XXV |
IMPRESA DI PISA (1504). |
1504. Seguitò lo anno 1504, nel principio del quale si cominciorono a scoprire nuovi
umori di cittadini nella città. Di sopra si è detto largamente che per cagione si
creassi la provisione di fare el gonfaloniere a vita, e perché el popolo voltassi tanto
grado in Piero Soderini e come in lui concorressi molti uomini da bene, massime Alamanno
ed Iacopo Salviati; ora s'hanno a intendere gli effetti sua, e' quali non corrisposono in
gran parte al disegno fatto. Principalmente lui, o perché considerassi che se e' metteva
el governo delle cose importante nelle mani degli uomini da bene, che loro sendo savi e di
autorità ne disporrebbono a modo loro e non seguiterebbono el suo parere se non quanto si
conformassino insieme, ed e converso che gli uomini di meno cervello e qualità, nelle
cose che avessino a trovarsi, si lascierebbono disporre e maneggiare da lui, e cosí mosso
da ambizione, o pure avendo preso sospetto contra ragione, che se gli uomini da bene
pigliavano forze, vorrebbono ristrignere uno stato e cacciare lui di quello grado che
aveva acquistato per opera loro, o mosso da l'uno e l'altro e cosí da ambizione mescolata
con sospetto, cominciò a non conferire ogni cosa colle pratiche, le quali quando si
facevano era necessario vi intervenissino e' primi uomini della città, ed in quello che
pure si conferiva, quando facevano qualche conclusione contraria al parere suo, non volere
che si eseguissi, anzi ingegnarsi ed el piú delle volte mettere a effetto la voluntà
sua. Alla quale cosa aveva la via facile, perché come e' fu creato, la multitudine,
parendogli che, poi che in palagio era uno timone fermo, la città non potessi perire,
creava quasi sempre de' signori uomini deboli e di qualità che si lasciavano menarne da
lui in modo che tutta via, o tutti gli erano ossequenti e non gli mancavano sei fave. Di
questa medesima sorte erano e' collegi, e la elezione de' dieci anche era cominciata a
allargarsi; cosí gli ottanta, in forma che quello che e' non conduceva nelle pratiche,
conferendolo con questi altri magistrati ed usando ora uno indiretto ora un altro, lo
tirava el piú delle volte a suo proposito. |
Aggiugnevasi che quando lui entrò, avendo trovata la città in grandissime spese e
gravezze e molto disordinata nella amministrazione del danaio, e le cose del Monte molto
disordinate, si erano diminuite in forma le spese, che el Monte rendeva piú che l'usato,
e le gravezze tutto dí scemavano. La quale cosa era proceduta in gran parte da diligenzia
sua, perché lui avendo presa la cura del danaio ed amministrandola con somma diligenzia e
con strema miseria, che gli era natural e et iam nelle sue cose private con tutto che
fussi ricchissimo e sanza figliuoli, aveva limitato moltissime spese. Erane stato aiutato
dalla sorte perché non avendo la città piú uno continuo sospetto del papa, Valentino,
Vitelli, Orsini, erano cessate molte spese che bisognavano farsi, e cosí ridotta la
città in tre cose che satisfacevano sommamente alla multitudine: essere gli ufici piú
larghi che mai fussino, el Monte ogni dí migliorare di condizione e le gravezze scemare,
era lodato universalmente el suo governo. |
Aggiugnevasi che alcuni uomini di autorità ed alcuni giovani che venivano in
riputazione, si gli erano dati in anima ed in corpo, chi per ambizione, chi per valersi di
lui, chi per uno rispetto e chi per uno altro, messer Francesco Gualterotti, el quale di
poi se ne alienò e diventògli inimico, Bernardo Nasi, Antonio Canigiani, Niccolò
Valori, Alessandro Acciaiuoli, Alessandro Nasi Francesco Pandolfini e simili; ma a quasi
tutti gli altri uomini di qualità e vecchi e giovani dispiaceva el suo governo,
giudicando che el volere governare le cose da se medesimo e di sua autorità facessi dua
effetti cattivi: l'una che, come mostrò tutto dí lo effetto, e' pigliassi molti errori
in danno del publico, l'altra ch'egli spacciassi e sotterrassi interamente gli uomini da
bene. |
Aggiugnevasi che circa alla giustizia lui ne aveva tenuta cura nessuna, in modo che in
questa parte, da poi che e' fu creato, la città non era medicata s nulla, anzi piú tosto
piggiorata e trascorsa; nondimeno per ancora questo disparere stava coperto o si
manifestava poco. Ma in questo anno si venne a aprire, perché Tommaso Soderini, nipote
del gonfaloniere, maritò una sua piccola figlioletta a Pierfrancesco de' Medici,
figliuolo di Lorenzo di Pierfrancesco che era morto l'anno dinanzi; e perché questo
parentado non si trattò per mano de' parenti e degli uomini da bene, come ragionevolmente
si debbono trattare gli altri parentadi, ma sfuggiascamente e per mano di notai, Giuliano
Salviati che era parente di Pierfrancesco, el Alamanno ed Iacopo sdegnati, e cosí e'
Medici instigati da costoro stracciorono la scritta e intorbidoronlo in modo, che quello
parentado rimase in aria e sospeso. |
Erano e' Salviati sdegnati con lui, perché non piacevano loro e' sua governi e
perché, sendo stati sua fautori ed operatori assai che e fussi condotto a tanto grado,
pareva loro gli pagassi di ingratitudine e massime che pochi mesi innanzi, essendo ser
Iacopo di Martino, loro amico intrinseco, cancelliere della mercatantía, l'aveva difatto
e con sei fave de' signori casso di quello uficio. E la cagione fu per battere e'
Salviati, parendogli che per avere sulla mercatantía uno instrumento come ser Iacopo (che
era uomo d'assai ed esercitato in quello luogo, in modo che era di momento grande alle
sentenzie che s'avevano a dare) molti cittadini che avevano a fare alla mercatantía
fussino forzati a fare concorso a loro; e lui diceva in sua giustificazione che,
conoscendo che si volevano fare capi della città, aveva voluto privargli di quella forza
per beneficio publico. E cosí si cominciò a dividere la città: da una parte Piero
Soderini gonfaloniere, da altra molti uomini di qualità, de quali si facevano piú vivi
e' Salviati e di poi Giovan Batista Ridolfi e nondimeno, perché la moltitudine ed el
consiglio grande non curava e non attendeva a queste cose, questa divisione faceva gli
effetti sua piú tosto fra gli uomini di piú autorità e nelle pratiche e luoghi stretti,
che altrove. |
In questo tempo si voltorono di nuovo gli animi alle cose di Pisa; e parendo che fussi
bene seguitare nel dare guasto e strignerli colla fame, si condusse messer Ercole
Bentivogli, Giampaolo Baglioni ed alcuni Colonnesi e Savelli, e fatto commessario Antonio
Giacomini, si dette el guasto quasi interamente; di poi considerando che tutto dí erano
mandati loro aiuti di vettovaglie per via di mare, si tolse a soldo... Albertinelli con
alcune galee, e' quali stando intorno a Porto Pisano ed a Torre di Foce impedissino
l'entrarvi vettovaglie. Le quali cose strinsono assai e' pisani, ma perché, non ostante
le galee che erano in mare per noi, non poteva essere che qualche volta non vi entrassi
vettovaglie, fu dato uno disegno al gonfaloniere che e' si poteva di sotto a Pisa volgere
el letto di Arno, in forma che non passerebbe piú per Pisa, e farlo sboccare in Stagno; e
cosí che rimanendo Pisa in secco, non vi entrerebbe piú vettovaglie per via di mare, e
verrebbesi piú facilmente a consumare. Messesi questa cosa in pratica da' dieci
cocittadini piú savi e finalmente non si acconsentendo, e parendo loro fussi piú tosto
ghiribizzo che altro, lo effetto fu che, sendo el gonfaloniere di opinione che si facessi,
la girò con tante pratiche e per tante vie, che se ne venne alla pruova; la quale con
spesa di piú magliaia di ducati riuscí vana e come aveano giudicato e' cittadini savi. |
Fecesi di poi un altro errore molto maggiore; perché sendo persuaso al gonfaloniere
che la disposizione de' cittadini pisani e de' contadini era sí cattiva che se fussino
sicuri poterlo fare, ne uscirebbe tanto a uno a uno che Pisa rimarrebbe vota, fece contro
la volontà de' cittadini primi e savi fare una legge, che tutti quegli pisani che
uscissino di Pisa e venissino in sul nostro fra uno certo termine, sarebbono restituiti
nelle robe loro, perdonati loro tutti e' delitti, rimessi tutti e' debiti publici. Vinta
questa legge, e' pisani usorono bene la occasione, perché pochi se ne fuggirono
sinceramente, ma cavorono via molti uomini disutili, di che nacque che avendo meno
mangiatori, si sostennono; ché, come si intese poi per diverse vie, la carestia era tale,
che se non avevano questa uscita, bisognava pigliassino partito. Nacquene ancora, che
molti di quegli rimessi nelle facultà e beni loro vicini a Pisa, hanno, come è stata
ferma opinione, sempre aiutato occultamente quegli di drento, e nondimeno, non se n'avendo
vera notizia è stato necessario conservare la fede. A questi mali, nati per imprudenzia
nostra, si aggiunse uno caso di fortuna, perché e' legni dello Albertinello per tempesta
si ruppono, e cosí sendo aperta la via del mare, vi entrò per ordine de' genovesi,
sanesi e lucchesi tanto grano che scamporono la fame. |
In questo verno el re di Francia si trovava in extremis, perché avendo avuto uno male
lungo, e caduto, secondo el giudicio de' medici, in ritruopico, si stimava inrimediabile;
e però lui non avendo figliuoli maschi, e veduto che el regno ricadeva a monsignore di
Anguelem giovanetto, disfece el parentado della figliuola sua col figliuolo dello
arciduca, e maritolla a Anguelem, el quale non si trovando in corte si partirono molti
signori di corte a visitarlo come nuovo re, tanto si credeva per ognuno che el re fussi
spacciato. E cosí in Italia essendo sollevati gli animi, monsignore Ascanio che si
ritrovava in Roma, perché richiesto da Roan non era voluto tornare in Francia ed erasi
fatto assolvere del giuramento da papa Pio, parendogli tempo a ricuperare lo stato di
Milano ed avendo, come si credette, intelligenzia col papa e viniziani, e co' danari sua o
di altri condotto Bartolomeo d'Albiano, e cosí favorito da Consalvi Ferrando e
seguitandolo Pandolfo Petrucci e, come si vedde poi, Giampaolo Baglioni, disegnò con
queste forze prima cavalcare in sul nostro e rimettere el cardinale e Giuliano de' Medici
in Firenze, e cosí fatto uno stato a suo proposito e del quale si potessi valere, andarne
alla volta di Milano, dove in sulla morte del re pareva la vittoria facilissima; el quale
apparato presentandosi, aveva molto sollevato ed insospettito gli animi della città,
tanto che ne venne l'anno seguente. |
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XXVI |
LA POLITICA MALDESTRA DI PIERO SODERINI. |
LE MILIZIE CITTADINE. BERNARDO RUCELLAI (1505). |
1505. L'anno 1505, fu in Firenze nel principio carestia grande, che el grano valse lo
staio uno ducato, in modo si dubitò assai che e' poveri e 'l popolo non facessino
tumulto; pure si manteneva la brigata, per essersi condotta buona quantità di grano a
Livorno, che prevedendo la futura carestia si era fatto venire di Francia e di Pollonia.
Ma accadde che le gente nostre, faccendo una scorreria, furono per loro disordine rotte al
Ponte a Capelletto da' pisani molto inferiori di numero; per la quale cosa e' nimici,
rimasti superiori alla campagna, impedivano la venuta del grano da Livorno; pure
finalmente si prese tale ordine; che venendo qualche parte del grano ed apressandosi la
ricolta, la carestia si sopportò. |
In detto tempo el re di Francia cominciato a migliorare, guarí fuora di speranza con
tanta velocità, che in pochi dí fu fuora di pericolo; da altra parte, come sono vani e
fallaci e' disegni degli uomini, monsignore Ascanio, essendo sanissimo, morí a Roma in
dua o tre giorni, e dissesi di peste; e cosí el subito guarire del re e la improvisa
morte di Ascanio ruppe un disegno ed ordito grande che si era fatto. Nondimeno Bartolomeo
d'Albiano, non avendo faccende e trovandosi in sull'arme, continuava el mettersi in
ordine, deliberato per ordine di Pandolfo e Giampaolo seguire la impresa contro a'
fiorentini; e però trattandosi de' provvedimenti che s'avevono a fare, si condusse per
capitano el marchese di Mantova, el quale venne a Firenze con animo di accettare, e
nondimeno, quello che se ne fussi la cagione, non ebbe effetto. Aggiunsesi che Giampaolo,
ritornatosi a Perugia si alienò da' soldi nostri; per la quale cosa la città, sendo
sanza arme, condusse Marcantonio e Muzio Colonna, per opera del gonfaloniere el quale si
confidava di loro perché erano inimici degli Orsini e perché cosí voleva el cardinale
suo fratello, per avere in Roma l'appoggio loro e potere stare a petto al cardinale de'
Medici parente e favorito degli Orsini. |
Erane stato tutto el verno grandissimo disparere, pignendola el gonfaloniere per
satisfare al cardinale, che si diceva averlo loro promesso e cominciato di già a dare e'
danari, ed opponendosi e' dieci de' quali erano capi Alamanno Salviati e Lanfredino
Lanfredini; e però fu poi opinione che el gonfaloniere guastassi la condotta del
marchese, acciò che la città fussi necessitata a condurre loro. E perché e' si dubitava
che Consalvo non fussi fautore della impresa di Bartolomeo, vi mandorono e' dieci
mandatario Ruberto di Donato Acciaiuoli, avendone però fatto conclusione con grandissima
difficultà; perché el gonfaloniere vi si opponeva, e per avervi uno uomo suo intrinseco,
vi voleva mandare Niccolò Machiavelli, cancelliere de' dieci, in chi si confidava assai.
Mandossi ancora degli ottanta mandatario a Milano a monsignore di Ciamonte, Niccolò di
Girolamo Morelli e si ritrasse da Napoli che Consalvo non era per volere aiutare
Bartolomeo, ma che noi non molestassimo e' pisani, che erano in protezione del re suo.
