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IL TERZO LIBRO DEL CORTEGIANO

DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE

A MESSER ALFONSO ARIOSTO

I.

 

Leggesi che Pitagora sottilissimamente e con bel modo trovò la misura del corpo d'Ercule; e questo, che sapendosi quel spazio nel quale ogni cinque anni si celebravan i giochi Olimpici in Acaia presso Elide inanzi al tempio di Iove Olimpico esser stato misurato da Ercule, e fatto un stadio di seicento e vinticinque piedi, de' suoi proprii; e gli altri stadi, che per tutta Grecia dai posteri poi furono instituiti, esser medesimamente di seicento e vinticinque piedi, ma con tutto ciò alquanto piú corti di quello, Pitagora facilmente conobbe a quella proporzion quanto il piè d'Ercule fosse stato maggior degli altri piedi umani; e cosí, intesa la misura del piede, a quella comprese tutto 'l corpo d'Ercule tanto esser stato di grandezza superiore agli altri omini proporzionalmente, quanto quel stadio agli altri stadi. Voi adunque, messer Alfonso mio, per la medesima ragione, da questa piccol parte di tutto 'l corpo potete chiaramente conoscer quanto la corte d'Urbino fosse a tutte l'altre della Italia superiore, considerando quanto i giochi, li quali son ritrovati per recrear gli animi affaticati dalle facende piú ardue, fossero a quelli che s'usano nell'altre corti della Italia superiori. E se queste eran tali, imaginate qualin eran poi l'altre operazion virtuose, ov'eran gli animi intenti e totalmente dediti; e di questo io confidentemente ardisco di parlare con speranza d'esser creduto, non laudando cose tanto antiche che mi sia licito fingere, e possendo approvar quant'io ragiono col testimonio de molti omini degni di fede che vivono ancora, e presenzialmente hanno veduto e conosciuto la vita e i costumi che in quella casa fiorirono un tempo; ed io mi tengo obligato, per quanto posso, di sforzarmi con ogni studio vendicar dalla mortal oblivione questa chiara memoria e scrivendo farla vivere negli animi dei posteri. Onde forse per l'avvenire non mancherà chi per questo ancor porti invidia al secol nostro; ché non è alcun che legga le maravigliose cose degli antichi, che nell'animo suo non formi una certa maggior opinion di coloro di chi si scrive, che non pare che possano esprimer quei libri, avvegna che divinamente siano scritti. Cosí noi desideramo che tutti quelli, nelle cui mani verrà questa nostra fatica, se pur mai sarà di tanto favor degna che da nobili cavalieri e valorose donne meriti esser veduta, presumano e per fermo tengano la corte d'Urbino esser stata molto piú eccellente ed ornata d'omini singulari, che noi non potemo scrivendo esprimere; e se in noi fosse tanta eloquenzia, quanto in essi era valore, non aremmo bisogno d'altro testimonio per far che alle parole nostre fosse da quelli che non l'hanno veduto dato piena fede.

 

 

 

II.

 

Essendosi adunque ridutta il seguente giorno all'ora consueta la compagnia al solito loco e postasi con silenzio a sedere, rivolse ognun gli occhi a messer Federico ed al Magnifico Iuliano, aspettando qual di lor desse principio a ragionare. Onde la signora Duchessa, essendo stata alquanto cheta, - Signor Magnifico, - disse, - ognun desidera veder questa vostra donna ben ornata; e se non ce la mostrate di tal modo che le sue bellezze tutte si veggano, estimaremo che ne siate geloso -. Rispose il Magnifico: - Signora, se io la tenessi per bella, la mostrarei senza altri ornamenti e di quel modo che volse veder Paris le tre dee; ma se queste donne, che pur lo san fare, non m'aiutano ad acconciarla, io dubito che non solamente il signor Gasparo e 'l Frigio, ma tutti quest'altri signori aranno giusta causa di dirne male. Però, mentre che ella sta pur in qualche opinion di bellezza, forse sarà meglio tenerla occulta e veder quello che avanza a messer Federico a dir del cortegiano, che senza dubbio è molto piú bello che non po esser la mia donna. - Quello ch'io mi avea posto in animo, - rispose messer Federico, - non è tanto appertenente al cortegiano, che non si possa lassar senza danno alcuno; anzi è quasi diversa materia da quella che sin qui s'è ragionata. - E che cosa è egli adunque? - disse la signora Duchessa. Rispose messer Federico: - io m'era deliberato, per quanto poteva, dichiarir le cause de queste compagnie ed ordini de cavalieri fatti da gran príncipi sotto diverse insegne, com'è quel di San Michele nella casa di Francia; quel del Gartier, che è sotto il nome di San Georgio, nella casa d'Inghilterra; il Toison d'oro in quella di Borgogna; ed in che modo si diano queste dignità e come se ne privino quelli che lo meritano; onde siano nate, chi ne sian stati gli autori ed a che fine l'abbiano instituite; perché pur nelle gran corti son questi cavalieri sempre onorati. Pensavo ancor, se 'l tempo mi fosse bastato, oltre alla diversità de' costumi che s'usano nelle corti de' príncipi cristiani nel servirgli, nel festeggiare e farsi vedere nei spettaculi publici, parlar medesimamente qualche cosa di quella del Gran Turco, ma molto piú particularmente di quella del Sofi re di Persia; ché, avendo io inteso da mercatanti che lungamente son stati in quel paese, gli omini nobili di là esser molto valorosi e di gentil costumi ed usar nel conversar l'un con l'altro, nel servir donne, ed in tutte le sue azioni molta cortesia e molta discrezione e, quando occorre, nell'arme, nei giochi e nelle feste molta grandezza, molta liberalità e leggiadria, sonomi dilettato di saper quali siano in queste cose i modi di che essi piú s'apprezzano, in che consisteno le lor pompe ed attillature d'abiti e d'arme; in che siano da noi diversi ed in che conformi; che manera d'intertenimenti usino le lor donne, e con quanta modestia favoriscano chi le serve per amore. Ma invero non è ora conveniente entrar in questo ragionamento, essendovi massimamente altro che dire, e molto piú al nostro proposito che questo -.

 

 

 

III.

 

- Anzi, - disse il signor Gasparo, - e questo e molte altre cose son piú al proposito che 'l formar questa donna di palazzo, atteso che le medesime regule che son date per lo cortegiano, servono ancor alla donna; perché cosí deve ella aver rispetto ai tempi e lochi ed osservar, per quanto comporta la sua imbecillità, tutti quegli altri modi di che tanto s'è ragionato, come il cortegiano. E però in loco di questo non sarebbe forse stato male insegnar qualche particularità di quelle che appartengono al servizio della persona del principe, ché pur al cortegian si convien saperle ed aver grazia in farle; o veramente dir del modo che s'abbia a tener negli esercizi del corpo e come cavalcare, maneggiar l'arme, lottare ed in che consiste la difficultà di queste operazioni -. Disse allor la signora Duchessa ridendo: - I signori non si servono alla persona di cosí eccellente cortegiano, come è questo: gli esercizi poi del corpo e forze e destrezze della persona lassaremo che messer Pietro Monte nostro abbia cura d'insegnar, quando gli parerà tempo piú commodo; perché ora il Magnifico non ha da parlar d'altro che di questa donna della qual parmi che voi già cominciate aver paura, e però vorreste farci uscir di proposito -. Rispose il Frigio: - Certo è che impertinente e for di proposito è ora il parlar di donne, restando massimamente ancora che dire del cortegiano, perché non si devria mescolar una cosa con l'altra. - Voi sète in grande errore, - rispose messer Cesare Gonzaga; - perché come corte alcuna, per grande che ella sia, non po aver ornamento o splendore in sé, né allegria senza donne, né cortegiano alcun essere aggraziato, piacevole o ardito, né far mai opera leggiadra di cavalleria, se non mosso dalla pratica e dall'amore e piacer di donne, cosí ancora il ragionar del cortegiano è sempre imperfettissimo, se le donne, interponendovisi, non dànno lor parte di quella grazia, con la quale fanno perfetta ed adornano la cortegiania -. Rise il signor Ottaviano e disse: Eccovi un poco di quell'esca che fa impazzir gli omini -.

 

 

 

IV.

 

Allor il signor Magnifico, voltatosi alla signora Duchessa, - Signora, - disse, - poiché pur cosí a voi piace, io dirò quello che m'occorre, ma con grandissimo dubbio di non satisfare; e certo molto minor fatica mi saria formar una signora che meritasse esser regina del mondo, che una perfetta cortegiana, perché di questa non so io da chi pigliarne lo esempio; ma della regina non mi bisogneria andar troppo lontano e solamente basteriami imaginar le divine condizioni d'una Signora ch'io conosco e, quelle contemplando, indrizzar tutti i pensier mei ad esprimer chiaramente con le parole quello che molti veggon con gli occhi; e quando altro non potessi, lei nominando solamente arei satisfatto all'obligo mio -. Disse allora la signora Duchessa: - Non uscite dei termini, signor Magnifico, ma attendete all'ordine dato e formate la donna di palazzo, acciò che questa cosí nobil signora abbia chi possa degnamente servirla -. Seguitò il Magnifico: - Io adunque, Signora, acciò che si vegga che i comandamenti vostri possono indurmi a provar di far quello ancora ch'io non so fare, dirò di questa donna eccellente come io la vorrei; e formata ch'io l'averò a modo mio, non potendo poi averne altra, terrolla come mia a guisa di Pigmalione. E perché il signor Gaspar ha detto che le medesime regule che son date per lo cortegiano serveno ancor alla donna, io son di diversa opinione; ché, benché alcune qualità siano communi e cosí necessarie all'omo come alla donna, sono poi alcun'altre che piú si convengono alla donna che all'omo, ed alcune convenienti all'omo dalle quali essa deve in tutto esser aliena. Il medesimo dico degli esercizi del corpo; ma sopra tutto parmi che nei modi, maniere, parole, gesti e portamenti suoi, debba la donna essere molto dissimile dall'omo; perché come ad esso conviene mostrar una certa virilità soda e ferma, cosí alla donna sta ben aver una tenerezza molle e delicata, con maniera in ogni suo movimento di dolcezza feminile, che nell'andar e stare e dir ciò che si voglia sempre la faccia parer donna, senza similitudine alcuna d'omo. Aggiungendo adunque questa avvertenzia alle regule che questi signori hanno insegnato al cortegiano, penso ben che di molte di quelle ella debba potersi servire ed ornarsi d'ottime condizioni, come dice il signor Gaspar; perché molte virtú dell'animo estimo io che siano alla donna necessarie cosí come all'omo; medesimamente la nobilità, il fuggire l'affettazione, l'esser aggraziata da natura in tutte l'operazion sue, l'esser di boni costumi, ingeniosa, prudente, non superba, non invidiosa, non malèdica, non vana, non contenziosa, non inetta, sapersi guadagnar e conservar la grazia della sua signora e de tutti gli altri, far bene ed aggraziatamente gli esercizi che si convengono alle donne. Parmi ben che in lei sia poi piú necessaria la bellezza che nel cortegiano, perché in vero molto manca a quella donna a cui manca la bellezza. Deve ancor esser piú circunspetta ed aver piú riguardo di non dar occasion che di sé si dica male, e far di modo che non solamente non sia macchiata di colpa, ma né anco di suspizione, perché la donna non ha tante vie da diffendersi dalle false calunnie, come ha l'omo. Ma perché il conte Ludovico ha esplicato molto minutamente la principal profession del cortegiano ed ha voluto ch'ella sia quella dell'arme, parmi ancora conveniente dir, secondo il mio giudicio, qual sia quella della donna di palazzo; alla qual cosa quando io averò satisfatto, pensaromi d'esser uscito della maggior parte del mio debito.

 

 

 

V.

 

Lassando adunque quelle virtú dell'animo che le hanno da esser communi col cortegiano, come la prudenzia, la magnanimità, la continenzia e molte altre; e medesimamente quelle condizioni che si convengono a tutte le donne, come l'esser bona e discreta, il saper governar le facultà del marito e la casa sua e i figlioli quando è maritata, e tutte quelle parti che si richieggono ad una bona madre di famiglia, dico che a quella che vive in corte parmi convenirsi sopra ogni altra cosa una certa affabi1ità piacevole, per la quale sappia gentilmente intertenere ogni sorte d'omo con ragionamenti grati ed onesti, ed accommodati al tempo e loco ed alla qualità di quella persona con cui parlerà, accompagnando coi costumi placidi e modesti e con quella onestà che sempre ha da componer tutte le sue azioni una pronta vivacità d'ingegno, donde si mostri aliena da ogni grosseria; ma con tal maniera di bontà, che si faccia estimar non men pudica, prudente ed umana, che piacevole, arguta e discreta; e però le bisogna tener una certa mediocrità difficile e quasi composta di cose contrarie, e giunger a certi termini a punto, ma non passargli. Non deve adunque questa donna, per volersi far estimar bona ed onesta, esser tanto ritrosa e mostrar tanto d'aborrire e le compagnie e i ragionamenti ancor un poco lascivi, che ritrovandovisi se ne levi; perché facilmente si poria pensar ch'ella fingesse d'esser tanto austera per nascondere di sé quello ch'ella dubitasse che altri potesse risapere; e i costumi cosí selvatichi son sempre odiosi. Non deve tampoco, per mostrar d'esser libera e piacevole, dir parole disoneste, né usar una certa domestichezza intemperata e senza freno e modi da far creder di sé quello che forse non è; ma ritrovandosi a tai ragionamenti, deve ascoltargli con un poco di rossore e vergogna. Medesimamente fuggir un errore, nel quale io ho veduto incorrer molte; che è il dire ed ascoltare volentieri chi dice mal d'altre donne; perché quelle che, udendo narrare modi disonesti d'altre donne, se ne turbano e mostrano non credere, ed estimar quasi un mostro che una donna sia impudica, dànno argumento che, parendo lor quel diffetto tanto enorme, esse non lo commettano; ma quelle che van sempre investigando gli amori dell'altre e gli narrano cosí minutamente e con tanta festa, par che lor n'abbiano invidia e che desiderino che ognun lo sappia, acciò che il medesimo ad esse non sia ascritto per errore; e cosí vengon in certi risi, con certi modi, che fanno testimonio che allor senton sommo piacere. E di qui nasce che gli omini, benché paia che le ascoltino voluntieri, per lo piú delle volte le tengono in mala opinione ed hanno lor pochissimo riguardo, e par loro che da esse con que' modi siano invitati a passar piú avanti, e spesso poi scorrono a termini che dàn loro meritamente infamia ed in ultimo le estimano cosí poco, che non curano il lor commercio, anzi le hanno in fastidio; e, per contrario, non è omo tanto procace ed insolente, che non abbia riverenzia a quelle che sono estimate bone ed oneste; perché quella gravità temperata di sapere e bontà è quasi un scudo contra la insolenzia e bestialità dei prosuntuosi; onde si vede che una parola, un riso, un atto di benivolenzia, per minimo ch'egli sia, d'una donna onesta, è piú apprezzato da ognuno, che tutte le demostrazioni e carezze di quelle che cosí senza riservo mostran poca vergogna; e se non sono impudiche, con que' risi dissoluti, con la loquacità, insolenzia e tai costumi scurili fanno segno d'essere.

 

 

 

VI.

 

E perché le parole sotto le quali non è subietto di qualche importanzia son vane e puerili, bisogna che la donna di palazzo, oltre al giudicio di conoscere la qualità di colui con cui parla, per intertenerlo gentilmente, abbia notizia di molte cose; e sappia parlando elegger quelle che sono a proposito della condizion di colui con cui parla e sia cauta in non dir talor non volendo parole che lo offendano. Si guardi, laudando se stessa indiscretamente, o vero con l'esser troppo prolissa, non gli generar fastidio. Non vada mescolando nei ragionamenti piacevoli e da ridere cose di gravità, né meno nei gravi facezie e burle. Non mostri inettamente di saper quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa. In questo modo sarà ella ornata de boni costumi e gli esercizi del corpo convenienti a donna farà con suprema grazia e i ragionamenti soi saranno copiosi e pieni di prudenzia, onestà e piacevolezza; e cosí sarà essa non solamente amata, ma reverita da tutto 'l mondo e forse degna d'esser agguagliata a questo gran cortegiano, cosí delle condizioni dell'animo come di quelle del corpo -.

 

 

 

VII.

 

Avendo insin qui detto, il Magnifico si tacque e stette sopra di sé, quasi come avesse posto fine al suo ragionamento. Disse allor il signor Gasparo: - Voi avete veramente, signor Magnifico, molto adornata questa donna e fattola di eccellente condizione; nientedimeno parmi che vi siate tenuto assai al generale e nominato in lei alcune cose tanto grandi, che credo vi siate vergognato di chiarirle; e piú presto le avete desiderate, a guisa di quelli che bramano talor cose impossibili e sopranaturali, che insegnate. Però vorrei che ci dichiariste un poco meglio quai siano gli esercizi del corpo convenienti a donna di palazzo, e di che modo ella debba intertenere, e quai sian queste molte cose di che voi dite che le si conviene aver notizia; e se la prudenzia, la magnanimità, la continenzia e quelle molte altre virtú che avete detto, intendete che abbiano ad aiutarla solamente circa il governo della casa, dei figlioli e della famiglia (il che però voi non volete che sia la sua prima professione), o veramente allo intertenere e far aggraziatamente questi esercizi del corpo; e per vostra fé guardate a non mettere queste povere virtú a cosí vile officio, che abbiano da vergognarsene -. Rise il Magnifico e disse: - Pur non potete far, signor Gasparo, che non mostriate mal animo verso le donne; ma in vero a me pareva aver detto assai, e massimamente presso a tali auditori; ché non penso già che sia alcun qui che non conosca che, circa gli esercizi del corpo, alla donna non si convien armeggiare, cavalcare, giocare alla palla, lottare e molte altre cose che si convengono agli omini -. Disse allora l'Unico Aretino: - Appresso gli antichi s'usava che le donne lottavano nude con gli omini; ma noi avemo perduta questa bona usanza insieme con molt'altre -. Suggiunse messer Cesare Gonzaga: - Ed io a' mei dí ho veduto donne giocare alla palla, maneggiar l'arme, cavalcare, andar a caccia e far quasi tutti gli esercizi che possa fare un cavaliero -.

 

 

 

VIII.

 

Rispose il Magnifico: - Poich'io posso formar questa donna a modo mio, non solamente non voglio ch'ella usi questi esercizi virili cosí robusti ed asperi, ma voglio che quegli ancora che son convenienti a donna faccia con riguardo, e con quella molle delicatura che avemo detto convenirsele; e però nel danzar non vorrei vederla usar movimenti troppo gagliardi e sforzati, né meno nel cantar o sonar quelle diminuzioni forti e replicate, che mostrano piú arte che dolcezza; medesimamente gli instrumenti di musica che ella usa, secondo me, debbono esser conformi a questa intenzione. Imaginatevi come disgraziata cosa saria veder una donna sonare tamburri, piffari o trombe, o altri tali instrumenti; e questo perché la loro asprezza nasconde e leva quella soave mansuetudine, che tanto adorna ogni atto che faccia la donna. Però quando ella viene a danzar o a far musica di che sorte si sia, deve indurvisi con lassarsene alquanto pregare e con una certa timidità, che mostri quella nobile vergogna che è contraria della impudenzia. Deve ancor accommodar gli abiti a questa intenzione e vestirsi di sorte, che non paia vana e leggera. Ma perché alle donne è licito e debito aver piú cura della bellezza che agli omini e diverse sorti sono di bellezza, deve questa donna aver iudicio di conoscer quai sono quegli abiti che le accrescon grazia e piú accommodati a quelli esercizi ch'ella intende di fare in quel punto, e di quelli servirsi; e conoscendo in sé una bellezza vaga ed allegra, deve aiutarla coi movimenti, con le parole e con gli abiti, che tutti tendano allo allegro; cosí come un'altra, che si senta aver maniera mansueta e grave, deve ancor accompagnarla con modi di quella sorte, per accrescer quello che è dono della natura. Cosí, essendo un poco piú grassa o piú magra del ragionevole, o bianca o bruna, aiutarsi con gli abiti, ma dissimulatamente piú che sia possibile; e tenendosi delicata e polita, mostrar sempre di non mettervi studio o diligenzia alcuna.

 

 

 

IX.

