ed esso Alberto

è di Cologna, e io Thomas d'Aquino.

Se sì di tutti li altri esser vuo' certo,

di retro al mio parlar ten vien col viso

girando su per lo beato serto.

Quell'altro fiammeggiare esce del riso

di Grazian, che l'uno e l'altro foro

aiutò sì che piace in paradiso.

L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,

quel Pietro fu che con la poverella

offerse a Santa Chiesa suo tesoro.

La quinta luce, ch'è tra noi più bella,

spira di tal amor, che tutto 'l mondo

là giù ne gola di saper novella:

entro v'è l'alta mente u' sì profondo

saver fu messo, che, se 'l vero è vero

a veder tanto non surse il secondo.

Appresso vedi il lume di quel cero

che giù in carne più a dentro vide

l'angelica natura e 'l ministero.

Ne l'altra piccioletta luce ride

quello avvocato de' tempi cristiani

del cui latino Augustin si provide.

Or se tu l'occhio de la mente trani

di luce in luce dietro a le mie lode,

già de l'ottava con sete rimani.

Per vedere ogni ben dentro vi gode

l'anima santa che 'l mondo fallace

fa manifesto a chi di lei ben ode.

Lo corpo ond'ella fu cacciata giace

giuso in Cieldauro; ed essa da martiro

e da essilio venne a questa pace.

Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro

d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,

che a considerar fu più che viro.

Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,

è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri

gravi a morir li parve venir tardo:

essa è la luce etterna di Sigieri,

che, leggendo nel Vico de li Strami,

silogizzò invidiosi veri".

Indi, come orologio che ne chiami

ne l'ora che la sposa di Dio surge

a mattinar lo sposo perché l'ami,

che l'una parte e l'altra tira e urge,

tin tin sonando con sì dolce nota,

che 'l ben disposto spirto d'amor turge;

così vid'io la gloriosa rota

muoversi e render voce a voce in tempra

e in dolcezza ch'esser non pò nota

se non colà dove gioir s'insempra.

 

Canto XI

O insensata cura de' mortali,

quanto son difettivi silogismi

quei che ti fanno in basso batter l'ali!

Chi dietro a iura, e chi ad amforismi

sen giva, e chi seguendo sacerdozio,

e chi regnar per forza o per sofismi,

e chi rubare, e chi civil negozio,

chi nel diletto de la carne involto

s'affaticava e chi si dava a l'ozio,

quando, da tutte queste cose sciolto,

con Beatrice m'era suso in cielo

cotanto gloriosamente accolto.

Poi che ciascuno fu tornato ne lo

punto del cerchio in che avanti s'era,

fermossi, come a candellier candelo.

E io senti' dentro a quella lumera

che pria m'avea parlato, sorridendo

incominciar, faccendosi più mera:

"Così com'io del suo raggio resplendo,

sì, riguardando ne la luce etterna,

li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.

Tu dubbi, e hai voler che si ricerna

in sì aperta e 'n sì distesa lingua

lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna,

ove dinanzi dissi "U' ben s'impingua",

e là u' dissi "Non nacque il secondo";

e qui è uopo che ben si distingua.

La provedenza, che governa il mondo

con quel consiglio nel quale ogni aspetto

creato è vinto pria che vada al fondo,

però che andasse ver' lo suo diletto

la sposa di colui ch'ad alte grida

disposò lei col sangue benedetto,

in sé sicura e anche a lui più fida,

due principi ordinò in suo favore,

che quinci e quindi le fosser per guida.

L'un fu tutto serafico in ardore;

l'altro per sapienza in terra fue

di cherubica luce uno splendore.

De l'un dirò, però che d'amendue

si dice l'un pregiando, qual ch'om prende,

perch'ad un fine fur l'opere sue.

Intra Tupino e l'acqua che discende

del colle eletto dal beato Ubaldo,

fertile costa d'alto monte pende,

onde Perugia sente freddo e caldo

da Porta Sole; e di rietro le piange

per grave giogo Nocera con Gualdo.

Di questa costa, là dov'ella frange

più sua rattezza, nacque al mondo un sole,

come fa questo tal volta di Gange.

Però chi d'esso loco fa parole,

non dica Ascesi, ché direbbe corto,

ma Oriente, se proprio dir vuole.

Non era ancor molto lontan da l'orto,

ch'el cominciò a far sentir la terra

de la sua gran virtute alcun conforto;

ché per tal donna, giovinetto, in guerra

del padre corse, a cui, come a la morte,

la porta del piacer nessun diserra;

e dinanzi a la sua spirital corte

et coram patre le si fece unito;

poscia di dì in dì l'amò più forte.

