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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

IL TEATRO COMICO

di Carlo Goldoni

 

 

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

LELIO ed ANSELMO

LELIO Signor Anselmo, son disperato.

ANSELMO Ma, caro signor, la ghe va a proponer per prima commedia una strazza d'un soggetto, che no l'è gnanca bon per una compagnia de burattini.

LELIO In quanto al soggetto mi rimetto, ma il mio dialogo, non lo dovevano strapazzare così.

ANSELMO Ma no sàla, che dialoghi, uscite, soliloqui, rimproveri, concetti, disperazion, tirade, le son cosse, che no le usan più?

LELIO Ma presentemente che cosa si usa?

ANSELMO Commedie de carattere.

LELIO Oh, delle commedie di carattere, ne ho quante ne voglio.

ANSELMO Perché donca no ghe n'àla proposto qualcheduna al nostro capo?

LELIO Perché non credeva, che gl'Italiani avessero il gusto delle commedie di carattere.

ANSELMO Anzi l'Italia adesso corre drio unicamente a sta sorte de commedie, e ghe dirò de più, che in poco tempo ha tanto profità el bon gusto nell'animo delle persone, che adesso anca la zente bassa decide francamente sui caratteri, e su i difetti delle commedie.

LELIO Quella è una cosa assai prodigiosa.

ANSELMO Ma ghe dirò anca el perché. La commedia l'è stada inventada per corregger i vizi, e metter in ridicolo i cattivi costumi; e quando le commedie dai antighi se faceva così, tuto el popolo decideva, perché vedendo la copia d'un carattere in scena, ognun trovava, o in se stesso, o in qualchedun'altro l'original. Quando le commedie son deventade meramente ridicole, nissun ghe abbadava più, perché, col pretesto de far rider, se ammetteva i più alti, i più sonori spropositi. Adesso che se torna a pescar le commedie nel mare magnum della natura, i omeni se sente a bisegar in tel cor, e investindose della passion, o del carattere, che se rappresenta, i sa discerner se la passion sia ben sostegnuda, se il carattere sia ben condotto, e osservà.

LELIO Voi parlate in una maniera, che parete più poeta, che commediante.

ANSELMO Ghe dirò, patron. Colla maschera son Brighella, senza maschera son un omo, che se non è poeta per l'invenzion, ha però quel discernimento, che basta per intender el so mestier. Un comico ignorante no pol riuscir in nessun carattere.

LELIO (Ho gran timore, che questi comici ne sappiano più di me). Caro amico, fatemi il piacere di dire al vostro capo di compagnia, che ho delle commedie di carattere.

ANSELMO Ghe lo dirò, e la pol tornar stassera, o domattina, che gh'averò parlà.

LELIO No; avrei fretta di farlo adesso.

ANSELMO La vede; s'ha da concertar alcune scene de commedia per doman de sera; adesso nol ghe poderà abbadar.

LELIO Se non mi ascolta subito, vado via, e darò le mie commedie a qualche altra compagnia.

ANSELMO La se comodi pur. Nu no ghe n'avemo bisogno.

LELIO Il vostro teatro perderà molto.

ANSELMO Ghe vorrà pazienza.

LELIO Domani devo partire; se ora non mi ascolta non faremo più a tempo.

ANSELMO La vaga a bon viazo.

LELIO Amico, per dirvi tutto col cuore sulle labbra, non ho denari, e non so come far a mangiare.

ANSELMO Questa l'è una bella rason, che me persuade.

LELIO Mi raccomando alla vostra assistenza; dite una buona parola per me.

ANSELMO Vado da sior Orazio, e spero, che el vegnirà a sentir subito cossa che la gh'ha, circa ai caratteri. (Ma credo, che el più bel carattere de commedia sia el suo, cioè el poeta affamado). (parte)

SCENA SECONDA

LELIO e poi PLACIDA

LELIO Sono venuto in una congiuntura pessima. I comici sono oggidì illuminati; ma non importa. Spirito, e franchezza. Può darsi, che mi riesca di far valere l'impostura. Ma ecco la prima donna che torna. Io credo di aver fatta qualche impressione sullo spirito di lei.

PLACIDA Signor Lelio ancora qui?

LELIO Sì mia signora, qual invaghita farfalla mi vo raggirando intorno al lume delle vostre pupille.

PLACIDA Signore, se voi seguiterete questo stile, vi farete ridicolo.

LELIO Ma i vostri libri, che chiamate "generici" non sono tutti pieni di questi concetti?

PLACIDA I miei libri, che contenevano tali concetti gli ho tutti abbruciati, e così hanno fatto tutte quelle recitanti, che sono dal moderno gusto illuminate. Noi facciamo per lo più commedie di carattere, premeditate, ma quando ci accade di parlare all'improvviso, ci serviamo dello stil familiare, naturale, e facile, per non distaccarsi dal verisimile.

LELIO Quand'è così, vi darò io delle commedie scritte con uno stile sì dolce, che nell'impararle v'incanteranno.

PLACIDA Basta che non sia stile antico, pieno d'"antitesi", e di "traslati".

LELIO L'"antitesi" forse non fa bell'udire? Il contrapposto delle parole non suona bene all'orecchio?

PLACIDA Fin che l'"antitesi" è "figura", va bene; ma quando diventa "vizio" è insoffribile.

LELIO Gli uomini della mia sorta, sanno dai "vizi" trar le "figure", e mi dà l'animo di rendere una graziosa figura di "repetizione" la più ordinaria "cacofonia".

PLACIDA Sentirò volontieri le belle produzioni dello spirito di lei.