 

E perché il signor Gasparo dimanda ancor quai siano queste molte cose di che ella deve aver notizia, e di che modo intertenere, e se le virtú deono servire a questo intertenimento, dico che voglio che ella abbia cognizion de ciò che questi signori hanno voluto che sappia il cortegiano; e de quelli esercizi che avemo detto che a lei non si convengono, voglio che ella n'abbia almen quel giudicio che possono aver delle cose coloro che non le oprano; e questo per saper laudare ed apprezzar i cavalieri piú e meno, secondo i meriti. E per replicar in parte con poche parole quello che già s'è detto, voglio che questa donna abbia notizie di lettere, di musica, di pittura e sappia danzar e festeggiare; accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opinion di sé ancora le altre avvertenze che son state insegnate al cortegiano. E cosí sarà nel conversare, nel ridere, nel giocare, nel motteggiare, in somma in ogni cosa graziatissima; ed intertenerà accommodatamente e con motti e facezie convenienti a lei ogni persona che le occorrerà. E benché la continenzia, la magnanimità, la temperanzia, la fortezza d'animo, la prudenzia e le altre virtú paia che non importino allo intertenere, io voglio che di tutte sia ornata, non tanto per lo intertenere, benché però ancor a questo possono servire, quanto per esser virtuosa ed acciò che queste virtú la faccian tale, che meriti esser onorata e che ogni sua operazion sia di quelle composta -.

 

 

 

X.

 

- Maravigliomi pur, - disse allora ridendo il signor Gaspar, - che poiché date alle donne e le lettere e la continenzia e la magnanimità e la temperanzia, che non vogliate ancor che esse governino le città e faccian le leggi e conducano gli eserciti; e gli omini si stiano in cucina o a filare -. Rispose il Magnifico, pur ridendo: - Forse che questo ancora non sarebbe male; - poi suggiunse: - Non sapete voi che Platone, il quale in vero non era molto amico delle donne, dà loro la custodia della città e tutti gli altri offici marziali dà agli omini? Non credete voi che molte se ne trovassero, che saprebbon cosí ben governar le città e gli eserciti, come si faccian gli omini? Ma io non ho lor dati questi offici, perché formo una donna di palazzo, non una regina. Conosco ben che voi vorreste tacitamente rinovar quella falsa calunnia, che ieri diede il signor Ottaviano alle donne: cioè che siano animali imperfettissimi e non capaci di far atto alcun virtuoso, e di pochissimo valore e di niuna dignità a rispetto degli omini; ma in vero ed esso e voi sareste in grandissimo errore, se pensaste questo -.

 

 

 

XI.

 

Disse allora il signor Gaspar: - Io non voglio rinovar le cose già dette, ma voi ben vorreste indurmi a dir qualche parola che offendesse l'animo di queste signore, per farmele nemiche, cosí come voi col lusingarle falsamente volete guadagnar la loro grazia. Ma esse sono tanto discrete sopra le altre, che amano piú la verità, ancora che non sia tanto in suo favore, che le laudi false; né hanno a male, che altri dica che gli omini siano di maggior dignità, e confessaranno che voi avete detto gran miraculi ed attribuito alla donna di palazzo alcune impossibilità ridicule e tante virtú, che Socrate e Catone e tutti i filosofi del mondo vi sono per niente; ché, a dir pur il vero, maravigliomi che non abbiate avuto vergogna a passar i termini di tanto. Ché ben bastar vi dovea far questa donna di palazzo bella, discreta, onesta, affabile e che sapesse intertenere senza incorrere in infamia con danze, musiche, giochi, risi, motti e l'altre cose che ogni dí vedemo che s'usano in corte; ma il volerle dar cognizion di tutte le cose del mondo ed attribuirle quelle virtú che cosí rare volte si son vedute negli omini, ancora nei seculi passati, è una cosa che né supportare né a pena ascoltare si po. Che le donne siano mo animali imperfetti e per conseguente di minor dignità che gli omini e non capaci di quelle virtú che sono essi, non voglio io altrimenti affirmare, perché il valor di queste signore bastaria a farmi mentire; dico ben che omini sapientissimi hanno lassato scritto che la natura, perciò che sempre intende e disegna far le cose piú perfette, se potesse, produria continuamente omini; e quando nasce una donna, è diffetto o error della natura e contra quello che essa vorrebbe fare. Come si vede ancor d'uno che nasce cieco, zoppo, o con qualche altro mancamento e negli arbori molti frutti che non maturano mai, cosí la donna si po dire animal produtto a sorte e per caso; e che questo sia, vedete l'operazion dell'omo e della donna e da quelle pigliate argumento della perfezion dell'uno e dell'altro. Nientedimeno essendo questi diffetti delle donne colpa di natura che l'ha produtte tali, non devemo per questo odiarle, né mancar di aver loro quel rispetto che vi si conviene; ma estimarle da piú di quello che elle si siano, parmi error manifesto -.

 

 

 

XII.

 

Aspettava il Magnifico Iuliano che 'l signor Gasparo seguitasse piú oltre; ma vedendo che già tacea, disse: - Della imperfezion delle donne parmi che abbiate addutto una freddissima ragione; alla quale, benché non si convenga forse ora entrar in queste suttilità, rispondo secondo il parere di chi sa e secondo la verità che la sustanzia in qualsivoglia cosa non po in sé ricevere il piú o il meno; ché, come niun sasso po esser piú perfettamente sasso che un altro quanto alla essenzia del sasso, né un legno piú perfettamente legno che l'altro, cosí un omo non po essere piú perfettamente omo che l'altro, e conseguentemente non sarà il maschio piú perfetto che la femina, quanto alla sustanzia sua formale, perché l'uno e l'altro si comprende sotto la specie dell'omo e quello in che l'uno dall'altro son differenti è cosa accidentale e non essenziale. Se mi direte adunque che l'omo sia piú perfetto che la donna, se non quanto alla essenzia, almen quanto agli accidenti, rispondo che questi accidenti bisogna che consistano o nel corpo o nell'animo; se nel corpo, per esser l'omo piú robusto, piú agile, piú leggero, o piú tollerante di fatiche, dico che questo è argumento di pochissima perfezione, perché tra gli omini medesimi quelli che hanno queste qualità piú che gli altri non son per quelle piú estimati; e nelle guerre, dove son la maggior parte delle opere laboriose e di forza, i piú gagliardi non son però i piú pregiati; se nell'animo, dico che tutte le cose che possono intender gli omini, le medesime possono intendere anche le donne; e dove penetra l'intelletto dell'uno, po penetrare eziandio quello dell'altra -.

 

 

 

XIII.

 

Quivi avendo il Magnifico Iuliano fatto un poco di pausa, suggiunse ridendo: - Non sapete voi che in filosofia si tiene questa proposizione, che quelli che sono molli di carne sono atti della mente? perciò non è dubbio che le donne, per esser piú molli di carne, sono ancor piú atte della mente e de ingegno piú accommodato alle speculazioni che gli omini -. Poi seguitò: - Ma lassando questo, perché voi diceste ch'io pigliassi argumento della perfezion dell'un e dell'altro dalle opere, dico, se voi considerate gli effetti della natura, trovarete ch'ella produce le donne tali come sono, non a caso, ma accommodate al fine necessario; ché, benché le faccia del corpo non gagliarde e di animo placido, con molte altre qualità contrarie a quelle degli omini, pur le condizioni dell'uno e dell'altro tendono ad un sol fine concernente alla medesima utilità. Ché secondo che per quella debole fievolezza le donne son men animose, per la medesima sono ancor poi piú caute; però le madri nutriscono i figlioli, i padri gli ammaestrano e con la fortezza acquistano di fori quello, che esse con la sedulità conservano in casa, che non è minor laude. Se considerarete poi l'istorie antiche (benché gli omini sempre siano stati parcissimi nello scrivere le laudi delle donne) e le moderne, trovarete che continuamente la virtú è stata tra le donne cosí come tra gli omini; e che ancor sonosi trovate di quelle che hanno mosso delle guerre e conseguitone gloriose vittorie; governato i regni con somma prudenzia e giustizia e fatto tutto quello che s'abbian fatto gli omini. Circa le scienzie, non vi ricorda aver letto di tante che hanno saputo filosofia? altre che sono state eccellentissime in poesia? altre che han trattato le cause ed accusato e diffeso inanti ai giudici eloquentissimamente? Dell'opere manuali saria lungo narrare, né di ciò bisogna far testimonio. Se adunque nella sustanzia essenziale l'omo non è piú perfetto della donna, né meno negli accidenti (e di questo, oltre la ragione, veggonsi gli effetti), non so in che consista questa sua perfezione.

 

 

 

XIV.

 

E perché voi diceste che intento della natura è sempre di produr le cose piú perfette e però, s'ella potesse, sempre produria l'omo, e che il produr la donna è piú presto errore o diffetto della natura che intenzione, rispondo che questo totalmente si nega; né so come possiate dire che la natura non intenda produr le donne, senza le quali la specie umana conservar non si po, di che piú che d'ogni altra cosa è desiderosa essa natura. Perciò col mezzo di questa compagnia di maschio e di femina produce i figlioli, i quali rendono i benefici ricevuti in puerizia ai padri già vecchi, perché gli nutriscono, poi gli rinovano col generar essi ancor altri figlioli, dai quali aspettano in vecchiezza ricever quello, che essendo giovani ai padri hanno prestato; onde la natura, quasi tornando in circulo, adempie la eternità ed in tal modo dona la immortalità ai mortali. Essendo adunque a questo tanto necessaria la donna quanto l'omo, non vedo per qual causa l'una sia fatta a caso piú che l'altro. È ben vero che la natura intende sempre produr le cose piú perfette e però intende produr l'omo in specie sua, ma non piú maschio che femina; anzi, se sempre producesse maschio, faria una imperfezione; perché come del corpo e dell'anima risulta un composito piú nobile che le sue parti, che è l'omo, cosí della compagnia di maschio e di femina risulta un composito conservativo della specie umaria, senza il quale le parti si destruiriano. E però maschio e femina da natura son sempre insieme, né po esser l'un senza l'altro; cosí quello non si dee chiamar maschio che non ha la femina, secondo la diffinizione dell'uno e dell'altro; né femina quella che non ha maschio. E perché un sesso solo dimostra imperfezione, attribuiscono gli antichi teologi l'uno e l'altro a Dio: onde Orfeo disse che Iove era maschio e femina; e leggesi nella Sacra Scrittura che Dio formò gli omini maschio e femina a sua similitudine, e spesso i poeti, parlando dei dèi, confondono il sesso -.

 

 

XV.

 

Allora il signor Gasparo, - Io non vorrei, - disse, - che noi entrassimo in tali suttilità, perché queste donne non c'intenderanno; e benché io vi risponda con ottime ragioni, esse crederanno, o almen mostraranno di credere, ch'io abbia il torto, e súbito daranno la sentenzia a suo modo. Pur, poiché noi vi siamo entrati, dirò questo solo che, come sapete essere opinion d'omini sapientissimi, l'omo s'assimiglia alla forma, la donna alla materia; e però, cosí come la forma è piú perfetta che la materia, anzi le dà l'essere, cosí l'omo è piú perfetto assai che la donna. E ricordomi aver già udito che un gran filosofo in certi suoi Problemi dice: "Onde è che naturalmente la donna ama sempre quell'omo che è stato il primo a ricever da lei amorosi piaceri? e per contrario l'omo ha in odio quella donna che è stata la prima a congiungersi in tal modo con lui?" e suggiungendo la causa afferma, questo essere perché in tal atto la donna riceve dall'omo perfezione e l'omo dalla donna imperfezione; e però ognun ama naturalmente quella cosa che lo fa perfetto ed odia quella che lo fa imperfetto. Ed oltre a ciò grande argumento della perfezion dell'omo e della imperfezion della donna è che universalmente ogni donna desidera esser omo, per un certo instinto di natura, che le insegna desiderar la sua perfezione -.

 

 

 

XVI.

 

Rispose súbito il Magnifico Iuliano: - Le meschine non desiderano l'esser omo per farsi piú perfette, ma per aver libertà e fuggir quel dominio che gli omini si hanno vendicato sopra esse per sua propria autorità. E la similitudine che voi date della materia e forma non si confà in ogni cosa; perché non cosí è fatta perfetta la donna dall'omo, come la materia dalla forma; perché la materia riceve l'essere dalla forma e senza essa star non po, anzi quanto piú di materia hanno le forme, tanto piú hanno d'imperfezione, e separate da essa son perfettissime; ma la donna non riceve lo essere dall'omo, anzi cosí come essa è fatta perfetta da lui, essa ancor fa perfetto lui; onde l'una e l'altro insieme vengono a generare, la qual cosa far non possono alcun di loro per se stessi. La causa poi dell'amor perpetuo della donna verso 'l primo con cui sia stata e dell'odio dell'omo verso la prima donna, non darò io già a quello che dà il vostro filosofo ne' suoi Problemi, ma alla fermezza e stabilità della donna ed alla instabilità dell'omo; né senza ragion naturale, perché essendo il maschio calido, naturalmente da quella qualità piglia la leggerezza, il moto e la instabilità; e, per contrario, la donna dalla frigidità, la quiete e gravità ferma e piú fisse impressioni -.

 

 

 

XVII.

 

Allora la signora Emilia rivolta al signor Magnifico, - Per amor di Dio, - disse, - uscite una volta di queste vostre "materie" e "forme" e maschi e femine e parlate di modo che siate inteso; perché noi avemo udito e molto ben inteso il male che di noi ha detto el signor Ottaviano e 'l signor Gasparo, ma or non intendemo già in che modo voi ci diffendiate; però questo mi par un uscir di proposito e lassar nell'animo d'ognuno quella mala impressione, che di noi hanno data questi nostri nemici. - Non ci date questo nome, Signora, - rispose il signor Gaspar, - ché piú presto si conviene al signor Magnifico, il qual col dar laudi false alle donne, mostra che per esse non ne sian di vere -. Suggiunse il Magnifico Iuliano: - Non dubitate, Signora, che al tutto si risponderà; ma io non voglio dir villania agli omini cosí senza ragione, come hanno fatto essi alle donne; e se per sorte qui fusse alcuno che scrivesse i nostri ragionamenti, non vorrei che poi in loco dove fossero intese queste "materie" e "forme", si vedessero senza risposta gli argomenti e le ragioni che 'l signor Gaspar contra di voi adduce. - Non so, signor Magnifico, - disse allora il signor Gasparo, - come in questo negar potrete che l'omo per le qualità naturali non sia piú perfetto che la donna, la quale è frigida di sua complessione, e l'omo calido; e molto piú nobile e piú perfetto è il caldo che 'l freddo, per essere attivo e produttivo; e, come sapete, i cieli qua giú tra noi infondono il caldo solamente e non il freddo, il quale non entra nelle opere della natura; e però lo esser le donne frigide di complessione credo che sia causa della viltà e timidità loro.

 

 

XVIII.

 

- Ancor volete, - rispose il Magnifico Iuliano, - pur entrare nelle sottilità; ma vederete che ogni volta peggio ve n'avverrà: e che cosí sia, udite. Io vi confesso che la calidità in sé è piú perfetta che la frigidità; ma questo non séguita nelle cose miste e composite perché, se cosí fusse, quel corpo che piú caldo fusse, quel saria piú perfetto; il che è falso, perché i corpi temperati sono perfettissimi. Dicovi ancora che la donna è di complession frigida in comparazion dell'omo, il quale per troppo caldo è distante dal temperamento; ma, quanto in sé, è temperata, o almen piú propinqua al temperamento che non è l'omo, perché ha in sé quell'umido proporzionato al calor naturale che nell'uomo per la troppa siccità piú presto se risolve e si consuma. Ha ancor una tal frigidità che resiste e conforta il calor naturale e lo fa piú vicino al temperamento; e nell'omo il superfluo caldo presto riduce il calor naturale all'ultimo grado, il quale, mancandoli il nutrimento, pur si risolve; e però, perché gli omini nel generar si diseccano piú che le donne, spesso interviene che son meno vivaci che esse; onde questa perfezione ancor si po attribuire alle donne che, vivendo piú lungamente che gli omini, eseguiscono piú quello che è intento della natura, che gli omini. Del calore che infundono i cieli sopra noi non si parla ora, perché è equivoco a quello di che ragioniamo; ché essendo conservativo di tutte le cose che son sotto 'l globo della luna, cosí calde come fredde, non po esser contrario al freddo. Ma la timidità nelle donne, avvegna che dimostri qualche imperfezione, nasce però da laudabil causa, che è la sottilità e prontezza dei spiriti, i quali rappresentano tosto le specie allo intelletto e però si perturbano facilmente per le cose estrinseche. Vederete ben molte volte alcuni, che non hanno paura né di morte né d'altro, né con tutto ciò si possono chiamare arditi, perché non conoscono il periculo e vanno come insensati dove vedeno la strada e non pensano piú; e questo procede da una certa grossezza di spiriti ottusi; però non si po dire che un pazzo sia animoso, ma la vera magnanimità viene da una propria deliberazione e determinata voluntà di far cosí e da estimare piú l'onore e 'l debito che tutti i pericoli del mondo; e benché si conosca la morte manifesta, esser di core e d'animo tanto saldo, che i sentimenti non restino impediti né si spaventino, ma faccian l'officio loro circa il discorrere e pensare, cosí come se fossero quietissimi. Di questa sorte avemo veduto ed inteso esser molti grandi omini; medesimamente molte donne, le quali e negli antichi seculi e nei presenti hanno mostrato grandezza d'animo e fatto al mondo effetti degni d'infinita laude, non men che s'abbian fatto gli omini -.

 

 

 

XIX.

 

Allor il Frigio, - Quelli effetti, - disse, - cominciarono quando la prima donna errando fece altrui errar contra Dio e per eredità lassò all'umana generazion la morte, gli affanni e i dolori e tutte le miserie e calamità, che oggidí al mondo si sentono -. Rispose il Magnifico Iuliano: - Poiché nella sacrestia ancor vi giova d'entrare, non sapete voi che quello error medesimamente fu corretto da una Donna, che ci apportò molto maggior utilità che quella non v'avea fatto danno, di modo che la colpa che fu pagata con tai meriti si chiama felicissima? Ma io non voglio or dirvi quanto di dignità tutte le creature umane siano inferiori alla Vergine Nostra Signora, per non mescolar le cose divine in questi nostri folli ragionamenti; né raccontar quante donne con infinita constanzia s'abbiano lassato crudelmente ammazzare dai tiranni per lo nome di Cristo, né quelle che con scienzia disputando hanno confuso tanti idolatri: e se mi diceste che questo era miracolo e grazia dello Spirito Santo, dico che niuna virtú merita piú laude, che quella che è approvata per testimonio de Dio. Molte altre ancor, delle quali tanto non si ragiona, da voi stesso potete vedere, massimamente legendo san Ieronimo, che alcune de' suoi tempi celebra con tante maravigliose laudi, che ben poriano bastar a qualsivoglia santissimo omo.

 

 

 

XX.