Questa, privata del primo marito,

millecent'anni e più dispetta e scura

fino a costui si stette sanza invito;

né valse udir che la trovò sicura

con Amiclate, al suon de la sua voce,

colui ch'a tutto 'l mondo fé paura;

né valse esser costante né feroce,

sì che, dove Maria rimase giuso,

ella con Cristo pianse in su la croce.

Ma perch'io non proceda troppo chiuso,

Francesco e Povertà per questi amanti

prendi oramai nel mio parlar diffuso.

La lor concordia e i lor lieti sembianti,

amore e maraviglia e dolce sguardo

facieno esser cagion di pensier santi;

tanto che 'l venerabile Bernardo

si scalzò prima, e dietro a tanta pace

corse e, correndo, li parve esser tardo.

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!

Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro

dietro a lo sposo, sì la sposa piace.

Indi sen va quel padre e quel maestro

con la sua donna e con quella famiglia

che già legava l'umile capestro.

Né li gravò viltà di cuor le ciglia

per esser fi' di Pietro Bernardone,

né per parer dispetto a maraviglia;

ma regalmente sua dura intenzione

ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe

primo sigillo a sua religione.

Poi che la gente poverella crebbe

dietro a costui, la cui mirabil vita

meglio in gloria del ciel si canterebbe,

di seconda corona redimita

fu per Onorio da l'Etterno Spiro

la santa voglia d'esto archimandrita.

E poi che, per la sete del martiro,

ne la presenza del Soldan superba

predicò Cristo e li altri che 'l seguiro,

e per trovare a conversione acerba

troppo la gente e per non stare indarno,

redissi al frutto de l'italica erba,

nel crudo sasso intra Tevero e Arno

da Cristo prese l'ultimo sigillo,

che le sue membra due anni portarno.

Quando a colui ch'a tanto ben sortillo

piacque di trarlo suso a la mercede

ch'el meritò nel suo farsi pusillo,

a' frati suoi, sì com'a giuste rede,

raccomandò la donna sua più cara,

e comandò che l'amassero a fede;

e del suo grembo l'anima preclara

mover si volle, tornando al suo regno,

e al suo corpo non volle altra bara.

Pensa oramai qual fu colui che degno

collega fu a mantener la barca

di Pietro in alto mar per dritto segno;

e questo fu il nostro patriarca;

per che qual segue lui, com'el comanda,

discerner puoi che buone merce carca.

Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda

è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote

che per diversi salti non si spanda;

e quanto le sue pecore remote

e vagabunde più da esso vanno,

più tornano a l'ovil di latte vòte.

Ben son di quelle che temono 'l danno

e stringonsi al pastor; ma son sì poche,

che le cappe fornisce poco panno.

Or, se le mie parole non son fioche,

se la tua audienza è stata attenta,

se ciò ch'è detto a la mente revoche,

in parte fia la tua voglia contenta,

perché vedrai la pianta onde si scheggia,

e vedra' il corrègger che argomenta

"U' ben s'impingua, se non si vaneggia"".

 

Canto XII

 Sì tosto come l'ultima parola

la benedetta fiamma per dir tolse,

a rotar cominciò la santa mola;

e nel suo giro tutta non si volse

prima ch'un'altra di cerchio la chiuse,

e moto a moto e canto a canto colse;

canto che tanto vince nostre muse,

nostre serene in quelle dolci tube,

quanto primo splendor quel ch'e' refuse.

Come si volgon per tenera nube

due archi paralelli e concolori,

quando Iunone a sua ancella iube,

nascendo di quel d'entro quel di fori,

a guisa del parlar di quella vaga

ch'amor consunse come sol vapori;

e fanno qui la gente esser presaga,

per lo patto che Dio con Noè puose,

del mondo che già mai più non s'allaga:

così di quelle sempiterne rose

volgiensi circa noi le due ghirlande,

e sì l'estrema a l'intima rispuose.

Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande,

sì del cantare e sì del fiammeggiarsi

luce con luce gaudiose e blande,

insieme a punto e a voler quetarsi,

pur come li occhi ch'al piacer che i move

conviene insieme chiudere e levarsi;

del cor de l'una de le luci nove

si mosse voce, che l'ago a la stella

parer mi fece in volgermi al suo dove;

e cominciò: "L'amor che mi fa bella

mi tragge a ragionar de l'altro duca

per cui del mio sì ben ci si favella.

Degno è che, dov'è l'un, l'altro s'induca:

sì che, com'elli ad una militaro,

così la gloria loro insieme luca.