LELIO Ah, signora Placida, voi avete ad essere la mia sovrana, la mia stella, il mio nume.

PLACIDA Questa "figura" mi pare "iperbole".

LELIO Andrò investigando colla mia più fina "retorica" tutti i "luoghi topici" del vostro cuore.

PLACIDA (Non vorrei, che la sua "retorica" intendesse di passare più oltre).

LELIO Dalla vostra bellezza "argomento fiosoficamente" la vostra bontà.

PLACIDA Piuttosto che "filosofo", mi parete un bel "matematico".

LELIO Mi renderò "speculativo" nelle prerogative del vostro merito.

PLACIDA Fallate il "conto", siete un cattivo "aritmetico".

LELIO Spero, che colla perfezione dell'"optica" potrò "speculare" la vostra bellezza.

PLACIDA Anche in questo siete un pessimo "astrologo".

LELIO È possibile, che non vogliate esser "medica" amorosa delle mie piaghe?

PLACIDA Sapete cosa sarò? Un "giudice legale", che vi farà legare, e condurre allo spedale de' pazzi. (Se troppo stessi con lui, farebbe impazzire ancora me. Mi ha fatto dire di quei concetti, che sono proibiti, come le pistole corte). (parte)

SCENA TERZA

LELIO e poi ORAZIO

LELIO Queste principesse di teatro pretendono d'aver troppa sovranità su i poeti, e se non fossimo noi, non riscuoterebbero dall'udienza gli applausi. Ma ecco il signor capo; conviene contenersi con esso con umiltà. Oh fame, fame, sei pur dolorosa!

ORAZIO Mi ha detto il signor Brighella, che V. S. ha delle commedie di carattere, e ancorché io non ne abbia bisogno, tuttavolta per farle piacere, ne prenderò qualcheduna.

LELIO Le sarò eternamente obbligato.

ORAZIO Da sedere. (i servi portano due sedie, e partono)

LELIO (Fortuna aiutami).

ORAZIO Favoritemi, e mostratemi qualche cosa di bello.

LELIO Ora vi servo subito. Questa è una commedia tradotta dal francese, ed è intitolata...

ORAZIO Non occorre altro. Quando è una commedia tradotta non fa per me.

LELIO Perché? Disprezzate voi l'opere dei Francesi?

ORAZIO Non le disprezzo; le lodo, le stimo, le venero, ma non sono il caso per me. I Francesi hanno trionfato nell'arte delle commedie per un secolo intiero; sarebbe ormai tempo, che l'Italia facesse conoscere non essere in ella spento il lume de' buoni autori, i quali dopo i Greci, ed i Latini sono stati i primi ad arricchire, e ad illustrare il teatro. I Francesi nelle loro commedie, non si può dire che non abbiano de' bei caratteri, e ben sostenuti, che non maneggiano bene le passioni, e che i loro concetti non siano arguti, spiritosi, e brillanti, ma gl'uditori di quel paese si contentano del poco. Un carattere solo basta per sostenere una commedia francese. Intorno ad una sola passione ben maneggiata e condotta, raggirano una quantità di periodi, i quali colla forza dell'esprimere prendono aria di novità. I nostri Italiani vogliono molto più. Vogliono, che il carattere principale sia forte, originale, e conosciuto, che quasi tutte le persone, che formano gli episodi siano altrettanti caratteri; che l'intreccio sia mediocremente fecondo d'accidenti, e di novità. Vogliono la morale mescolata coi sali, e colle facezie. Vogliono il fine inaspettato, ma bene originato dalla condotta della commedia. Vogliono tante infinite cose, che troppo lungo sarebbe il dirle, e solamente, coll'uso, colla pratica, e col tempo si può arrivar a conoscerle, e ad eseguirle.

LELIO Ma quando poi una commedia ha tutte queste buone qualità, in Italia, piace a tutti?

ORAZIO Oh signor no. Perché, siccome ognuno, che va alla commedia pensa in un modo particolare, così fa in lui vario effetto, secondo il modo suo di pensare. Al malinconico non piace la barzeletta; all'allegro non piace la moralità. Questa è la ragione per cui le commedie non hanno mai, e mai non avranno l'applauso universale. Ma la verità però si è, che quando sono buone, alla maggior parte piacciono, quando sono cattive quasi a tutti dispiacciono.

LELIO Quand'è così, io ho una commedia di carattere di mia invenzione, che son sicuro che piacerà alla maggior parte. Mi pare d'avere osservati in essa tutti i precetti, ma quando non li avessi tutti adempiuti, son certo d'avere osservato il più essenziale, che è quello della scena stabile.

ORAZIO Chi vi ha detto, che la scena stabile sia un precetto essenziale?

LELIO Aristotile.

ORAZIO Avete letto Aristotile?

LELIO Per dirla, non l'ho letto, ma ho sentito a dire così.