Tennesi ancora pratica con Giampaolo di ricondurlo, la quale non ebbe effetto, ma si tolse
uno suo piccolo figliuolo con venti uomini d'arme a che lui acconsentí, parendogli che
doppo la morte di Ascanio e' disegni contra noi fussino deboli, e la città lo fece
volentieri, acciò che per questo rispetto Giampaolo si astenessi dal venirci contro. |
Bartolomeo intanto, messo in ordine, ne venne per la via di Siena al principio di
agosto, e non volendo seguitarlo Giampaolo, allegando la scusa di essere el figliuolo a'
soldi nostro, prese la volta di Pisa per la via di Maremma di Siena e poi di Volterra, e
perché lo entrare suo in Pisa sarebbe stato danno grandissimo alle cose nostre, di chi
era governatore messer Ercole Bentivogli e commessario Antonio Giacomini, si aviorono a
quella volta; e finalmente sendo acchetate in luogo propinquo, e sendo pari d'uomini
d'arme, benché e' nostri avanzassino di fanterie, si venne a giornata a dí... di agosto,
dove doppo una lunga zuffa, gli inimici furono rotti e presine assai, e Bartolomeo
d'Albiano ebbe la caccia; pure fuggendo scampò. Furono presi tutti e' carriaggi e
bandiere sue, le quali si apiccorono nella sala del consiglio, sendo el gonfaloniere molto
invanito di questa vittoria ed attribuendola a gloria sua. |
Avuta questa vittoria, messer Ercole ed Antonio Giacomini che erano allora in somma
riputazione, scrivendone molto in publico ed in privato al gonfaloniere che si andassi a
campo a Pisa, accennando avervi intelligenzia e promettendone una vittoria certa, el
gonfaloniere vi era su molto caldo e procedevavi non come chi ha speranza o fede in una
cosa, ma come chi ha certezza. E' cittadini savi e di autorità erano d'una altra
opinione: presupponevano che, conoscendo quanta fussi la ostinazione de' pisani e quante
volte avevano con arte tenute pratiche di accordi, s'aveva a fare fondamento in sulla
forza sola, e tutte le altre essere cose vane e però essere da pensare come colla forza
fussimo sufficienti, in che s'aveva a considerare quanto e' pisani erano uomini valenti ed
esercitati e quanto la terra loro fussi piena ed abondante di artiglierie e cose
necessarie a difendersi. E però bisognare tre cose alla vittoria di Pisa: una, uno
valente capo, e questo non essere messer Ercole, tenuto uomo prudente e di grande giudicio
a disegnare, ma di poco animo e male atto a mettere a esecuzione, e se bene aveva rotto
Bartolomeo d'Albiano, che la sorte di uno dí non doveva avere tanta efficacia che
scancellassi la opinione s'aveva di lui fondata in su e' sua processi di molti anni; la
seconda uno esercito grosso, massime di buone e pratiche fanterie la quale cosa non era
possibile, e per la difficultà che avevamo da fare danari e perché rispetto alla
scarsità del tempo bisognava con prestezza esservi a campo; la terza, potervi stare a
campo tanti dí che, se non el primo impeto, almeno la lunghezza gli domassi, e questo non
si potere fare, sí per la stagione del tempo, che si guasterebbe ragionevolmente presto
poi che el campo vi fussi giunto, quale non vi poteva essere prima che a' sei o otto dí
di settembre, sí perché vi verrebbe aiuti da Consalvo co' quali poi si difenderebbono
francamente. Essere meglio, in sulla riputazione della vittoria fresca, volgere le gente
in quello di Siena, dove era entrata tanta paura e viltà, che scorsa e predata sanza
riparo quella Maremma e presa Massa o qualche altra terra grossa in pegno di
Montepulciano, facilmente si muterebbe lo stato di Siena; e di poi, voltisi in quello di
Lucca, fare e' medesimi effetti e condurgli a qualche accordo, e cosí levati a' pisani
questi sussidi che gli mantenevano vivi, posarsi per quello anno, piú tosto che
temerariamente andandovi a campo, perdere una tanta occasione di vendicarsi ed acconciare
le cose di Siena e Lucca, gittare via una somma grande di danari, provocarsi inimico
Consalvo e perdere tutta quella gloria ed onore che si era acquistato nella rotta di
Bartolomeo. |
Questi erano e' discorsi de' cittadini prudenti, e cosí, ragunati in una pratica de'
dieci circa quaranta de' principali, quasi tutti d'accordo consultavano. Ma el
gonfaloniere che aveva disposto altrimenti, sapendo quello che e' cittadini di autorità
consulterebbono, avendo affermata la vittoria di Pisa, aveva subito fatto chiamare gli
ottanta, e loro avevano vinto vi si andassi a campo; e cosí fattolo intendere agli uomini
della pratica, loro, veduto el suo consultare essere vano, ed essere dileggiati dal
gonfaloniere, se ne andorono a casa. L'altro dí poi, fatto chiamare el consiglio, propose
se s'aveva andare a campo a Pisa, e si vinse, non vi sendo, in uno numero di piú che
mille uomini altro che centosei fave bianche. Fatte adunche la deliberazione, si attese ad
eseguire ed ordinare che a dí... di settembre fussino a campo. |
Intanto Consalvo, udito questo apparato, fatto chiamare Ruberto Acciaiuoli, si era
molto doluto, dicendo questo essere contro alla fede datagli di non andare a campo a Pisa,
e minacciando che vi manderebbe aiuto; a che replicandosi per Ruberto non avere notizia di
questa promessa, lui chiamò in testimonio Prospero Colonna, el quale disse, el cardinale
Soderino avergliene promesso per parte del gonfaloniere. Rispose Ruberto giustificando la
città, che non era obligata per le promesse del gonfaloniere; ma non giovando nulla,
Consalvi gli disse che voleva che ritornassi a Firenze e facessi imbasciada che tra otto
dí sarebbono in Pisa le genti sue. Ritornato Ruberto, e riferendo al gonfaloniere, lui
sorridendo rispose: "Ruberto, fra otto dí aréno noi acconcio e' casi nostri";
tanto era ostinato nella opinione sua. Intanto ordinandosi el campo messer Ercole
Bentivogli chiese el titolo di capitano, el quale ottenne non per voluntà della città,
ma perché non si partissi. |
Venne adunche el campo a Pisa a dí sei di settembre, e nello alloggiare fu morto el
cavallo sotto a messer Ercole; ed a' dí otto la signoria fece venire in Firenze la tavola
di Santa Maria Impruneta. Ma come la impresa fu presta e temeraria, cosí fu debole e
vituperoso el successo, perché non si scoprendo in Pisa intelligenzia alcuna, el capitano
e commessario sbigottirono assai, ché aveano in su questo disegno fondata la maggiore
parte della speranza loro; e di poi avendo gittate colle artiglierie in terra parecchi
braccia di muro, e volendo dare la bataglia, fu ne' nostri fanti tanta viltà e si poco
ordine, che bruttamente ributtati non feciono effetto alcuno; e di poi, giugnendo in Pisa
alcuni fanti spagnuoli mandati da Consalvi, fu necessario levarsi da campo, perduta ogni
speranza, con gran carico del capitano, del commessario e del gonfaloniere. Cosí seguí
secondo el parere de' savi, co' quali s'aveva a procedere non colla multitudine la quale
non sa e non considera la circumstanzie delle cose e volenterosa si muove a ogni speranza,
benché el gonfaloniere non si movessi per consiglio della multitudine, ma sendo disposto
in ogni modo fare la impresa, pigliassi quel sesto e per sbigottire chi la sconfortava e
per essere scusato in ogni evento, cosa troppo brutta e perniziosa a guidare e consigliare
cosí le cose publiche di tanta importanza. |
Levato el campo da Pisa, successe non molto poi la morte di Isabella regina di Spagna,
cosa di momento grande, perché, non avendo lei figliuoli maschi, una parte di quegli
regni che erano sua, per eredità avevano a venire in mano della figliuola moglie di
Filippo duca di Borgogna, e cosí la potenzia del re Ferrando, si veniva a dividere; e
benché lui cercassi rimanerne in vita governatore, nondimeno quegli populi chiamarono el
duca Filippo, el quale subito insieme colla donna ne andò in Spagna. |
In questo tempo el gonfaloniere disegnando, come di sotto si dirà fare una ordinanza
di fanterie in sul nostro, e volendo farne capo don Michelotto spagnuolo che era stato a'
servigi del Valentino, uomo crudelissimo, terribile e molto temuto, deliberò, per
facilitarsi la via condurlo per bargello del contado; e perché dubitava che se si metteva
in pratica de' dieci, e' cittadini non la acconsentissino, fece prima destramente tentare
dal Machiavello, cancelliere, lo animo di messer Francesco Gualterotti, Giovan Batista
Ridolfi, Piero Guicciardini e dl alcuno de' primi, e veduto la contradicevano non ne fatta
consulta alcuna, messe la condotta a partito negli ottanta, e trovatigli sori, la vinse al
secondo e terzo partito. Ebbonne e' cittadini di qualità grande alterazione, dubitando
che questa voglia di avere don Michele non fussi fondata in su qualche cattivo disegno e
che questo instrumento non avessi a servire o per desiderio di occupare la tirannide o,
quando fussi in qualche angustia, per levarsi dinanzi e' cittadini inimici sua; e benché
molto se ne sparlassi, nondimeno, sendo vinta la condotta negli ottanta, fu necessario
avessi effetto. |
Ne' medesimi tempi si cominciò a dare principio alla ordinanza de' battaglioni, la
quale cosa era state anticamente nel contado nostro, che si facevano le guerre non con
soldati mercennari e forestieri, ma con cittadini e sudditi nostri; di poi era stata
intermessa da circa dugento anni in qua, nondimeno si era, innanzi al 94, qualche volta
pensato di rinnovarla; e doppo el 94, in queste nostre avversità molti avevano qualche
volta detto che e' sarebbe bene tornare allo antico costume, pure non si era mai messo in
consulta, né datovi ne designatovi principio alcuno. Volsevi di poi l'animo el
Machiavello e persuasolo al gonfaloniere, veduto che gli era capace, cominciò a
distinguergli particularmente e' modi; ma perché gli era necessario per riputazione e
conservazione di una tanta cosa, che se ne facessi provisione in consiglio, e considerando
che per essere cosa nuova ed insolita, el popolo non vi concederebbe se non avessi prima
visto qualche saggio, o vero se e' cittadini primi non la consentissino, e dubitando, come
era vero, che la pratica non vi concorrerebbe cominciò el gonfaloniere, sanza fare
consulta, colla autorità della signoria a fare scrivere pel contado, come in Romagna, in
Casentino, in Mugello e ne' luoghi piú armigeri, quegli che parevano atti a questo
esercizio, e messigli sotto capi, cominciò el dí delle feste a fare esercitare e ridursi
in ordinanza al modo svizzero, nella città non si fece nulla, perché era cosa sí nuova
ed insolita che bisognava condurla a poco a poco. |
Furonne ne' primi cittadini di vari pareri: tutti acconsentivano lo ordine essere in
sé buono, ma avere bisogno di due cose: l'una, che si dessi qualche premio a questi
scritti, acciò che piú volentieri si esercitassino e piú fidelmente servissino;
l'altra, che e' si osservassi fra loro una severa giustizia perché altrimenti essendo in
su le arme, si avezzerebbono a fare superchierie, e sarebbe pericolo che un dí non si
voltassino contro alla città o cittadini. E perché chi credeva che queste cose si
farebbono, chi no, però nascevano e' dispareri: alcuni dubitavano che el gonfaloniere non
gli adoperassi un dí a occupare la libertà o a spacciare e' cittadini inimici sua, e
però terribilmente la dannavano, el popolo non si sapeva risolvere, e però per pigliarlo
cominciorono a farne mostre in piazza de' Signori di seicento o ottocento per volta, ed
esercitargli alla svizzera, in modo che colla moltitudine entrorono in riputazione. |
In questo tempo Bernardo Ruccellai, inimico capitale del gonfaloniere, e che doppo la
creazione sue non si era mai voluto trovare a pratiche né intervenire in cosa alcuna
publica, si partí occultamente della città ed andossene a Vignone, non avendo conferito
forse con alcuno questo suo proposito e le cagione che lo movevano, fecesene vari giudici:
alcuni stimorono che e' fussi partito perché veduto ordinare e' battaglioni e condurre
don Michele, avessi paura che el gonfaloniere non volessi con modo estraordinario e