L'essercito di Cristo, che sì caro

costò a riarmar, dietro a la 'nsegna

si movea tardo, sospeccioso e raro,

quando lo 'mperador che sempre regna

provide a la milizia, ch'era in forse,

per sola grazia, non per esser degna;

e, come è detto, a sua sposa soccorse

con due campioni, al cui fare, al cui dire

lo popol disviato si raccorse.

In quella parte ove surge ad aprire

Zefiro dolce le novelle fronde

di che si vede Europa rivestire,

non molto lungi al percuoter de l'onde

dietro a le quali, per la lunga foga,

lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde,

siede la fortunata Calaroga

sotto la protezion del grande scudo

in che soggiace il leone e soggioga:

dentro vi nacque l'amoroso drudo

de la fede cristiana, il santo atleta

benigno a' suoi e a' nemici crudo;

e come fu creata, fu repleta

sì la sua mente di viva vertute,

che, ne la madre, lei fece profeta.

Poi che le sponsalizie fuor compiute

al sacro fonte intra lui e la Fede,

u' si dotar di mutua salute,

la donna che per lui l'assenso diede,

vide nel sonno il mirabile frutto

ch'uscir dovea di lui e de le rede;

e perché fosse qual era in costrutto,

quinci si mosse spirito a nomarlo

del possessivo di cui era tutto.

Domenico fu detto; e io ne parlo

sì come de l'agricola che Cristo

elesse a l'orto suo per aiutarlo.

Ben parve messo e famigliar di Cristo:

che 'l primo amor che 'n lui fu manifesto,

fu al primo consiglio che diè Cristo.

Spesse fiate fu tacito e desto

trovato in terra da la sua nutrice,

come dicesse: 'Io son venuto a questo'.

Oh padre suo veramente Felice!

oh madre sua veramente Giovanna,

se, interpretata, val come si dice!

Non per lo mondo, per cui mo s'affanna

di retro ad Ostiense e a Taddeo,

ma per amor de la verace manna

in picciol tempo gran dottor si feo;

tal che si mise a circuir la vigna

che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo.

E a la sedia che fu già benigna

più a' poveri giusti, non per lei,

ma per colui che siede, che traligna,

non dispensare o due o tre per sei,

non la fortuna di prima vacante,

non decimas, quae sunt pauperum Dei,

addimandò, ma contro al mondo errante

licenza di combatter per lo seme

del qual ti fascian ventiquattro piante.

Poi, con dottrina e con volere insieme,

con l'officio appostolico si mosse

quasi torrente ch'alta vena preme;

e ne li sterpi eretici percosse

l'impeto suo, più vivamente quivi

dove le resistenze eran più grosse.

Di lui si fecer poi diversi rivi

onde l'orto catolico si riga,

sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

Se tal fu l'una rota de la biga

in che la Santa Chiesa si difese

e vinse in campo la sua civil briga,

ben ti dovrebbe assai esser palese

l'eccellenza de l'altra, di cui Tomma

dinanzi al mio venir fu sì cortese.

Ma l'orbita che fé la parte somma

di sua circunferenza, è derelitta,

sì ch'è la muffa dov'era la gromma.

La sua famiglia, che si mosse dritta

coi piedi a le sue orme, è tanto volta,

che quel dinanzi a quel di retro gitta;

e tosto si vedrà de la ricolta

de la mala coltura, quando il loglio

si lagnerà che l'arca li sia tolta.

Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio

nostro volume, ancor troveria carta

u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio";

ma non fia da Casal né d'Acquasparta,

là onde vegnon tali a la scrittura,

ch'uno la fugge e altro la coarta.

Io son la vita di Bonaventura

da Bagnoregio, che ne' grandi offici

sempre pospuosi la sinistra cura.

Illuminato e Augustin son quici,

che fuor de' primi scalzi poverelli

che nel capestro a Dio si fero amici.

Ugo da San Vittore è qui con elli,

e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,

lo qual giù luce in dodici libelli;

Natàn profeta e 'l metropolitano

Crisostomo e Anselmo e quel Donato

ch'a la prim'arte degnò porre mano.

Rabano è qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino,

di spirito profetico dotato.

Ad inveggiar cotanto paladino

mi mosse l'infiammata cortesia

di fra Tommaso e 'l discreto latino;

e mosse meco questa compagnia".