ORAZIO Vi spiegherò io cosa dice Aristotile. Questo buon filosofo intorno alla commedia ha principiato a scrivere, ma non ha terminato, e non abbiamo di lui, sopra tal materia, che poche imperfette pagine. Egli ha prescritta nella sua poetica l'osservanza della scena stabile rispetto alla tragedia, e non ha parlato della commedia. Vi è chi dice, che quanto ha detto della tragedia si debba intendere ancora della commedia, e che se avesse terminato il trattato della commedia, avrebbe prescritta la scena stabile. Ma a ciò rispondesi, che se Aristotile fosse vivo presentemente, cancellerebbe egli medesimo quest'arduo precetto, perché da questo ne nascono mille assurdi, mille improprietà, e indecenze. Due sorti di Commedia distinguo: "commedia semplice", e "commedia d'intreccio". La commedia "semplice" può farsi in iscena stabile. La commedia d'"intreccio" così non può farsi senza durezza, e improprietà. Gli antichi non hanno avuta la facilità, che abbiamo noi di cambiar le scene, e per questo ne osservano l'unità. Noi avremo osservata l'unità del luogo, semprecché si farà la commedia in una stessa città, e molto più se si farà in un'istessa casa; basta che non si vada da Napoli in Castiglia come senza difficoltà solevano praticar gli Spagnuoli, i quali oggidì principiano a correggere quest'abuso, e a farsi scrupolo della distanza, e del tempo. Onde concludo, che se la commedia senza stiracchiature, o improprietà può farsi in iscena stabile, si faccia; ma se per l'unità della scena, si hanno a introdurre degli assurdi; è meglio cambiar la scena, e osservare le regole del verisimile.

LELIO Ed io ho fatto tanta fatica per osservare questo precetto.

ORAZIO Può essere, che la scena stabile vada bene. Qual è il titolo della vostra commedia?

LELIO Il padre mezzano delle proprie figliuole.

ORAZIO Oimè! Cattivo argomento. Quando il protagonista della commedia è di cattivo costume, o deve cambiar carattere contro i buoni precetti, o deve riescire la commedia stessa una scelleraggine.

LELIO Dunque non si hanno a mettere sulla scena i cattivi caratteri per correggerli, e svergognarli?

ORAZIO I cattivi caratteri si mettono in iscena, ma non i caratteri scandolosi, come sarebbe questo di un padre, che faccia il mezzano alle proprie figliuole. E poi quando si vuole introdurre un cattivo carattere in una commedia, si mette di fianco, e non in prospetto, che vale a dire, per episodio, in confronto del carattere virtuoso, perché maggiormente si esalti la virtù, e si deprima il vizio.

LELIO Signor Orazio, non so più cosa dire. Io non ho altro da offerirvi.

ORAZIO Mi spiace infinitamente, ma quanto mi avete offerito non fa per me.

LELIO Signor Orazio, le mie miserie sono grandi.

ORAZIO Mi rincresce, ma non so come soccorrervi.

LELIO Una cosa mi resta a offerirvi, e spero, che non vi darà il cuore di sprezzarla.

ORAZIO Ditemi in che consiste?

LELIO Nella mia stessa persona.

ORAZIO Che cosa dovrei fare di voi?

LELIO Farò il comico, se vi degnate accettarmi.

ORAZIO (s'alza) Voi vi esibite per comico? Un poeta, che deve esser maestro de' comici, discende al grado di recitante? Siete un impostore, e come siete stato un falso poeta; così sareste un cattivo comico. Onde rifiuto la vostra persona come ho le opere vostre già rifiutate, dicendovi per ultimo, che v'ingannate, se credete che i comici onorati, come noi siamo, diano ricetto a' vagabondi. (parte)

LELIO Vadano al diavolo i soggetti, le commedie, e la poesia. Era meglio, che mi mettessi a recitare alla prima. Ma se ora il capo mi scaccia, e non mi vuole, chi sa! col mezzo del signor Brighella può essere, che mi accetti. Tant'è; mi piace il teatro. Se non son buono per comporre, mi metterrò a recitare. Come quel buon soldato, che non potendo essere capitano, si contentò del grado di tamburino. (parte)

SCENA QUARTA

Il SUGGERITORE con fogli in mano e cerino acceso; poi PLACIDA ed EUGENIO

SUGGERITORE Animo, signori, che l'ora vien tarda. Vengano a provare le loro scene. Tocca a Rosaura, e a Florindo.

PLACIDA Eccomi, io son pronta.

EUGENIO Son qui, suggerite. (al Suggeritore)

PLACIDA Avvertite bene, signor suggeritore: dove so la parte, suggerite piano, dove non la so, suggerite forte.

SUGGERITORE Ma come farò io a conoscere dove la sa, e dove non la sa?

PLACIDA Se sapete il vostro mestiere, l'avete a conoscere. Andate, e se mi farete sbagliare, povero voi.

SUGGERITORE (Già, è l'usanza de' commedianti: quando non sanno la parte, danno la colpa al suggeritore). (entra e va a suggerire)

SCENA QUINTA

ROSAURA e FLORINDO

ROSAURA Caro Florindo, mi fate torto se dubitate della mia fede. Mio padre non arriverà mai a disporre della mia mano.

FLORINDO Non mi fa temer vostro padre, ma il mio. Può darsi che il signor Dottore, amandovi teneramente, non voglia la vostra rovina; ma l'amore, che ha per voi mio padre, mi mette in angoscia, e non ho cuore per dichiararmi ad esso rivale.

ROSAURA Mi credete voi tanto sciocca, che voglia consentire alle nozze del signor Pantalone? Ho detto che sarò sposa in casa Bisognosi ma fra me intesi del figliuolo, e non del padre.

FLORINDO Eppure egli si lusingava di possedervi, e guai a me, se discoprisse la nostra corrispondenza.

ROSAURA Terrò celato il mio amore fino a tanto, che dal mio silenzio mi venga minacciata la vostra perdita.

FLORINDO Addio, mia cara, conservatemi la vostra fede.

ROSAURA E mi lasciate sì tosto?

FLORINDO Se il vostro genitore vi sorprende, sarà svelato ogni arcano.

ROSAURA Egli non viene a casa per ora.

SCENA SESTA

PANTALONE e detti

PANTALONE (di dentro)O de casa; se pol vegnìr?