tirannico manomettere gli inimici sua, la quale cosa facendosi, stimava avere a essere el
primo o de' primi percossi, e lui ebbe caro si credessi fussi stata questa cause; alcuni
crederono che Bernardo, male contento del gonfaloniere, avessi tenuto qualche pratica con
Medici con Pandolfo Petrucci circa a mutare lo stato, e massime che Giovanni suo
figliuolo, di cervello e modi simile al padre, era piú volte andato a Roma occultamente
per le poste e però insospettito non essere messo in una quarantía, giudicio terribile,
come di sotto si dirà, essersi partito. Ed a questa opinione, che era forse ne' piú
savi, faceva fede l'averne piú mesi innanzi mandato Giovanni a Vinegia e di poi menatolo
seco a Vignone. Molto lo attribuirono che Bernardo, eziandio che fussi sanza sospetto,
soportassi tanto male volentieri el gonfaloniere e modi sua, che per non avere questo
dispetto in su gli occhi e discostarsi da questa passione, eleggersi el partirsi; a questo
giudicio faceva fede la natura e modi sua, de' quali, perché fu uomo eccellente e qualche
volta in riputazione grande, non sarà fuora di proposito dirne qualche cosa. |
Fu Bernardo Rucellai uomo di grande ingegno, di ottime lettere e molto eloquente, ma
secondo el parere de' savi, di non molto giudicio, e nondimeno per la lingua per gli
ornati ed acuti discorsi che faceva, per molte destrezze di ingegno, era universalmente
riputato savissimo. Ma fu di una natura che, o perché gli aspirassi di essere lui capo e
guide della città, o perché e' fussi amatore della libertà e desiderassi uno stato
libero e governato da uomini da bene (ma con molte cose si apuntò, che era impossibile
fermarlo altrimenti che di cera), non potette mai stare contento e quieto a alcuno governo
che avessi la città. Era a tempo di Lorenzo cognato suo, e con grande autorità e
credito, nondimeno impaziente cominciò a mordere le azioni sue, non però publicamente,
ma con qualcuno e tanto che ritornava agli orecchi di Lorenzo, al quale dispiaceva assai,
nondimeno perché l'aveva molto amato ed eragli cognato, lo comportava. Morto Lorenzo
rimase, nel principio, grandissimo con Piero, ed in forma che pel parentado e per la età
poteva sperare d'avergli a essere quasi padre; ma cominciato a intraversare seco, gli
diventò in modo inimico, che, per mezzo di Cosimo suo figliuolo, tenne pratiche co'
figliuoli di Pierfrancesco e col duca di Milano; di che sostenuti e' figliuoli di
Pierfrancesco, Cosimo ebbe bando di rubello e Bernardo rimase in Firenze con pericolo e
sospetto grande. |
Cacciato Piero e fondato el consiglio grande, a lui dispiaceva sommamente, e però si
oppose alle cose del frate e prese uno modo di vivere di non volere onori e starsi a
specchio e pure attendere a ciò che si faceva, quanto altro cittadino di Firenze, che
acquistò nome di essere ambizioso e male contento, in modo che venne in sommo odio al
popolo. Arso el frate, dove si operò assai in beneficio de' cittadini amici del frate, fu
fatto gonfaloniere di giustizia, e rifiutollo; di che perdé molto, giudicando assai che
in lui fussi una ambizione infinita, la quale non si saziassi degli onori consueti ed
ordinari, ma desiderassi una potenzia ed autorità estraordinaria, e nondimeno era
riputato tanto savio, che era di gran momento ed aveva fede grande nelle pratiche. Ma poi
creato el gonfaloniere, del quale era prima privatamente inimico, lui, seguitando lo stile
suo, non volle andare a visitarlo, non mai intervenire a pratiche, e vivendo malissimo
contento benché in dimostrazione si fussi ristretto con molti litterati ed attendessi
alle lettere ed al comporre, è opinione di qualcuno tenessi qualche pratica de' Medici,
tanto che ultimamente, o per paura o per sdegno, si partí da sé e non cacciato dalla
città; cosa miserabile a pensarlo, che lui vecchio e che aveva in ogni stato avuto tanto
credito, si partissi poi in quella forma; e nondimeno non parve se ne risentissi né
curassi persona di qualità alcuna, tanto era cominciata a dispiacere la natura ed
inquietudine sua. |
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XXVII |
GIULIO II CONTRO I VENEZIANI. |
FERDINANDO II D'ARAGONA A NAPOLI (1506). |
1506. Seguitò lo anno 1506, nel principio del quale essendosi ordinata la riforma
ordinaria del Monte ed una provisione, per potere rispondere alle paghe, di due decime e
mezzo, e due arbítri [e] mezzo; ed essendo molte volte ita a partito negli ottanta,
passò con difficultà, sendo massime contradetta da messer Antonio Malegonnelle, che,
mostrando questa gravezza essere disonesta, persuase si facessi una gravezza ordinaria, lo
effetto della quale era in buona parte rincarare el sale. Ma opponendosigli e ributtandolo
vivamente el gonfaloniere, passò gli ottanta, e venuta nel consiglio e non si vincendo,
venne in gara, da una parte, dal gonfaloniere che tutto dí chiamando el consiglio non
cessava di proporla e riscaldarla, da altra da molti uomini da bene, massime giovani, che
erano molto caldi e solleciti al contradirla, e tanto piú, quanto e' si intendeva che
poco numero di fave gli darebbono perfezione. |
E però el gonfaloniere riscaldato, sendo una mattina ragunato el consiglio, fece
publicare che secondo gli ordini non potevano essere in consiglio ancora quegli che erano
caduti a specchio da poi che si era fatta la ultima imborsazione: il che toccava a molti,
de' quali la piú parte erano giovani da bene e che si opponevano alla gravezza; e cosí
voto del consiglio di piú fave inimiche, credette avere vinta la provisione. Ma sendo
sdegnati di questo atto disonesto molti di quegli che rimasono in consiglio e che prima la
vincevano, e però dando le fave bianche, la provisione tornò adrieto; e cosí inaspriti
gli animi, andò in consiglio a partito centosei volte e finalmente non si vinse. Eravi el
gonfaloniere su indiavolato, e come fu entrata la nuova signoria, la voleva cimentare, ma
Giovan Batista Ridolfi, che era de signori nuovi, si gli oppose dicendo non essere giusto
volere cozzare col popolo e però si riformò el Monte per otto mesi, non si ponendo
gravezza alcuna. Ma come la signoria fu uscita, si propose una decima ed uno arbitrio, e
rincarare el ottavo le gabelle di dogana; la quale, per parere cosa leggiere, si vinse
facilmente. |
In detto tempo nacque uno caso privato, el quale tenne in sospensione molte settimane
la città. Aveva Alessandro di Lionardo Mannelli per moglie una figliuola di Alamanno de'
Medici, giovane disonesta e cattiva molto notoriamente; costei essendo in villa ed
Alessandro in Firenze, fu di notte amazzata da uno famiglio di Alessandro, e parendo
verisimile fussi stato per ordine di Alessandro, fu posta la querela agli otto contro a
lui. E' quali non si risolvendo a volerne ritrovare el vero, andò el giudicio in
quarantía, secondo una legge fatta innanzi a tempo del gonfaloniere, dove si disponeva
che ogni volta che uno caso criminale fussi innanzi a qualunque magistrato e fra uno certo
termine non si spedissi, avessi a diffinirsi dalla quarantía; che era uno giudicio dove
interveniva el gonfaloniere, uno de' signori, tre de' collegi, el magistrato che la
intrometteva, e tanti degli ottanta, che si traevano per sorte, ma el numero si deputava
da' signori e collegi, pure che non potessino essere meno di venti né piú di quaranta; e
loro avevano termine a espedirle quindici dí. |
Venuto adunche questo caso in quarantía, dove venivano in accusa di Alessandro e'
fratelli della morta ed in difesa Francesco, fratello di Alessandro, fu prima ordinato che
Alessandro si rapresentassi al bargello; e parendo indizi molti urgenti contro a lui, si
dispose si traessino esaminatori che avessino a esaminarlo con parole e con fune. De'
quali sendo a sorte tratto messer Antonio Malegonnelle, che era di quarantía, non volle
mai dargli fune, allegando non vi essere indizi sufficienti; in modo che correndo el tempo
de' quindici dí e non essendo trovata la verità, né si potendo gli uomini risolvere,
assolverono Alessandro, con patto che questa materia si potessi ogni volta ritrattare e
lui non uscissi di prigione insino a tanto avessi dato mallevadori, per cinquemila ducati,
di rapresentarsi a ogni requisizione di qualunque magistrato. Ma non si posò per questo
la cosa, perché e' Medici avendo notizia che el famiglio che l'aveva morto era fuggito a
Siena, ne avisorono el cardinale de' Medici, el quale vi concorreva volentieri, si per lo
interesse del parentado, sí perché intendeva e' Mannelli essere inimici di casa sua ed
amici del gonfaloniere e però per mezzo suo Pandolfo lo fece sostenere in Siena, e quivi
avuto della corda, confessò averla amazzata per ordine di Alessandro, e venuto el
processo in mano de' fratelli, lo riaccusarono agli otto. E perché questa cosa era venuta
quasi in divisione di stato rispetto al gonfaloniere ed agli amici de' Medici ed inimici
sua, gli otto, desiderosi di ritrovarne el vero, chiesono questo famiglio a Pandolfo, e
non lo potendo ottenere, Pellegrino Lorini e Giovan Batista Guasconi, dua degli otto
andorono insino a Siena a esaminarlo; ed avuto el riscontro in carico di Alessandro,
tornati a Firenze lo feciono subito pigliare. |
Ma poco di poi, donde si nascessi la origine, non confessando Alessandro che era stato
apiccato un poco alla corda, Pandolfo concesse el famiglio, el quale venuto a Firenze con
sicurtà della vita, disse el contrario di quello che aveva detto a Siena, e che
Alessandro era innocente; in modo che gli otto lo assolverono, benché la piú parte degli
uomini restassi in opinione che Alessandro aveva errato. Cosí si terminò questo caso,
del quale si era parlato assai non solo a Firenze ma ancora a Siena e Roma, dove si
interpretava che sotto nome di caso criminale fussi una rabbia e gara di stato. Ebbene
nella prima quarantía messer Antonio Malegonnelle carico grande, come se contro al dovere
avessi voluto perdonare a Alessandro, ed uomini della quarantía scrissono polizze assai
in suo vituperio, ricordando non era stato sí clemente quando furono sostenuti Lorenzo e
Giovanni di Pierfrancesco; di che lui che era riputato uomo intero ed amatore dello onore,
ebbe tanto dispiacere che, morendo poche settimane poi, si attribuí ne fussi stato
cagione questo rimescolamento. |
Levossi nel medesimo tempo una voce, come una figliuola di Piero de' Medici, che era a
Roma, si era maritata a Francesco di Piero di messer Luca Pitti, che si trovava nella
Marca; e però sendo posto agli otto una querela in carico di Piero Pitti, chiesono la
quarantía, la quale si trasse nel medesimo dí che quella di Alessandro. Ma udito Piero
Pitti e certificati detto parentado non essere vero, lo assolverono facilmente, e fu
opinione ferma e vera che la querela fussi stata posta da chi sapeva la verità, non per
punire Piero Pitti, ma per mostrare a chi avessi voglia di fare quello parentado, che la
città se ne risentirebbe e farebbesi caso di stato, e che chi lo facessi, arebbe a essere
giudicato dalla quarantía. |
Ne' medesimi tempi si intese essere fatto accordo tra il re Ferrando e Filippo duca di
Borgogna, per virtú del quale rimaneva al Re Ferrando el reame di Napoli e di Sicilia ed
el regno d'Aragona: a Filippo la Castiglia, la Granata ed altri stati; in modo che per
virtú di questo accordo, el nome di re di Spagna rimaneva al re Filippo, el nome di re di
Ragona rimaneva a Ferrando. E poco poi detto re Ferrando ritolse per donna una franzese di
casa regale, e per sua dote el re di Francia gli cedé tutte le ragione che aveva nel
reame di Napoli, e si contrasse pace, lega ed amicizia tra questi dua re di Francia e di
Ragona. E perché el re di Ragona aveva per molte cause avuto sospetto che Consalvo non
volessi usurpare per sé el reame di Napoli, deliberò, e per questo e per altri rispetti,
venire personalmente in Italia con la regina e con tutta la corte, e con animo di
fermarvisi qualche tempo, e si cominciò a mettere in ordine e prepararsi al venirne.