 

Canto XIII

Imagini, chi bene intender cupe

quel ch'i' or vidi - e ritegna l'image,

mentre ch'io dico, come ferma rupe -,

quindici stelle che 'n diverse plage

lo ciel avvivan di tanto sereno

che soperchia de l'aere ogni compage;

imagini quel carro a cu' il seno

basta del nostro cielo e notte e giorno,

sì ch'al volger del temo non vien meno;

imagini la bocca di quel corno

che si comincia in punta de lo stelo

a cui la prima rota va dintorno,

aver fatto di sé due segni in cielo,

qual fece la figliuola di Minoi

allora che sentì di morte il gelo;

e l'un ne l'altro aver li raggi suoi,

e amendue girarsi per maniera

che l'uno andasse al primo e l'altro al poi;

e avrà quasi l'ombra de la vera

costellazione e de la doppia danza

che circulava il punto dov'io era:

poi ch'è tanto di là da nostra usanza,

quanto di là dal mover de la Chiana

si move il ciel che tutti li altri avanza.

Lì si cantò non Bacco, non Peana,

ma tre persone in divina natura,

e in una persona essa e l'umana.

Compié 'l cantare e 'l volger sua misura;

e attesersi a noi quei santi lumi,

felicitando sé di cura in cura.

Ruppe il silenzio ne' concordi numi

poscia la luce in che mirabil vita

del poverel di Dio narrata fumi,

e disse: "Quando l'una paglia è trita,

quando la sua semenza è già riposta,

a batter l'altra dolce amor m'invita.

Tu credi che nel petto onde la costa

si trasse per formar la bella guancia

il cui palato a tutto 'l mondo costa,

e in quel che, forato da la lancia,

e prima e poscia tanto sodisfece,

che d'ogni colpa vince la bilancia,

quantunque a la natura umana lece

aver di lume, tutto fosse infuso

da quel valor che l'uno e l'altro fece;

e però miri a ciò ch'io dissi suso,

quando narrai che non ebbe 'l secondo

lo ben che ne la quinta luce è chiuso.

Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo,

e vedrai il tuo credere e 'l mio dire

nel vero farsi come centro in tondo.

Ciò che non more e ciò che può morire

non è se non splendor di quella idea

che partorisce, amando, il nostro Sire;

ché quella viva luce che sì mea

dal suo lucente, che non si disuna

da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea,

per sua bontate il suo raggiare aduna,

quasi specchiato, in nove sussistenze,

etternalmente rimanendosi una.

Quindi discende a l'ultime potenze

giù d'atto in atto, tanto divenendo,

che più non fa che brevi contingenze;

e queste contingenze essere intendo

le cose generate, che produce

con seme e sanza seme il ciel movendo.

La cera di costoro e chi la duce

non sta d'un modo; e però sotto 'l segno

ideale poi più e men traluce.

Ond'elli avvien ch'un medesimo legno,

secondo specie, meglio e peggio frutta;

e voi nascete con diverso ingegno.

Se fosse a punto la cera dedutta

e fosse il cielo in sua virtù supprema,

la luce del suggel parrebbe tutta;

ma la natura la dà sempre scema,

similemente operando a l'artista

ch'a l'abito de l'arte ha man che trema.

Però se 'l caldo amor la chiara vista

de la prima virtù dispone e segna,

tutta la perfezion quivi s'acquista.

Così fu fatta già la terra degna

di tutta l'animal perfezione;

così fu fatta la Vergine pregna;

sì ch'io commendo tua oppinione,

che l'umana natura mai non fue

né fia qual fu in quelle due persone.

Or s'i' non procedesse avanti piùe,

'Dunque, come costui fu sanza pare?'

comincerebber le parole tue.

Ma perché paia ben ciò che non pare,

pensa chi era, e la cagion che 'l mosse,

quando fu detto "Chiedi", a dimandare.

Non ho parlato sì, che tu non posse

ben veder ch'el fu re, che chiese senno

acciò che re sufficiente fosse;

non per sapere il numero in che enno

li motor di qua sù, o se necesse

con contingente mai necesse fenno;

non si est dare primum motum esse,

o se del mezzo cerchio far si puote

triangol sì ch'un retto non avesse.

Onde, se ciò ch'io dissi e questo note,

regal prudenza è quel vedere impari

in che lo stral di mia intenzion percuote;

e se al "surse" drizzi li occhi chiari,

vedrai aver solamente respetto

ai regi, che son molti, e ' buon son rari.

Con questa distinzion prendi 'l mio detto;

e così puote star con quel che credi

del primo padre e del nostro Diletto.

E questo ti sia sempre piombo a' piedi,

per farti mover lento com'uom lasso

e al sì e al no che tu non vedi:

ché quelli è tra li stolti bene a basso,

che sanza distinzione afferma e nega

ne l'un così come ne l'altro passo;

perch'elli 'ncontra che più volte piega

l'oppinion corrente in falsa parte,

e poi l'affetto l'intelletto lega.

Vie più che 'ndarno da riva si parte,

perché non torna tal qual e' si move,

chi pesca per lo vero e non ha l'arte.