FLORINDO Oimè. mio padre.

ROSAURA Nascondetevi in quella camera.

FLORINDO Verrà a parlarvi d'amore.

ROSAURA Lo seconderò per non dar sospetto.

FLORINDO Secondatelo fino a certo segno.

ROSAURA Presto, presto, partite.

FLORINDO Oh amor fatale, che mi obbliga ad essere geloso di mio padre medesimo! (si ritira)

PANTALONE Gh'è nissun? Se pol vegnìr?

ROSAURA Venga, venga, signor Pantalone.

PANTALONE Siora Rosaura, patrona reverita. Xèla sola?

ROSAURA Sì, signore, son sola. Mio padre è fuori di casa.

PANTALONE Se contentela, che me ferma un pochetto con ela, o vorla, che vaga via?

ROSAURA Ella è il padrone di andare, e di stare, a suo piacere.

PANTALONE Grazie, la mia cara fia. Benedetta quella bocchetta, che dise quele bele parole.

ROSAURA Mi fa ridere, signor Pantalone.

PANTALONE Cuor allegro el Ciel l'aiuta. Gh'ho gusto, che ridè, che stè alegra, e quando ve vedo de bona vogia, sento propriamente, che el cuor me bagola.

ROSAURA M'imagino che sarà venuto per ritrovare mio padre.

PANTALONE No, colonna mia, no speranza mia, che no son vegnù per el papà, son vegnù per la tata.

ROSAURA E chi è questa tata?

PANTALONE Ah furbetta! Ah ladra de sto cuor! Lo savè, che spasemo, che muoro per vu?

ROSAURA Vi sono molto tenuta del vostro amore.

PANTALONE Ale curte. Za che semo soli, e nissun ne sente, ve contenteu, ve degneu, de compagnarve in matrimonio con mi?

ROSAURA Signore, bisognerà parlarne a mio padre.

PANTALONE Vostro sior pare xè mio bon amigo, e spero che nol me dirà de no. Ma vorave sentir da vu le mie care viscere, do parole, che consolasse el mio povero cuor. Vorrave, che vu me disessi: Sior sì; sior Pantalon lo torò, ghe voggio tutto el mio ben; sibben, che l'è vecchio, el me piase tanto; se me disè cusì, me fè andar in bruo de lasagne.

ROSAURA Io queste cose non le so dire.

PANTALONE Disè, fia mia, aveu mai fatto l'amor?

ROSAURA Non, signore, mai.

PANTALONE No savè, come che se fazza a far l'amor?

ROSAURA Non lo so, in verità.

PANTALONE Ve l'insegnerò mi, cara; ve l'insegnerò mi.

ROSAURA Queste non mi paiono cose per la sua età.

PANTALONE Amor no porta respetto a nissun. Tanto el ferisce i zoveni, quanto i vecchi; e tanto i vecchi, quanto i zoveni bisogna compatirli co i xè innamorai.

FLORINDO Dunque avrete compassione ancora a me, se sono innamorato.

PANTALONE Come? Qua ti xè?

FLORINDO Sì; signore, son qui per quella stessa cagione, che fa qui essere voi.

PANTALONE Confesso el vero, che tremo dala colera, e dal rossor vedendo in fazza de mio fio scoverte le mie debolezze. Xè granda la temerità da comparirme davanti in t'una congiuntura tanto pericolosa, ma sta sorpresa, sto scoprimento, servirà de fren ai to dessegni, e alle mie passion. Per remediar al mal esempio, che t'ho dà in sta occasion, sappi che me condanno da mi medesimo, che confesso esser stà tropo debole, tropo facile, tropo matto. Se ho dito, che i vecchi, e i zoveni che s'innamora, merita compatimento, l'è stà un trasporto dell'amorosa passion. Per altro i vecchi, che gh'ha fioi, no i s'ha da innamorar con pregiudizio della so famegia. I fioi, che gh'ha pare, no i s'ha da incapriziar senza el consenso de quello, che li ha messi al mondo. Onde fora tutti do desta casa. Mi per elezion, ti per obbedienza. Mi per remediar al scandalo, che t'ho dà: ti per imparar a viver con cautela, con più giudizio, e con più respetto a to pare.

FLORINDO Ma, signore...

PANTALONE Animo, digo, fora subito de sta casa.

FLORINDO Permetetemi...

PANTALONE Obedissi, o te trarrò zoso della scala con le mie man.

FLORINDO (Maledettissima gelosia, che mi rendesti impaziente).

PANTALONE Siora Rosaura, no so cossa dir. V'ho volesto ben, ve ne vogio ancora, e ve ne vorrò. Ma un momento solo ha deciso de vu, e de mi. De vu, che no sarè più tormentada da sto povero vecchio; de mi, che morirò quanto prima, sacrificando la vita al mio decoro, alla mia estimazion.

ROSAURA Oimè! Qual gelo mi ricerca le vene? In qual'agitazione si ritrova il mio core? (Dite piano, che la parte la so). (verso il Suggeritore) Florindo, scoperto dal padre, non verrà più in mia casa, non sarà più mio sposo? Ahi, che il dolore mi uccide. Ahi, che l'affanno... (Suggerite, che non me ne ricordo) Ahi che l'affanno m'opprime, Infelice Rosaura, e potrai vivere senza il tuo diletto Florindo? E soffrirai questa dolorosa... Zitto. (al Suggeritore) Questa dolorosa separazione? Ah no. A costo di perder tutto, a costo di perigli, e di morte, voglio andare in traccia dell'idol mio, voglio superare l'avverso... l'avverso fato... E voglio far conoscere al mondo... Maledetto suggeritore, che non si sente; non voglio dir altro. (parte)

SCENA SETTIMA

Il SUGGERITORE col libro in mano, poi VITTORIA

SUGGERITORE Animo Colombina. Tocca a Colombina, e poi ad Arlecchino. Non la finiscono mai. Maladetto questo mestiere! Bisogna star qui tre, o quattr'ore a sfiatarsi, e poi i signori comici sempre gridano, e non si contentano mai. Sono vent'ore sonate, e sa il Cielo, se il signor capo di compagnia mi darà nemmeno da pranzo. Colombina. (chiama forte)

VITTORIA Son qui, son qui.