Intesesi ancora come Massimiano, favorito del re Filippo suo figliuolo, si metteva in
ordine per passare in Italia per la corona dello imperio e contro al re di Francia, di che
sendo sollevata tutta Italia, non ebbe effetto per la cagione che di sotto si dirà. |
El papa, ancora sdegnato molto contro a' viniziani per la perdita di Rimino e di
Faenza, e desideroso recuperare quelle terre ed altri stati della Chiesa, massime Bologna,
tenuta pratica col re di Francia ed avendo promessa da lui di essere servito di gente,
publicò volere fare la impresa di Bologna ed andarvi personalmente, con animo, acquistata
Bologna, di attendere agli stati della Chiesa che tenevano e' viniziani in Romagna; e si
credeva che el re di Francia romperebbe la guerra in Lombardia. Partissi adunche da Roma e
stette molti dí fermo in quelle circumstanzie, perché e' favori del re gli mancavano
sotto; pure di poi assodatosene, ne venne a Perugia e fatto accordo con Giampaolo
Baglioni, che governava quella terra, gli dette condotta e lasciò uno legato in Perugia e
ridusse quella terra in arbitrio suo rimettendovi ancora molti fuorusciti inimici di
Giampaolo e restituendo loro e' bene usurpati. Richiese ancora la città di cento uomini
d'arme per questa impresa; della quale dimanda faccendosi pratica, alcuni la
contradissono, de' quali massime furono capi messer Francesco Gualterotti, messer
Francesco Pepi ed Alamanno Salviati; e benché allegassino molte ragione che erano tenute
debole, tacevano la vera che gli moveva, che era per fare vergogna al gonfaloniere ed al
cardinale suo fratello e' quali avevano sanza dubio promesso privatamente al papa questo
sussidio e volevano di questo beneficio publico acquistare grado in privato. Nondimeno,
perché male si poteva negare questa dimanda Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini e
molti altri la confortorono, in forma che accordandosi la piú parte e favorendola el
gonfaloniere si consentí e si mandò con queste gente Marcantonio Colonna. |
Seguitò di poi el papa el suo viaggio, ed essendo pieno di sdegno contro a'
viniziani, uscí della via diritta per non passare pe' terreni loro, e vennene in sul
nostro per una via piú lunga e difficile, dove essendo accompagnato da Pierfancesco
Tosinghi nostro commessario in Romagna, gli disse che era venuto el tempo che noi vedremo
vendetta degli inimici della Chiesa e nostri, accennando apertamente de' viniziani. Cosí
appressandosi a Bologna con forte esercito, publicò una fortissima escomunica contro a
messer Giovanni Bentivogli e figliuoli comprendendovi drento tutti quegli che gli dessino
alcuna spezie di sussidio e favore; e da altro canto apressandosi le gente franzese, era
ridotto lo stato di messer Giovanni in somma diffìcultà; in forma che, come el papa fu
in Faenza, dove era andato per la città nostra imbasciadore messer Francesco Pepi, messer
Giovanni ed e' figliuoli inviliti e diffidati di se medesimi, fatto certo accordo, si
fuggirono di Bologna, ed e' bolognesi subito si dettono al papa. La quale cosa intendendo
e' franzesi che desideravono mandare Bologna a sacco come uomini bestiali e sanza ragione,
vollono entrare violentemente in Bologna, ma difendendosi francamente quegli di drento,
furono ributtati; e nondimeno el papa, per posargli, dette loro certa somma di danari e
poi entrò con tutta la corte pacificamente in Bologna, e vi cominciò a edificare una
fortezza. |
Era in questo mezzo el re di Ragona venuto per mare alla volta del reame, e molti de'
sue gentiluomini e baroni colle donne e brigate loro ne venivano per terra; e perché gli
aveva per transito a toccare Piombino, vi fu mandato oratori a visitarlo e presentarlo,
messer Giovanni Vettorio Soderini, Niccolò del Nero, amico suo per avere lungamente fatto
faccende in Spagna, Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno Salviati, de' quali Giovan Batista,
amalato per la via, si ritornò a Firenze. Aspettoronlo quivi piú di uno mese, perché el
re, sendo arrivato a Portofino in quello di Genova, fu constretto pe' tempi cattivi starvi
molti dí e di poi arrivato in Piombino, mostrò avere molto care questa visitazione della
città. Partitosi da Piombino, ebbe in quegli tempi nuove, come el re Filippo suo genero,
avendo avuto male due o tre giorni, era morto; segno della fragilità umana, che uno
principe sí grande e sí felice pel reame di Spagna, pel ducato di Borgogna, per la
aspettativa dello imperio, essendo giovane e gagliardo, morissi quasi di subito. |
Fu questa morte cagione di impedire la passata di Massimiano in Italia, perché
mancandogli questo favore e non gli bastando le forze sue, fu constretto a cercare aiuti
di altri; fu gratissima al re di Francia, per essersi levato dinanzi uno vicino suo
inimico e potentissimo, e vedere indebolita la possanza del re de' romani; fu grata al re
Ferrando, perché rimanendo lo stato di Spagna nelle mani della figliuola sua, ebbe
speranza avere a essere richiamato al governo; e nondimeno seguitando el suo viaggio, ed
essendogli venuto incontro e datosigli nelle mani liberamente Consalvo, fu ricevuto in
Napoli con grandissima allegrezza e piacere, e fece ne' primi giorni molti segni di
benivolenzia a Consalvo, nondimeno poco poi, con tutti e' modi che potette, gli tolse
tacitamente riputazione. A questo re riputato molto savio e buono ed aspettato con sommo
desiderio da chi desiderava acconciarsi le cose di Italia, mandò la città oratori messer
Francesco Gualterotti ed Iacopo Salviati, avendo grande speranza che e' fussi per
annunciare le cose di Pisa; il che, come di sotto in altro luogo si dirà, riuscí vano. |
Vinsesi poi la provisione di fare la ordinanza de' battaglioni nel contado e, per dare
piú riputazione, che e' si creassi uno magistrato di nove cittadini e' quali tenessino la
prima degnità doppo a' dieci, che avessino cura di questa opera; e cosí furono creati. |
Avuta che ebbe el papa Bologna, aspettandosi che e' facessi la impresa contro a'
viniziani ed avendo lettere dal re di Francia come e' si metteva in ordine con grosso
esercito per venire personalmente in Italia ed a Bologna a fargli reverenzia ed aboccarsi
colla santità sua, subito ex arrupto, lasciato un legato a Bologna ed ordinate una certa
forma di governo, se ne ritornò con la corte a Roma per la via di Romagna, toccando per
transito e' terreni de' viniziani. La cagione fu interpretata perché e' dubitassi che
essendo el regno di Francia in nome apresso al re, in fatto nelle mani del cardinale di
Roano, che se el re veniva con tanto esercito in Italia ed a Bologna, quello cardinale per
ambizione del papato, non gli facessi mettere le mani adosso e privassilo del papato. Ma
non si seppe se questo sospetto gli entrassi naturalmente da se medesimo, o pure per
suggestione del cardinale di Pavia, el quale poteva in lui el tutto, e di altri sua
confidati che fussino stati corrotti da' viniziani, quello che si fussi la cagione, questa
partita roppe tutti e' disegni fatti contro a' viniziani, e' quali erano sí fondati, che
loro ne temevano assai. |
Alla fine di questo anno essendo tornato el papa a Roma, gli fu creato oratore Ruberto
Acciaiuoli, ed a Napoli, in luogo di messer Francesco e di Iacopo che volevano tornare, fu
eletto Niccolò Valori. |
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XXVIII |
LUIGI XII IN ITALIA. MASSIMILIANO I D'ASBURGO |
DISCORDIE IN FIRENZE (1507). |
1507 Seguitò lo anno 1507, nel principio del quale nacquano movimenti nuovi per le
cose di Genova. Era nella fine dello anno nata in Genova differenzia tra e' gentiluomini
ed el popolo, la quale procedé tanto oltre, che el popolo, levato in arme, cacciò di
Genova tutti e' gentiluomini con le donne e famiglie loro, ma perché e' ricorsono al re
di Francia, sotto el dominio di chi era nello acquisto di Milano venuta Genova, lui cercò
pacificamente rimettergli nella patria Ma sendo ostinati gli animi de' popolani ed
intendendo che el re era disposto, se non giovavano e' modi dolci, a usare la forza prese
alla fine l'arme, si ribellorono dal re ed accamporonsi al Castelletto che era guardato
pel re, richiedendo di aiuto el papa, lo imperadore, el re di Napoli ed e' viniziani. E
però nel principio di questo anno el re ordinato una grosso e potente esercito, ne venne
alla volta di Italia di che sendo avisata la città da Francesco Pandolfini, che vi era
oratore mandatovi in scambio di Niccolò Valori che vi era stato mandato doppo Alessandro
Nasi, si elesse oratori nuovi per onorarlo in Italia Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno
Salviati, e' quali avendo rifiutato vi furono mandati Pierfrancesco Tosinghi e Giovanni di
Tommaso Ridolfi. |
El re intanto, giunto a Milano, si aviò personalmente colle gente verso Genova,
benché Roan ed e' primi della corte molto lo sconfortassino dello andare in persona,
perché, rispetto a' luoghi aspri e difficili, pareva che si mettessi in qualche pericolo,
e quando bene non vi fussi pericolo, che non riuscendo la impresa, giucassi troppo della
riputazione sua. E certo questa impresa fu riputata tanto difficile, che tutta Italia
stava sospesa a aspettarne lo effetto perché oltre allo essere fra Milano e Genova passi
molto forti ed aspri dove avevano a passare e' franzesi, oltre allo essere la città
fortissima e di natura e di accidente, si intendeva che quello popolo armigero ed uso alle
zuffe era ostinatissimo al difendersi. Avevano eletto uno popolano vile per doge, avevano
pieno Genova di soldati e fanti forestieri e pareva che con grande animo aspettassino la
venuta degli inimici; ma come el re in persona e le sue gente si accostorono alla città,
subito entrò fra loro tanta viltà e disordine, essendo massime stati ributtati da uno
passo forte, che prestissimamente si dettono al re. |
Credesi che questa vittoria dispiacessi al papa ed al re di Napoli, nondimeno, massime
el re, non ne feciono, né prima né poi, segno manifesto. Ma certo fu che a' viniziani
dispiacque assai, e' quali considerando essere el re in Italia con sí grosso esercito, e
quanta riputazione aveva acquistata per la sí presta espugnazione di Genova, città
fortissima e potentissima, cominciorono molto a temere dello stato loro, e però voltisi
allo imperadore, lo richiesono facessi qualche dimostrazione di volergli soccorrere in
caso che el re gli offendessi; il che lui fece volentieri, e gli serví di cinquemila
uomini; publicando che gli aiuterebbe con tutte le forze sue. |
Ebbe di questa vittoria grandissima allegrezza la città nostra, perché avendo e'
pisani mandato aiuto di molti uomini a' genovesi, el re dimostrò averlo per male e disse
molte volte agli oratori nostri che acquistata Genova, voleva renderci Pisa, e che,
bisognando, verrebbe a questa impresa per nostro capitano. Ma come facevano tutte le
nostre buone nuove, ogni cosa diventò vana, perché el re, acquistata Genova, intendendo
el sospetto de' viniziani e come e' si gitterebbono in collo a' tedeschi e metterebbongli
in Italia, con tutto che fussi molto male disposto contro a loro, pure per non si recare
tanta piena adosso, fece ogni dimostrazione per assicurargli; e però subito rimandò
parte delle gente in Francia, licenziò e' svizzeri che aveva tolti a soldo, dette voce
volersi presto tornare in Francia. E cosí fece con effetto perché, come ebbe rimessi e'
gentiluomini in Genova, ordinato trarre da tutti somme grande di danari, tagliato el capo
al doge nuovo ed a altri de' primi, e molti cacciatine, disegnato fortificare la città a
suo proposito in piú modi, ed in ultimo aboccatosi a Saona col re di Napoli, si ritornò
in Francia, seguitandolo oratore in nome della città Giovanni di Tommaso Ridolfi. |
In questo tempo medesimo el re di Napoli, essendo stato richiamato al governo degli
stati della figliuola sua, deliberò tornarsene in Spagna, e però lasciato a Napoli uno
viceré, si imbarcò, menandone seco Consalvo, e fatta la via da Savona, dove era
aspettato dal re di Francia, entrò in Savona, e quivi stato alcuni dí a parlamento con
quello re, rimontato in nave e menandone seco Consalvo, se ne andò in Spagna, dove gli fu
consegnata, non sotto nome di re ma di governatore, la amministrazione di tutti quegli
stati della figliuola. Fu la partita sua di Italia non con quello favore e riputazione che
era venuto, e principalmente e' popoli del reame, che l'avevano aspettato come uno Dio,
rimasono molto male contenti, perché e' fece loro imposizione assai di danari e messe
ogni arte in fare danari nel regno. |
Cosí quegli che speravano che egli avessi a acconciare Italia, ne rimasono poco
satisfatti, perché e' parve che e' pensassi a ogni altra cosa, e benché da molti,
massime dagli oratori nostri, gli fussi mostro quanto lui ed ognuno aveva da temere de'
viniziani per la potenzia loro, confortatolo a volere recuperare e' porti sua ed
abassargli, e quanto la città nostra se fussi reintegrata di Pisa sarebbe buona a questi
effetti, come molte volte aveva mostro la esperienzia de' tempi passati, nondimeno in
tutte le pratiche si tenne con lui di Pisa, ogni cosa si riferiva a danari. Le quali cose
erano imputate non solo alla natura sua che era avarissima, ma nelle necessità si trovava
per lo accordo fatto con Francia, per vigore del quale era obligato dare a lui certa somma
di danari, cioè cinquantamila ducati l'anno, duranti certi tempi, conservare in stato o
dare ricompenso a molti che avevano seguitati e' franzesi, fare bene e rimunerare e'
partigiani sua; le quale cose, per essere meno gli stati che gli uomini che gli bisognava
contentare, era necessitato espedire con danari. E nondimeno la sua partita dispiacque
alla città, perché si credeva che fermandosi a Napoli penserebbe a volerne essere un dí
signore intero ed assoluto, ed a diminuire la potenzia de' viniziani. |
Partiti di Italia e' due re, si cominciorono a suscitare nuovi tumulti per conto della
Magna perché e' si intendeva che lo imperadore disposto al tutto di passare in Italia,
aveva chiamato a Gostanza una dieta de' principi e communità della Magna, e che aiutato
dalle forze loro, verrebbe non tanto per la corona, quanto per riconoscere la ragione
dello imperio in Italia, e che sarebbe una impresa comune di tutta la Magna. E perché si
intendeva che el re di Francia stimava assai questo movimento ed ordinava di fare
preparazione grandissime e cosí che el papa ed e' viniziani avevano uomini nella Magna,
si cominciò a fare giudicio nella città che sarebbe cosa di molto momento e però si
propose per molti che e' sarebbe bene mandarvi uno uomo. E fu eletto per opera del
gonfaloniere, che vi voleva uno di chi e' si potessi fidare, el Machiavello, el quale
mettendosi in ordine per andare, cominciorono a gridare molti uomini da bene, chi e' si
mandassi altri, essendo in Firenze tanti giovani da bene atti a andarvi ed e' quali era
bene che si esercitassino. E però mutata la elezione, fu deputato Francesco di Piero
Vettori con commessione generale e da intendere e scrivere, non da praticare e
conchiudere. |
Ma riscaldando ogni dí questa voce, si cominciò a praticare di mandare imbasciadori,
a che opponendosi vivamente el gonfaloniere, in ultimo la pratica conchiuse di eleggergli,
riscaldandosene massime Giovan Batista Ridolfi, che aveva nelle pratiche credito ed
autorità grandissima. Furono adunque eletti dagli ottanta, Piero Guicciardini ed Alamanno
Salviati, e' quali avendo accettato, nacque nel mandargli disparere grandissimo, perché
el gonfaloniere non voleva mandargli Giovan Batista Ridolfi ed e' Salviati volevano.