E di ciò sono al mondo aperte prove

Parmenide, Melisso e Brisso e molti,

li quali andaro e non sapean dove;

sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti

che furon come spade a le Scritture

in render torti li diritti volti.

Non sien le genti, ancor, troppo sicure

a giudicar, sì come quei che stima

le biade in campo pria che sien mature;

ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima

lo prun mostrarsi rigido e feroce;

poscia portar la rosa in su la cima;

e legno vidi già dritto e veloce

correr lo mar per tutto suo cammino,

perire al fine a l'intrar de la foce.

Non creda donna Berta e ser Martino,

per vedere un furare, altro offerere,

vederli dentro al consiglio divino;

ché quel può surgere, e quel può cadere".

 

Canto XIV

Dal centro al cerchio,e sì dal cerchio al centro

movesi l'acqua in un ritondo vaso,

secondo ch'è percosso fuori o dentro:

ne la mia mente fé sùbito caso

questo ch'io dico, sì come si tacque

la gloriosa vita di Tommaso,

per la similitudine che nacque

del suo parlare e di quel di Beatrice,

a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:

"A costui fa mestieri, e nol vi dice

né con la voce né pensando ancora,

d'un altro vero andare a la radice.

Diteli se la luce onde s'infiora

vostra sustanza, rimarrà con voi

etternalmente sì com'ell'è ora;

e se rimane, dite come, poi

che sarete visibili rifatti,

esser porà ch'al veder non vi nòi".

Come, da più letizia pinti e tratti,

a la fiata quei che vanno a rota

levan la voce e rallegrano li atti,

così, a l'orazion pronta e divota,

li santi cerchi mostrar nova gioia

nel torneare e ne la mira nota.

Qual si lamenta perché qui si moia

per viver colà sù, non vide quive

lo refrigerio de l'etterna ploia.

Quell'uno e due e tre che sempre vive

e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno,

non circunscritto, e tutto circunscrive,

tre volte era cantato da ciascuno

di quelli spirti con tal melodia,

ch'ad ogni merto saria giusto muno.

E io udi' ne la luce più dia

del minor cerchio una voce modesta,

forse qual fu da l'angelo a Maria,

risponder: "Quanto fia lunga la festa

di paradiso, tanto il nostro amore

si raggerà dintorno cotal vesta.

La sua chiarezza séguita l'ardore;

l'ardor la visione, e quella è tanta,

quant'ha di grazia sovra suo valore.

Come la carne gloriosa e santa

fia rivestita, la nostra persona

più grata fia per esser tutta quanta;

per che s'accrescerà ciò che ne dona

di gratuito lume il sommo bene,

lume ch'a lui veder ne condiziona;

onde la vision crescer convene,

crescer l'ardor che di quella s'accende,

crescer lo raggio che da esso vene.

Ma sì come carbon che fiamma rende,

e per vivo candor quella soverchia,

sì che la sua parvenza si difende;

così questo folgór che già ne cerchia

fia vinto in apparenza da la carne

che tutto dì la terra ricoperchia;

né potrà tanta luce affaticarne:

ché li organi del corpo saran forti

a tutto ciò che potrà dilettarne".

Tanto mi parver sùbiti e accorti

e l'uno e l'altro coro a dicer "Amme!",

che ben mostrar disio d'i corpi morti:

forse non pur per lor, ma per le mamme,

per li padri e per li altri che fuor cari

anzi che fosser sempiterne fiamme.

Ed ecco intorno, di chiarezza pari,

nascere un lustro sopra quel che v'era,

per guisa d'orizzonte che rischiari.

E sì come al salir di prima sera

comincian per lo ciel nove parvenze,

sì che la vista pare e non par vera,

parvemi lì novelle sussistenze

cominciare a vedere, e fare un giro

di fuor da l'altre due circunferenze.

Oh vero sfavillar del Santo Spiro!

come si fece sùbito e candente

a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!

Ma Beatrice sì bella e ridente

mi si mostrò, che tra quelle vedute

si vuol lasciar che non seguir la mente.

Quindi ripreser li occhi miei virtute

a rilevarsi; e vidimi translato

sol con mia donna in più alta salute.

Ben m'accors'io ch'io era più levato,

per l'affocato riso de la stella,

che mi parea più roggio che l'usato.

Con tutto 'l core e con quella favella

ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto,

qual conveniesi a la grazia novella.

E non er'anco del mio petto essausto

l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi

esso litare stato accetto e fausto;

ché con tanto lucore e tanto robbi

m'apparvero splendor dentro a due raggi,

ch'io dissi: "O Eliòs che sì li addobbi!".