SUGGERITORE Animo, che è tardi. (entra e va a suggerire)

COLOMBINA Povera signora Rosaura, povera la mia padrona! Che cosa mai ha che piange, e si dispera? Eh so ben io cosa vi vorrebbe pel suo male! Un pezzo di giovinotto ben fatto, che le facesse passare la malinconia. Ma il punto sta, che anch'io ho bisogno dello stesso medicamento. Arlecchino, e Brighella sono ugualmente accesi delle mie strepitose bellezze, ma non saprei a qual di loro dar dovessi la preferenza. Brighella è troppo furbo, Arlecchino è troppo sciocco. L'accorto vorrà fare a modo suo, l'ignorante non saprà fare a modo mio. Col furbo starò male di giorno, e collo sciocco starò male di notte. Se vi fosse qualcheduno a cui potessi chiedere consiglio, glielo chiederei volontieri.

SCENA OTTAVA

BRIGHELLA e ARLECCHINO che ascoltano, e detta

COLOMBINA Basta, andrò girando per la città, e a quante donne incontrerò, voglio dimandare, se sia meglio prendere un marito accorto, o un marito ignorante.

BRIGHELLA Accorto, accorto. (s'avanza)

ARLECCHINO Ignorante, ignorante. (s'avanza)

COLOMBINA Ognuno difende la propria causa.

BRIGHELLA Mi digo el vero.

ARLECCHINO Mi gh'ho rason.

BRIGHELLA E te lo proverò con argomenti in forma.

ARLECCHINO E mi lo proverò con argomenti in scarpa.

COLOMBINA Bene, chi di voi mi persuaderà, sarà mio marito.

BRIGHELLA Mi come omo accorto, sfadigherò, suderò, perché in casa no te manca mai da magnar.

COLOMBINA Questo è un buon capitale.

ARLECCHINO Mi, come omo ignorante, che no sa far gnente, lasserò che i boni amici porta in casa da magnar, e da bever.

COLOMBINA Anche così, potrebbe andar bene.

BRIGHELLA Mi, come omo accorto, che sa sostegnir el ponto d'onor, te farò respettar da tutti.

COLOMBINA Mi piace.

ARLECCHINO Mi, come omo ignorante, e pacifico, farò, che tutti te voia ben.

COLOMBINA Non mi dispiace.

BRIGHELLA Mi, come omo accorto, regolerò perfettamente la casa.

COLOMBINA Buono.

ARLECCHINO Mi, come omo ignorante, lasserò che ti la regoli ti.

COLOMBINA Meglio.

BRIGHELLA Se ti vorrà divertimenti, mi te condurrò da per tutto.

COLOMBINA Benissimo.

ARLECCHINO Mi, se ti vorrà andar a spasso, te lasserò andar sola dove ti vol.

COLOMBINA Ottimamente.

BRIGHELLA Mi, se vederò, che qualche zerbintoto vegna per insolentarte, lo scazzerò colle brutte.

COLOMBINA Bravo.

ARLECCHINO Mi, se vederò qualchedun, che te zira d'intorno darò logo alla fortuna.

COLOMBINA Bravissimo.

BRIGHELLA Mi, se troverò qualchedun in casa el copperò!

ARLECCHINO E mi torrò ed candelier, e ghe farò lume.

BRIGHELLA Cossa dixeu?

ARLECCHINO Cossa te par?

COLOMBINA Ora, che ho sentite le vostre ragioni, concludo, che Brighella pare troppo rigoroso, e Arlecchino troppo paziente. Onde, fate così, impastatevi tutti due, fate di due pazzi un uomo savio, ed allora vi sposerò.

BRIGHELLA Arlecchin?

ARLECCHINO Brighella?

BRIGHELLA Com'ela?

ARLECCHINO Com'ela?

BRIGHELLA Ti, che ti è un maccaron, ti te pol impastar facilmente.

ARLECCHINO Piuttosto ti, che ti è una lasagna senza dreto e senza roverso.

BRIGHELLA Basta, no l'è mio decoro, che me metta in competenza con ti.

ARLECCHINO Sastu cossa che podemo far? Colombina sa far la furba, e l'accorta, quando che la vol; ergo impastemose tutti do con ela, e faremo de tre paste una pasta da far biscotto per le galere. (parte)

SCENA NONA

BRIGHELLA, poi ORAZIO ed EUGENIO

BRIGHELLA Costù per quel che vedo, l'è goffo e destro; ma no saria mio decoro, che me lassasse da lu superar. Qua ghe vol spirito, ghe vol inzegno. Qual piloto, che trovandose in alto mar colla nave, osservando dalla bussola della calamita, che el vento sbalza da garbin a sirocco, ordena ai marineri zirar le vele; cusì anca mi, ai marineri dei mii pensieri...

ORAZIO Basta così, basta così.

ANSELMO Obbligatissimo alle sue grazie. Perché no volela, che fenissa la mia scena?