Quegli che confortavano el mandargli, cioè Giovan Batista ed e' Salviati, co' quali
concorreva Lorenzo Morelli, messer Francesco Pepi, Lanfredino Lanfredini, Guglielmo de'
Pazzi, Piero Popoleschi, Piero degli Alberti, e molti altri, presupponevano che e' fussi
da credere la passata dello imperadore con grandissime forze, il che dimostrava l'essere
ragunata e fatta risoluzione di passare tutta la Magna, la quale non essere da credere che
volessi rimanere vituperate, come sarebbe se e' non passassi: dimostravalo e' favori
arebbe dal papa, e di danari e di ogni aiuto, che lungamente per vendicarsi del re di
Francia e de' viniziani aveva tenute pratiche con lui ed in ultimo mandatovi per legato de
latere con amplissime autorità e commessione, el cardinale di Santa Croce; dimostravalo
gli apparati e le grandissime spese faceva el re di Francia, le quali per certo e' non
farebbe, se non vedessi in ordine la passata sua. |
Se e' passava essere da tenerne per certa la vittoria, perché le forze della Magna
essere molto maggiore che quelle del re di Francia, e tanto piú se e' fussino con loro e'
svizzeri come si credeva, di poi lo stato di Milano, dove s'aveva a fare lo insulto,
essere male disposto contro al re ed appetire grandemente questa mutazione; e però
potersi conietturare la vittoria. La quale seguendo, se noi prima non avessimo appuntato
seco, che e' sarebbe ragionevolmente adirato con noi, sendo mancati di quelle debite
riverenzie, a che gli eravamo tenuti per debito dello imperio; non si dovere attendere
quello fussino per fare e' viniziani, perché secondo quello che era verisimile, sarebbono
d'accordo collo imperadore amico loro, contro al re loro inimico, e quando pure non
fussino d'accordo nascerebbe, perché lo imperadore, sendo eglino incompatibili col papa,
gli rifiuterebbe, il che tanto piú dimostrare la potenzia sue e doverci fare piú caldi a
essere seco d'accordo ed aiutare [la] ruina de' viniziani. Essere da considerare che se
noi fussimo d'accordo collo imperadore e lui vincessi, recupereremo Pisa e cosí
apunteremo seco, se e' perdessi non ci mancherebbe modo a medicare Francia con danari,
come ci aveva molte volte mostro la esperienzia, se noi fussimo d'accordo con Francia e
lui vincessi, a noi non tornerebbe utilità nessuna, perché con loro non ci era mai
giovato el bene fare, se lui perdessi patiremo assai, e cosí seco ci toccherebbe a stare
alla perdita e non al guadagno; doversi adunche risolvere in questa parte, né curare le
parole del gonfaloniere, el quale, se bene vedessi la ruina della città, non sarebbe per
deviare da Francia per la dependenzia che aveva con quello re e lui ed el cardinale suo
fratello, che aveva in Francia benefíci ed entrata per piú migliaia di ducati. Queste
ragione si allegavano per chi consigliava el mandarsi gli imbasciadori, de' quali molti si
movevano però, e perché forse pensavano, in sulla venuta dello imperadore,
rimescolandosi le cose della città potersi tòrre lo stato al gonfaloniere. |
Da altra parte al gonfaloniere dispiaceva el mandargli, mosso forse in secreto per non
abandonare la amicizia di Francia, utile a sé ed al cardinale suo fratello, e perché
degli imbasciadori che avevano a andare, credeva che Alamanno, per essere inimico suo, gli
opererebbe contro quanto potessi; di Piero Guicciardini sapeva che, se bene non gli
opere[re]bbe contro, non era per operare per lui da parte, ma solo attendere alle cose
della città. In questo parere del non mandare imbasciadori concorrevano tutti quegli che
seguitavano ordinariamente e' pareri del gonfaloniere, come Niccolò Valori, Alessandro
Acciaiuoli, Francesco Pandolfini e simili, e' quali però non avevano molto credito, ma vi
concorreva Piero Guicciardini, che difendendo vivamente questa parte nelle pratiche, la
sostenne assai colla autorità sua, e messer Francesco Gualterotti, benché spesso
parlassi ambiguo, pure piú tosto vi inclinava. |
Allegavano costoro, presupponendo che quando si mandassi imbasciadori con animo di non
conchiudere, ma solo per intratenere lo imperadore e servire a dimostrazione e cerimonie,
questa andata sarebbe, in quanto allo imperadore, disutile, perché, come egli intendessi
venire gli imbasciadori, si persuaderebbe venissino a comporre, il che non riuscendo, gli
parrebbe essere uccellato e tanto piú si sdegnerebbe; cosí si farebbe offesa al re el
quale insospettirebbe che noi lo volessimo abbandonare ed inoltre arebbe per male che noi
favorissimo di questo nome e riputazione gli inimici sua; e però essere da fare una delle
due conclusione, o di non mandare imbasciadori o di mandargli con ordine e commessione di
appuntare, e cosí el punto di questa deliberazione essere solo se era bene fare accordo
collo imperadore o no. In questo aversi a presupporre ed essere chiaro, che ogni accordo
che si faceva seco, vi avere a correre danari e somma grossa di presente; e' quali non si
potendo annoverare se non si facessi provisione di nuova gravezza, si poteva giudicare che
non si vincerebbe in consiglio, perché el popolo non concorre mai allo sborsare, se non
quando e' pericoli e le speranze sono in sull'uscio, e non lo muovono e' movimenti
propinqui di Italia, non che e' remoti della Magna. E però essere da conchiudere che
quando bene el comporre era collo imperadore fussi utile per la città, nondimeno la
difficultà al provedere al danaio sarebbe tale e potrebbe recare seco sí nuovi
accidenti, che e' non sarebbe da pensarvi, se una urgente difficultà non ci costrignessi.
Ma andando piú là, quando el danaio ci fussi in mano, potersi fare seco accordo in due
modi: uno di essere seco in ogni impresa, contro a Francia ancora, l'altro, sanza
obligarsi contro a persona, sovvenirlo semplicemente di danari. L'uno e l'altro avere a
dispiacere insino al cuore al re di Francia, e tanto el secondo modo quanto el primo
perché non mancando allo imperadore gente ma danari, sovvenirlo di quegli, essere come
armarlo e metterlo in campo contro a lui, e cosí, in qualunque modo accordo si facessi,
offendendosene ed inimicandosene el re, essere partito di grandissima importanza. Perché
e' non era certo che lo imperadore avessi a passare, perché da sé non era bastante; e se
bene e' principi della Magna ci parevano caldi, nondimeno difficultarsi a risolversi
facilmente quelle deliberazione che pendevano dalla voluntà di molti; e massime che e'
non era credibile che le communità, in chi aveva a consistere el nervo della impresa per
la abilità che hanno al danaio e la povertà de' principi volessino spendere grossamente
per conto dello imperadore e degli altri signori, della grandezza de' quali non
guadagnavano nulla, anzi ne perdevano, perché quanto piú erano potenti, tanto piú gli
avevano a temere. Cosí non si vedere ancora sí certa la intenzione del papa e de'
viniziani, che si potessi farvi fondamento al risolversene, e quando pure lo imperadore
passassi, che la forza e gli apparati del re erano tali, che e' non era da giudicare cosí
de facili la vittoria de' tedeschi; e però essere molto bene da considerare in quanto
pericolo noi entravamo, perché fatto lo accordo, se lo imperadore non passava o passando
perdeva, noi rimanavamo sanza rimedio alcuno a discrezione del re, inimico nostro ed
offeso da noi, se e' vinceva, sendo lui bisognoso di danari, e non piú osservatore della
fede che gli altri barbari, ed essendo la città in opinione di ricca, non gli mancherebbe
in ogni modo via e cavillazione da trarci di mano nuovi danari. Da altro canto, se noi
fussimo di accordo col re e lui vincessi, se bene forse non ci rendessi Pisa, noi non
sentiremo altra briga e conserveremo quello che avevamo, il che non era poco in tempi sí
pericolosi e forti; se e' perdessi, lo imperadore sarebbe si munto di danari che e' non
mancherebbe via a posarlo con danari e forse con meno somma, perché n'arebbe allora piú
bisogno, e quanto piú, che noi ci potremo scusare, non avere composto seco mentre era
nella Magna, per la paura ci bisognava avere del re di Francia, mentre che era in Italia
propinquo e potentissimo. Considerato adunche el tutto, doversi piú tosto seguitare la
amicizia di Francia che dello imperadore, in che non essere di poco momento che noi non
potavamo comporre collo imperadore se non dandogli danari e con sconcio nostro e con
difficultà; dove tenendoci con Francia, non ci correva noia alcuna, perché quello re, o
non ci richiederebbe di nulla o solo di qualche gente di arme, di che lo potavamo servire
sanza indugio e spesa, tenendole pagate per lo ordinario e non avendo a servircene a
alcuna fazione. |
In su queste dispute tenendosene moltissime volte pratica ne' dieci e negli ottanta,
la risoluzione che si faceva era sempre che si aspettassi uno altro aviso da Francesco
Vettori; dal quale intendendosi come le cose riscaldavano e che era voce che gli apparati
ordinati alla dieta dovevano essere in su' campi a San Michele di settembre, sí gli dette
commessione praticassi accordo. E perché ogni cosa aveva a ritornare a danari, furono le
prime chieste dello imperadore molto grande, insino a dimandare cinquecentomila ducati, di
poi pure riducendosi a lega, venne a cinquantamila ducati. In su che tenendosi pratica, e
deliberando, pe' caldi avisi che venivano della Magna, darne commessione con certe
limitazione, però el gonfaloniere, che desiderava avervi uno di chi e' si potessi fidari
e credergli e fare forse non meno e' fatti sua che della città, introdusse ne' dieci che,
per dubio che le lettere non capitassino male, sarebbe bene mandarvi uno che riferissi a
bocca; e cosí non sendo chi si opponessi, ottenne che vi fussi mandato el Machiavello. |
Trovavasi in detto tempo in Francia imbasciadore Giovanni Ridolfi, el quale tutto dí
avisava e' potenti apparati del re e confortava e consigliava caldamente la città a non
si volere partire da quella amicizia; in modo che ne acquistò carico grande e fu tenuto
non facessi lo uficio di imbasciadore e di uomo prudente, e si diminui assai della
riputazione sua, che era riputato prima savio e valente cittadino. Richiese intanto el re
di essere servito di gente d'arme, la quale cosa gli fu negata, allegando aversi a
adoperare nelle cose di Pisa di che lui temperando la indegnazione ne concepé ed el
sospetto che aveva preso di noi, mostrò di non si adirare né risentire. E' viniziani in
questo mezzo si accordorono col re, la qual cosa non tolse e' dispareri della città,
giudicando alcuni che e' l'avessino fatto per cognoscere la debolezza della Magna, alcuni,
perché lo imperadore, per non ne dispiacere al papa, non gli avessi voluto accettare. Era
el gonfaloniere riputato amico del re di Francia ed inimico di tutti gli inimici sua; la
quale opinione non solo era in Firenze, ma ancora divulgata fuori della città, intanto
che lo imperadore ne' tempi che convocò la dieta a Gostanza, mandando uno uomo suo in
Italia, gli dette una lettera di credenza a Alamanno Salviati e gli commesse lo
confortassi a consigliare la città a volgersi alla via sua, dicendo che non aveva fatto
capo al gonfaloniere, perché sapeva che lui non si discosterebbe mai da Francia ed
essendo questa opinione di lui, tutti coloro che confortavano la andata degli imbasciadori
ne dicevano male, in modo che per la città n'aveva carico grandissimo. |
Allungavansi intanto le cose dello imperadore, perché e' termini del venire si
differivano tuttavia piú oltre, ed oltre allo essere e' viniziani accordati col re, non
si intendeva che el papa, o per avarizia o perché pensassi meglio di quanto momento el
pericolo sarebbe questa impresa concorressi a dargli danari, in modo che ultimamente lo
imperadore, trovandosi in galea con poco biscotto, aviò una parte della sua gente verso
el Friuoli, un'altra verso Trento per battere le terre de' viniziani. E però e' viniziani
mandorono in Friuoli con grossa gente el signore Bartolomeo d'Albiano, dalla banda di
Trento el conte di Pitigliano, ed el re di Francia mandò loro in aiuto buono numero di
gente di arme, sotto messer Gian Iacopo da Triulzi. |
Scorsono e' tedeschi con poco numero e debolmente insino presso a Vicenza, e di poi
avendo sí grossa opposizione si ritirorono nella Magna; da altra banda e' tedeschi che
erano nel Friuoli sendo con poche forze e poco ordine, scaramucciorono col signore
Bartolomeo, ed essendo rotti da lui, el signore Bartolomeo scoperta la loro debolezza,
cominciò per commessione de' viniziani a campeggiare le terre loro e prese Triesti,
Gorizia, Fiume, ed acquistò uno stato a' viniziani di entrata di cinquantamila ducati o
meglio ed utilissimo, perché per molti passi di importanza era una forte guardia di tutti
gli stati loro da quella banda. Sbigottito da questa percossa lo imperadore, ragunò una
dieta di nobili a Ulmo, dove mancandogli sotto ogni favore, conchiuse in ultimo una
triegua con viniziani, per virtú della quale tenendo e' viniziani durante la triegua
quello che avevano acquistato gli avevano a dare ogni anno ducati trentamila. Questo fine
ebbe el movimento dello imperadore, el quale aveva messo tanta paura al re di Francia, che
spese una somma infinita di danari; messe in tale travaglio e divisione la città nostra,
che per certo, se seguitava, si faceva qualche disordine, il che nasceva in gran parte per
non intendere particularmente la verità de' sua processi. |
Intesesi poi come lo imperadore aveva insino l'anno dinanzi insino quando el papa
partí da Bologna, tenuto pratiche di passare in Italia col papa che era adirato col re e
co' viniziani che temevano dello sforzo che faceva per la impresa di Genova; di poi avendo
fatto beneficio a' viniziani, quando el re prese Genova, con fare dimostrazione di
favorirgli se el re gli offendessi, si persuase tanto che dovessino essere dal suo,
benché altrimenti in particulare non si fusse assodato con loro; credette ancora che e'
svizzeri, beneficati molte volte e favoriti da lui contro a' príncipi della Magna, lo
seguitassino. E però quando fece la dieta a Gostanza, sendo riscaldati gli animi de'
tedeschi a questa impresa, e proponendo volere fare uno grosso esercito e disegnare
capitani in nome dello imperio e fare la guerra per lo imperio (la quale deliberazione se