 

Pensate poi quante altre ci sono state delle quali non si fa menzione alcuna, perché le meschine stanno chiuse senza quella pomposa superbia di cercare appresso il vulgo nome di santità, come fanno oggidí molt'omini ippocriti maledetti, i quali, scordati o piú presto facendo poco caso della dottrina di Cristo, che vole che quando l'om digiuna se unga la faccia perché non paia che degiuni e comanda che le orazioni, le elemosine e l'altre bone opere si facciano non in piazza, né in sinagoge, ma in secreto, tanto che la man sinistra non sappia della destra, affermano non esser maggior bene al mondo che 'l dar bon esempio; e cosí, col collo torto e gli occhi bassi, spargendo fama di non voler parlare a donne, né mangiar altro che erbe crude, affumati con le toniche squarciate, gàbbano i semplici; che non si guardan poi da falsar testamenti, mettere inimicizie mortali tra marito e moglie e talor veneno, usar malie, incanti ed ogni sorte de ribalderia; e poi allegano una certa autorità di suo capo che dice "Si non caste, tamen caute"; e par loro con questa medicare ogni gran male e con bona ragione persuadere a chi non è ben cauto che tutti i peccati, per gravi che siano, facilmente perdona Idio, purché stiano secreti e non ne nasca il mal esempio. Cosí, con un velo di santità e con questa secretezza, spesso tutti i lor pensieri volgono a contaminare il casto animo di qualche donna; spesso a seminare odii tra fratelli, a governar stati, estollere l'uno e deprimer l'altro, far decapitare, incarcerare e proscrivere omini, esser ministri delle scelerità e quasi depositari delle rubbarie che fanno molti príncipi. Altri senza vergogna si dilettano d'apparer morbidi e freschi, con la cotica ben rasa e ben vestiti; ed alzano nel passeggiar la tonica per mostrar le calze tirate 2 e la disposizion della persona nel far le riverenzie. Altri usano certi sguardi e movimenti ancor nel celebrar la messa, per i quali presumeno essere aggraziati e farsi mirare. Malvagi e scelerati omini, alienissimi non solamente dalla religione, ma d'ogni bon costume; e quando la lor vita dissoluta è lor rimproverata, si fanno beffe e ridonsi di chi lor ne parla e quasi si ascrivono i vicii a laude -. Allora la signora Emilia: - Tanto piacer, - disse, - avete di dir mal de' frati, che for d'ogni proposito siete entrato in questo ragionamento. Ma voi fate grandissimo male a mormorar dei religiosi e senza utilità alcuna vi caricate la coscienzia; ché, se non fossero quelli che pregan Dio per noi altri, aremmo ancor molto maggior flagelli che non avemo -. Rise allora il Magnifico Iuliano e disse: - Come avete voi, Signora, cosí ben indovinato ch'io parlava de' frati, non avendo io loro fatto il nome? ma in vero il mio non si chiama mormorare, anzi parlo io ben aperto e chiaramente; né dico dei boni, ma dei malvagi e rei, de' quali ancor non parlo la millesima parte di ciò ch'io so. - Or non parlate de' frati, - rispose la signora Emilia; - ch'io per me estimo grave peccato l'ascoltarvi e però io, per non ascoltarvi, levarommi di qui -.

 

 

 

XXI.

 

Son contento - disse il Magnifico Iuliano, - non parlar piú di questo; ma tornando alle laudi delle donne, dico che 'l signor Gasparo non mi troverà omo alcun singulare, ch'io non vi trovi la moglie, o figliola, o sorella di merito eguale e talor superiore; oltra che molte son state causa d'infiniti beni ai loro omini e talor hanno corretto di molti loro errori. Però essendo, come avemo dimostrato, le donne naturalmente capaci di quelle medesime virtú che son gli omini, ed essendosene piú volte veduto gli effetti, non so perché, dando loro io quello che è possibile che abbiano e spesso hanno aúto e tuttavia hanno, debba esser estimato dir miracoli, come m'ha apposto il signor Gasparo; atteso che sempre sono state al mondo, ed ora ancor sono, donne cosí vicine alla donna di palazzo che ho formata io, come omini vicini all'omo che hanno formato questi signori -. Disse allora il signor Gasparo: - Quelle ragioni che hanno la esperienzia in contrario non mi paion bone; e certo s'io vi addimandassi quali siano, o siano state queste gran donne tanto degne di laude, quanto gli omini grandi ai quali son state moglie, sorelle o figliole, o che siano loro state causa di bene alcuno, o quelle che abbiano corretto i loro errori, penso che restareste impedito -.

 

 

 

XXII.

 

- Veramente, - rispose il Magnifico Iuliano, - niuna altra cosa poria farmi restar impedito, eccetto la moltitudine; e se 'l tempo mi bastasse, vi contarei a questo proposito la istoria d'Ottavia, moglie di Marc'Antonio e sorella d'Augusto; quella di Porcia, figliola di Catone e moglie di Bruto; quella di Gaia Cecilia, moglie di Tarquino Prisco; quella di Cornelia, figliola di Scipione; e d'infinite altre che sono notissime; e non solamente delle nostre, ma ancor delle barbare: come di quella Alessandra, moglie pur d'Alessandro re de' Giudei, la quale dopo la morte del marito, vedendo i populi accesi di furore e già corsi all'arme per ammazzare doi figlioli che di lui le erano restati, per vendetta della crudele e dura servitú nella quale il padre sempre gli avea tenuti, fu tale, che súbito mitigò quel giusto sdegno e con prudenzia in un punto fece benivoli ai figlioli quegli animi, che 'l padre con infinite ingiurie in molti anni avea fatti loro inimicissimi. - Dite almen, - rispose la signora Emilia, - come ella fece -. Disse il Magnifico: - Questa, vedendo i figlioli in tanto pericolo, incontinente fece gittare il corpo d'Alessandro in mezzo della piazza; poi, chiamatisi i cittadini, disse che sapea gli animi loro esser accesi di giustissimo sdegno contra suo marito, perché le crudeli ingiurie che esso iniquamente gli avea fatte lo meritavano; e che come mentre era vivo avrebbe sempre voluto poterlo far rimanere da tal scelerata vita, cosí adesso era apparecchiata a farne fede, e loro aiutar a castigarnelo cosí morto, per quanto si potea; e però si pigliassero quel corpo e lo facessino mangiar ai cani e lo straziassero con que' modi piú crudeli che imaginar sapeano; ma ben gli pregava che avessero compassione a quegli innocenti fanciulli, i quali non potevano non che aver colpa, ma pur esser consapevoli delle male opere del padre. Di tanta efficacia furono queste parole, che 'l fiero sdegno già conceputo negli animi di tutto quel populo súbito fu mitigato, e converso in cosí piatoso affetto, che non solamente di concordia elessero quei figlioli per loro signori, ma ancor al corpo del morto diedero onoratissima sepoltura -. Quivi fece il Magnifico un poco di pausa; poi suggiunse: - Non sapete voi che la moglie e le sorelle di Mitridate mostrarono molto minor paura della morte che Mitridate? e la moglie d'Asdrubale che Asdrubale? Non sapete ch'Armonia, figliola di leron siracusano, volse morire nell'incendio della patria sua? - Allor il Frigio, - Dove vada ostinazione certo è, - disse, - che talor si trovano alcune donne che mai non mutariano proposito; come quella che non potendo piú dir al marito "forbeci", con le mani gli ne facea segno -.

 

 

 

XXIII.

 

Rise il Magnifico Iuliano e disse: - La ostinazione che tende a fine virtuoso si dee chiamar constanzia; come fu di quella Epicari, libertina romana, che essendo consapevole d'una gran congiura contra di Nerone, fu di tanta constanzia che, straziata con tutti i piú asperi tormenti che imaginar si possano, mai non palesò alcuno delli complici; e nel medesimo pericolo molti nobili cavalieri e senatori timidamente accusarono fratelli, amici e le piú care ed intime persone che avessero al mondo. Che direte voi di quell'altra che si chiamava Leona? in onor della quale gli Ateniesi dedicorono innanzi alla porta della ròcca una leona di bronzo senza lingua, per dimostrar in lei la constante virtú della taciturnità; perché essendo essa medesimamente consapevole d'una congiura contra i tiranni, non si spaventò per la morte di dui grandi omini suoi amici, e benché con infiniti e crudelissimi tormenti fusse lacerata, mai non palesò alcuno dei congiurati -. Disse allor madonna Margherita Gonzaga: - Parmi che voi narriate troppo brevemente queste opere virtuose fatte da donne; ché se ben questi nostri nemici l'hanno udite e lette, mostrano non saperle e vorriano che se ne perdesse la memoria: ma se fate che noi altre le intendiamo, almen ce ne faremo onore -.

 

 

 

XXIV.

 

Allor il Magnifico Iuliano, - Piacemi, - rispose. - Or io voglio dirvi d'una, la qual fece quello che io credo che 'l signor Gasparo medesimo confessarà che fanno pochissimi omini; - e cominciò: - In Massilia fu già una consuetudine, la quale s'estima che di Grecia fusse traportata, la quale era che publicamente si servava veneno temperato con cicuta e concedevasi il pigliarlo a chi approvava al senato doversi levar la vita, per qualche incommodo che in essa sentisse, o ver per altra giusta causa, acciò che chi troppo avversa fortuna patito avea o troppo prospera gustato, in quella non perseverasse o questa non mutasse. Ritrovandosi adunque Sesto Pompeo... - Quivi il Frigio, non aspettando che 'l Magnifico Iuliano passasse piú avanti, Questo mi par, - disse, - il principio d'una qualche lunga fabula -. Allora il Magnifico Iuliano, voltatosi ridendo a madonna Margherita, - Eccovi, - disse, - che 'l Frigio non mi lascia parlare. Io voleva or contarvi d'una donna, la quale, avendo dimostrato al senato che ragionevolmente dovea morire, allegra e senza timor alcuno tolse in presenzia di Sesto Pompeo il veneno, con tanta constanzia d'animo e cosí prudenti ed amorevoli ricordi ai suoi, che Pompeo e tutti gli altri che videro in una donna tanto sapere e sicurezza nel tremendo passo della morte, restarono non senza lacrime confusi di molta maraviglia -.

 

 

 

XXV.

 

Allora il signor Gasparo ridendo, - Io ancora mi ricordo, - disse, - aver letto una orazione, nella quale un infelice marito dimanda licenzia al senato di morire ed approva averne giusta cagione, per non poter tollerare il continuo fastidio del cianciare di sua moglie e piú presto vol bere quel veneno, che voi dite che si servava publicamente per tali effetti, che le parole della moglie -. Rispose il Magnifico Iuliano: - Quante meschine donne aríano giusta causa di dimandar licenzia di morir, per non poter tollerare, non dirò le male parole, ma i malissimi fatti dei mariti! ch'io alcune ne conosco, che in questo mondo patiscono le pene che si dicono esser nell'inferno. - Non credete voi, - rispose il signor Gasparo, - che molti mariti ancor siano che dalle mogli hanno tal tormento, che ogni ora desiderino la morte? - E che dispiacere, - disse il Magnifico, - possono far le mogli ai mariti, che sia cosí senza rimedio come son quelli che fanno i mariti alle mogli? le quali, se non per amore, almen per timor sono ossequenti ai mariti. - Certo è, - disse il signor Gaspar, - che quel poco che talor fanno di bene procede da timore, perché poche ne sono al mondo che nel secreto dell'animo suo non abbiano in odio il marito. - Anzi in contrario, - rispose il Magnifico; - e se ben vi ricorda quanto avete letto, in tutte le istorie si conosce che quasi sempre le mogli amano i mariti piú che essi le mogli. Quando vedeste voi o leggeste mai che un marito facesse verso la moglie un tal segno d'amore, quale fece quella Camma verso suo marito? - Io non so, - rispose il signor Gaspar, - chi si fosse costei, né che segno la si facesse. - Né io, - disse il Frigio. Rispose il Magnifico: - Uditelo; e voi, madonna Margherita, mettete cura di tenerlo a memoria.

 

 

 

XXVI.

 

Questa Camma fu una bellissima giovane, ornata di tanta modestia e gentil costumi, che non men per questo che per la bellezza era maravigliosa; e sopra l'altre cose con tutto il core amava suo marito, il quale si chiamava Sinatto. Intervenne che un altro gentilomo, il quale era di molto maggior stato che Sinatto e quasi tiranno di quella città dove abitavano, s'innamorò di questa giovane; e dopo l'aver lungamente tentato per ogni via e modo d'acquistarla, e tutto in vano, persuadendosi che lo amor che essa portava al marito fosse la sola cagione che ostasse a' suoi desidèri, fece ammazzar questo Sinatto. Cosí poi sollicitando continuamente, non ne poté mai trar altro frutto che quello che prima avea fatto; onde, crescendo ogni dí piú questo amore, deliberò tôrla per moglie, benché essa di stato gli fosse molto inferiore. Cosí richiesti li parenti di lei da Sinorige (ché cosí si chiamava lo innamorato), cominciarono a persuaderla a contentarsi di questo, mostrandole il consentir essere utile assai e 'l negarlo pericoloso per lei e per tutti loro. Essa, poi che loro ebbe alquanto contradetto, rispose in ultimo esser contenta. I parenti fecero intendere la nova a Sinorige; il qual allegro sopra modo procurò che súbito si celebrassero le nozze. Venuto adunque l'uno e l'altro a questo effetto solennemente nel tempio di Diana, Camma fece portar una certa bevanda dolce, la quale essa avea composta; e cosí davanti al simulacro di Diana in presenzia di Sinorige ne bevé la metà; poi di sua mano, perché questo nelle nozze s'usava di fare, diede il rimanente allo sposo; il qual tutto lo bevé. Camma, come vide il disegno suo riuscito, tutta lieta a piè della imagine di Diana s'inginochiò, e disse: "O Dea, tu che conosci lo intrinseco del cor mio, siami bon testimonio, come difficilmente dopo che 'l mio caro consorte morí, contenuta mi sia di non mi dar la morte e con quanta fatica abbia sofferto il dolore di star in questa amara vita, nella quale non ho sentito alcuno altro bene o piacere, fuor che la speranza di quella vendetta che or mi trovo aver conseguita; però allegra e contenta vado a trovar la dolce compagnia di quella anima, che in vita ed in morte piú che me stessa ho sempre amata. E tu, scelerato, che pensasti esser mio marito, in iscambio del letto nuziale dà ordine che apparecchiato ti sia il sepulcro, ch'io di te fo sacrificio all'ombra di Sinatto". Sbigottito Sinorige di queste parole e già sentendo la virtú de veneno che lo perturbava, cercò molti rimedi; ma non valsero; ed ebbe Camma di tanto la fortuna favorevole, o altro che si fosse, che innanzi che essa morisse seppe che Sinorige era morto. La qual cosa intendendo, contentissima si pose a letto con gli occhi al cielo, chiamando sempre il nome di Sinatto e dicendo: "O dolcissimo consorte, or ch'io ho dato per gli ultimi doni alla tua morte e lacrime e vendetta, né veggio che piú altra cosa qui a far per te mi resti, fuggo il mondo e questa senza te crudel vita, la quale per te solo già mi fu cara. Viemmi adunque incontra, signor mio, ed accogli cosí voluntieri questa anima, come essa voluntieri a te ne viene": e di questo modo parlando, e con le braccia aperte, quasi che in quel punto abbracciar lo volesse, se ne morí. Or dite, Frigio, che vi par di questa? - Rispose il Frigio: - Parmi che voi vorreste far piangere queste donne. Ma poniamo che questo ancor fosse vero, io vi dico che tai donne non si trovano piú al mondo -.

 

 

 

XXVII.

 

Disse il Magnifico: - Si trovan sí; e che sia vero, udite. A' dí mei fu in Pisa un gentilomo, il cui nome era messer Tomaso; non mi ricordo di qual famiglia, ancora che da mio padre, che fu suo gran amico, sentissi piú volte ricordarla. Questo messer Tomaso adunque, passando un dí sopra un piccolo legnetto da Pisa in Sicilia per sue bisogne, fu soprapreso d'alcune fuste de' Mori, che gli furono addosso cosí all'improviso, che quelli che governavano il legnetto non se n'accorsero; e benché gli omini che dentro v'erano si diffendessino assai, pur, per esser essi pochi, e i nimici molti, il legnetto con quanti v'eran sopra rimase nel poter dei Mori, chi ferito e chi sano, secondo la sorte, e con essi messer Tomaso, il qual s'era portato valorosamente ed avea morto di sua mano un fratello d'un dei capitani di quelle fuste. Della qual cosa il capitano sdegnato, come possete pensare, della perdita del fratello, volse costui per suo prigioniero; e battendolo e straziandolo ogni giorno, lo condusse in Barbaria, dove in gran miseria aveva deliberato tenerlo in vita sua cattivo e con gran pena. Gli altri tutti, chi per una e chi per un'altra via, furono in capo d'un tempo liberi e ritornarono a casa; e riportarono alla moglie, che madonna Argentina avea nome, ed ai figlioli la dura vita e 'l gran affanno in che messer Tomaso viveva ed era continuamente per vivere senza speranza, se Dio miraculosamente non l'aiutava. Della qual cosa poi che essa e loro furono chiariti, tentati alcun altri modi di liberarlo, e dove esso medesimo già s'era acquetato di morire, intervenne che una solerte pietà svegliò tanto l'ingegno e l'ardir d'un suo figliolo, che si chiamava Paulo, che non ebbe riguardo a niuna sorte di pericolo e deliberò o morir o liberar il padre; la qual cosa gli venne fatta, di modo che lo condusse cosí cautamente, che prima fu in Ligorno, che si risapesse in Barberia ch'e' fusse di là partito. Di quivi messer Tomaso sicuro scrisse alla moglie e le fece intendere la liberazion sua, e dove era, e come il dí seguente sperava di vederla. La bona e gentil donna, sopragiunta da tanta e non pensata allegrezza di dover cosí presto, e per pietà e per virtú del figliolo, vedere il marito, il quale amava tanto e già credea fermamente non dover mai piú vedere, letta la lettera, alzò gli occhi al cielo e, chiamato il nome del marito, cadde morta in terra; né mai con rimedi che se le facessero, la fuggita anima piú ritornò nel corpo. Crudel spettaculo, e bastante a temperar le voluntà umane e ritrarle dal desiderar troppo efficacemente le soverchie allegrezze!

 

 

 

XXVIII.

 

Disse allora ridendo il Frigio: - Che sapete voi ch'ella non morisse di dispiacere, intendendo che 'l marito tornava a casa? - Rispose il Magnifico: - Perché il resto della vita sua non si accordava con questo; anzi penso che quell'anima, non potendo tollerare lo indugio di vederlo con gli occhi del corpo, quello abbandonasse, e tratta dal desiderio volasse súbito dove, leggendo quella lettera, era volato il pensiero -. Disse il signor Gasparo: - Po esser che questa donna fosse troppo amorevole, perché le donne in ogni cosa sempre s'attaccano allo estremo, che è male; e vedete che per essere troppo amorevole fece male a se stessa ed al marito ed ai figlioli, ai quali converse in amaritudine il piacere di quella pericolosa e desiderata liberazione. Però non dovete già allegar questa per una di quelle donne, che sono state causa di tanti beni -. Rispose il Magnifico: - Io la allego per una di quelle che fanno testimonio che si trovino mogli che amino i mariti; ché di quelle che siano state causa de molti beni al mondo potrei dirvi un numero infinito, e narrarvi delle tanto antiche che quasi paion fabule; e di quelle che appresso agli omini sono state inventrici di tai cose, che hanno meritato esser estimate dee, come Pallade, Cerere; e delle Sibille, per bocca delle quali Dio tante volte ha parlato e rivelato al mondo le cose che aveano a venire; e di quelle che hanno insegnato a grandissimi omini, come Aspasia e Diotima, la quale ancora con sacrifici prolungò dieci anni il tempo d'una peste che aveva da venire in Atene. Potrei dirvi di Nicostrata, madre d'Evandro, la quale mostrò le lettere ai Latini; e d'un'altra donna ancor che fu maestra di Pindaro lirico; e di Corinna e di Saffo, che furono eccellentissime in poesia: ma io non voglio cercar le cose tanto lontane. Dicovi ben, lassando il resto, che della grandezza di Roma furono forse non minor causa le donne che gli omini. - Questo, - disse il signor Gasparo, - sarebbe bello da intendere -.

 

 

 

XXIX.

 

Rispose il Magnifico: - Or uditelo. Dopo la espugnazion di Troia molti Troiani, che a tanta ruina avanzarono, fuggirono chi ad una via, chi ad un'altra; dei quali una parte, che da molte procelle forno battuti, vennero in Italia, nella contrata ove il Tevere entra in mare. Cosí discesi in terra per cercar de' bisogni loro, cominciarono a scorrere il paese; le donne, che erano restate nelle navi, pensarono tra sé un utile consiglio, il qual ponesse fine al periculoso e lungo error maritimo ed in loco della perduta patria una nova loro ne recuperasse; e, consultate insieme, essendo assenti gli omini, abbrusciarono le navi; e la prima che tal opera cominciò si chiamava Roma. Pur, temendo la iracundia degli omini i quali ritornavano, andarono contra essi; ed alcune i mariti, alcune i soi congiunti di sangue abbracciando e basciando con segno di benivolenzia, mitigarono quel primo impeto; poi manifestarono loro quietamente la causa del lor prudente pensiero. Onde i Troiani, si per la necessità, sí per esser benignamente accettati dai paesani, furono contentissimi di ciò che le donne aveano fatto e quivi abitarono con i Latini, nel loco dove poi fu Roma; e da questo processe il costume antico appresso i Romani, che le donne incontrando basciavano i parenti. Or vedete quanto queste donne giovassero a dar principio a Roma.