ORAZIO Perché queste comparazioni, queste allegorie non si usano più.

ANSELMO E pur quando le se fa, la zente sbate le man.

ORAZIO Bisogna vedere chi è, che batte. La gente dotta non s'appaga di queste freddure. Che diavolo di bestialità? paragonare l'uomo innamorato al piloto, che è in mare, e poi dire: "I marinari dei miei pensieri!" Queste cose il poeta non le ha scritte. Questo è un paragone recitato di vostra testa.

ANSELMO Donca non ho da dir paralleli?

ORAZIO Signor no.

ANSELMO Non ho da cercar allegorie?

ORAZIO Nemmeno.

ANSELMO Manco fadiga, e più sanità. (parte)

SCENA DECIMA

ORAZIO ed EUGENIO

ORAZIO Vedete? Ecco la ragione per cui bisogna procurar di tenere i commedianti legati al premeditato, perché facilmente cadono nell'antico, e nell'inverisimile.

EUGENIO Dunque s'hanno da abolire intieramente le commedie all'improviso?

ORAZIO Intieramente no; anzi va bene, che gl'Italiani si mantengano in possesso di far quello, che non hanno avuto coraggio di far le altre nazioni. I Francesi sogliono dire, che i comici italiani sono temerari, arrischiandosi a parlare in pubblico all'improvviso; ma questa, che può dirsi temerità nei comici ignoranti è una bella virtù ne' comici virtuosi; e ci sono tuttavia de' personaggi eccellenti, che ad onor dell'Italia, e a gloria dell'arte nostra, portano in trionfo con merito e con applauso l'ammirabile prerogativa di parlare a soggetto, con non minor eleganza di quello che potesse fare un poeta scrivendo.

EUGENIO Ma le maschere ordinariamente patiscono a dire il premeditato.

ORAZIO Quando il premeditato è grazioso, e brillante, bene adattato al carattere del personaggio, che deve dirlo, ogni buona maschera volentieri lo impara.

EUGENIO Dalle nostre commedie di carattere non si potrebbero levar le maschere?

ORAZIO Guai a noi, se facessimo una tal novità: non è ancor tempo di farla. In tutte le cose non è da mettersi di fronte contro all'universale. Una volta il popolo andava alla commedia solamente per ridere, e non voleva vedere altro che le maschere in iscena, e se le parti serie avevano un dialogo un poco lungo, s'annoiavano immediatamente; ora si vanno avvezzando a sentir volentieri le parti serie, e godono le parole, e si compiacciono degl'accidenti, e gustano la morale, e ridono dei sali, e dei frizzi, cavati dal serio medesimo, ma vedono volentieri anco le maschere, e non bisogna levarle del tutto, anzi convien cercare di bene allogarle, e di sostenerle con merito nel loro carattere ridicolo anco a fronte del serio più lepido, e più grazioso.

EUGENIO Ma questa è una maniera di comporre assai difficile.

ORAZIO È una maniera ritrovata, non ha molto, alla di cui comparsa tutti si sono invaghiti, e non andrà gran tempo, che si sveglieranno i più fertili ingegni a migliorarla, come desidera di buon cuore, chi l'ha inventata.

SCENA UNDICESIMA

PETRONIO e detti

PETRONIO Servitor di lor signori.

ORAZIO Riverisco il signor Petronio.

PETRONIO Voleva provar ancor io le mie scene, ma parmi, che ci sia poco buona disposizione.

ORAZIO Per questa mattina basta così. Proveremo qualche altra cosa dopo pranzo.

PETRONIO Io sto lontano di casa, mi rincresce aver d'andare, e tornare.

EUGENIO Eh resterete qui a pranzo dal signor Orazio: già faccio conto di restarvi ancor io.

ORAZIO Padroni; s'accommodino.

SCENA DODICESIMA

Il SUGGERITORE della scena; e poi ANSELMO, LELIO e detti

SUGGERITORE Quand'è così, starò anch'io a ricevere le sue grazie. (ad Orazio)

ORAZIO Sì signore, mi maraviglio. (il Suggeritore entra)

ANSELMO Sior Orazio, so che l'ha tanta bontà per mi, che no la me negherà una grazia.

LELIO (fa riverenze)

ORAZIO Dite pure; in quel che posso, vi servirò.

LELIO (come sopra)

ANSELMO L'è qua el sior Lelio. El desidera de far el comico: el gh'ha del spirito, dell'abilità; sta compagnia la gh'ha bisogno d'un altro moroso; la me fazza sta finezza; la lo riceva in grazia mia.

ORAZIO Per compiacere il mio caro signor Anselmo, lo farei volentieri, ma chi mi assicura, che possa riuscire?

ANSELMO Fermo cusì, provemolo. Se contentela sior Lelio, de far una piccola prova?

LELIO Sono contentissimo. Mi rincresce, che ora non posso, mentre non avendo bevuto la cioccolata, sono di stomaco, e di voce un poco debole.

ORAZIO Faremo così; torni dopo pranzo, e si proverà.

LELIO Ma frattanto dove avrei io d'andare?

ORAZIO Vada a casa, poi torni.

LELIO Casa io non ne ho.

ORAZIO Ma dove è alloggiato?

LELIO In nessun luogo.

ORAZIO Quant'e, che è in Venezia?

LELIO Da ieri in qua.

ORAZIO E dove ha mangiato ieri?

LELIO In nessun luogo.

ORAZIO Ieri non ha mangiato?

LELIO Né ieri, né stamattina.

ORAZIO Ma dunque come farà...

EUGENIO Signor poeta, venga a pranzo dal capo di compagnia.