si faceva, era facile cosa che passassino in Italia potentissimi), lo imperadore che
desiderava fare la impresa per sé, acciò che el guadagno fussi tutto suo, ed avendosi
presupposto per certo che el papa, viniziani e svizzeri lo dovessino seguitare, e però
parendogli non avere bisogno di molto aiuto alla dieta, si oppose vivamente ed impedí
questa deliberazione, dicendo: "ego possum ferre labores, volo etiam honores", e
dimostrando che uno mediocre sussidio gli bastava, e però sendo concluso secondo la sua
richiesta ed in forma che sanza gli aiuti di Italia non poteva fare nulla, gli riuscí
ogni pensiero vano. E meritamente, perché doveva non promettersi nulla di persona per
ragione e segni generali, se prima non capitolava ed obligavagli espressamente;
accordoronsi e' viniziani col re contro a lui, el papa non resse a dargli danari; e'
svizzeri non avendo danari da lui né da altri per conto suo, si stettono in modo che lui
disperato, e parendogli essere vituperato se non faceva qualche cosa, ruppe temerariamente
guerra a' viniziani e, per non avere vergogna, provocando con somma sciocchezza l'arme di
chi gli era superiore assai, si tirò adosso uno vituperio molto maggiore ed uno danno
grandissimo. Nel quale quando fu incorso, convocò e' príncipi a Ulmo, dove dimostrò che
e' danni e vergogne sue, erano danni e vergogne commune di tutta la Magna, ma veduto che
erano verba ad corinthios fu necessitato, per non fare peggio, acconsentire, alla fine
dell'anno o nel principio dell'altro, a una triegua brutta e vituperosa. |
Nel detto anno alla fine di dicembre, messer Guglielmo Capponi vescovo di Cortona,
uomo bestiale e temerario, stretta pratica collo arcivescovo di Firenze, messer Rinaldo
Orsino, che gli rinunziassi lo arcivescovado; ed era la cosa condotta tanto in là per
opera del cardinale de' Medici, a chi messer Guglielmo soleva essere inimicissimo, e per
questo gli era diventato amico, che si poteva dire quasi conclusa. Il che dispiacendo
assai al gonfaloniere e perché voleva male a messer Guglielmo e perché sperava che,
vacando lo arcivescovado per morte, avessi a essere del cardinale suo, subornò
Giovacchino Guasconi, Iacopo di Bongianni e molti altri, e' quali mostrando essere mossi
da se medesimi per bene della città, pregassino la signoria che, considerata la natura di
messer Guglielmo, volessi scrivere al papa in disfavore di questa rinunzia. Ma questi tali
come veddono risentirsi alcuni de' Capponi e Giovan Batista Ridolfi loro parente, non se
ne vollono impacciare; e però el gonfaloniere, volendola impedire, fu sforzato a
scoprirsi e fece scrivere tante volte lettere dalla signoria al papa, che finalmente
questa pratica, per non volere el papa dispiacere alla città si risolvé. |
Creossi di poi per gennaio e febraio la signoria nuova, nella quale benché el
gonfaloniere avessi spesso sei fave, come nello scrivere lettere contro al Cappone,
nondimeno, essendone Bartolomeo di Filippo Valori, Giovanni di Stagio Barducci e Giovanni
di Ridolfo Lotti, uomini vivi balzandosi e molto inimici sua, e non essendo ancora spente
in tutto le cose dello imperadore, tanto si gli opposono e svillaneggioronlo in tutte le
cose, che fu constretto cedere loro assai ed in modo che non credeva mai vedere el dí che
eglino uscissino. E certo furono uomini di qualità, che se avessino avuti dua compagni
simili a loro, gli arebbono dato fatiche assai; e benché molti uomini da bene avessino
caro che el gonfaloniere avessi contradizione, nondimeno la piú parte caricò questa
signoria d'avere usato troppo leggiermente molte parole e dispregi dove non bisognava. |
|
XXIX |
RAPPORTI DI FIRENZE CON PISA E LUCCA |
COSIMO DE' PAZZI ARCIVESCOVO DI FIRENZE (1508). |
1508. Seguitò lo anno 1508, nel principio del quale essendo posate le cose dello
imperadore si entrò in consulta di dare el guasto a' pisani, el quale l'anno dinanzi non
si era dato, ed essendosene fatta pratica ne' dieci tra e' primi cittadini, furono quasi
tutti di parere che non si dessi. Allegavanne piú ragioni: l'una, che questo come si era
veduto con effetto, se bene aveva recato difficultà a' pisani, non ci aveva però data
Pisa, perché non mancava tuttavia chi gli aiutassi; l'altra, che gli era da credere che
el re di Francia per averci veduti inclinati alle cose dello imperadore, ed e' viniziani
per lo antico odio verso la città e la ambizione di farsi signori di Italia non sarebbono
contenti che noi avessimo Pisa; e però come intendessino che noi la strignessimo, non
mancherebbono di dare loro aiuto, e forse sí potente, che noi entrerremo in qualche
difficultà e tireremoci adosso qualche cattivo umore. Ed era forse ancora in qualcuno,
benché non lo allegassino apertamente, entrato scrupulo di conscienzia, perché questo
conduceva molti villani in tanta estremità, che le famiglie di molti, e massime le donne,
ne capitavano male. |
Questo era el parere de' piú savi cittadini; da altra parte el gonfaloniere, che
sempre fu caldo a ogni impresa di Pisa, era di contraria opinione, e vedendo che nelle
pratiche strette non era ordine a condurla la messe negli ottanta con una pratica larga,
dove da principio si rimessono al parere de' piú savi, il che non satisfaccendo al
gonfaloniere, non cessò mai di riproporla e sollecitarla, in modo che a ultimo si fece
deliberazione che si dessi. Aiutoronlo assai a tirare questa pratica le lettere di
Niccolò di Piero Capponi, el quale essendo commessario generale a Cascina, successore di
Alessandro Nasi, scriveva caldamente che se questo guasto si dava, le cose di Pisa si
conducevano in tanta estremità, che e' contadini farebbono tumulto in Pisa, non volendo
aspettare di perdere le loro ricolte, o se pure aspettassino, la fame in ultimo gli
sforzerebbe a cedere. El gonfaloniere ancora disse agli ottanta, avere in Pisa tale
pratica che, come la gente nostre vi si accostassino, era da sperarne assai. Cosí si
dette el guasto, e molto largamente perché e' pisani erano sí deboli di gente che e' non
potettono impedirlo in alcuno modo, e nondimeno la loro ostinazione era tanta, che non
feciono movimento alcuno. E quella pratica tenuta dal gonfaloniere riuscí vana, che la
teneva un sensaluzzo chiamato Marco del Pecchia con messer Francesco del Lante cittadino
pisano, perfido inimico nostro, e per uccellare. E cosí sempre e' savi riputorono
sciocchezza el prestarvi fede, benché el gonfaloniere, troppo semplice e credolo in
queste cose, vi facessi su fondamento grande. |
Poco poi che e' fu dato el guasto, el re di Francia mandò a Firenze uno imbasciadore
chiamato messer Michele de' Ricci napoletano, uomo d'assai negli stati, e benché si
dubitassi che la imbasciata avessi a essere spiacevole, perché el re si teneva poco
contento di noi, nondimeno riuscí piú dolce, richiedendo benché agevolmente, che non si
molestassino e' pisani; il che in fatto non era la intenzione del re, ma voleva tirarci
per questo mezzo a promettergli danari, in caso che lui non ci impedissi la recuperazione
di Pisa. Furono deputati a udirlo e praticare seco, due de' dieci, messer Giovan Vettorio
Soderini ed Alamanno Salviati, e quattro altri cittadini: messer Francesco Gualterotti,
Lorenzo Morelli, Giovan Batista Ridolfi e Piero Guicciardini. Ed in effetto si introdusse
una pratica, che el re non soccorressi Pisa, operassi che e' genovesi e lucchesi non lo
soccorressino, e noi fussimo obligati a dargli una certa somma di danari, e cosí al re di
Spagna, che si obligava non aiutargli, in caso che noi recuperassimo Pisa in termine di
uno anno dal dí dello accordo fatto, e non altrimenti o in modo alcuno. Ed essendo
apiccato questo ragionamento in Firenze, dove era anche venuto per questa materia uno
oratore del re di Spagna o di Ragona, le re di Francia revocò lo imbasciadore suo; in
modo che questa pratica si ritirò tutta in Francia e doppo molti dibattiti si faceva
questa conclusione: che el re si obligassi alla nostra protezione, non ci impedire nelle
cose di Pisa, anzi aiutarci di tutti quegli favori che lo richiedessimo, ed in spezie
comandare a' genovesi e lucchesi che non gli aiutassino; obligare el re di Spagna alle
cose medesime, ed e converso noi fussimo obligati dare a lui centomila ducati, al re di
Ragona cinquantamila ducati, e tutto si intendessi in caso che Pisa si acquistassi in
termine di uno anno dal dí dello accordo fatto, altrimenti ogni accordo ed ogni
obligazione dall'una parte e l'altra spirassi e si intendessi vana. |
Consultossi questa cosa in molte pratiche, e consigliò vivamente messer Francesco
Gualterotti che e' si tagliassi ogni ragionamento, perché considerata la natura de'
franzesi, che sono sanza fede e non vogliono stare a ragione, lo effetto sarebbe che
questo accordo non ci darebbe Pisa, e nondimeno con cavillazione e per forza ci
trarrebbono di mano questa somma di danari. El gonfaloniere, Giovan Batista Ridolfi, Piero
Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati erano di contraria opinione, presupponendo che,
come era chiarissimo, non si componendo con questi dua re, Pisa non si poteva avere; dove
componendosi, ed egli osservassino la fede, era da avervi speranza grandissima; e quando
la si avessi, benché la somma del danaio fussi grossa, pure che e' sarebbono bene spesi,
rispetto al travaglio in che ci teneva continuamente el non avere Pisa, ed el pericolo in
che ci potrebbe un dí mettere, essere da credere che gli osserverebbono la fede per la
utilità del danaio che risultava loro; e quando non la osservassino, o, pure
osservandola, Pisa per altra cagione non s'avessi, che in questo caso noi non eravamo
obligati a dare loro nulla; e se e' fussino disposti volerci con forza o con inganni
trarre di mano danari, che eziandio non faccendo questo acordo non mancherebbe loro modi e
vie. Conchiusesi adunche, per queste ragione e per la autorità di chi la consigliava ne'
numeri piccoli e ne' grandi, questa parte; ma nacque difficultà, perché si dubitò che
questo accordo che andava per le mani del re di Francia, non fussi approvato da Ragona per
darsigli minore somma di danari; e però fu scritto agli imbasciadori si ingegnassino
praticare e conchiudere questo accordo ancora collo oratore del re di Spagna, che vi era;
e quando non riuscissi, conchiudessino al modo di sopra con Francia. Ma nelle
deliberazione ed in queste difficultà e pratiche si consumò tanto tempo, che accadendo a
Roan, per la cagione che di sotto si dirà, a andare in Fiandra, ogni conclusione rimase
sospesa insino alla tornata sua. |
Erasi in questo tempo eletto oratore a monsignore di Ciamonte a Milano, Alessandro
Nasi, el quale andando trovò lui di pochi giorni innanzi essere cavalcato in Francia, in
modo che gli fu dato commessione che andassi in Francia, e congiunto con Giovanni Ridolfi,
che satisfaceva poco, attendessi alla pratica di questo accordo. |
Poco di poi che queste pratiche cominciorono con Francia, la città volta a avere Pisa
per farne per tôrre loro el sussidio che vi potessi entrare per acqua, condusse con
alcuni legni el Bardellotto, figliuolo del Bardella corsale genovese, confidatasi di lui
massime per essere compagno di quelli legni Neri di Napoleone Cambi ed alcuni altri
fiorentini. Ed essendo questi legni in Porto Pisano, el re, veduto che noi andavamo adagio
allo accordo, dubitando che non fussi fatto a arte e che Pisa non s'avessi in questo
mezzo, e cosí di non avere a toccare danari, comandò al Bardellotto come suo suddito, si
partissi da' soldi nostri. A che essendo egli necessitato ubidire, bisognò, perché el re
lo lasciassi stare, promettere al re che se Pisa si riaveva durante la pratica dello
accordo, che noi osserveremo le medesime condizione a che ci obligavamo faccendo lo
accordo. Ma poco poi sendosi scoperto uno brigantino carico di grano che andava a Pisa, el
Bardellotto e Neri, parendo loro averlo a mano salva, temerariamente con pochi de' loro
legni, lo assalirono, in modo che scoprendosi tre altri brigantini di pisani che venivano
di Corsica, furono presi co[n] que' legni; e però essendo la città disarmata al porto,
si condusse con certe galee el Bardella suo padre, e seguitando nello strignere piú e'
pisani si dette el guasto alle biade, e cosí si conducevano ogni dí in piú estremità. |
Fecesi in questi tempi lega ed accordo co' lucchesi il che, perché si intenda meglio,
s'ha a repetere piú da alto. E' lucchesi ne' tempi antichissimi furono molte volte
collegati della città ed amici grandissimi, ma poi che la città ebbe acquistata la
Valdinievole, che soleva essere loro, ed ultimamente Pisa, insospettiti e cominciando a
temere della potenzia nostra, ci cominciorono a avere in odio, el quale si accrebbe in
infinito quando, nelle guerre del duca Filippo, la città fece piú volte pruova di
sforzare Lucca, e cosí quella inimicizia accidentale nata per proprio sospetto, si
convertí in odio grandissimo vero e naturale, e nondimeno per paura, rispetto alla
vicinità e potenzia nostra, e massime poi che fu acquistata Pietrasanta e Serezzana,
erano constretti temporeggiare e passare tempo el meglio che potevano. |
Ma nel 94, come noi perdemo Pisa, vedendoci deboli e sbandati, e giudicando mentre che
Pisa era fuora delle mani nostre, di essere sicuri, attesono con ogni studio a
conservarla, faccendo qualche volta con aperte dimostrazione, come quando al tempo di
Pagolo Vitelli vi mandorono trecento fanti, ma non cessando mai occultamente di
favorirgli, con stimolare el re di Francia e gli altri príncipi a soccorregli, intendersi
con genovesi e sanesi alla difesa loro, con tenergli di continuo confortati, dare loro
sempre sussidi di vettovaglie e qualche volta di danari. Di che loro anche feciono bene,
perché e' pisani quando avevano necessità, potendo usare el loro paese come Pisa,
vendevano quasi tutte le robe loro a buono mercato in Lucca, di che tutte le cose di Pisa
o la maggiore parte, prima quelle di piú valuta e di poi, crescendo la necessità, tutte
le altre, eziandio le minime, si venderono e smaltirono in Lucca cosí le prede che e'
menavano de' terreni nostri in modo che e' lucchesi arricchirono di questa guerra e
feciono in tutte le imprese e disegni nostri grandissimi danni e nocumenti. |