 

 

 

XXX.

 

Né meno giovarono allo augumento di quella le donne sabine, che si facessero le troiane al principio; ché avendosi Romulo concitato generale inimicizia de tutti i suoi vicini per la rapina che fece delle lor donne, fu travagliato di guerre da ogni banda; delle quali, per esser omo valoroso, tosto si espedí con vittoria, eccetto di quella de' Sabini, che fu grandissima, perché Tito Tacio, re de' Sabini, era valentissimo e savio; onde, essendo stato fatto uno acerbo fatto d'arme tra Romani e Sabini con gravissimo danno dell'una e dell'altra parte, ed apparecchiandosi nova e crudel battaglia, le donne sabine, vestite di nero, co' capelli sparsi e lacerati, piangendo, meste, senza timore dell'arme che già erano per ferir mosse, vennero nel mezzo tra i padri e i mariti, pregandogli che non volessero macchiarsi le mani del sangue de' soceri e dei generi; e se pur erano mal contenti di tal parentato, voltassero l'arme contra esse, ché molto meglio loro era il morire che vivere vedove, o senza padri e fratelli, e ricordarsi che i suoi figlioli fossero nati di chi loro avesse morti i lor padri, o che esse fossero nate de chi lor avesse morti i lor mariti. Con questi gemiti piangendo, molte di loro nelle braccia portavano i suoi piccoli figliolini, de' quali già alcuni cominciavano a snodar la lingua e parea che chiamar volessero e far festa agli avoli loro; ai quali le donne mostrando i nepoti e piangendo, "Ecco", diceano, "il sangue vostro, il quale voi con tanto impeto e furor cercate di sparger con le vostre mani". Tanta forza ebbe in questo caso la pietà e la prudenzia delle donne, che non solamente tra li dui re nemici fu fatta indissolubile amicizia e confederazione, ma, che piú maravigliosa cosa fu, vennero i Sabini ad abitare in Roma, e dei dui popoli fu fatto un solo; e cosí molto accrebbe questa concordia le forze di Roma, mercè delle sagge e magnanime donne; le quali in tanto da Romulo furono remunerate che, dividendo il populo in trenta curie, a quelle pose i nomi delle donne sabine -.

 

 

 

XXXI.

 

Quivi essendosi un poco il Magnifico Iuliano fermato vedendo che 'l signor Gasparo non parlava, - Non vi par, disse, - che queste donne fussero causa di bene agli loro omini e giovassero alla grandezza di Roma? - Rispose il signor Gasparo: - In vero queste furono degne di molta laude; ma se voi cosí voleste dir gli errori delle donne come le bone opere, non areste tacciuto che in questa guerra di Tito Tacio una donna tradì Roma ed insegnò la strada ai nemici d'occupar il Capitolio, onde poco mancò che i Romani tutti non fussero destrutti -. Rispose il Magnifico Iuliano: - Voi mi fate menzion d'una sola donna mala ed io a voi d'infinite bone; ed oltre le già dette io potrei addurvi al mio proposito mille altri esempi delle utilità fatte a Roma dalle donne e dirvi perché già fusse edificato un tempio a Venere Armata ed un altro a Venere Calva, e come ordinata la festa delle Ancille a Iunone, perché le ancille già liberarono Roma dalle insidie de' nemici. Ma lassando tutte queste cose, quel magnanimo fatto d'aver scoperto la congiurazion di Catilina, di che tanto si lauda Cicerone, non ebbe egli principalmente origine da una vil femina? la quale per questo si poria dir che fosse stata causa di tutto 'l bene che si vanta Cicerone aver fatto alla republica romana. E se 'l tempo mi bastasse, vi mostrarei forse ancor le donne spesso aver corretto di molti errori degli omini; ma temo che questo mio ragionamento ormai sia troppo lungo e fastidioso; perché avendo, secondo il poter mio, satisfatto al carico datomi da queste signore, penso di dar loco a chi dica cose piú degne d'esser udite, che non posso dir io -.

 

 

 

XXXII.

 

Allor la signora Emilia, - Non defraudate, - disse, - le donne di quelle vere laudi che loro sono debite; e ricordatevi che se 'l signor Gasparo ed ancor forse il signor Ottaviano vi odono con fastidio, noi e tutti quest'altri signori ve udiamo con piacere -. Il Magnifico pur volea por fine, ma tutte le donne cominciarono a pregarlo che dicesse; onde egli ridendo, - Per non mi provocar, - disse, - per nemico il signor Gaspar piú di quello che egli si sia, dirò brevemente d'alcune che mi occorreno alla memoria, lassandone molte ch'io potrei dire; - poi suggiunse: - Essendo Filippo di Demetrio intorno alla città di Chio ed avendola assediata, mandò un bando, che a tutti i servi che della città fuggivano ed a sé venissero prometteva la libertà e le mogli dei lor patroni. Fu tanto lo sdegno delle donne per cosí ignominioso bando, che con l'arme vennero alle mura e tanto ferocemente combatterono, che in poco tempo scacciarono Filippo con vergogna e danno; il che non aveano potuto far gli omini. Queste medesime donne, essendo coi lor mariti, padri e fratelli, che andavano in esilio, pervenute in Leuconia, fecero un atto non men glorioso di questo; ché gli Eritrei, che ivi erano co' suoi confederati, mossero guerra a questi Chii; li quali non potendo contrastare, tolsero patto col giuppon solo e la camiscia uscir della città. Intendendo le donne cosí vituperoso accordo, si dolsero, rimproverandogli che, lassando l'arme, uscissero come ignudi tra' nemici; e rispondendo essi già aver stabilito il patto, dissero che portassero lo scudo e la lanza e lassassero i panni, e rispondessero ai nemici questo essere il loro abito. E cosí facendo essi per consiglio delle lor donne ricopersero in gran parte la vergogna, che in tutto fuggir non poteano. Avendo ancor Ciro in un fatto d'arme rotto un esercito di Persiani, essi in fuga, correndo verso la città incontrarono le lor donne fuor della porta, le quali fattosi loro incontra dissero: "Dove fuggite voi, vili omini? volete voi forsi nascondervi in noi, onde sète usciti?" Queste ed altre tai parole udendo gli omini e conoscendo quanto d'animo erano inferiori alle lor donne, si vergognarono di se stessi, e ritornando verso i nemici, di novo con essi combatterono e gli ruppero -.

 

 

 

XXXIII.

 

Avendo insin qui detto, il Magnifico Iuliano fermossi e rivolto alla signora Duchessa disse: - Or, Signora, mi darete licenzia di tacere -. Rispose il signor Gasparo: - Bisogneravi pur tacere, poiché non sapete piú che vi dire -. Disse il Magnifico ridendo: - Voi mi stimulate di modo che vi mettete a pericolo di bisognar tutta notte udir laudi di donne; ed intendere di molte spartane, che hanno avuta cara la morte gloriosa dei figlioli; e di quelle che gli hanno rifutati, o morti esse medesime, quando gli hanno veduti usar viltà. Poi, come le donne saguntine nella ruina della patria loro prendessero l'arme contra le genti d'Annibale; e come essendo lo esercito de' Tedeschi superato da Mario, le lor donne, non potendo ottener grazia di viver libere in Roma al servizio delle vergini vestali, tutte s'ammazzassero insieme coi lor piccoli figliolini; e di mille altre, delle quali tutte le istorie antiche son piene -. Allor il signor Gasparo, - Deh, signor Magnifico, - disse, - Dio sa come passarono quelle cose; perché que' secoli son tanto da noi lontani, che molte bugie si posson dire e non v'è chi le riprovi -.

 

 

 

XXXIV.

 

Disse il Magnifico: - Se in ogni tempo vorrete misurare il valor delle donne con quel degli omini, trovarete che elle non son mai state né ancor sono adesso de virtú punto inferiori agli omini; ché, lassando quei tanto antichi, se venite al tempo che i Goti regnarono in Italia, trovarete tra loro essere stata una regina Amalasunta, che governò lungamente con maravigliosa prudenzia; poi Teodelinda, regina de' Longobardi, di singular virtú; Teodora, greca imperatrice; ed in Italia fra molte altre fu singularissima signora la contessa Matilda, delle laudi della quale lasserò parlare al conte Ludovico, perché fu della casa sua. - Anzi, - disse il Conte, - a voi tocca, perché sapete ben che non conviene che l'omo laudi le cose sue proprie -. Suggiunse il Magnifico: - E quante donne famose ne' tempi passati trovate voi di questa nobilissima casa di Montefeltro! quante della casa da Gonzaga, da Este, de' Pii! Se de' tempi presenti poi parlare vorremo, non ci bisogna cercar esempi troppo di lontano, ché gli avemo in casa. Ma io non voglio aiutarmi di quelli che in presenzia vedemo, acciò che voi non mostriate consentirmi per cortesia quello che in alcun modo negar non mi potete. E per uscir di Italia, ricordatevi che a' dí nostri avemo veduto Anna regina di Franza, grandissima signora non meno di virtú che di stato; ché se di giustizia e clemenzia, liberalità e santità di vita, comparare la vorrete alli re Carlo e Ludovico, dell'uno e dell'altro de' quali fu moglie, non la trovarete punto inferiore d'essi. Vedete madonna Margherita, figliola di Massimiliano imperatore, la quale con somma prudenzia e giustizia insino a qui ha governato e tuttora governa il stato suo.

 

 

 

XXXV.

 

- Ma lassando a parte tutte l'altre ditemi, signor Gaspar, qual re o qual principe è stato a' nostri dí ed ancor molt'anni prima in Cristianità, che meriti esser comparato alla regina Isabella di Spagna? - Rispose il signor Gasparo: - Il re Ferrando suo marito -. Suggiunse il Magnifico: - Questo non negherò io; ché, poiché la Regina lo giudicò degno d'esser suo marito e tanto lo amò ed osservò, non si po dire che 'l non meritasse d'esserle comparato: ben credo che la riputazion ch'egli ebbe da lei fusse dote non minor che 'l regno di Castiglia. - Anzi, rispose il signor Gaspar, - penso io che di molte opere del re Ferrando fusse laudata la regina Isabella -. Allor il Magnifico, - Se i populi di Spagna, - disse, - i signori, i privati, gli omini e le donne, poveri e ricchi, non si son tutti accordati a voler mentire in laude di lei, non è stato a' tempi nostri al mondo piú chiaro esempio di vera bontà, di grandezza d'animo, di prudenzia, di religione, d'onestà, di cortesia, di liberalità, in somma d'ogni virtú, che la regina Isabella; e benché la fama di quella signora in ogni loco e presso ad ogni nazione sia grandissima, quelli che con lei vissero e furono presenti alle sue azioni tutti affermano questa fama esser nata dalla virtú e meriti di lei. E chi vorrà considerare l'opere sue, facilmente conoscerà esser cosí il vero; ché, lassando infinite cose che fanno fede di questo e potrebbonsi dire, se fusse nostro proposito, ognun sa che quando essa venne a regnare trovò la maggior parte di Castiglia occupata dai grandi; nientedimeno il tutto ricuperò cosí giustificatamente e con tal modo, che i medesimi che ne furono privati le restarono affezionatissimi, e contenti di lassar quello che possedevano. Notissima cosa è ancora con quanto animo e prudenzia sempre diffendesse i regni suoi da potentissimi inimici; e medesimamente a lei sola si po dar l'onore del glorioso acquisto del regno di Granata; ché in cosí lunga e difficil guerra contra nimici ostinati, che combattevano per le facultà, per la vita, per la legge sua e, al parer loro, per Dio, mostrò sempre col consiglio e con la persona propria tanta virtú, che forse a' tempi nostri pochi príncipi hanno avuto ardire non che di imitarla, ma pur d'averle invidia. Oltre a ciò, affermano tutti quegli che la conobbero, esser stato in lei tanto divina maniera di governare, che parea quasi che solamente la voluntà sua bastasse, perché senza altro strepito ognuno facesse quello che doveva; tal che a pena osavano gli omini in casa sua propria e secretamente far cosa che pensassino che a lei avesse da dispiacere; e di questo in gran parte fu causa il maraviglioso giudicio ch'ella ebbe in conoscere ed elegere i ministri atti a quelli offici nei quali intendeva d'adoperargli; e cosí ben seppe congiungere il rigor della giustizia con la mansuetudine della clemenzia e la liberalità, che alcun bono a' suoi dí non fu che si dolesse d'esser poco remunerato, né alcun malo d'esser troppo castigato. Onde nei populi verso di lei nacque una somma riverenzia, composta d'amore e timore; la quale negli animi di tutti ancor sta cosí stabilita, che par quasi che aspettino che essa dal cielo i miri e di là su debba dargli laude o biasmo; e perciò col nome suo e con i modi da lei ordinati si governano ancor que' regni, di maniera che, benché la vita sia mancata, vive l'autorità, come rota che, lungamente con impeto voltata, gira ancor per bon spacio da sé, benché altri piú non la mova. Considerate oltre di questo, signor Gasparo, che a' nostri tempi quasi tutti gli omini grandi di Spagna e famosi in qualsivoglia cosa, sono stati creati dalla regina Isabella; e Gonsalvo Ferrando, Gran Capitano, molto piú di questo si preziava, che di tutte le sue famose vittorie, e di quelle egregie e virtuose opere, che in pace ed in guerra fatto l'hanno cosí chiaro ed illustre, che se la fama non è ingratissima, sempre al mondo publicherà le immortali sue lode, e farà fede che alla età nostra pochi re o gran príncipi avemo aúti, i quali stati non siano da lui di magnanimità, sapere e d'ogni virtú superati.

 

 

 

XXXVI.

 

Ritornando adunque in Italia, dico che ancor qui non ci mancano eccellentissime signore; che in Napoli avemo due singular regine; e poco fa pur in Napoli morí l'altra regina d'Ongaría, tanto eccellente signora quanto voi sapete e bastante di far paragone allo invitto e glorioso re Matia Corvino suo marito. Medesimamente la duchessa Isabella d'Aragona, degna sorella del re Ferrando di Napoli; la quale, come oro nel foco, cosí nelle procelle di fortuna ha mostrata la virtú e 'l valor suo. Se nella Lombardia verrete, v'occorrerà la signora Isabella marchesa di Mantua; alle eccellentissime virtú della quale ingiuria si faria parlando cosí sobriamente, come saria forza in questo loco a chi pur volesse parlarne. Pesami ancora che tutti non abbiate conosciuta la duchessa Beatrice di Milano sua sorella, per non aver mai piú a maravigliarvi di ingegno di donna. E la duchessa Eleonora d'Aragona, duchessa di Ferrara e madre dell'una e l'altra di queste due signore ch'io v'ho nominate, fu tale che le eccellentissime sue virtú faceano bon testimonio a tutto 'l mondo, che essa non solamente era degna figliola di Re, ma che meritava esser regina di molto maggior stato che non aveano posseduto tutti i suoi antecessori. E per dirvi d'un'altra, quanti omini conoscete voi al mondo, che avessero tollerato gli acerbi colpi della fortuna cosí moderatamente, come ha fatto la regina Isabella di Napoli? la quale, dopo la perdita del regno, lo esilio e morte del re Federico suo marito e di duo figlioli e la pregionia del Duca di Calabria suo primogenito, pur ancor si dimostra esser regina e di tal modo supporta i calamitosi incommodi della misera povertà, che ad ognuno fa fede che, ancor che ella abbia mutato fortuna, non ha mutato condizione. Lasso di nominar infinite altre signore, ed ancor donne di basso grado; come molte pisane, che alla diffesa della lor patria contra' Fiorentini hanno mostrato quell'ardire generoso, senza timore alcuno di morte, che mostrar potessero i piú invitti animi che mai fossero al mondo; onde da molti nobili poeti sono state alcune di lor celebrate. Potrei dirvi d'alcune eccellentissime in lettere, in musica, in pittura, in scultura; ma non voglio andarmi piú rivolgendo tra questi esempi, che a voi tutti sono notissimi. Basta che, se nell'animo vostro pensate alle donne che voi stesso conoscete, non vi fia difficile comprendere che esse per il piú non sono di valore o meriti inferiori ai padri, fratelli e mariti loro; e che molte sono state causa di bene agli omini e spesso hanno corretto di molti loro errori; e se adesso non si trovano al mondo quelle gran regine, che vadano a subiugare paesi lontani e facciano magni edifici, piramidi e città, come quella Tomiris, regina di Scizia, Artemisia, Zenobia, Semiramìs, o Cleopatra, non ci son ancor omini come Cesare, Alessandro, Scipione, Lucullo e quegli altri imperatori romani

 

 

 

XXXVII.

 

- Non dite cosí, - rispose allora ridendo il Frigio, - ché adesso piú che mai si trovan donne come Cleopatra o Semiramis; e se già non hanno tanti stati, forze e ricchezze, loro non manca però la bona voluntà di imitarle almen nel darsi piacere e satisfare piú che possano a tutti i suoi appetiti -. Disse il Magnifico Iuliano: - Voi volete pur, Frigio, uscire de' termini: ma se si trovano alcune Cleopatre, non mancano infiniti Sardanapali; che è assai peggio. - Non fate, - disse allor il signor Gasparo, - queste comparazioni, né crediate già che gli omini siano piú incontinenti che le donne; e quando ancor fossero, non sarebbe peggio, perché dalla incontinenzia delle donne nascono infiniti mali, che non nascono da quella degli omini; e però, come ieri fu detto, èssi prudentemente ordinato che ad esse sia licito senza biasimo mancar in tutte l'altre cose, acciò che possano metter ogni lor forza per mantenerse in questa sola virtú della castità, senza la quale i figlioli sariano incerti, e quello legame che stringe tutto 'l mondo per lo sangue, e per amar naturalmente ciascun quello che ha produtto, si discioglieria: però alle donne piú si disdice la vita dissoluta che agli omini, i quali non portano nove mesi ì figlioli in corpo -.

 

 

 

XXXVIII.

 

Allora il Magnifico, - Questi, - rispose, - veramente sono belli argumenti che voi fate e non so Perché non gli mettiate in scritto. Ma ditemi per qual causa non s'è ordinato che negli omini cosí sia vituperosa cosa la vita dissoluta come nelle donne, atteso che se essi sono da natura piú virtuosi e di maggior valore, piú facilmente ancora poriano mantenersi in questa virtú della continenzia e i figlioli né piú né meno saríano certi; ché se ben le donne fossero lascive, purché gli omini fossero continenti e non consentissero alla lascivia delle donne, esse da sé a sé e senza altro aiuto già non porian generare. Ma se volete dir il vero, voi ancor conoscete che noi di nostra autorità ci avemo vendicato una licenzia, per la quale volemo che i medesimi peccati in noi siano leggerissimi e talor meritino laude, e nelle donne non possano a bastanza esser castigati se non con una vituperosa morte, o almen perpetua infamia. Però, poiché questa opinion è invalsa, parmi che conveniente cosa sia castigar ancor acerbamente quelli che con bugie dànno infamia alle donne; ed estimo ch'ogni nobil cavaliero sia obligato a diffender sempre con l'arme, dove bisogna, la verità, e massimamente quando conosce qualche donna esser falsamente calunniata di poca onestà -.

 

 

 

XXXIX.