Come distinta da minori e maggi

lumi biancheggia tra ' poli del mondo

Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

sì costellati facean nel profondo

Marte quei raggi il venerabil segno

che fan giunture di quadranti in tondo.

Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;

ché quella croce lampeggiava Cristo,

sì ch'io non so trovare essempro degno;

ma chi prende sua croce e segue Cristo,

ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,

vedendo in quell'albor balenar Cristo.

Di corno in corno e tra la cima e 'l basso

si movien lumi, scintillando forte

nel congiugnersi insieme e nel trapasso:

così si veggion qui diritte e torte,

veloci e tarde, rinovando vista,

le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,

moversi per lo raggio onde si lista

talvolta l'ombra che, per sua difesa,

la gente con ingegno e arte acquista.

E come giga e arpa, in tempra tesa

di molte corde, fa dolce tintinno

a tal da cui la nota non è intesa,

così da' lumi che lì m'apparinno

s'accogliea per la croce una melode

che mi rapiva, sanza intender l'inno.

Ben m'accors'io ch'elli era d'alte lode,

però ch'a me venìa "Resurgi" e "Vinci"

come a colui che non intende e ode.

Io m'innamorava tanto quinci,

che 'nfino a lì non fu alcuna cosa

che mi legasse con sì dolci vinci.

Forse la mia parola par troppo osa,

posponendo il piacer de li occhi belli,

ne' quai mirando mio disio ha posa;

ma chi s'avvede che i vivi suggelli

d'ogni bellezza più fanno più suso,

e ch'io non m'era lì rivolto a quelli,

escusar puommi di quel ch'io m'accuso

per escusarmi, e vedermi dir vero:

ché 'l piacer santo non è qui dischiuso,

perché si fa, montando, più sincero.

 

Canto XV 

Benigna volontade in che si liqua

sempre l'amor che drittamente spira,

come cupidità fa ne la iniqua,

silenzio puose a quella dolce lira,

e fece quietar le sante corde

che la destra del cielo allenta e tira.

Come saranno a' giusti preghi sorde

quelle sustanze che, per darmi voglia

ch'io le pregassi, a tacer fur concorde?

Bene è che sanza termine si doglia

chi, per amor di cosa che non duri,

etternalmente quello amor si spoglia.

Quale per li seren tranquilli e puri

discorre ad ora ad or sùbito foco,

movendo li occhi che stavan sicuri,

e pare stella che tramuti loco,

se non che da la parte ond'e' s'accende

nulla sen perde, ed esso dura poco:

tale dal corno che 'n destro si stende

a piè di quella croce corse un astro

de la costellazion che lì resplende;

né si partì la gemma dal suo nastro,

ma per la lista radial trascorse,

che parve foco dietro ad alabastro.

Sì pia l'ombra d'Anchise si porse,

se fede merta nostra maggior musa,

quando in Eliso del figlio s'accorse.

"O sanguis meus, o superinfusa

gratia Dei, sicut tibi cui

bis unquam celi ianua reclusa?".

Così quel lume: ond'io m'attesi a lui;

poscia rivolsi a la mia donna il viso,

e quinci e quindi stupefatto fui;

ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso

tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo

de la mia gloria e del mio paradiso.

Indi, a udire e a veder giocondo,

giunse lo spirto al suo principio cose,

ch'io non lo 'ntesi, sì parlò profondo;

né per elezion mi si nascose,

ma per necessità, ché 'l suo concetto

al segno d'i mortal si soprapuose.

E quando l'arco de l'ardente affetto

fu sì sfogato, che 'l parlar discese

inver' lo segno del nostro intelletto,

la prima cosa che per me s'intese,

"Benedetto sia tu", fu, "trino e uno,

che nel mio seme se' tanto cortese!".

E seguì: "Grato e lontano digiuno,

tratto leggendo del magno volume

du' non si muta mai bianco né bruno,

solvuto hai, figlio, dentro a questo lume

in ch'io ti parlo, mercè di colei

ch'a l'alto volo ti vestì le piume.

Tu credi che a me tuo pensier mei

da quel ch'è primo, così come raia

da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei;

e però ch'io mi sia e perch'io paia

più gaudioso a te, non mi domandi,

che alcun altro in questa turba gaia.

Tu credi 'l vero; ché i minori e ' grandi

di questa vita miran ne lo speglio

in che, prima che pensi, il pensier pandi;

ma perché 'l sacro amore in che io veglio

con perpetua vista e che m'asseta

di dolce disiar, s'adempia meglio,

la voce tua sicura, balda e lieta

suoni la volontà, suoni 'l disio,

a che la mia risposta è già decreta!".