LELIO Riceverò le sue grazie, signor capo; perché questi appunto sono gl'incerti de' poeti.

ORAZIO Io non la ricevo per poeta, ma per comico.

PETRONIO Venga, venga, signore, questo è un incerto anco dei comici quando si fa la prova.

ORAZIO Oh mi perdoni! Mi tornerebbe un bel conto.

LELIO Questa è fatta, non se ne parla più. Oggi vedrà la mia abilità.

PETRONIO E la principieremo a vedere alla tavola.

SCENA TREDICESIMA

VITTORIA e detti

VITTORIA Signor Orazio, è arrivata alla porta una forestiera piena di ricciolini, tutta brio, col tabarrino, col cappellino, e domanda del capo di compagnia.

ORAZIO Venga avanti.

LELIO Non sarebbe meglio riceverla dopo desinare?

ORAZIO Sentiamo cosa vuole.

VITTORIA Ora la faccio passare.

ORAZIO Mandiamo un servitore.

VITTORIA Eh io fo la serva da burla, la farò anche davvero.

SCENA QUATTORDICESIMA

PLACIDA, BEATRICE e detti

PLACIDA Grand'aria! grand'aria!

BEATRICE Bellezze grandi! bellezze grandi!

ORAZIO Che cosa c'è, signore mie?

PLACIDA Vien su della scala una forestiera, che incanta.

BEATRICE Ha il servitore colla livrea, sarà qualche gran signora.

ORAZIO Or ora la vedremo. Eccola.

SCENA QUINDICESIMA

ELEONORA, con un SERVITORE, e detti

ELEONORA Serva a lor signori.

ORAZIO Servitor ossequiosissimo, mia signora. (le donne le fanno riverenza, e tutti gli uomini stanno col cappello in mano)

ELEONORA Sono comici, lor signori?

ORAZIO Sì, signora, per servirla.

ELEONORA Chi è il capo della compagnia?

ORAZIO Io per obbedirla.

ELEONORA È questa è la prima donna? (verso Placida)

PLACIDA A' suoi comandi. (con una riverenza)

ELEONORA Brava; so che vi fate onore.

PLACIDA Grazie alla sua bontà.

ELEONORA Io pure vado volentieri alle commedie, e quando vedo le vostre buffonerie, rido, come una pazza.

ORAZIO Ci favorisca di grazia, acciò ch'io non mancassi del mio dovere; mi dica con chi ho l'onor di parlare.

ELEONORA Sono una virtuosa di musica.

ORAZIO Ella è dunque una cantatrice?

ELEONORA Cantatrice? Sono una virtuosa di musica. (tutti si guardano fra di loro, e si mettono il cappello in testa)

ORAZIO Insegna forse la musica?

ELEONORA No, signore, canto.

ORAZIO Dunque è cantatrice.

PLACIDA Fate voi da prima donna? (ad Eleonora)

ELEONORA Qualche volta.

PLACIDA Brava ragazza, vi verrò a vedere. (burlandola)

PETRONIO Anch'io, signora, quando sento le smorfie delle cantatrici, crepo dalle risa.

LELIO Perdoni in grazia, non è ella la signora Eleonora?

ELEONORA Sì signore per l'appunto.

LELIO Non si ricorda, che ha recitato in un mio dramma?

ELEONORA Dove? Non mi sovviene.

LELIO A Firenze.

ELEONORA Il dramma com'era intitolato?

LELIO La Didone in bernesco.

ELEONORA Sì, signore, è vero. Io faceva la prima parte. Anzi l'impressario andò fallito per cagione del libro.

LELIO Tutti dicevano a cagione della prima donna; per altro, mi rimetto.

BEATRICE Dunque ella recita in opere buffe?

ELEONORA Sì signora, qualche volta.

BEATRICE E viene a ridere delle buffonerie dei commedianti?

ELEONORA Vi dirò. Mi piace tanto il vostro modo di trattare, che verrei volentieri ad unirmi con voi.

ORAZIO Vuol fare la commediante?

ELEONORA Io la commendiante!

ORAZIO Ma dunque cosa vuol fare con noi?

ELEONORA Verrò a cantar gl'intermezzi.

ORAZIO Obbligatissimo alle sue grazie.

ELEONORA Il compagno lo troverò io, e con cento zecchini vi assolverete dalla spesa di tutti due.

ORAZIO Non più di cento zecchini?

ELEONORA Viaggi, alloggi, piccolo vestiario, queste sono cose, che ci s'intendono.

ORAZIO Eh benissimo, cose che si usano.

ELEONORA Gl'intermezzi gli abbiamo noi; ne faremo quattro per obbligo in ogni piazza, e volendone di più, ci farete un regalo di dieci zecchini per ogni muta.

ORAZIO Anche qui non c'è male.

ELEONORA L'orchestra poi, deve esser sufficiente.

ORAZIO Questo s'intende.

ELEONORA Abiti sempre nuovi.

ORAZIO Ho il sarto in casa.

ELEONORA Il mio staffiere fa la parte muta, e si contenterà di quello che gli darete.

ORAZIO Anche il servitore è discreto.

ELEONORA Tutto va bene.

ORAZIO Va benissimo.

ELEONORA La cosa è aggiustata, mi pare

ORAZIO Aggiustatissima.

ELEONORA Dunque...

ORAZIO Dunque, signora, non abbiamo bisogno di lei.

TUTTI Bravo, bravo. (con allegria)

ELEONORA Come! Mi disprezzate così?