 

- Ed io, - rispose ridendo il signor Gasparo, - non solamente affermo esser debito d'ogni nobil cavaliero quello che voi dite, ma estimo gran cortesia e gentilezza coprir qualche errore, ove per disgrazia, o troppo amore, una donna sia incorsa; e cosí veder potete ch'io tengo piú alla parte delle donne, dove la ragion me lo comporta, che non fate voi. Non nego già che gli omini non si abbiano preso un poco di libertà; e questo perché sanno che per la opinion universale ad essi la vita dissoluta non porta cosí infamia come alle donne; le quali, per la imbecillità del sesso, sono molto piú inclinate agli appetiti che gli omini, e se talor si astengono dal satisfare ai suoi desidèri, lo fanno per vergogna, non perché la voluntà non sia loro prontissima; e però gli omini hanno posto loro il timor d'infamia per un freno che le tenga quasi per forza in questa virtú, senza la quale, per dir il vero, sariano poco d'apprezzare; perché il mondo non ha utilità dalle donne, se non per lo generare dei figlioli. Ma ciò non intervien degli omini, i quali governano le città, gli eserciti e fanno tante altre cose d'importanzia: il che, poiché voi volete cosí, non voglio disputar come sapessero far le donne; basta che non lo fanno; e quando è occorso agli omini far paragon della continenzia, cosí hanno superato le donne in questa virtú come ancora nell'altre, benché voi non lo consentiate. Ed io circa questo non voglio recitarvi tante istorie o fabule quante avete fatto voi, e rimettovi alla continenzia solamente di dui grandissimi signori giovani, e su la vittoria, la quale suol far insolenti ancora gli omini bassissimi; e dell'uno è quella d'Alessandro Magno verso le donne bellissime di Dario, nemico e vinto; l'altra di Scipione, a cui, essendo di ventiquattro anni ed avendo in Ispagna vinto per forza una città, fu condutta una bellissima e nobilissima giovane, presa tra molt'altre; e intendendo Scipione questa esser sposa d'un signor del paese, non solamente s'astenne da ogni atto disonesto verso di lei, ma immaculata la rese al marito, facendole di sopra un ricco dono. Potrei dirvi di Senocrate, il quale fu tanto continente, che una bellissima donna, essendosegli colcata accanto ignuda e facendogli tutte le carezze ed usando tutti i modi che sapea, delle quai cose era bonissima maestra, non ebbe forza mai di far che mostrasse pur un minimo segno d'impudicizia, avvenga che ella in questo dispensasse tutta una notte; e di Pericle, che udendo solamente uno che laudava con troppo efficacia la bellezza d'un fanciullo, lo riprese agramente; e di molt'altri continentissimi di lor propria voluntà, e non per vergogna o paura di castigo, da che sono indutte la maggior parte di quelle donne che in tal virtú si mantengono; le quali però ancor con tutto questo meritano esser laudate assai, e chi falsamente dà loro infamia d'impudicizia è degno, come avete detto, di gravissima punizione -.

 

 

 

XL.

 

Allora messer Cesare, il qual per bon spacio tacciuto avea, - Pensate, - disse, - di che modo parla il signor Gasparo a biasimo delle donne, quando queste son quelle cose ch'ei dice in laude loro. Ma se 'l signor Magnifico mi concede ch'io possa in loco suo respondergli alcune poche cose circa quanto egli, al parer mio, falsamente ha detto contra le donne, sarà bene per l'uno e per l'altro: perché esso si riposerà un poco e meglio poi potrà seguitare in dir qualche altra eccellenzia della donna di palazzo; ed io mi terrò per molta grazia l'aver occasione di far insieme con lui questo officio di bon cavaliero, cioè diffender la verità. - Anzi ve ne priego, - rispose il signor Magnifico; - ché già a me parea aver satisfatto, secondo le forze mie, a quanto io doveva e che questo ragionamento fosse ormai fuor del proposito mio -. Suggiunse messer Cesare: - Non voglio già parlare della utilità che ha il mondo dalle donne, oltre al generar i figlioli, perché a bastanza s'è dimostrato quanto esse siano necessarie non solamente all'esser ma ancor al ben esser nostro; ma dico, signor Gaspar, che se esse sono, come voi dite, piú inclinate agli appetiti che gli omini, e con tutto questo se ne astengano piú che gli omini, il che voi stesso consentite, sono tanto piú degne di laude, quanto il sesso loro è men forte per resistere agli appetiti naturali; e se dite che lo fanno per vergogna, parmi che in loco d'una virtú sola ne diate lor due; ché se in esse piú po la vergogna che l'appetito e perciò i astengono dalle cose mal fatte, estimo che questa vergogna, che in fine non è altro che timor d'infamia, sia una rarissima virtú e da pochissimi omini posseduta. E s'io potessi senza infinito vituperio degli omini dire come molti d'essi siano immersi nella impudenzia, che è il vicio contrario a questa virtú, contaminarei queste sante orecchie che m'ascoltano: e per il piú questi tali ingiuriosi a Dio ed alla natura sono omini già vecchi, i quali fan professione chi di sacerdozio, chi di filosofia, chi delle sante leggi; e governano le republiche con quella severità catoniana nel viso, che promette tutta la integrità del mondo; e sempre allegano il sesso feminile esser incontinentissimo; né mai essi d'altro si dolgon piú, che del mancar loro il vigor naturale per poter satisfare ai loro abominevoli desidèri, i quali restano ancor nell'animo, quando già la natura li nega al corpo; e però spesso trovano modi dove le forze non sono necessarie.

 

 

 

XLI.

 

Ma io non voglio dir piú avanti e bastami che mi consentiate che le donne si astengano piú dalla vita impudica che gli omini; e certo è che d'altro freno non sono ritenute, che da quello che esse stesse si mettono; e che sia vero, la piú parte di quelle che son custodite con troppa stretta guardia, o battute dai mariti o padri, sono men pudiche che quelle che hanno qualche libertà. Ma gran freno è generalmente alle donne l'amor della vera virtú e 'l desiderio d'onore, del qual molte, che io a' miei dí ho conosciute, fanno piú stima che della vita propria; e se volete dir il vero, ognun di noi ha veduto giovani nobilissimi, discreti, savi, valenti e belli, aver dispensato molt'anni amando, senza lassare adrieto cosa alcuna di sollicitudine, di doni, di preghi, di lacrime, in somma di ciò che imaginar si po; e tutto in vano. E se a me non si potesse dire che le qualità mie non meritarono mai ch'io fossi amato, allegherei il testimonio di me stesso, che piú d'una volta per la immutabile e troppo severa onestà d'una donna fui vicino alla morte -. Rispose il signor Gasparo: - Non vi maravigliate di questo, perché le donne che son pregate sempre negano di compiacer chi le prega e quelle che non son pregate pregano altrui -.

 

 

 

XLII.

 

Disse messer Cesare: - Io non ho mai conosciuti questi, che siano dalle donne pregati; ma sí ben molti, li quali, vedendosi aver in vano tentato e speso il tempo scioccamente, ricorrono a questa nobil vendetta e dicono aver avuto abondanzia di quello che solamente s'hanno imaginato; e par loro che il dir male e trovare invenzioni, acciò che di qualche nobil donna per lo vulgo si levino fabule vituperose, sia una sorte di cortegiania. Ma questi tali, che di qualche donna di prezzo villanamente si dànno vanto, o vero o falso, meritano castigo e supplicio gravissimo; e se talor loro vien dato, non si po dir quanto siano da laudar quelli che tale officio fanno. Ché se dicon bugie, qual scelerità po esser maggiore, che privar con inganno una valorosa donna di quello che essa piú che la vita estima? e non per altra causa, che per quella che la devria fare d'infinite laudi celebrata? Se ancora dicon vero, qual pena poria bastare a chi è cosí perfido, che renda tanta ingratitudine per premio ad una donna, la qual, vinta dalle false lusinghe, dalle lacrime finte, dai preghi continui, dai lamenti, dalle arti, insidie e periuri, s'ha lassato indurre ad amar troppo; poi, senza riservo, s'è data incautamente in preda a cosí maligno spirto? Ma per respondervi ancor a questa inaudita continenzia d'Alessandro e di Scipione, che avete allegata, dico ch'io non voglio negare che e l'uno e l'altro non facesse atto degno di molta laude; nientedimeno, acciò che non possiate dire che per raccontarvi cose antiche io vi narri fabule, voglio allegarvi una donna de' nostri tempi di bassa condizione, la quale mostrò molto maggior continenzia che questi cui grand'omini.

 

 

 

XLIII.

 

Dico adunque che io già conobbi una bella e delicata giovane, il nome della quale non vi dico per non dar materia di dir male a molti ignoranti, i quali súbito che intendono una donna esser innamorata, ne fan mal concetto. Questa adunque, essendo lungamente amata da un nobile e ben condicionato giovane, si volse con tutto l'animo e cor suo ad amar lui; e di questo non solamente io, al quale essa di sua voluntà ogni cosa confidentemente dicea, non altrimenti che s'io non dirò fratello, ma una sua intima sorella fussi stato, ma tutti quelli che la vedeano in presenzia dell'amato giovane erano ben chiari della sua passione. Cosí, amando essa ferventissimamente quanto amar possa un amorevolissimo animo, durò dui anni in tanta continenzia, che mai non fece segno alcuno a questo giovane d'amarlo, se non quelli che nasconder non potea; né mai parlare gli volse, né da lui accettar lettere, né presenti, che dell'uno e dell'altro non passava mai giorno che non fosse sollicitata; e quanto lo desiderasse, io ben lo so; ché se talor nascostamente potea aver cosa che del giovane fosse stata, la tenea in tante delizie, che parea che da quella le nascesse la vita ed ogni suo bene; né pur mai in tanto tempo d'altro compiacer gli volse che di vederlo e di lassarsi vedere, e qualche volta intervenendo alle feste publiche ballar con lui, come con gli altri. E perché le condicioni dell'uno e dell'altra erano assai convenienti, essa e 'l giovane desideravano che un tanto amor terminasse felicemente ed esser insieme marito e moglie. Il medesimo desideravano tutti gli altri omini e donne di quella città, eccetto il crudel padre di lei, il qual per una perversa e strana opinion volse maritarla ad un altro piú ricco; ed in ciò dalla infelice fanciulla non fu con altro contradetto, che con amarissime lacrime. Ed essendo successo cosí mal avventurato matrimonio con molta compassion di quel populo e desperazion dei poveri amanti, non bastò però questa percossa di fortuna per estirpare cosí fundato amor dei cori né dell'uno né dell'altra; che dopo ancor per spacio di tre anni durò, avvegna che essa prudentissimamente lo dissimulasse e per ogni via cercasse di troncar que' desidèri, che ormai erano senza speranza. Ed in questo tempo seguitò sempre la sua ostinata voluntà della continenzia; e vedendo che onestamente aver non potea colui che essa adorava al mondo, elesse non volerlo a modo alcuno e seguitar il suo costume di non accettare ambasciate, né doni, né pur sguardi suoi; e con questa terminata voluntà la meschina, vinta dal crudelissimo affanno e divenuta per la lunga passione estenuatissima, in capo di tre anni se ne morí; e prima volse rifutare i contenti e piacer suoi tanto desiderati, in ultimo la vita propria, che la onestà. Né le mancavan modi e vie da satisfarsi secretissimamente e senza pericolo d'infamia o d'altra perdita alcuna; e pur s'astenne da quello che tanto da sé desiderava e di che tanto era continuamente stimulata da quella persona, che sola al mondo desiderava di compiacere; né a ciò si mosse per paura, o per alcun altro rispetto, che per lo solo amore della vera virtú. Che direte voi d'un'altra, la quale in sei mesi quasi ogni notte giacque con un suo carissimo innamorato; nientedimeno, in un giardino copioso di dolcissimi frutti, invitata dall'ardentissimo suo proprio desiderio e da' preghi e lacrime di chi piú che la propria vita le era caro, s'astenne dal gustarli; e benché fosse presa e legata ignuda nella stretta catena di quelle amate braccia, non si rese mai per vinta, ma conservò immaculato il fior della onestà sua?

 

 

 

XLIV.

 

Parvi, signor Gasparo, che questi sian atti di continenzia equali a quella d'Alessandro? il quale, ardentissimamente innamorato non delle donne di Dario, ma di quella fama e grandezza che lo spronava coi stimuli della gloria a patir fatiche e pericoli per farsi immortale, non che le altre cose ma la propria vita sprezzava per acquistar nome sopra tutti gli omini; e noi ci maravigliamo che con tai pensieri nel core s'astenesse da una cosa la qual molto non desiderava? Ché, per non aver mai piú vedute quelle donne, non è possibile che in un punto l'amasse, ma ben forse l'aborriva, per rispetto di Dario suo nemico; ed in tal caso ogni suo atto lascivo verso di di quelle saria stato iniuria e non amore; e però non è gran cosa che Alessandro, il quale non meno con la magnanimità che con l'arme vinse il mondo, s'astenesse da far ingiuria a femine. La continenzia ancor di Scipione è veramente da laudar assai; nientedimeno, se ben considerate, non è da agguagliare a quella di queste due donne; perché esso ancora medesimamente s'astenne da cosa non desiderata, essendo in paese nemico, capitano novo, nel principio d'una impresa importantissima; avendo nella patria lassato tanta aspettazion di sé ed avendo ancor a rendere cunto a giudici severissimi, i quali spesso castigavano non solamente i grandi ma i piccolissimi errori; e tra essi sapea averne de' nemici; conoscendo ancor che, s'altramente avesse fatto, per esser quella donna nobilissima e ad un nobilissimo signor maritata, potea concitarsi tanti nemici e talmente, che molto gli arian prolungata e forse in tutto tolta la vittoria. Cosí per tante cause e di tanta importanzia s'astenne da un leggero e dannoso appetito, mostrando continenzia ed una liberale integrità; la quale, come si scrive, gli diede tutti gli animi di que' populi e gli valse un altro esercito ad espugnar con benivolenzia i cori, che forse per forza d'arme sariano stati inespugnabili; sicché questo piú tosto un stratogema militare dir si poria, che pura continenzia: avvegna ancora che la fama di questo non sia molto sincera, perché alcuni scrittori d'autorità affermano questa giovane esser stata da Scipion goduta in amorose delizie; ma di quello che vi dico io, dubbio alcuno non è -.

 

 

 

XLV.

 

Disse il Frigio: - Dovete averlo trovato negli Evangeli. - Io stesso l'ho veduto, - rispose messer Cesare, - e però n'ho molto maggior certezza che non potete aver né voi né altri, che Alcibiade si levasse dal letto di Socrate non altrimenti che si facciano i figioli dal letto dei padri; ché pur strano loco e tempo era il letto e la notte per contemplar quella pura bellezza, la qual si dice che amava Socrate senza alcun desiderio disonesto; massimamente amando piú la bellezza dell'animo che del corpo, ma nei fanciulli e no nei vecchi, ancor che siano piú savi. E certo non si potea già trovar miglior esempio per laudar la continenzia degli omini che quello di Senocrate; che essendo versato negli studi, astretto ed obligato dalla profession sua, che è la filosofia, la quale consiste nei boni costumi e non nelle parole, vecchio, esausto del vigor naturale, non potendo né mostrando segno di potere, s'astenne da una femina publica, la quale per questo nome solo potea venirgli a fastidio. Piú crederci che fosse stato continente se qualche segno de risentirsi avesse dimostrato, ed in tal termine usato la continenzia; o vero astenutosi da quello che i vecchi piú desiderano che le battaglie di Venere, cioè dal vino; ma per comprobar ben la continenzia senile, scrivesi che di questo era pieno e grave. E qual cosa dir si po piú aliena dalla continenzia d'un vecchio, che la ebrietà? e se lo astenerse dalle cose veneree in quella pigra e fredda età merita tanta laude, quanta ne deve meritar in una tenera giovane, come quelle due di chi dianzi v'ho detto? delle quali l'una imponendo durissime leggi a tutti i sensi suoi, non solamente agli occhi negava la sua luce, ma toglieva al core quei pensieri, che soli lungamente erano stati dulcissimo cibo per tenerlo in vita; l'altra, ardente inamorata, ritrovandosi tante volte sola nelle braccia di quello che piú assai che tutto 'l resto del mondo amava, contra se stessa e contra colui che piú che se stessa le era caro combattendo, vincea quello ardente desiderio che spesso ha vinto e vince tanti savi omini. Non vi pare ora, signor Gasparo, che dovessino i scrittori vergognarsi di far memoria di Senocrate in questo caso e chiamarlo per continente? ché chi potesse sapere, io metterei pegno che esso tutta quella notte sino al giorno seguente ad ora di desinare dormí come morto, sepulto nel vino; né mai, per stropicciar che gli facesse quella femina, poté aprir gli occhi, come se fusse stato allopiato -.

 

 

 

XLVI.

 

Quivi risero tutti gli omini e donne; e la signora Emilia, pur ridendo, - Veramente, - disse, - signor Gasparo, se vi pensate un poco meglio, credo che trovarete ancor qualche altro bello esempio di continenzia simile a questo -. Rispose messer Cesare: - Non vi pare, Signora, che bello esempio di continenzia sia quello altro che egli ha allegato di Pericle? Maravigliomi ben che 'l non abbia ancor ricordato la continenzia e quel bel detto che si scrive di colui, a chi una donna domandò troppo gran prezzo per una notte ed esso le rispose che non comprava cosí caro il pentirsi -. Rideasi tuttavia; e messer Cesare, avendo alquanto tacciuto, - Signor Gasparo, - disse, - perdonatime s'io dico il vero, perché in somma queste sono le miraculose continenzie che di se stessi scrivono gli omini, accusando per incontinenti le donne, nelle quali ogni dí si veggono infiniti segni di continenzia; ché certo, se ben considerate, non è ròcca tanto inespugnabile né cosí ben diffesa, che essendo combattuta con la millesima parte delle machine ed insidie, che per espugnar il constante animo d'una donna s'adoprano, non si rendesse al primo assalto. Quanti creati da signori, e da essi fatti ricchi e posti in grandissima estimazione, avendo nelle mani le lor fortezze e ròcche, onde dependeva tutto 'l stato e la vita ed ogni ben loro, senza vergogna o cura d'esser chiamati traditori, le hanno perfidamente per avarizia date a chi non doveano? e Dio volesse che a' dí nostri di questi tali fosse tanta carestia, che non avessimo molto maggior fatica a ritrovar qualcuno che in tal caso abbia fatto quello che dovea, che nominar quelli che hanno mancato. Non vedemo noi tant'altri che vanno ogni dí ammazzando omini per le selve e scorrendo per mare, solamente per rubar denari? Quanti prelati vendono le cose della chiesa di Dio? quanti iurisconsulti falsificano testamenti? quanti periuri fanno? quanti falsi testimoni, solamente per aver denari? quanti medici avvelenano gl'infermi per tal causa? quanti poi per paura della morte fanno cose vilissime? E pur a tutte queste cosí efficaci e dure battaglie spesso resiste una tenera e delicata giovane; ché molte sonosi trovate, le quali hanno eletto la morte piú presto che perder l'onestà -.

 

 

 

XLVII.

 

Allora il signor Gasparo, - Queste, - disse, - messer Cesare, credo che non siano al mondo oggidí -. Rispose messer Cesare: - Io non voglio ora allegarvi le antiche; dicovi ben questo, che molte si trovariano e trovansi, che in tal caso non si curan di morire. Ed or m'occorre nell'animo che quando Capua fu saccheggiata dai Franzesi, che ancora non è tanto tempo che voi nol possiate molto bene avere a memoria, una bella giovane gentildonna capuana, essendo condotta fuor di casa sua, dove era stata presa da una compagnia di Guasconi, quando giunse al fiume che passa per Capua finse volersi attaccare una scarpa tanto che colui che la menava un poco la lassò, ed essa súbito si gittò nel fiume. Che direte voi d'una contadinella, che non molti mesi fa, a Gazuolo in Mantoana, essendo ita con una sua sorella a raccórre spiche ne' campi, vinta dalla sete entrò in una casa per bere dell'acqua; dove il patron della casa, che giovane era, vedendola assai bella e sola, presala in braccio, prima con bone parole, poi con minacce, cercò d'indurla a far i suoi piaceri; e contrastando essa sempre piú ostinatamente, in ultimo con molte battiture e per forza la vinse. Essa cosí scapigliata e piangendo ritornò nel campo alla sorella, né mai, per molto ch'ella le facesse instanzia, dir volse che dispiacere avesse ricevuto in quella casa; ma tuttavia, caminando verso l'albergo e mostrando di racchetarsi a poco a poco e parlar senza perturbazione alcuna, le diede certe commissioni; poi, giunta che fu sopra Oglio, che è il fiume che passa accanto Gazuolo, allontanatasi un poco dalla sorella, la quale non sapea né imaginava ciò ch'ella si volesse fare, súbito vi si gittò dentro. La sorella dolente e piangendo l'andava secondando quanto piú potea lungo la riva del fiume, che assai velocemente la portava all'ingiú; ed ogni volta che la meschina risurgeva sopra l'acqua, la sorella le gittava una corda che seco avea recata per legar le spiche; e benché la corda piú d'una volta le pervenisse alle mani, perché pur era ancor vicina alla ripa, la costante e deliberata fanciulla sempre la rifiutava e dilungava da sé; e cosí fuggendo ogni soccorso che dar le potea vita, in poco spacio ebbe la morte; né fu questa mossa dalla nobilità di sangue, né da paura di piú crudel morte o d'infamia, ma solamente dal dolore della perduta virginità. Or di qui potete comprendere quante altre donne facciano atti dignissimi di memoria che non si sanno, poiché avendo questa, tre dí sono, si po dir, fatto un tanto testimonio della sua virtú, non si parla di lei, né pur se ne sa il nome. Ma se non sopragiungea in quel tempo la morte del vescovo di Mantua, zio della signora Duchessa nostra, ben saria adesso quella ripa d'Oglio, nel loco onde ella se gittò, ornata d'un bellissimo sepulcro per memoria di cosí gloriosa anima, che meritava tanto piú chiara fama dopo la morte, quanto in men nobil corpo vivendo era abitata -.