Il che si conosceva ed intendeva a Firenze; ma perché loro, sapendosi bene governare,
tenevano sempre tributato Ciamonte o qualcun altro de' primi di corte di Francia, erano in
protezione del re e favoriti da lui, in modo che la città per non offendere el re non
aveva ardire di manomettergli e benché qualche volta fussino fatti loro de' danni e delle
prede non in nome publico della città, ma sotto colori vari, per potersene giustificare e
difendere in Francia, nondimeno perché erano rari e di poca qualità per e' rispetti con
che s'avevano a usare, non facevano effetto nel rimuovergli da' modi loro. Ma scoprendosi
nel conversare co' franzesi di mano in mano la loro natura, e che el procedere dolcemente
co' lucchesi era stato el piggiore disegno, perché e' non era dubio che se si fussino
offesi gagliardamente sarebbono venuti a qualche composizione e fatto pensiero di volere
vicinare bene e fatte le offese vi erano mille modi a giustificarsene e mitigare Francia,
e però cominciorono molte volte nelle pratiche e' piú savi cittadini a ricordare che e'
sarebbe bene a insegnare loro vivere e trattargli altrimenti che pel passato. Ma perché
el gonfaloniere non la intendeva ancora bene ed era pieno di sospetto, si soprasedé piú
anni al farne nulla; essendo cosí la sorte della città, che le deliberazione che non gli
piacevano, se bene fussino aprovate da tutti gli altri, trovassino difficilmente esito. |
Ma poco poi cominciandosi ancora lui a voltare a questa via, deliberò fare una legge
di escludere a' lucchesi tutti e' commerzi e commodità de' paesi nostri, proibire lo
scrivere e conversare con loro, ed in effetto non si impacciare con loro come con inimici,
di che nasceva che Gherardo Corsini, Lanfredino Lanfredini ed alcuni altri cittadini
nostri che avevano trafichi e mercantie con Buonvisi ed altri cittadini lucchesi,
bisognava si dividessino e separassino. E si mosse el gonfaloniere, o perché stimassi che
questa legge darebbe difficultà a' lucchesi e gli premerebbe assai, o perché volessi
offendere e tôrre quello aviamento utile a alcuni cittadini nostri che vi trafficavano,
massime a Lanfredino Lanfredini che nelle cose dello stato non si intendeva seco, ed in
privato, circa a questi traffichi con lucchesi, aveva avuto disparere con Tommaso Soderini
suo nipote. E perché e' pensò, come questa cosa si introducessi in pratica, sarebbe
impedita, fatto una sera per altre faccende chiamare gli ottanta, fece subito sanza che
altri ne sapessi nulla, fermarla; e di poi vintala tra signori e collegi, la propose negli
ottanta, ed avendovi parlato su e mostro quanto danno recava questa legge a' lucchesi, la
vinse. Il che sendosi publicato per la città, molti cittadini di credito gli dettono
carico, allegando con molte ragione che questa provisione non dava noia alcuna a'
lucchesi, ma recava danno a alcuni particulari cittadini nostri; e nondimeno per lo
universale odio de' lucchesi passò in consiglio grande facilmente. |
Vinta questa legge, e' lucchesi, o perché in fatto la dessi noia loro, o perché
paressi uno segno tale di volergli per inimici che pensassino s'arebbe a procedere piú
oltre, mandorono non molto poi a Firenze imbasciadori messer Gian Marco de' Medici e
messer Bono... ed essendo deputati a praticare con loro alcuni de' primi cittadini,
finalmente, perché gli erano ostinati a volere che noi cedessimo le ragione di
Pietrasanta, non si conchiuse nulla. Di poi questo anno 1508, mentre si praticava col re,
intendendosi come per la via di Lucca entrava di continuo grano in Pisa, si deliberò in
una pratica de' dieci, scrivere al commessario di Cascina che facessi uno assalto a
Vioreggio e gli trattassi in questo insulto quanto piú poteva da inimici, ed oltre agli
altri cittadini, el gonfaloniere la riscaldò forte. Ma messer Francesco Gualterotti,
Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati, che non si
trovorono nella pratica per essere assenti alle ville loro, la biasimorono forte, dicendo
che era stato in tempo alieno, perché e' non era bene, vegghiando le pratiche di Pisa con
Francia, introdurre nuove difficultà; e parve questa ragione molto verisimile, ed el
gonfaloniere gustandola se ne pentí in modo che, se fussino stati a tempo, arebbono
rivocato la commessione al commessario. Ma era tardi, perché el commessario subito aviò
una parte di gente in verso Vioreggio, le quali abruciando magazzini, rubando ed ardendo
drappi, menandone bestiame di ogni regione, feciono a' lucchesi un danno grande, in modo
che loro risentitisi assai ed impauriti, benché si dolessino in Francia, a Roma ed in
ogni luogo, mandorono a Firenze, per tentare gli animi nostri, oratore uno Giampaolo
Giglio mercatante che non aveva in Lucca molta autorità. El quale introducendo pratiche
d'accordo, trovando gli animi de' primi cittadini bene disposti ed avendo riferito a
Lucca, mandorono imbasciadori messer Gian Marco de' Medici e detto Giampaolo, e si
cominciò la cosa a apiccare di buone gambe, perché e' lucchesi erano stati ributtati in
Francia, poi che furono udite le giustificazione nostre; e si comprese che quello assalto,
benché contro alla opinione de' piú savi, fu pure utile e fece fede che el procedere con
tanti rispetti, el volere tanto antivedere ed el farsi tanta paura, è qualche volta cosí
nocivo come utile. |
La città desiderava lo accordo, massime gli uomini prudenti, perché e' si cognosceva
che levandosi a' pisani l'aiuto de' lucchesi, rimanevano privati di uno potente sussidio e
che era atto a tenergli vivi; e cosí come pareva quasi impossibile avergli per fame,
mentre che Lucca gli aiutava, cosí pareva facile, privandogli di quello favore ed essendo
chiusa la via di mare, a domargli. Ma si dubitava che e' lucchesi non cercassino questo
accordo per assicurarsi di noi e nondimeno non mancassino di favorire occultamente e'
pisani, pure attenuandosi questo sospetto efficacemente da' lucchesi che mostravano di
cognoscere che Pisa era sí debole e consumata che non poteva reggersi lungamente da se
medesima, e che era necessario che cadessi nelle mani nostre o che venissi in mano di uno
potente che bastassi a difendergli da noi, e quando fussi questo secondo, che Lucca
rimarrebbe in pericolo e paura della grandezza sua, e però essere loro piú utile, quando
fussino contenti di qualche particularità, che Pisa venisse nelle mani nostre col mezzo
ed aiuto loro, e si reintegrassi tra noi la antiqua amicizia, furono adunche deputati a
praticare con loro uno de' dieci, Lorenzo Morelli, e quattro altri cittadini, messer
Giovan Vettorio Soderini, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini ed Alamanno Salviati,
essendo assente messer Francesco Gualterotti che si trovava a Pistoia capitano. |
E venendosi a' particulari, e' lucchesi mostravano due cose: l'una, che questo accordo
ci era utilissimo, perché el privare e' pisani del loro sussidio e de' commerzi e
commodità, de' paesi loro, non era altro che darci Pisa nelle mani, l'altra, che ogni
volta che Pietrasanta e Mutrone fussino in mano de' fiorentini, la città di Lucca non
potere mai essere sicura della sua libertà, e però bisognare, a fondare bene questa
amicizia, che noi cedessimo loro le ragione di Pietrasanta e di Mutrone, la quale cosa noi
non dovavamo molto stimare, perché queste terre erano in mano loro, e di poi, che se noi
volavamo vedere el vero, le ragione nostre quanto a Pietrasanta erano debole, Mutrone
essere luogo rovinato e disfatto, e sí piccola cosa, che in uno caso di tanta utilità
non si doveva considerare. E se si rispondessi che noi non daremo, perché quando noi
avessimo dato, non eravamo bene sicuri che ci avessino a osservare la fede, replicare che
erano contenti che la cessione non si facessi assoluta e pura, ma condizionata, in caso
che fra uno termine onesto Pisa si riavessi, aggiugnendo che faccendosi tale cessione,
servirebbono qualche anno di certo numero di gente d'arme pagate a loro spese. |
Queste erano insomma le dimande de' lucchesi, le quale sendosi cominciate a discorrere
tra e' cittadini deputati, furono le opinione varie. Al gonfaloniere, messer Giovan
Vettorio e Piero Guicciardini pareva fussi da acconsentirle, allegavanne che se si faceva
questo accordo, o e' lucchesi osserverebbono la fede, o no; osservandola, che el separare
e' lucchesi da' pisani era sanza dubio di tanta utilità che gli era buona spesa cedere
Pietrasanta, se non la osserverebbono e non si recuperassi Pisa, non si intendeva fatto
nulla, e che questa speranza di ottenere le cessione gli farebbe piú pronti a osservarci
la fede, acciò che, recuperandosi Pisa, conseguissino lo intento loro; essere ancora da
considerare e fare qualche capitale di quella somma di danari che ci servivano; ed in
effetto questo partito mostrare tanto utile, che doveva preponderare a qualche infamia che
seguiva dal cedere, e massime perché avavamo poche ragione in Pietrasanta, ed e'
lucchesi, doppo qualche dibattito, erano calati quanto a Mutrone. |
Furono Lorenzo Morelli, Giovan Batista ed Alamanno di contrario parere, perché questa
cessione pareva loro di tanto vituperio, che in nessuno modo la volevano acconsentire, e
di poi consultandosene nella pratica de' dieci, si accordorono quasi tutti a questa
sentenzia, e che si pigliassi qualche altro modo di assicurargli, offendendo meno che
fussi possibile lo onore nostro. E però esclusi e' lucchesi da questo accordo, doppo
molti dibattiti si introdusse una altra forma: che e' si facessi lega ed amicizia per
qualche onesto tempo, la quale, se Pisa si avessi infra uno certo termino, si intendessi
prorogata per anni dodici, e cosí si venivano a assicurare e' lucchesi, se non in tutto,
almeno per uno tempo lungo, el quale innanzi che passassi potevano nascere vari accidenti,
ed avere piú rispetto alle ragioni della città, le quali non si venivano a tôrre via in
tutto, ma a differire. Ed in effetto risolvendosi in questo modo, si abozzò che el tempo
della lega fussi di primo colpo anni tre; e di poi disputandosi quale era el tempo da
porre alla riavuta di Pisa, pareva a Piero Guicciardini che el termine dovessi essere di
uno anno, per fare maggiore stimolo a lucchesi di procedere bene, e di poi perché questo
accordo si fondava in sulla speranza che noi avevamo di assediare Pisa, la quale, se non
colpiva in questo anno, si veniva in gran parte a annullare. |
A Giovan Batista ed Alamanno parve il contrario, e che dovessino essere tre anni come
durava la lega; perché se fra uno anno non s'avessi Pisa, la lega durerebbe ancora due
anni, e nondimeno sendo passata la condizione del prorogarla, procederebbono malignamente,
e noi ci troveremo avergli assicurati sanza frutto alcuno per anni dua. E benché e' si
replicassi che e' sarebbe in potestà nostra al fine del termino primo prorogare per un
altro o due anni pure non si mutando loro di opinione, e perché la cosa non pareva di
molto momento, acconsentirono, tutti a cinque, a tre anni. Ed avendone fatta la bozza, el
gonfaloniere, quando la si propose negli ottanta, la propose col termine di uno anno; e
cosí sendo approvata e data la autorità a' dieci, che fra uno certo tempo potessino
conchiudere la lega con quelle condizione, gli oratori lucchesi adombrati di sí piccolo
tempo, ne vollono riferire a Lucca, ed andatovi messer Gian Marco in persona, ritornò col
mandato di poterla conchiudere, quando si dessi el tempo de' tre anni e non altrimenti. E
però chiamati gli ottanta, si propose questo modo, ed eziandio si ripropose el primo modo
vinto l'altra volta, perché l'autorità de' dieci era spirata; e non si vincendo né
l'uno né l'altro, conciosiaché molti, per odio de' lucchesi o perché l'accordo pareva
poco onorevole, lo contradicessino, pure riscaldando el gonfaloniere el modo di uno anno
solo, si vinse a punto quello; tanto che si comprese quella sera, che e' voleva piú tosto
rompere l'accordo che acconsentire al modo de' tre anni. |
La cagione potette essere varia: o perché mutato proposito, gli dispiacessi al tutto
fare accordo co' lucchesi, el quale prima gli soleva piacere, ed essendo certo che e'
lucchesi non lo accetterebbono, cosí lo voleva impedire per questa via; o perché,
secondo la natura sua, volessi piú tosto rompere l'accordo con danno della città, che
acconsentire a quello modo commendato contro alla opinione sua da Giovan Batista Ridolfi
ed Alamanno. Ricusoronlo al tutto e' lucchesi e volevonsi partire a rotta, ma dolendosene
molti de' primi cittadini, e' dieci dissono al gonfaloniere volerne conferire con gli
ottanta, e non gli licenziare altrimenti che col parere loro, e però sendo convocati gli
ottanta, el gonfaloniere credendo non si ottenessi, fece dire da messer Marcello
cancelliere primo, che questa briga d'avergli chiamati non dava loro la signoria, ma e'
dieci; e nondimeno come si venne a' pareri, vi parlorono su tanto caldamente molti de'
primi cittadini, ed intra gli altri Piero Guicciardini, che si vinse con gran consenso. |
E cosí si conchiuse una lega co' lucchesi per tre anni, da prorogarsi per dodici,
colle condizione predette, aggiugnendo alcuni capitoli circa al levare e' commerzi ed
alleggerire certe gabelle; e si conchiuse mandare a Lucca uno imbasciadore, e per
intratenergli e per velettare gli andamenti loro; ma chiamati gli ottanta per crearlo, lo
cercorono tanto disonestamente qualcuno, massime Piero Ardinghelli e Lorenzo Martelli, che
avendo ferme molte fave, con tutto si squittinassi la sera quattro volte e vi andassino a
partito tutti e' primi uomini della città, non si vinse mai; richiamoronsi l'altra sera,
e la seconda volta rimase fatto Piero Guicciardini, el quale avendo rifiutato fu in suo
luogo eletto Giovan Batista Bartolini. A Lucca si ratificò lo accordo, e nondimeno sendo
imputati gli imbasciadori di avere passato la commessione, massime in non avere rinnovata
una lega vecchia, furono ammuniti e confinati in Lucca per certo tempo; e mandati
imbasciadori a Firenze, cercorono di ottenerlo, ma non fu acconsentito loro. |
Era tanto dispiaciuta la disonestà del bucherare ed el disordine nato da questa
ambizione, che si fece una legge, che ogni volta che gli ottanta si ragunavano a eleggere