ORAZIO Cosa credete, signora mia, che i comici abbiano bisogno, per far fortuna, dell'animo della vostra musica? Pur troppo per qualche tempo l'arte nostra si è avvilita a segno di mendicar dalla musica i suffragi per tirar la gente al teatro. Ma grazie al Cielo, si sono tutti disingannati, ed è stata intieramente sbandita dai nostri teatri. Io non voglio entrare nel merito, o nel demerito de' professori di canto, ma vi dico, che tanto è virtuoso il musico, quanto il comico, quando ognuno sappia il suo mestiere; con questa differenza, che noi per comparire, dobbiamo studiare per necessità, ma voi altre piccole cantatrici, vi fate imboccare un paio di arie, come i pappagalli, e a forza d'impegni vi fate batter le mani. Signora virtuosa, la riverisco. (parte)

ELEONORA Ecco qui. I comici sono sempre nemici dei virtuosi di musica.

PLACIDA Non è vero, signora, non è vero. I comici sanno rispettare quei musici, che hanno del merito e della virtù; ma i musici di merito, e virtuosi rispettano altresì i comici onorati, e dabbene. Se foste voi una virtuosa di grado, non verreste a offerirvi a cantare gl'intermezzi nella commedia. Ma quando ciò vi riuscisse, avreste migliorato assai di condizione, mentre è molto meglio vivere fra' comici mediocri, come siamo noi, che fra i cattivi musici, coi quali sarete sin'ora stata. Signora virtuosa a lei m'inchino. (parte)

ELEONORA Questa prima donna avrà fatto da principessa, e si crede di esser ancora tale.

BEATRICE Come voi, che avrete veduti i cartoni di qualche libro di musica, e vi date a credere di essere virtuosa. È passato il tempo, signora mia, che la musica si teneva sotto i piedi l'arte comica. Adesso abbiamo anche noi il teatro pieno di nobiltà, e se prima venivano da voi per ammirare, e da noi per ridere; ora vengono da noi per goder la commedia, e da voi per la conversazione. (parte)

ELEONORA Sono ardite davvero queste commedianti, signori miei, non mi credeva d'avere un simile trattamento.

EUGENIO Sareste stata meglio trattata, se foste venuta con miglior maniera.

ELEONORA Noi altre virtuose parliamo quasi tutte così.

EUGENIO E noi altri comici rispondiamo così. (parte)

ELEONORA Sia maladetto quando son qui venuta.

PETRONIO Certo che ha fatto male a venir a sporcare i virtuosi suoi piedi sulle tavole della commedia.

ELEONORA Voi, chi siete?

PETRONIO Il Dottor per servirla.

ELEONORA Dottor di commedia.

PETRONIO Com'ella virtuosa di teatro.

ELEONORA Che vuol dire, dottore senza dottrina.

PETRONIO Che vuol dire: virtuosa senza saper né legger; né scrivere. (parte)

ELEONORA Ma questo è troppo; se qui resto, ci va della mia riputazione. Staffiere, voglio andar via.

ANSELMO Siora virtuosa, se la volesse restar servida a magnar quattro risi coi commedianti, l'è padrona.

ELEONORA Oh voi siete un uomo proprio, e civile.

ANSELMO Mi no son padron de casa, mal el capo di compagnia l'è tanto mio amigo, che se ghe la condurrò, so che el la vederà volentiera.

ELEONORA Ma le donne, mi perderanno il rispetto.

ANSELMO Basta che la se contegna con prudenza, e la vederà, che tutte le ghe farà ciera.

ELEONORA Andate, ditelo al capo di compagnia, e s'egli m'invita, può essere, che mi lasci indurre a venire.

ANSELMO Vado subito. (Ho inteso. La musica de sta patrona, l'è compagna della poesia del sior Lelio. Fame tanta, che fa paura). (parte)

LELIO Signora Eleonora, a me che sono vostro conoscente antico, potete parlare con libertà. Come vanno le cose vostre?

ELEONORA Male assai. L'impresario dell'opera, in cui io recitava, è fallito; ho perduta la paga, ho dovuto far il viaggio a mie spese, e per dirvi tutto, non ho altro che quello che mi vedete intorno.

LELIO Anch'io, signora mia, sono nello stesso caso, e se volete prendere il partito, che ho preso io, starete bene ancor voi.

ELEONORA A che cosa vi siete voi appigliato?

LELIO A fare il comico.

ELEONORA Ed io dovrò abbassarmi a tal segno?

LELIO Signora mia, come state d'appetito?

ELEONORA Alquanto bene.

LELIO Ed io benissimo. Andiamo a desinare, che poi ne parleremo.

ELEONORA Il capo di compagnia non mi ha mandato l'invito.

LELIO Non importa: andiamo, che è galantuomo. Non vi rifiuterà.

ELEONORA Ho qualche difficoltà.

LELIO Se avete difficoltà voi, non l'ho io. Vado a sentire l'armonia de' cucchiai, che è la più bella musica di questo mondo. (parte)

ELEONORA Staffiere, che facciamo?

STAFFIERE Io ho una fame, che non posso più.

ELEONORA Andiamo, o non andiamo?

STAFFIERE Andiamo per amor del Cielo.

ELEONORA Bisognerà superar la vergogna. Ma che farò? Mi lascierò persuadere a far la comica? Mi regolerò secondo la tavola dei commedianti. Già, per dirla, è tutto teatro, e di cattiva musica, può essere, ch'io diventi, mediocre comica. Quante mie compagne farebbero così, se potessero! È meglio guadagnarsi il pane colle sue fatiche, che dar occasione di mormorare. (parte collo Staffiere)

 

Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento: 17/07/05 21.19