 

 

XLVIIL

 

Quivi fece messer Cesare un poco di pausa; poi suggiunse: - A' mei dí ancora in Roma intervenne un simil caso; e fu che una bella e nobil giovane romana, essendo lungamente seguitata da uno che molto mostrava amarla, non volse mai, non che d'altro, ma d'un sguardo solo compiacergli; di modo che costui per forza di denari corruppe una sua fante; la quale, desiderosa di satisfarlo per toccarne piú denari, persuase alla patrona che un certo giorno non molto celebrato andasse a visitar la chiesa di san Sebastiano; ed avendo il tutto fatto intendere allo amante e mostratogli ciò che far dovea, condusse la giovane in una di quelle grotte oscure che soglion visitar quasi tutti quei che vanno a san Sebastiano; ed in questa tacitamente s'era nascosto prima il giovane, il quale, ritrovandosi solo con quella che amava tanto, cominciò con tutti i modi a pregarla piú dolcemente che seppe che volesse avergli compassione e mutar la sua passata durezza in amore; ma poi che vide tutti i prieghi esser vani, si volse alle minacce; non giovando ancora queste, cominciò a batterla fieramente; in ultimo, essendo in ferma disposizion d'ottener lo intento suo, se non altrimenti, per forza, ed in ciò operando il soccorso della malvagia femina che quivi l'aveva condotta, mai non potè tanto fare che essa consentisse; anzi e con parole e con fatti, benché poche forze avesse, la meschina giovane si diffendeva quanto le era possibile; di modo che tra per lo sdegno conceputo, vedendosi non poter ottener quello che volea, tra per la paura che non forse i parenti di lei, se risapeano la cosa, gli ne facessino portar la pena, questo scelerato, aiutato dalla fante, la quale del medesimo dubitava, affogò la mal avventurata giovane e quivi la lassò; e fuggitosi, procurò di non esser trovato. La fante, dallo error suo medesimo acciecata, non seppe fuggire, e presa per alcuni indici confessò ogni cosa; onde ne fu come meritava castigata. Il corpo della costante e nobil donna con grandissimo onore fu levato di quella grotta e portato alla sepultura in Roma, con una corona in testa di lauro, accompagnato da un numero infinito d'omini e di donne, tra' quali non fu alcuno che a casa riportasse gli occhi senza lacrime; e cosí universalmente da tutto 'l populo fu quella rara anima non men pianta che laudata.

 

 

 

XLIX.

 

Ma per parlarvi di quelle che voi stesso conoscete, non vi ricorda aver inteso che andando la signora Felice dalla Rovere a Saona, e dubitando che alcune vele che s'erano scoperte fossero legni di papa Alessandro che la seguitassero, s'apparecchiò con ferma deliberazione, se si accostavano, e che rimedio non vi fusse di fuga, di gittarsi nel mare; e questo non si po già credere che lo facesse per leggerezza, perché voi cosí come alcun altro conoscete ben di quanto ingegno e prudenzia sia accompagnata la singular bellezza di quella signora. Non posso pur tacere una parola della signora Duchessa nostra, la quale, essendo vivuta quindeci anni in compagnia del marito come vidua, non solamente è stata costante di non palesar mai questo a persona del mondo, ma essendo dai suoi proprii stimulata ad uscir di questa viduità, elesse piú presto patir esilio, povertà ed ogn'altra sorte d'infelicità, che accettar quello che a tutti gli altri parea gran grazia e prosperità di fortuna; - e seguitando pur messer Cesare circa questo, disse la signora Duchessa: - Parlate d'altro e non intrate piú in tal proposito, ché assai dell'altre cose avete che dire -. Suggiunse messer Cesare: - So pur che questo non mi negherete, signor Gasparo, né voi, Frigio. - Non già, - rispose il Frigio; - ma una non fa numero -.

 

 

 

L.

 

Disse allora messer Cesare: - Vero è che questi cosí grandi effetti occorrono in poche donne; pur ancora quelle che resistono alle battaglie d'amore, tutte sono miracolose; e quelle che talor restano vinte sono degne di molta compassione; ché certo i stimuli degli amanti, le arti che usano, i lacci che tendono son tanti e cosí continui, che troppa maraviglia è che una tenera fanciulla fuggir gli possa. Qual giorno, qual ora passa mai, che quella combattuta giovane non sia dallo amante sollicitata con denari, con presenti e con tutte quelle cose che imaginar sa che le abbiano a piacere? A qual tempo affacciar mai si po alla finestra, che sempre non veda passar l'ostinato amante con silenzio di parole ma con gli occhi che parlano, col viso afflitto e languido, con quegli accesi sospiri, spesso con abundantissime lacrime? Quando mai si parte di casa per andar a chiesa o ad altro loco, che questo sempre non le sia innanzi e ad ogni voltar di contrata non se le affronti con quella trista passion dipinta negli occhi, che par che allor allora aspetti la morte? Lasso tante attillature, invenzioni, motti, imprese, feste, balli, giochi, maschere, giostre, torniamenti, le quai cose essa conosce tutte esser fatte per sé. La notte poi mai risvegliarsi non sa, che non oda musica, o almen quello inquieto spirito intorno alle mura della casa gittar sospiri e voci lamentevoli. Se per avventura parlar vole con una delle sue fanti, quella, già corrotta per denari, súbito ha apparecchiato un presentuzzo, una lettera, un sonetto, o tal cosa, da darle per parte dello amante; e quivi entrando a proposito, le fa intendere quanto arde questo meschino, come non cura la propria vita per servirla; e come da lei niuna cosa ricerca men che onesta e che solamente desidera parlarle. Quivi a tutte le difficultà si trovano rimedi, chiavi contrafatte, scale di corde, sonniferi; la cosa si dipinge di poco momento; dànnosi esempi di molt'altre che fanno assai peggio; di modo che ogni cosa tanto si fa facile, che essa niuna altra fatica ha che di dire: "Io son contenta"; e se pur la poverella per un tempo resiste, tanti stimuli le aggiungono, tanti modi trovano, che col continuo battere rompeno ciò che le osta. E molti sono che, vedendo le blandicie non giovargli, si voltano alle minacce e dicono volerle publicar per quelle che non sono ai lor mariti. Altri patteggiano arditamente coi padri e spesso con i mariti, i quali per denari o per aver favori dànno le proprie figliole e mogli in preda contra la lor voglia. Altri cercano con incanti e malie tôr loro quella libertà che Dio all'anime ha concessa; di che si vedono mirabili effetti. Ma io non saprei ridire in mill'anni tutte le insidie che opran gli omini per indur le donne alle lor voglie, che sono infinite; ed oltre a quelle che ciascun per se stesso ritrova non è ancora mancato chi abbia ingeniosamente composto libri, e postovi ogni studio per insegnar di che modo in questo s'abbiano ad ingannar le donne. Or pensate come da tante reti possano esser sicure queste semplici colombe, da cosí dolce esca invitate. E che gran cosa è adunque se una donna, veggendosi tanto amata ed adorata molt'anni da un bello, nobile ed accostumato giovane, il quale mille volte il giorno si mette a pericolo della morte per servirle, né mai pensa altro che di compiacerle, con quel continuo battere, che fa che l'acqua spezza i durissimi marmi, s'induce finalmente ad amarlo, e vinta da questa passione lo contenta di quello che voi dite che essa, per la imbecillità del sesso, naturalmente molto piú desidera che l'amante? Parvi che questo error sia tanto grave, che quella meschina, che con tante lusinghe è stata presa, non meriti almen quel perdono, che spesso agli omicidi, ai ladri, assassini e traditori si concede? Vorrete voi che questo sia vicio tanto enorme che, per trovarsi che qualche donna in esso incorre, il sesso delle donne debba esser sprezzato in tutto e tenuto universalmente privo di continenzia, non avendo rispetto che molte se ne trovano invittissime, che ai continui stimuli d'amore sono adamantine e salde nella lor infinita constanzia piú che i scogli all'onde del mare?

 

 

 

LI.

 

Allora il signor Gasparo, essendosi fermato messer Cesare di parlare, cominciava per rispondere; ma il signor Ottaviano ridendo, - Deh, per amor di Dio, - disse, - datigliela vinta, ch io conosco che voi farete poco frutto; e parmi vedere che v'acquistarete non solamente tutte queste donne per inimiche, ma ancora la maggior parte degli omini -. Rise il signor Gasparo e disse: - Anzi ben gran causa hanno le donne di ringraziarmi; perché s'io non avessi contradetto al signor Magnifico ed a messer Cesare, non si sariano intese tante laudi che essi hanno loro date -. Allora messer Cesare, - Le laudi, - disse, - che il signor Magnifico ed io avemo date alle donne ed ancora molte altre erano notissime, però sono state superflue. Chi non sa che senza le donne sentir non si po contento o satisfazione alcuna in tutta questa nostra vita, la quale senza esse saria rustica e priva d'ogni dolcezza e piú aspera che quella dell'alpestre fiere? Chi non sa che le donne sole levano de' nostri cori tutti li vili e bassi pensieri, gli affanni, le miserie e quelle turbide tristezze che cosí spesso loro sono compagne? E se vorremo ben considerar il vero, conosceremo ancora che, circa la cognizion delle cose grandi, non desviano gli ingegni, anzi gli svegliano; ed alla guerra fanno gli omini senza paura ed arditi sopra modo. E certo impossibil è che nel cor d'omo, nel qual sia entrato una volta fiamma d'amore, regni mai piú viltà; perché chi ama desidera sempre farsi amabile piú che po, e teme sempre non gli intervenga qualche vergogna che lo possa far estimar poco da chi esso desidera esser estimato assai; né cura d'andare mille volte il giorno alla morte, per mostrar d'esser degno di quell'amore; però chi potesse far un esercito d'innamorati, li quali combattessero in presenzia delle donne da loro amate, vinceria tutto 'l mondo, salvo se contra questo in opposito non fosse un altro esercito medesimamente innamorato. E crediate di certo che l'aver contrastato Troia dieci anni a tutta Grecia non procedette d'altro che d'alcuni innamorati, li quali, quando erano per uscir a combattere, s'armavano in presenzia delle lor donne, e spesso esse medesime gli aiutavano e nel partir diceano lor qualche parola che gli infiammava e gli facea piú che omini; poi nel combattere sapeano esser dalle lor donne mirati dalle mura e dalle torri; onde loro parea che ogni ardir che mostravano, ogni prova che faceano, da esse riportasse laude; il che loro era il maggior premio che aver potessero al mondo. Sono molti che estimano la vittoria del re di Spagna Ferrando ed Isabella contra il re di Granata esser proceduta gran parte dalle donne; ché il piú delle volte quando usciva lo esercito di Spagna per affrontar gli inimici, usciva ancora la regina Isabella con tutte le sue damigelle e quivi si ritrovavano molti nobili cavalieri innamorati; li quali finché giongeano al loco di veder gli nemici, sempre andavano parlando con le lor donne; poi, pigliando licenzia ciascun dalla sua, in presenzia loro andavano ad incontrar gli nimici con quell'animo feroce che dava loro amore, e 'l desiderio di far conoscere alle sue signore che erano servite da omini valorosi; onde molte volte trovaronsi pochissimi cavalieri spagnoli mettere in fuga ed alla morte infinito numero di Mori, mercè delle gentili ed amate donne. Però non so, signor Gasparo, qual perverso giudicio v'abbia indutto a biasimar le donne.

 

 

 

LII.

 

Non vedete voi che di tutti gli esercizi graziosi e che piaceno al mondo a niun altro s'ha da attribuire la causa, se alle donne no? Chi studia di danzare e ballar leggiadramente per altro, che per compiacere a donne? Chi intende nella dolcezza della musica per altra causa, che per questa? Chi a compor versi, almen nella lingua vulgare, se non per esprimere quegli affetti che dalle donne sono causati? Pensate di quanti nobilissimi poemi saremmo privi, e nella lingua greca e nella latina, se le donne fossero state da' poeti poco estimate. Ma lassando tutti gli altri, non saria grandissima perdita se messer Francesco Petrarca, il qual cosí divinamente scrisse in questa nostra lingua gli amor suoi, avesse volto l'animo solamente alle cose latine, come aría fatto se l'amor di madonna Laura da ciò non l'avesse talor desviato? Non vi nomino i chiari ingegni che sono ora al mondo e qui presenti, che ogni dí parturiscono qualche nobil frutto e pur pigliano subietto solamente dalle bellezze e virtú delle donne. Vedete che Salomone, volendo scrivere misticamente cose altissime e divine, per coprirle d'un grazioso velo finse un ardente ed affettuoso dialogo d'uno innamorato con la sua donna, parendogli non poter trovar qua giú tra noi similitudine alcuna piú conveniente e conforme alle cose divine, che l'amor verso le donne; ed in tal modo volse darci un poco d'odor di quella divinità, che esso e per scienzia e per grazia piú che gli altri conoscea. Però non bisognava, signor Gasparo, disputar di questo, o almen con tante parole; ma voi col contradire alla verità avete impedito che non si siano intese mill'altre cose belle ed importanti circa la perfezion della donna di palazzo -. Rispose il signor Gasparo: - Io credo che altro non vi si possa dire; pur se a voi pare che il signor Magnifico non l'abbia adornata a bastanza di bone condicioni, il diffetto non è stato il suo, ma di chi ha fatto che piú virtú non siano al mondo, perché esso le ha date tutte quelle che vi sono -. Disse la signora Duchessa ridendo: - Or vedrete che 'l signor Magnifico pur ancor ne ritroverà qualche altra -. Rispose il Magnifico: - In vero, Signora, a me par d'aver detto assai e, quanto per me, contentomi di questa mia donna; e se questi signori non la voglion cosí fatta, lassinla a me -.

 

 

 

LIII.

 

Quivi tacendo ognuno, disse messer Federico: - Signor Magnifico, per stimularvi a dir qualche altra cosa, voglio pur farvi una domanda circa quello che avete voluto che sia la principal professione della donna di palazzo, ed è questa; ch'io desidero intendere come ella debba intertenersi circa una particularità che mi pare importantissima; ché, benché le eccellenti condicioni da voi attribuitele includino ingegno, sapere, giudicio, desterità, modestia e tant'altre virtú, per le quali ella dee ragionevolmente saper intertenere ogni persona e ad ogni proposito, estimo io però che piú che alcuna altra cosa le bisogni saper quello che appartiene ai ragionamenti d'amore; perché, secondo che ogni gentil cavaliero usa per instrumento d'acquistar grazia di donne quei nobili esercizi, attillature e bei costumi che avemo nominati, a questo effetto adopra medesimamente le parole; e non solo quando è astretto da passione, ma ancora spesso per far onore a quella donna con cui parla, parendogli che 'l mostrar d'amarla sia un testimonio che ella ne sia degna e che la bellezza e meriti suoi sian tanti, che sforzino ognuno a servirla. Però vorrei sapere come debba questa donna circa tal proposito intertenersi discretamente e come rispondere a chi l'ama veramente e come a chi ne fa dimostrazion falsa; e se dee dissimular d'intendere, o corrispondere, e rifiutare, e come governarsi -.

 

 

 

LIV.

 

Allor il signor Magnifico, - Bisogneria prima, - disse, insegnarle a conoscer quelli che simulan d'amare e quelli che amano veramente; poi, del corrispondere in amore o no, credo che non si debba governar per voglia d'altrui, che di se stessa -. Disse messer Federico: - Insegnatele adunque quai siano i piú certi e sicuri segni per discernere l'amor falso dal vero, e di qual testimonio ella se debba contentar per esser ben chiara dell'amore mostratole -. Rispose ridendo il Magnifico: - Io non lo so perché gli omini oggidí sono tanto astuti, che fanno infinite dimostrazion false e talor piangono quando hanno ben gran voglia di ridere; però bisogneria mandargli all'Isola Ferma, sotto l'arco dei leali innamorati. Ma acciò che questa mia donna, della quale a me convien aver particular protezione per esser mia creatura, non incorra in quegli errori ch'io ho veduto incorrere molt'altre, io direi ch'ella non fosse facile a creder d'esser amata; né facesse come alcune, che non solamente non mostrano di non intendere chi lor parla d'amore, ancora che copertamente, ma alla prima parola accettano tutte le laudi che lor son date, o ver le negano d'un certo modo, che è piú presto un invitare d'amore quelli coi quali parlano, che ritrarsi. Però la maniera dell'intertenersi nei ragionamenti d'amore, ch'io voglio che usi la mia donna di palazzo, sarà il rifiutar di creder sempre che chi le parla d'amore, l'ami però; e se quel gentilomo sarà, come pur molti se ne trovano, prosuntuoso e che le parli con poco rispetto, essa gli darà tal risposta, che 'l conoscerà chiaramente che le fa dispiacere; se ancora sarà discreto ed usarà termini modesti e parole d'amore copertamente, con quel gentil modo che io credo che faria il cortegiano formato da questi signori, la donna mostrerà non l'intendere e tirarà le parole ad altro significato, cercando sempre modestamente, con quello ingegno e prudenzia che già s'è detto convenirsele, uscir di quel proposito. Se ancor il ragionamento sarà tale, che ella non possa simular di non intendere, pigliarà il tutto come per burla, mostrando di conoscere che ciò se le dica piú presto per onorarla che perché cosí sia, estenuando i meriti suoi ed attribuendo a cortesia di quel gentilomo le laudi che esso le darà; ed in tal modo si farà tener per discreta, e sarà piú sicura dagli inganni. Di questo modo parmi che debba intertenersi la donna di palazzo circa i ragionamenti d'amore -.

 

 

 

LV.

 

Allora messer Federico, - Signor Magnifico, - disse, - voi ragionate di questa cosa, come che sia necessario che tutti quelli che parlano d'amore con donne dicano le bugie e cerchino d'ingannarle; il che se cosí fosse, direi che i vostri documenti fossero boni; ma se questo cavalier che intertiene ama veramente e sente quella passion che tanto affligge talor i cori umani, non considerate voi in qual pena, in qual calamità e morte lo ponete, volendo che la donna non gli creda mai cosa che dica a questo proposito? Dunque i scongiuri, le lacrime e tant'altri segni non debbono aver forza alcuna? Guardate, signor Magnifico, che non si estimi che, oltre alla naturale crudeltà che hanno in sé molte di queste donne, voi ne insegnate loro ancora di piú -. Rispose il Magnifico: - Io ho detto non di chi ama, ma di chi intertiene con ragionamenti amorosi, nella qual cosa una delle piú necessarie condicioni è che mai non manchino parole; e gli innamorati veri, come hanno il core ardente, cosí hanno la lingua fredda, col parlar rotto e súbito silenzio; però forsi non saria falsa proposizione il dire: chi ama assai parla poco. Pur di questo credo che non si possa dar certa regula, per la diversità dei costumi degli omini; né altro dir saprei, se non che la donna sia ben cauta, e sempre abbia a memoria che con molto minor periculo posson gli omini mostrar d'amare, che le donne -.

 

 

 

LVI.