Io mi volsi a Beatrice, e quella udio

pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno

che fece crescer l'ali al voler mio.

Poi cominciai così: "L'affetto e 'l senno,

come la prima equalità v'apparse,

d'un peso per ciascun di voi si fenno,

però che 'l sol che v'allumò e arse,

col caldo e con la luce è sì iguali,

che tutte simiglianze sono scarse.

Ma voglia e argomento ne' mortali,

per la cagion ch'a voi è manifesta,

diversamente son pennuti in ali;

ond'io, che son mortal, mi sento in questa

disagguaglianza, e però non ringrazio

se non col core a la paterna festa.

Ben supplico io a te, vivo topazio

che questa gioia preziosa ingemmi,

perché mi facci del tuo nome sazio".

"O fronda mia in che io compiacemmi

pur aspettando, io fui la tua radice":

cotal principio, rispondendo, femmi.

Poscia mi disse: "Quel da cui si dice

tua cognazione e che cent'anni e piùe

girato ha 'l monte in la prima cornice,

mio figlio fu e tuo bisavol fue:

ben si convien che la lunga fatica

tu li raccorci con l'opere tue.

Fiorenza dentro da la cerchia antica,

ond'ella toglie ancora e terza e nona,

si stava in pace, sobria e pudica.

Non avea catenella, non corona,

non gonne contigiate, non cintura

che fosse a veder più che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura

la figlia al padre, che 'l tempo e la dote

non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vòte;

non v'era giunto ancor Sardanapalo

a mostrar ciò che 'n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo

dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto

nel montar sù, così sarà nel calo.

Bellincion Berti vid'io andar cinto

di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio

la donna sua sanza 'l viso dipinto;

e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio

esser contenti a la pelle scoperta,

e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa

de la sua sepultura, e ancor nulla

era per Francia nel letto diserta.

L'una vegghiava a studio de la culla,

e, consolando, usava l'idioma

che prima i padri e le madri trastulla;

l'altra, traendo a la rocca la chioma,

favoleggiava con la sua famiglia

d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia

una Cianghella, un Lapo Salterello,

qual or saria Cincinnato e Corniglia.

A così riposato, a così bello

viver di cittadini, a così fida

cittadinanza, a così dolce ostello,

Maria mi diè, chiamata in alte grida;

e ne l'antico vostro Batisteo

insieme fui cristiano e Cacciaguida.

Moronto fu mio frate ed Eliseo;

mia donna venne a me di val di Pado,

e quindi il sopranome tuo si feo.

Poi seguitai lo 'mperador Currado;

ed el mi cinse de la sua milizia,

tanto per bene ovrar li venni in grado.

Dietro li andai incontro a la nequizia

di quella legge il cui popolo usurpa,

per colpa d'i pastor, vostra giustizia.

Quivi fu' io da quella gente turpa

disviluppato dal mondo fallace,

lo cui amor molt'anime deturpa;

e venni dal martiro a questa pace".

 

Canto XVI

O poca nostra nobiltà di sangue,

se gloriar di te la gente fai

qua giù dove l'affetto nostro langue,

mirabil cosa non mi sarà mai:

ché là dove appetito non si torce,

dico nel cielo, io me ne gloriai.

Ben se' tu manto che tosto raccorce:

sì che, se non s'appon di dì in die,

lo tempo va dintorno con le force.

Dal 'voi' che prima a Roma s'offerie,

in che la sua famiglia men persevra,

ricominciaron le parole mie;

onde Beatrice, ch'era un poco scevra,

ridendo, parve quella che tossio

al primo fallo scritto di Ginevra.

Io cominciai: "Voi siete il padre mio;

voi mi date a parlar tutta baldezza;

voi mi levate sì, ch'i' son più ch'io.

Per tanti rivi s'empie d'allegrezza

la mente mia, che di sé fa letizia

perché può sostener che non si spezza.

Ditemi dunque, cara mia primizia,

quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni

che si segnaro in vostra puerizia;

ditemi de l'ovil di San Giovanni

quanto era allora, e chi eran le genti

tra esso degne di più alti scanni".

Come s'avviva a lo spirar d'i venti

carbone in fiamma, così vid'io quella

luce risplendere a' miei blandimenti;

e come a li occhi miei si fé più bella,

così con voce più dolce e soave,

ma non con questa moderna favella,

dissemi: "Da quel dì che fu detto 'Ave'

al parto in che mia madre, ch'è or santa,

s'alleviò di me ond'era grave,

al suo Leon cinquecento cinquanta

e trenta fiate venne questo foco

a rinfiammarsi sotto la sua pianta.