 

Disse il signor Gasparo ridendo: - Non volete voi, signor Magnifico, che questa vostra cosí eccellente donna essa ancora ami, almen quando conosce veramente esser amata? Atteso che se 'l cortegiano non fosse redamato, non è già credibile che continuasse in amare lei; e cosí le mancheriano molte grazie, e massimamente quella servitú e riverenzia, con la quale osservano e quasi adorano gli amanti la virtú delle donne amate. Di questo, - rispose il Magnifico, - non la voglio consigliare io; dico ben che lo amar come voi ora intendete estimo che convenga solamente alle donne non maritate; perché quando questo amore non po terminare in matrimonio, è forza che la donna n'abbia sempre quel remorso e stimulo che s'ha delle cose illicite, e si metta a periculo di macular quella fama d'onestà che tanto l'importa -. Rispose allora messer Federico ridendo: - Questa vostra opinion, signor Magnifico, mi par molto austera, e penso che l'abbiate imparata da qualche predicator, di quelli che riprendon le donne innamorate de' seculari per averne essi miglior parte; e parmi che imponiate troppo dure leggi alle maritate, perché molte se ne trovano, alle quali i mariti senza causa portano grandissimo odio e le offendono gravemente, talor amando altre donne, talor facendo loro tutti i dispiaceri che sanno imaginare; alcune sono dai padri maritate per forza a vecchi, infermi, schifi e stomacosi, che le fan vivere in continua miseria. E se a queste tali fosse licito fare il divorzio e separarsi da quelli co' quali sono mal congiunte, non saria forse da comportar loro che amassero altri che 'l marito; ma quando, o per le stelle nemiche, o per la diversità delle complessioni, o per qualche altro accidente, occorre che nel letto, che dovrebbe esser nido di concordia e d'amore, sparge la maledetta furia infernale il seme del suo veneno, che poi produce lo sdegno, il suspetto e le pungenti spine dell'odio che tormenta quelle infelici anime, legate crudelmente nella indissolubil catena insino alla morte, perché non volete voi che a quella donna sia licito cercar qualche refrigerio a cosí duro flagello e dar ad altri quello che dal marito è non solamente sprezzato, ma aborrito? Penso ben che quelle che hanno i mariti convenienti e da essi sono amate, non debbano fargli ingiuria; ma l'altre, non amando chi ama loro, fanno ingiuria a se stesse. - Anzi a se stesse fanno ingiuria amando altri che il marito, - rispose il Magnifico. - Pur, perché molte volte il non amare non è in arbitrio nostro, se alla donna di palazzo occorrerà questo infortunio che l'odio del marito o l'amor d'altri la induca ad amare, voglio che ella niuna altra cosa allo amante conceda eccetto che l'animo; né mai gli faccia dimostrazion alcuna certa d'amore, né con parole, né con gesti, né per altro modo, tal che esso possa esserne sicuro -.

 

 

 

LVII.

 

Allora messer Roberto da Bari, pur ridendo, - Io, - disse, - signor Magnifico, mi appello di questa vostra sentenzia e penso che averò molti compagni; ma poiché pur volete insegnar questa rusticità, per dir cosí, alle maritate, volete voi che le non maritate siano esse ancora cosí crudeli e discortesi e che non compiacciano almen in qualche cosa i loro amanti? Se la mia donna di palazzo, - rispose il signor Magnifico, non sarà maritata, avendo d'amare voglio che ella ami uno col quale possa maritarsi; né reputarò già errore che ella gli faccia qualche segno d'amore; della qual cosa voglio insegnarle una regula universale con poche parole, acciò che ella possa ancora con poca fatica tenerla a memoria: e questa è che ella faccia tutte le demostrazioni d'amore a chi l'ama, eccetto quelle che potessero indur nell'animo dell'amante speranza di conseguir da lei cosa alcuna disonesta. Ed a questo bisogna molto avvertire, perché è uno errore dove incorrono infinite donne, le quali per l'ordinario niun'altra cosa desiderano piú che l'esser belle; e perché lo avere molti innamorati ad esse par testimonio della lor bellezza, mettono ogni studio per guadagnarne piú che possono; però scorrono spesso in costumi poco moderati, e lassando quella modesia temperata che tanto lor si conviene, usano certi sguardi procaci, con parole scurili ed atti pieni di impudenzia, parendo lor che per questo siano vedute ed udite voluntieri, e che con tai modi si facciano amare; il che è falso, perché le demostrazioni che si fan loro nascono da un appetito mosso da opinion di facilità, non d'amore. Però voglio che la mia donna di palazzo non con modi disonesti paia quasi che s'offerisca a chi la vole ed uccelli piú che po gli occhi e la voluntà di chi la mira, ma con i meriti e virtuosi costumi suoi, con la venustà, con la grazia induca nell'animo di chi la vede quello amor vero che si deve a tutte le cose amabili, e quel rispetto che leva sempre la speranza di chi pensa a cosa disonesta. Colui adunque che sarà da tal donna amato, ragionevolmente devrà contentarsi d'ogni minima demostrazione, ed apprezzar piú da lei un sol sguardo con affetto d'amore, che l'essere in tutto signor d'ogni altra; ed io a cosí fatta donna non saprei aggiunger cosa alcuna, se non che ella fosse amata da cosí eccellente cortegiano come hanno formato questi signori, e che essa ancor amasse lui, acciò che e l'uno e l'altra avesse totalmente la sua perfezione -.

 

 

 

LVIII.

 

Avendo insin qui detto, il signor Magnifico taceasi, quando il signor Gasparo ridendo, - Or, - disse, - non potrete già dolervi che 'l signor Magnifico non abbia formato la donna di palazzo eccellentissima e da mo, se una tal se ne trova, io dico ben che ella merita esser estimata eguale al cortegiano -. Rispose la signora Emilia: - Io m'obligo trovarla, sempre che voi trovarete il cortegiano -. Suggiunse messer Roberto: Veramente negar non si po che la donna formata dal signor Magnifico non sia perfettissima; nientedimeno in queste ultime condicioni appartenenti allo amore parmi pur che esso l'abbia fatta un poco troppo austera, massimamente volendo che con le parole, gesti e modi suoi ella levi in tutto la speranza allo amante e lo confermi piú che ella po nella disperazione; ché, come ognun sa, li desidèri umani non si estendono a quelle cose, delle quali non s'ha qualche speranza. E benché già si siano trovate alcune donne le quali, forse superbe per la bellezza e valor loro, la prima parola che hanno detta a chi lor ha parlato d'amore è stata che non pensino aver mai da lor cosa che vogliano, pur con lo aspetto e con le accoglienze sono lor poi state un poco piú graziose, di modo che con gli atti benigni hanno temperato in parte le parole superbe; ma se questa donna e con gli atti e con le parole e coi modi leva in tutto la speranza, credo che 'l nostro cortegiano, se egli sarà savio, non l'amerà mai, e cosí essa averà questa imperfezion di trovarsi senza amante -.

 

 

 

LIX.

 

Allor il signor Magnifico, - Non voglio, - disse, - che la mia donna di palazzo levi la speranza d'ogni cosa, ma delle cose disoneste, le quali, se 'l cortegiano sarà tanto cortese e discreto come l'hanno formato questi signori, non solamente non le sperarà, ma pur non le desiderarà; perché se la bellezza, i costumi, l'ingegno, la bontà, il sapere, la modestia e tante altre virtuose condicioni che alla donna avemo date, saranno la causa dell'amor del cortegiano verso lei, necessariamente il fin ancora di questo amore sarà virtuoso; e se la nobilità, il valor nell'arme, nelle lettere, nella musica, la gentilezza, l'esser nel parlar, nel conversar pien di tante grazie, saranno i mezzi con i quali il cortegiano acquistarà l'amor della donna, bisognerà che 'l fin di quello amore sia della qualità che sono i mezzi per li quali ad esso si perviene; oltra che, secondo che al mondo si trovano diverse maniere di bellezze, cosí si trovano ancora diversi desidèri d'omini; e però intervien che molti, vedendo una donna di quella bellezza grave, che andando, stando, motteggiando, scherzando e facendo ciò che si voglia, tempera sempre talmente tutti i modi suoi, che induce una certa riverenzia a chi la mira, si spaventano, né osano servirle; e piú presto, tratti dalla speranza, amano quelle vaghe e lusenghevoli, tanto delicate e tenere, che nelle parole, negli atti e nel mirar mostrano una certa passion languidetta, che promette poter facilmente incorrere e convertirsi in amore. Alcuni, per esser sicuri degli inganni, amano certe altre tanto libere e degli occhi e delle parole e dei movimenti, che fan ciò che prima lor viene in animo con una certa simplicità che non nasconde i pensier suoi. Non mancano ancor molti altri animi generosi, i quali, parendo loro che la virtú consista circa la difficultà e che troppo dolce vittoria sia il vincer quello che ad altri pare inespugnabile, si voltano facilmente ad amar le bellezze di quelle donne, che negli occhi, nelle parole e nei modi mostrano piú austera severità che l'altre, per far testimonio che 'l valor loro po sforzare un animo ostinato e indur ad amar ancor le voglie ritrose e rubelle d'amore. Però questi tanto confidenti di se stessi, perché si tengono securi di non lassarsi ingannare, amano ancor volentieri certe donne, che con sagacità ed arte pare che nella bellezza coprano mille astuzie; o veramente alcun'altre, che hanno congiunta con la bellezza una manera sdegnosetta di poche parole, pochi risi, con modo quasi d'apprezzar poco qualunque le mira o le serva. Trovansi poi certi altri, che non degnano amar se non donne che nell'aspetto, nel parlare ed in tutti i movimenti suoi portino tutta la leggiadria, tutti i gentil costumi, tutto 'l sapere e tutte le grazie unitamente cumulate, come un sol fior composto di tutte le eccellenzie del mondo. Sí che se la mia donna di palazzo averà carestia di quegli amori mossi da mala speranza, non per questo restarà senza amante; perché non le mancheran quei che saranno mossi e dai meriti di lei e dalla confidenzia del valor di se stessi, per lo quale si conosceran degni d'essere da lei amati -.

 

 

 

LX.

 

Messer Roberto pur contradicea, ma la signora Duchessa gli diede il torto, confirmando la ragion del signor Magnifico; poi suggiunse: - Noi non abbiam causa di dolersi del signor Magnifico, perché in vero estimo che la donna di palazzo da lui formata possa star al paragon del cortegiano ed ancor con qualche vantaggio; perché le ha insegnato ad amare, il che non han fatto questi signori al suo cortegiano -. Allora l'Unico Aretino, - Ben è conveniente, - disse, - insegnar alle donne lo amare, perché rare volte ho io veduto alcuna che far lo sappia; ché quasi sempre tutte accompagnano la lor bellezza con la crudeltà ed ingratitudine verso quelli che piú fidelmente le serveno e che per nobilità, gentilezza e virtù meritariano premio de' loro amori; e spesso poi si dànno in preda ad omini sciocchissimi e vili e da poco, e che non solamente non le amano, ma le odiano. Però, per schifar questi cosí enormi errori, forsi era ben insegnare loro prima il far elezione di chi meritasse essere amato, e poi lo amarlo; il che degli omini non è necessario, ché pur troppo per se stessi lo sanno; ed io ne posso esser bon testimonio, perché lo amare a me non fu mai insegnato, se non dalla divina bellezza e divinissimi costumi d'una Signora, talmente che nell'arbitrio mio non è stato il non adorarla, non che ch'io in ciò abbia avuto bisogno d'arte o maestro alcuno; e credo che 'l medesimo intervenga a tutti quelli che amano veramente; però piú tosto si converria insegnar al cortegiano il farsi amare che lo amare

 

 

 

LXI.

 

Allora la signora Emilia, - Or di questo adunque ragionate, - disse, - signor Unico -. Rispose l'Unico: - Parmi che la ragion vorrebbe che col servire e compiacer le donne s'acquistasse la lor grazia; ma quello di che esse si tengon servite e compiacciute, credo che bisogni impararlo dalle medesime donne, le quali spesso desideran cose tanto strane, che non è omo che le imaginasse, e talor esse medesime non sanno ciò che si desiderino; perciò è bene che voi, Signora, che sète donna e ragionevolmente dovete sapere quello che piace alle donne, pigliate questa fatica per far al mondo una tanta utilità -. Allor disse la signora Emilia: - Lo esser voi gratissimo universalmente alle donne è bono argumento che sappiate tutti e modi per li quali s'acquista la lor grazia; però è pur conveniente che voi l'insegnate. - Signora, - rispose l'Unico, io non saprei dar ricordo piú utile ad uno amante che 'l procurar che voi non aveste autorità con quella donna, la grazia della quale esso cercasse; perché qualche bona condicione, che pur è paruto al mondo talor che in me sia, col piú sincero amore che fosse mai, non hanno avuto tanta forza di far ch'io fussi amato, quanta voi di far che fussi odiato -.

 

 

 

LXII.

 

Rispose allor la signora Emilia: - Signor Unico, guardimi Dio pur di pensar, non che operar mai cosa perché foste odiato; ché oltre ch'io farei quello che non debbo, sarei estimata di poco giudicio, tentando lo impossibile; ma io, poiché voi mi stimulate con questo modo a parlare di quello che piace alle donne, parlerò; e se vi dispiacerà, datene la colpa a voi stesso. Estimo io adunque che chi ha da esser amato debba amare ed esser amabile e che queste due cose bastino per acquistar la grazia delle donne. Ora, per rispondere a quello di che voi m'accusate, dico che ognun sa e vede che voi siete amabilissimo; ma che amiate cosí sinceramente come dite sto io assai dubbiosa, e forse ancora gli altri; perché l'esser voi troppo amabile ha causato che siete stato amato da molte donne, ed i gran fiumi divisi in piú parti divengono piccoli rivi; cosí ancora l'amor diviso in piú che in un obietto, ha poca forza; ma questi vostri continui lamenti ed accusare in quelle donne che avete servite la ingratitudine, la qual non è verisimile, atteso tanti vostri meriti, è una certa sorte di secretezza per nasconder le grazie, i contenti e i piaceri da voi conseguiti in amore, ed assicurar quelle donne che v'amano e che vi si son date in preda, che non le publichiate; e però esse ancora si contentano che voi cosí apertamente con altre mostriate amori falsi per coprire i lor veri; onde se quelle donne, che voi ora mostrate d'amare, non son cosí facili a crederlo come vorreste, interviene perché questa vostra arte in amore comincia ad esser conosciuta, non perch'io vi faccia odiare -.

 

 

 

LXIII.

 

Allor il signor Unico, - Io, - disse, - non voglio altrimenti tentar di confutar le parole vostre, perché ormai parmi cosí fatale il non esser creduto a me la verità, come l'esser creduto a voi la bugia. - Dite pur, signor Unico, - rispose la signora Emilia, - che voi non amate cosí come vorreste che fosse creduto; ché se amaste, tutti i desidèri vostri sariano di compiacer la donna amata e voler quel medesimo che essa vole, ché questa è la legge d'amore; ma il vostro tanto dolervi di lei denota qualche inganno, come ho detto, o veramente fa testimonio che voi volete quello che essa non vole. - Anzi, disse il signor Unico, - voglio io ben quello che essa vole, che è argumento ch'io l'amo; ma dolgomi perché essa non vol quello che voglio io, che è segno che non mi ama, secondo la medesima legge che voi avete allegata -. Rispose la signora Emilia: - Quello che comincia ad amare deve ancora cominciare a compiacere ed accommodarsi totalmente alle voglie della cosa amata e con quelle governar le sue; e far che i proprii desidèri siano servi e che l'anima sua istessa sia come obediente ancella, né pensi mai ad altro che a transformarsi, se possibil fosse, in quella della cosa amata, e questo reputar per sua somma felicità; perché cosí fan quelli che amano veramente. - A punto la mia somma felicità, - disse il signor Unico, sarebbe se una voglia sola governasse la sua e la mia anima. - A voi sta di farlo, - rispose la signora Emilia.

 

 

 

LXIV.

 

Allora messer Bernardo, interrompendo, - Certo è, - disse, - che chi ama veramente, tutti i suoi pensieri, senza che d'altri gli sia mostrato, indrizza a servire e compiacere la donna amata; ma perché talor queste amorevoli servitú non son ben conosciute, credo che oltre allo amare e servire sia necessario fare ancor qualche altra dimostrazione di questo amore tanto chiara, che la donna non possa dissimular di conoscere d'essere amata; ma con tanta modestia però, che non paia che se le abbia poca riverenzia. E perciò voi, Signora, che avete cominciato a dir come l'anima dello amante dee essere obediente ancella alla amata, insegnate ancor, di grazia, questo secreto, il quale mi pare importantissimo -. Rise messer Cesare e disse: - Se lo amante è tanto modesto che abbia vergogna di dirgliene, scrivaglielo -. Suggiunse la signora Emilia: - Anzi, se è tanto discreto come conviene, prima che lo faccia intendere alla donna devesi assecurar di non offenderla -. Disse allor il signor Gasparo: - A tutte le donne piace l'esser pregate d'amore, ancor che avessero intenzione di negar quello che loro si domanda -. Rispose il Magnifico Iuliano: - Voi v'ingannate molto; né io consigliarei il cortegiano che usasse mai questo termine, se non fusse ben certo di non aver repulsa

 

 

 

LXV.

 

- E che cosa deve egli adunque fare? - disse il signor Gasparo. Suggiunse il Magnifico: - Se pur vole scrivere o parlare, farlo con tanta modestia e cosí cautamente, che le parole prime tentino l'animo e tocchino tanto ambiguamente la Voluntà di lei, che le lassino modo ed uno certo esito di poter simulare di non conoscere, che que' ragionamenti importino amore, acciò che se trova difficultà, possa ritrarse, e mostrar d'aver parlato o scritto ad altro fine, per goder quelle domestiche carezze ed accoglienzie con sicurtà, che spesso le donne concedono a chi par loro che le pigli per amicizia; poi le negano, súbito che s'accorgono che siano ricevute per dimostrazion d'amore. Onde quelli che son troppo precipiti e si avventurano cosí prosuntuosamente con certe furie ed ostinazioni, spesso le pèrdono, e meritamente; perché ad ogni nobil donna pare sempre di essere poco estimata da chi senza rispetto la ricerca d'amore prima che l'abbia servita.

 

 

 

LXVI.

 

Però, secondo me, quella via che deve pigliar il cortegiano per far noto l'amor suo alla donna parmi che sia il mostrargliele coi modi piú presto che con le parole; ché veramente talor piú affetto d'amor si conosce in un suspiro, in un rispetto, in un timore, che in mille parole; poi far che gli occhi siano que' fidi messaggeri, che portino l'ambasciate del core; perché spesso con maggior efficacia mostran quello che dentro vi è di passione, che la lingua propria o lettere o altri messi, di modo che non solamente scoprono i pensieri, ma spesso accendono amore nel cor della persona amata; perché que' vivi spirti che escono per gli occhi, per esser generati presso al core, entrando ancor negli occhi, dove sono indrizzati come saetta al segno, naturalmente penetrano al core come a sua stanza ed ivi si confondono con quegli altri spirti e, con quella sottilissima natura di sangue che hanno seco, infettano il sangue vicino al core, dove son pervenuti, e lo riscaldano e fannolo a sé simile ed atto a ricevere la impression di quella imagine che seco hanno portata; onde a poco a poco andando e ritornando questi messaggeri la via per gli occhi al core e riportando l'esca e 'l focile di bellezza e di grazia, accendono col vento del desiderio quel foco che tanto arde e mai non finisce di consumare, perché sempre gli apportano materia di speranza per nutrirlo. Però ben dir si po che gli occhi siano guida in amore, massimamente se sono graziosi e soavi; neri di quella chiara e dolce negrezza, o vero azzurri; allegri e ridenti e cosí grati e penetranti nel mirar, come alcuni, nei quali par che quelle vie che dànno esito ai spiriti siano tanto profonde, che per esse si vegga insino al core. Gli occhi adunque stanno nascosi come alla guerra soldati insidiatori in agguato; e se la forma di tutto 'l corpo è bella e ben composta, tira a sé ed alletta chi da lontan la mira, fin a tanto che s'accosti; e súbito che è vicino, gli occhi saettano ed affaturano come venefíci; e massimamente quando per dritta linea mandano i raggi suoi negli occhi della cosa amata in tempo che essi facciano il medesimo; perché i spiriti s'incontrano ed in quel dolce intoppo l'un piglia la qualità dell'altro, come si vede d'un occhio infermo, che guardando fisamente in un sano gli dà la sua infirmità; sí che a me pare che 'l nostro cortegiano possa di questo modo manifestare in gran parte l'amor alla sua donna. Vero è che gli occhi, se non son governati con arte, molte volte scoprono piú gli amorosi desidèri a cui l'om men vorria, perché fuor per essi quasi visibilmente traluceno quelle ardenti passioni, le quali volendo l'amante palesar solamente alla cosa amata, spesso palesa ancor a cui piú desiderarebbe nasconderle. Però chi non ha perduto il fren della ragione si governa cautamente ed osserva i tempi, i lochi e quando bisogna s'astien da quel cosí intento mirare, ancora che sia dolcissimo cibo; perché troppo dura cosa è un amor publico -.

 

 

 

LXVII.

 

Rispose il conte Ludovico: - Talor ancora l'essere publico non nòce perché in tal caso gli omini spesso estimano che quegli amori non tendano al fine che ogni amante desidera, vedendo che poca cura si ponga per coprirli, né si faccia caso che si sappiano o no; e però col non negar si vendica l'om una certa libertà di poter publicamente parlare e star senza suspetto con la cosa amata; il che non avviene a quelli che cercano d'esser secreti, perché pare che sperino e siano vicini a qualche gran premio, il quale non voriano che altri risapesse. Ho io ancor veduto nascere ardentissimo amore nel core d'una donna verso uno, a cui per prima non avea pur una minima affezione, solamente per intendere che opinione di molti fusse che s'amassero insieme; e la causa di questo credo io che fosse, che quel giudicio cosí universale le parea bastante testimonio per farle credere che colui fosse degno dell'amor suo, e parea quasi che la fama le portasse l'ambasciate per parte dell'amante molto piú vere e piú degne d'esser credute, che non aría potuto far esso medesimo con lettere o con parole, o vero altra persona per lui. Però questa voce publica non solamente talor non nòce, ma giova -. Rispose il Magnifico: - Gli amori de' quali la fama è ministra, son assai pericolosi di far che l'omo sia mostrato a dito; e però chi ha da caminar per questa strada cautamente, bisogna che dimostri aver nell'animo molto minor foco che non ha, e contentarsi di quello che gli par poco e dissimular i desidèri, le gelosie, gli affanni e i piacer suoi e rider spesso con la bocca quando il cor piange, e mostrar d'esser prodigo di quello di che è avarissimo; e queste cose son tanto difficili da fare, che quasi sono impossibili. Però se 'l nostro cortegian volesse usar del mio consiglio, io lo confortarei a tener secreti gli amori suoi -.

 

 

 

LXVIII.

 

Allora messer Bernardo, - Bisogna, - disse, - adunque che voi questo gli insegnate, e parmi che non sia di piccola importanzia; perché oltre ai cenni, che talor alcuni cosí copertamente fanno, che quasi senza movimento alcuno quella persona che essi desidrano nel volto e negli occhi lor legge ciò che hanno nel core, ho io talor udito tra dui innamorati un lungo e libero ragionamento d'amore del quale non poteano però i circonstanti intender chiaramente particularitate alcuna, né certificarsi che fosse d'amore; e questo per la discrezione ed avvertenzia di chi ragionava; perché, senza far dimostrazione alcuna d'aver dispiacere d'essere ascoltati, dicevano secretamente quelle sole parole che importavano ed altamente tutte l'altre, che si poteano accommodare a diversi propositi -. Allor messer Federico, - Il parlar, - disse, - cosí minutamente di queste avvertenzie di secretezza, sarebbe uno andar drieto all'infinito; però io vorrei più tosto che si ragionasse un poco come debba lo amante mantenersi la grazia della sua donna, il che mi par molto piú necessario -.

 

 

 

LXIX.

 

Rispose il Magnifico: - Credo che que' mezzi che vagliono per acquistarla, vagliano ancor per mantenerla; e tutto questo consiste in compiacer la donna amata senza offenderla mai; però saria difficile darne regula ferma; perché per infiniti modi chi non è ben discreto fa errori talora che paion piccoli, nientedimeno offendeno gravemente l'animo della donna; e questo intervien piú che agli altri a quei che sono astretti dalla passione, come alcuni, che sempre che hanno modo di parlare a quella donna che amano, si lamentano e dolgono cosí acerbamente e voglion spesso cose tanto impossibili, che per quella importunità vengon a fastidio. Altri, se son punti da qualche gelosia, si lassan di tal modo trasportar dal dolore, che senza risguardo scorrono in dir mal di quello di chi hanno suspetto, e talor senza colpa di colui ed ancor della donna, e non vogliono ch'ella gli parli, o pur volga gli occhi a quella parte ove egli è; e spesso con questi modi non solamente offendon quella donna, ma son causa ch'ella s'induca ad amarlo; perché 'l timore che mostra talor d'avere uno amante che la sua donna non lassi lui per quell'altro, dimostra che esso si conosce inferior di meriti e di valor a colui, e con questa opinione la donna si move ad amarlo, ed accorgendosi che per mettergliele in disgrazia se ne dica male, ancor che sia vero non lo crede, e tuttavia l'ama piú -.

 

 

 

LXX.

 

Allora messer Cesare ridendo, - lo, - disse, - confesso non esser tanto savio, che potessi astenermi di dir male d'un mio rivale, salvo se voi non m'insegnaste qualche altro miglior modo da ruinarlo -. Rispose ridendo il signor Magnifico: Dicesi in proverbio che quando il nemico è nell'acqua insino alla cintura, se gli deve porger la mano e levarlo del pericolo; ma quando v'è insino al mento, mettergli il piede in sul capo e summergerlo tosto. Però sono alcuni che questo fanno co' suoi rivali, e fin che non hanno modo ben sicuro di ruinargli, van dissimulando e piú tosto si mostran loro amici che altrimenti; poi, se la occasion s'offerisce lor tale, che conoscan poter precipitargli con certa ruína, dicendone tutti i mali, o veri o falsi che siano, lo fanno senza riservo, con arte, inganni e con tutte le vie che sanno imaginare. Ma perché a me non piaceria mai che 'l nostro cortegiano usasse inganno alcuno, vorrei che levasse la grazia dell'amica al suo rivale non con altra arte che con l'amare, col servire e con l'essere virtuoso, valente, discreto e modesto; in somma col meritar piú di lui e con l'esser in ogni cosa avvertito e prudente, guardandosi da alcune sciocchezze inette nelle quali spesso incorrono molti ignoranti, e per diverse vie; ché già ho io conosciuti alcuni che, scrivendo e parlando a donne, usan sempre parole di Polifilo e tanto stanno in su la sottilità della retorica, che quelle si diffidano di se stesse e si tengon per ignorantissime, e par loro un'ora mill'anni finir quel ragionamento e levarsegli davanti; altri si vantano senza modo; altri dicono spesso cose che tornano a biasimo e danno di se stessi, come alcuni, dei quali io soglio ridermi, che fan profession di innamorati e talor dicono in presenzia di donne: "Io non trovai mai donna che m'amasse"; e non s'accorgono che quelle che gli odono súbito fan giudicio che questo non possa nascere d'altra causa, se non perché non meritino né esser amati, né pur l'acqua che bevono, e gli tengon per omini da poco, né gli amerebbono per tutto l'oro del mondo; parendo loro che se gli amassero, sarebbono da meno che tutte l'altre che non gli hanno amati. Altri, per concitar odio a qualche suo rivale, son tanto sciocchi, che pur in presenzia di donne dicono: "Il tale è il piú fortunato om del mondo; che già non è bello, né discreto, né valente, né sa fare o dire piú che gli altri, e pur tutte le donne l'amano e gli corron drieto"; e cosí mostrando avergli invidia di questa felicità, ancora che colui né in aspetto né in opere si mostri essere amabile, fanno credere che egli abbia in sé qualche cosa secreta, per la quale meriti l'amor di tante donne; onde quelle che di lui senton ragionare di tal modo, esse ancora per questa credenza si movono molto piú ad amarlo -.

 

 

 

LXXI.

 

Rise allor il conte Ludovico e disse: - Io vi prometto che queste grosserie non userà mai il cortegiano discreto per acquistar grazia con donne -. Rispose messer Cesare Gonzaga: Né men quell'altra che a' mei dí usò un gentilomo di molta estimazione, il qual io non voglio nominare per onore degli omini -. Rispose la signora Duchessa: - Dite almen ciò che egli fece -. Suggiunse messer Cesare: - Costui, essendo amato da una gran signora, richiesto da lei venne secretamente in quella terra ove essa era; e poi che la ebbe veduta e fu stato seco a ragionare quanto essa e 'l tempo comportarono, partendosi con molte amare lacrime e sospiri, per testimonio dell'estremo dolor ch'egli sentiva di tal partita, le supplicò ch'ella tenesse continua memoria di lui; e poi suggiunse che gli facesse pagar l'osteria perché, essendo stato richiesto da lei, gli parea ragione che della sua venuta non vi sentisse spesa alcuna -. Allora tutte le donne cominciarono a ridere e dir che costui era indignissimo d'esser chiamato gentilomo; e molti si vergognavano per quella vergogna che esso meritamente aría sentita, se mai per tempo alcuno avesse preso tanto d'intelletto, che avesse potuto conoscere un suo cosí vituperoso fallo. Voltossi allor il signor Gaspar a messer Cesare e disse: - Era meglio restar di narrar questa cosa per onor delle donne che di nominar colui per onor degli omini; che ben potete imaginare che bon giudicio avea quella gran signora, amando un animale cosí irrazionale, e forse ancora che di molti che la servivano aveva eletto questo per lo piú discreto, lassando adrieto e dando disfavore a chi costui non saria stato degno famiglio -. Rise il conte Ludovico e disse: - Chi sa che questo non fusse discreto nell'altre cose e peccasse solamente in osterie? Ma molte volte per soverchio amore gli omini fanno gran sciocchezze; e se volete dir il vero, forse che a voi talor è occorso farne piú d'una -.

 

 

 

LXXII.

 

Rispose ridendo messer Cesare: - Per vostra fé, non scopriamo i nostri errori. - Pur bisogna scoprirli, - rispose il signor Gasparo, - per sapergli correggere; - poi suggiunse: - Voi, signor Magnifico, or che 'l cortegian si sa guadagnare e mantener la grazia della sua signora e tórla al suo rivale, sète debitor de insegnarli a tener secreti gli amori suoi -. Rispose il Magnifico: - A me par d'aver detto assai: però fate mo che un altro parli di questa secretezza -. Allora messer Bernardo e tutti gli altri cominciarono di novo a fargli instanzia; e 'l Magnifico ridendo, - Voi, - disse, - volete tentarmi; troppo sète tutti ammaestrati in amore; pur, se desiderate saperne piú, andate e sí vi leggete Ovidio. - E come, - disse messer Bernardo, - debb'io sperare che e suoi precetti vagliano in amore? poiché conforta e dice esser bonissimo che l'uom in presenzia della innamorata finga d'essere imbriaco (vedete che bella manera d'acquistar grazia), ed allega per un bel modo di far intendere, stando a convito, ad una donna d'esserne innamorato, lo intingere un dito nel vino e scriverlo in su la tavola -. Rispose il Magnifico ridendo: - In que' tempi non era vicio. - E però, - disse messer Bernardo, - non dispiacendo agli omini di que' tempi questa cosa tanto sordida, è da credere che non avessero cosí gentil maniera di servir donne in amore come abbiam noi; ma non lassiamo il proposito nostro primo d'insegnar a tenere l'amor secreto -.

 

 

 

LXXIII.

 

Allor il Magnifico, - Secondo me, - disse, - per tener l'amor secreto bisogna fuggir le cause che lo publicano, le quali sono molte, ma una principale, che è il voler esser troppo secreto e non fidarsi di persona alcuna, perché ogni amante desidera far conoscer le sue passioni alla amata, ed essendo solo è sforzato a far molte piú dimostrazioni e piú efficaci, che se da qualche amorevole e fidele amico fosse aiutato; perché le dimostrazioni che lo amante istesso fa dànno molto maggior suspetto, che quelle che fa per internunci; e perché gli animi umani sono naturalmente curiosi di sapere, súbito che uno alieno comincia a sospettare, mette tanta diligenzia, che conosce il vero, e conosciutolo non ha rispetto di publicarlo, anzi talor gli piace; il che non interviene dell'amico il qual, oltre che aiuti di favore e di consiglio, spesso rimedia a quegli errori che fa il cieco innamorato, e sempre procura la secretezza e provede a molte cose alle quali esso proveder non po; oltre che grandissimo refrigerio si sente dicendo le passioni e sfocandole con amico cordiale, e medesimamente accresce molto i piaceri il poter comunicargli.

 

 

 

LXXIV.

 

Disse allor il signor Gasparo: - Un'altra causa publica molto piú di amori che questa. - E quale? - rispose il Magnifico. Suggiunse il signor Gaspar: - La vana ambizione congiunta con pazzia e crudeltà delle donne, le quali come voi stesso avete detto, procurano quanto piú possono d'aver gran numero d'innamorati e tutti, se possibil fosse, vorriano che ardessero e, fatti cenere, dopo morte tornassero vivi per morir un'altra volta; e benché esse ancor amino, pur godeno del tormento degli amanti, perché estimano che 'l dolore, le afflizioni e 'l chiamar ognor la morte, sia il vero testimonio che esse siano amate, e possano con la loro bellezza far gli omini miseri e beati e dargli morte e vita come lor piace; onde di questo solo cibo se pascono e tanto avide ne sono, che acciò che non manchi loro, non contentano né disperano mai gli amanti del tutto; ma per mantenergli continuamente nelli affanni e nel desiderio usano una certa imperiosa austerità di minacce mescolate con speranza, e vogliono che una loro parola, uno sguardo, un cenno sia da essi riputato per somma felicità; e per farsi tener pudiche e caste non solamente dagli amanti, ma ancor da tutti gli altri, procurano che questi loro modi asperi e discortesi siano publichi acciò che ognun pensi che, poiché cosí maltrattano quelli che son degni d'essere amati, molto peggio debbano trattar gl'indegni; e spesso sotto questa credenza pensandosi essere sicure con tal arte dall'infamia, si giaceno tutte le notti con omini vilissimi e da esse a pena conosciuti, di modo che per godere delle calamità e continui lamenti di qualche nobil cavaliero e da esse amato, negano a se stesse que' piaceri che forse con qualche escusazione potrebbono conseguire; e sono causa che 'l povero amante per vera disperazion è sforzato usar modi donde si publica quello, che con ogni industria s'averia a tener secretissimo. Alcun'altre sono le quali, se con inganni possono indurre molti a credere d'essere da loro amati, nutriscono tra essi le gelosie col far carezze e favore all'uno in presenzia dell'altro; e quando veggon che quello ancor che esse piú amano già si confida d'esser amato per le demostrazioni fattegli, spesso con parole ambigue e sdegni simulati lo suspendeno e gli trafiggono il core, mostrando non curarlo e volersi in tutto donare all'altro; onde nascon odii, inimicizie ed infiniti scandali e ruine manifeste, perché forza è mostrar l'estrema passion che in tal caso l'uom sente, ancor che alla donna ne resulti biasimo ed infamia. Altre non contente di questo solo tormento della gelosia, dopo che l'amante ha fatto tutti i testimonii d'amore e di fidel servitú, ed esse ricevuti l'hanno con qualche segno di correspondere in benivolenzia, senza proposito e quando men s'aspetta cominciano a star sopra di sé' e mostrano di credere che egli sia intepidito, e fingendo novi suspetti di non essere amate accennano volersi in ogni modo alienar da lui; onde per questi inconvenienti il meschino per vera forza è necessitato a ritornare da capo e far le demostrazioni, come se allora cominciasse a servire; e tutto dí passeggiar per la contrada, e quando la donna si parte di casa accompagnarla alla chiesa ed in ogni loco ove ella vada, non voltar mai gli occhi in altra parte; e quivi si ritorna ai pianti, ai suspiri, allo star di mala voglia; e quando se le po parlare, ai scongiuri, alle biasteme, alle disperazioni ed a tutti quei furori, a che gli infelici innamorati son condotti da queste fiere, che hanno piú sete di sangue che le tigri.

 

 

 

LXXV.

 

Queste tai dolorose dimostrazioni son troppo vedute e conosciute, e spesso piú dagli altri che da chi le causa; ed in tal modo in pochi dí son tanto publiche, che non si po far un passo né un minimo segno, che non sia da mille occhi notato. Intervien poi che molto prima che siano tra essi i piaceri d'amore, sono creduti e giudicati da tutto 'l mondo, perché esse, quando pur veggono che l'amante già vicino alla morte, vinto dalla crudeltà e dai strazi usatigli, delibera determinatamente e da dovero di ritirarsi, allora cominciano a dimostrar d'amarlo di core e fargli tutti i piaceri e donarsegli, acciò che, essendogli mancato quell'ardente desiderio, il frutto d'amor gli sia ancor men grato e ad esse abbia minor obligazione, per far ben ogni cosa al contrario. Ed essendo già tal amore notissimo, sono ancor in que' tempi poi notissimi tutti gli effetti che da quel procedono; cosí restano esse disonorate, e lo amante si trova aver perduto il tempo e le fatiche ed abbreviatosi la vita negli affanni senza frutto o piacere alcuno, per aver conseguito i suoi desidèri, non quando gli seriano stati tanto grati che l'arian fatto felicissimo, ma quando poco o niente gli apprezzava, per esser il cor già tanto da quelle amare passioni mortificato, che non tenea sentimento piú per gustar diletto o contentezza che se gli offerisse -.

 

 

 

LXXVI.

 

Allor il signor Ottaviano ridendo, - Voi, - disse, - siete stato cheto un pezzo e retirato dal dir mal delle donne; poi le avete cosí ben tocche, che par che abbiate aspettato per ripigliar forza, come quei che si tirano a drieto per dar maggior incontro; e veramente avete torto ed oramai dovreste esser mitigato -. Rise la signora Emilia e rivolta alla signora Duchessa, - Eccovi, - disse, - Signora, che i nostri avversari cominciano a rompersi e dissentir l'un dall'altro. - Non mi date questo nome, - rispose il signor Ottaviano, - perch'io non son vostro avversario; èmmi ben dispiaciuta questa contenzione, non perché m'increscesse vederne la vittoria in favor delle donne, ma perché ha indutto il signor Gasparo a calunniarle piú che non dovea, e 'l signor Magnifico e messer Cesare a laudarle forse un poco piú che 'l debito; oltre che per la lunghezza del ragionamento avemo perduto d'intender molt'altre belle cose, che restavano a dirsi del cortegiano. - Eccovi, disse la signora Emilia, - che pur siete nostro avversario; e perciò vi dispiace il ragionamento passato, né vorreste che si fosse formato questa cosí eccellente donna di palazzo; non perché vi fosse altro che dire sopra il cortegiano, perché già questi signori han detto quanto sapeano, né voi, credo, né altri potrebbe aggiungervi piú cosa alcuna; ma per la invidia che avete all'onor delle donne -.

 

 

 

LXXVII.

 

- Certo è, - rispose il signor Ottaviano, - che oltre alle cose dette sopra il cortegiano io ne desiderarei molte altre; pur, poiché ognun si contenta ch'ei sia tale, io ancora me ne contento, né in altra cosa lo mutarei, se non in farlo un poco piú amico delle donne che non è il signor Gaspar, ma forse non tanto quanto è alcuno di questi altri signori -. Allora la signora Duchessa, - Bisogna, - disse, - in ogni modo che noi veggiamo se l'ingegno vostro è tanto che basti a dar maggior perfezione al cortegiano, che non han dato questi signori. Però siate contento di dir ciò che n'avete in animo; altrimenti noi pensaremo che né voi ancora sappiate aggiungergli piú di quello che s'è detto, ma che abbiate voluto detraere alle laudi della donna di palazzo, parendovi ch'ella sia eguale al cortegiano, il quale perciò voi vorreste che si credesse che potesse esser molto piú perfetto, che quello che hanno formato questi signori -. Rise il signor Ottaviano e disse: - Le laudi e biasimi dati alle donne piú del debito hanno tanto piene l'orecchie e l'animo di chi ode, che non han lassato loco che altra cosa star vi possa; oltra di questo, secondo me, l'ora è molto tarda. Adunque, - disse la signora Duchessa, - aspettando insino a domani aremo piú tempo; e quelle laudi e biasimi che voi dite esser stati dati alle donne dall'una parte e l'altra troppo eccessivamente, fra tanto usciranno dell'animo di questi signori, di modo che pur saranno capaci di quella verità che voi direte -. Cosí parlando la signora Duchessa levossi in piedi, e cortesemente donando licenzia a tutti si ritrasse nella stanza sua più secreta; e ognuno si fu a dormire.

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 09/07/05 14.57.24