Li antichi miei e io nacqui nel loco

dove si truova pria l'ultimo sesto

da quei che corre il vostro annual gioco.

Basti d'i miei maggiori udirne questo:

chi ei si fosser e onde venner quivi,

più è tacer che ragionare onesto.

Tutti color ch'a quel tempo eran ivi

da poter arme tra Marte e 'l Batista,

eran il quinto di quei ch'or son vivi.

Ma la cittadinanza, ch'è or mista

di Campi, di Certaldo e di Fegghine,

pura vediesi ne l'ultimo artista.

Oh quanto fora meglio esser vicine

quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo

e a Trespiano aver vostro confine,

che averle dentro e sostener lo puzzo

del villan d'Aguglion, di quel da Signa,

che già per barattare ha l'occhio aguzzo!

Se la gente ch'al mondo più traligna

non fosse stata a Cesare noverca,

ma come madre a suo figlio benigna,

tal fatto è fiorentino e cambia e merca,

che si sarebbe vòlto a Simifonti,

là dove andava l'avolo a la cerca;

sariesi Montemurlo ancor de' Conti;

sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone,

e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.

Sempre la confusion de le persone

principio fu del mal de la cittade,

come del vostro il cibo che s'appone;

e cieco toro più avaccio cade

che cieco agnello; e molte volte taglia

più e meglio una che le cinque spade.

Se tu riguardi Luni e Orbisaglia

come sono ite, e come se ne vanno

di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,

udir come le schiatte si disfanno

non ti parrà nova cosa né forte,

poscia che le cittadi termine hanno.

Le vostre cose tutte hanno lor morte,

sì come voi; ma celasi in alcuna

che dura molto, e le vite son corte.

E come 'l volger del ciel de la luna

cuopre e discuopre i liti sanza posa,

così fa di Fiorenza la Fortuna:

per che non dee parer mirabil cosa

ciò ch'io dirò de li alti Fiorentini

onde è la fama nel tempo nascosa.

Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,

Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,

già nel calare, illustri cittadini;

e vidi così grandi come antichi,

con quel de la Sannella, quel de l'Arca,

e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.

Sovra la porta ch'al presente è carca

di nova fellonia di tanto peso

che tosto fia iattura de la barca,

erano i Ravignani, ond'è disceso

il conte Guido e qualunque del nome

de l'alto Bellincione ha poscia preso.

Quel de la Pressa sapeva già come

regger si vuole, e avea Galigaio

dorata in casa sua già l'elsa e 'l pome.

Grand'era già la colonna del Vaio,

Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci

e Galli e quei ch'arrossan per lo staio.

Lo ceppo di che nacquero i Calfucci

era già grande, e già eran tratti

a le curule Sizii e Arrigucci.

Oh quali io vidi quei che son disfatti

per lor superbia! e le palle de l'oro

fiorian Fiorenza in tutt'i suoi gran fatti.

Così facieno i padri di coloro

che, sempre che la vostra chiesa vaca,

si fanno grassi stando a consistoro.

L'oltracotata schiatta che s'indraca

dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente

o ver la borsa, com'agnel si placa,

già venìa sù, ma di picciola gente;

sì che non piacque ad Ubertin Donato

che poi il suocero il fé lor parente.

Già era 'l Caponsacco nel mercato

disceso giù da Fiesole, e già era

buon cittadino Giuda e Infangato.

Io dirò cosa incredibile e vera:

nel picciol cerchio s'entrava per porta

che si nomava da quei de la Pera.

Ciascun che de la bella insegna porta

del gran barone il cui nome e 'l cui pregio

la festa di Tommaso riconforta,

da esso ebbe milizia e privilegio;

avvegna che con popol si rauni

oggi colui che la fascia col fregio.

Già eran Gualterotti e Importuni;

e ancor saria Borgo più quieto,

se di novi vicin fosser digiuni.

La casa di che nacque il vostro fleto,

per lo giusto disdegno che v'ha morti,

e puose fine al vostro viver lieto,

era onorata, essa e suoi consorti:

o Buondelmonte, quanto mal fuggisti

le nozze sue per li altrui conforti!

Molti sarebber lieti, che son tristi,

se Dio t'avesse conceduto ad Ema

la prima volta ch'a città venisti.

Ma conveniesi a quella pietra scema

che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse

vittima ne la sua pace postrema.

Con queste genti, e con altre con esse,

vid'io Fiorenza in sì fatto riposo,

che non avea cagione onde piangesse:

con queste genti vid'io glorioso

e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio

non era ad asta mai posto a ritroso,

né per division fatto vermiglio".

 Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento: 10/07/05 17.04