imbasciadori o commessari o altri ufici, avessino a giurare di non dare fava nera né
nominare alcuno da chi o per conto di chi fussino stati richiesti e pregati, cosa di gran
carico di chi aveva bucherato, massime di Piero Ardinghelli, el quale giovane di tale
riputazione e qualità che questi onori gli sarebbono corsi drieto, aveva, giucandosi
quasi tutte le sustanzie sue, toltisigli da se medesimo. |
Nel medesimo anno, poi che in tutto fu rotta la pratica del Cappone con lo arcivescovo
di Firenze, si apiccò una pratica nuova che ebbe effetto. Aveva el gonfaloniere impedito
sí vivamente la elezione del Cappone, che sentendosi dare carico d'averlo fatto perché
fussi el fratello, cominciò per scaricarsi a dire che la intenzione sua era che eziandio
el fratello non fussi arcivescovo, ma che e' si dessi a qualche uomo da bene e buono che
fussi atto a reformare el clero, e fussi fiorentino; e di già aveva fatto scrivere
qualche volta lettere dalla signoria in questa sentenzia al pontefice, o perché in fatto
cosí fussi la intenzione sua, o pure per scaricarsi e dondolare con queste pratiche la
cosa, insino a tanto che venissi la morte dello arcivescovo già vecchio, in sulla quale
sperava che el papa fussi per conferirlo al cardinale suo. |
Da altra banda el cardinale de' Medici, in potestà di chi era el fare questa
renunzia, perché lo arcivescovo si era rimesso in tutto a lui della elezione della
persona, considerando che se non se ne pigliava partito che poi morendo lo arcivescovo
sarebbe facile cosa che el Soderino avendo favore dalla città ne fussi compiaciuto, e
disposto fare ogni cosa perché questo non seguissi, volse gli occhi in sul vescovo de'
Pazzi, parendogli che le qualità e la riputazione sue fussi tale, che el gonfaloniere non
potrebbe fare scrivergli contro in nome publico come aveva fatto al Cappone, e cosí che
el disegno suo fussi da riuscire, ed inoltre pensando guadagnarsi con questo beneficio lui
e la casa sua. E però fattane conclusione col vescovo e con lo arcivescovo e provisto
alla ricompensa della entrata, non mancava se non avere lettere dalla signoria in suo
favore, acciò che el papa subito vi conscendessi. E cosí scrittone a Firenze a' sue
parenti, el gonfaloniere mostrandosene molto allegro e contento, fatto chiamare e'
collegi, propose la lettera, la quale essendosi vinta alle due o le tre volte e scrittasi
a Roma pochi dí doppo la arrivata, messer Cosimo de' Pazzi fu pronunziato in concestorio
arcivescovo di Firenze, di che si rallegrò assai lo universale della città, perché era
riputato prelato dotto savio e costumato. |
Fu bene opinione che el gonfaloniere n'avessi dispiacere per due conti: l'uno, per
vederne privato el fratello, l'altro, perché pareva da credere che l'arcivescovo non
fussi uomo da lasciarsi maneggiare da lui, ed inoltre che gli avessi, e naturalmente e per
essere diventato amico de' Medici, a essere piú tosto inimico che no; e però pareva da
credere che e' si pentissi d'averlo tolto al Cappone, el quale, se bene gli era inimico,
era di natura e cervello sí bestiale, e fattone sí poco conto, che el gonfaloniere non
aveva da stimarlo. E si notò che el gonfaloniere non fece fare la lettera in
commendazione di messer Cosimo dalla signoria sola, ma volse el partito de' collegi; di
che benché si potessi giustificare averlo fatto perché el papa vedessi el consenso piú
universale della città, e cosí la lettera fussi piú efficace, pure dette ombra che e'
non fussi proceduto acciò che non si vincendo la lettera, non si scrivessi, la quale e'
non poteva per altro modo contradire, rispetto alla buona fama di messer Cosimo; nondimeno
chi non si lasciò ingannare dalla passione, se bene e' facessi concetto che al
gonfaloniere dispiacessi, confessò non se ne essere veduto in lui segno alcuno, con tutto
che e' fussi certo che el cardinale Soderino cercassi a Roma, con ogni modo diretto ed
indiretto, impedirlo. Entrò di poi lo arcivescovo nuovo in Firenze con allegrezza grande
dello universale, per essere state piú di trent'anni la chiesa nostra nelle mani dello
Orsino el quale non vi era quasi mai venuto, ma l'aveva amministrata qualche volta con
vicari, qualche volta affittatala, e vendutone non solo el temporale, ma ancora lo
spirituale. |
Posata questa parte dello arcivescovado, successe a Firenze uno accidente che tenne
molti dí alterata la città e fu per essere di momento grandissima, il che, acciò che
meglio si intenda, s'ha a ripetere da piú alto principio. |
|
XXX |
GIOVANNI DE' MEDICI. MATRIMONIO DI FILIPPO STROZZI E |
CLARICE DE' MEDICI. LEGA CONTRO VENEZIA (1508). |
Cacciati che furono e' Medici di Firenze, e restata la città nel governo populare,
furono e' portamenti di Piero altieri e violenti, secondo la natura sue bestiale, e molto
alieni dal ritornare nella città; perché egli aveva a presupporre che la città benché
conquassata e smembrata del dominio di Pisa e delle altre terre, era pure rimasta sí
potente, che s'egli aveva a entrarvi per forza, bisognava che avessi una forza ed uno
appoggio molto grande ed estraordinario, in modo che era tanto difficile, che e' si
accostava allo impossibile. E però doveva pensare che la principale parte che lo potessi
rimettere in casa sua, sarebbe stata l'avere qualche benivolenzia nella città, e cosí
tenere modi di addolcire gli inimici sua, mostrando di conoscere che l'avessino cacciato
meritamente per lo errore di avere voluto negare el passo al re di Francia, e nondimeno
scusarsene collo essere stato giovane e male consigliato, ma che aveva imparato, in modo
che in futuro, se mai ritornassi nella città, presterebbe fede a' cittadini da bene e
prudenti e vorrebbe che lo stato ed el governo fussi piú loro che suo; cosí ancora
standosi in quiete e non suscitando movimento alcuno, né tenendo pratica del ritornare
con potentati italiani o esterni, mostrare di non volere che per sua cagione la città ed
el popolo ricevessi danno o lesione alcuna, e con queste vie ingegnarsi di placare el
popolo e muoverlo in compassione di sé e fare scusa che gli errori sua erano proceduti
dalla età, e chiedere la tornata nella patria amorevolmente, e di essere rimesso non come
capo del governo e dello stato, ma come privato cittadino. E corto era da giudicare che o
questa via l'arebbe condotto alla intenzione sua, o se questa non era buona, che nessuna
altra bastava. |
Ma lui usò modi in tutto contrari: non era prima uscito di Firenze che scrisse una
villana lettera a Francesco Valori; cominciò a minacciare che ritornerebbe e
gastigherebbe gli inimici sua, venne piú volte armato contro alla città, prima a'
confini di Arezzo, di poi alla porta in Casentino, a Arezzo; tenne continuamente pratiche
con viniziani con Milano col re di Francia col papa e Valentino, tutte contro alla città,
in modo che fu cagione di tenerla continuamente in spese, sospetti, guerre ed affanni, e
fu sempre uno instrumento a quegli che vollono per tempo alcuno battere la città. Per le
quali cose non solo gli inimici sue vegghiavano sempre e' sue andamenti e di continuo gli
erano implacabili, ma ancora lo universale della città l'aveva in odio grande. |
Fugli posta la taglia drieto a lui e di poi a Giuliano suo fratello; furono fatte
legge che proibivano lo stare in casa el cardinale ed ogni commerzio con ciascuno di loro,
e poste grandissime pene a chi contrafacessi; per le quali, e di poi per la morte di
Bernardo del Nero e degli altri, e' cittadini spaventati, quando capitavano a Roma o in
luogo dove e' fussino, non conversavano con loro se non occultamente e con riguardo; in
modo che e' si faceva giudicio, e massime quando fu fatto el gonfaloniere a vita e
riformati e' disordini della città, che e' Medici fussino in tutto spacciati; e' quali
oltre al non avere piú grazia nella città, si trovavano in gran disordine, perché Piero
nelle imprese sue avendo speso tutto el mobile che gli era avanzato della ribellione,
aveva ancora messo el cardinale in grande spese e disordini |
Ma creato el gonfaloniere a vita, ed essendo circa a uno anno di poi morto Piero nel
Garigliano, el cardinale e Giuliano, o perché per lo ordinario fussino di natura piú
civile ed umana, o perché considerassino che e' portamenti di Piero non erano stati a
proposito, cominciorono a tenere altri modi, ed ingegnarsi di apparecchiarsi la tornata,
non per forza e dispetto, ma con amore e benivolenzia, e con beneficare e' cittadini, non
con offendergli né in publico né in privato. E però non pretermettevano di fare spezie
alcuna di piacere a quegli fiorentini che stavano o capitavano a Roma, dando loro grande
aiuto e favore in tutte le occorrenzie ed espedizione loro, servendo ancora di danari o di
credito chi n'avessi bisogno; ed in effetto la casa, le facultà, le forze e la
riputazione tutta del cardinale erano a saccomanno de' fiorentini. Le quali cose faceva
molto piú grate el cardinale Soderino, che, essendo di natura avarissimo e tutto di sé,
nè servendo o facendo piacere a alcuno fiorentino, era uno paragone da fare cognoscere
meglio la liberalità e benefici del Medici. |
Queste cose, divulgate a Firenze, avevano fatto che tutti quasi e' fiorentini, a chi
accadeva in Roma avere bisogno della corte o per espedizione di benefíci o per altro,
facevano o personalmente o con lettere capo al cardinale de' Medici, insino ancora a
quegli che erano stati loro inimici, e lui gli serviva tutti prontissimamente, in modo che
non solo avevano desti alla memoria loro molti degli amici vecchi, ma ancora degli altri
nella città; e dove, vivente Piero, soleva essere odioso quasi a ognuno el nome di quella
casa, ora, morto lui, pareva che avessi favore e compassione. Il che procedeva massime da
questi modi, e perché tutto lo odio che si era portato loro era proceduto da Piero,
perché el cardinale e Giuliano, mentre che erano nella città, non avevono mai né in
publico né in privato offeso persona, né di poi, se non tanto quanto erano stati mossi
da Piero, ed inoltre erano sempre stati riputati di migliore cervello e natura assai che
Piero. Aggiunsesi lo odio del gonfaloniere, el quale, sendo male voluto da tutti quegli a
chi dispiaceva el Consiglio e che arebbono voluto uno stato, da molti ancora a chi piaceva
questo vivere e nondimeno dispiacevano e' modi sua, aveva dato loro favore, e però si
parlava nella città piú liberamente di loro che non si soleva, e non ostante le legge
che proibivano e' commerzi, molti scrivevano lettere a loro, tutti quegli che capitavano a
Roma o in luoghi dove e' fussino, non avendo eziandio bisogno di loro, o alloggiavano con
loro o gli andavano a visitare. |
Le quali cose benché dispiacessino al gonfaloniere insino al cuore nondimeno non se
ne risentiva né cercava di farne punizione; in modo che pigliandovisi su animo, si
conversava publicamente con loro, e molti giovani da bene, e' padri e le casa di chi erano
stati loro inimici nel 94, andando a Roma, si erano intrinsicati seco e parevano diventati
loro amici, mossi o per fare dispetto al gonfaloniere, o perché desiderassino piú oltre,
e forse di rimettergli in casa. Di questi era uno Bartolomeo Valori, el zio del quale,
Francesco, era stato inimico loro capitale, prima nel cacciargli, di poi nel
perseguitargli, in ultimo in fare tagliare el capo a Bernardo del Nero e gli altri, erane
Piero di Braccio Martelli, el padre di chi, benché solessi essere amico di Lorenzo, si
era nel scoperto vivamente contro a Piero, erane Giovanni di Bardo Corsi, el padre di chi
era stato inimico capitale di Lorenzo ed ammunito da lui e però, benché e' fussi uomo di
non molta qualità, fu nel 94 creato de' venti, e di poi fatto due volte gonfaloniere di
giustizia; erane Gino di Neri Capponi, el padre di chi, trovandosi in Francia quando el re
Carlo passò in Italia, aveva molto perseguitato Piero, ed el zio Piero Capponi gli era
stato inimico fierissimo ed in gran parte cagione di tórgli lo stato, erane Antonio
Francesco di Luca d'Antonio degli Albizzi, ancora quasi fanciullo, ma di natura molto
altiera ed inquieta, el padre di chi, avendo insino a tempo di Lorenzo in odio la casa de'
Medici, si era nel 94 fatto vivo, e di poi nel tagliare el capo a' cinque cittadini,
seguitate gagliardamente le pedate di Francesco Valori, ed in ultimo trovandosi in sulla
ribellione di Arezzo, imbasciadore in Francia, non solo allora ed in tutta quella
legazione aveva fieramente perseguitato e' Medici, ma ancora scritte a Firenze lettere
caldissime in publico, confortando a volere conservare la libertà e non volere avere per
tiranni cittadini ingiuriati, poverissimi ed usi alla tirannide. |
Tutti costoro capitando in diversi tempi a Roma, e stati raccolti lietamente dal
cardinale e Giuliano, ed intrinsicatisi con loro, avevano data la via a molti altri che,
veduto che nella città non se ne teneva conto, usavano liberamente le casa loro, non come
di rubelli, ma come dello oratore fiorentino residente a Roma. Aggiugnevasi che era ferma
opinione che Giovanni, figliuolo di Bernardo Rucellai, vi fussi qualche volta ito
scogniosciuto in poste, di che si traeva coniettura che Bernardo suo padre, avendo piú
nel cuore lo odio che aveva col gonfaloniere che lo odio ed inimicizie antiche co' Medici,
si fussi riconciliato con loro; e cosí Filippo Buondelmonti, inimicissimo del
gonfaloniere, el quale per l'adrieto era stato capitale inimico e di Lorenzo e di Piero. E
faceva giudicio qualche savio, che le pratiche di Bernardo fussino ite piú là che una
semplice riconciliazione, massime ne' tempi che viveva monsignore Ascanio, e di poi in
sulla venuta di Bartolomeo d'Alviano, di che nacque forse la cagione della partita sua. |
Stando in questi termini le cose de' Medici, e parendo al cardinale che e' modi tenuti
da lui gli avessino fatto profitto, e però disegnando di continuare ad acquistarsi quanta
piú amicizia e benivolenzia poteva nella città, publicò di volere maritare in Firenze
una figliuola di Piero de' Medici e dargli una grossa dota di cinque o seimila ducati, ed
avendo tentato lo animo del gonfaloniere e trovato che, benché e' dessi buone parole,
pure quando si veniva allo strignere, che la intenzione sua era che la non si maritassi a
Firenze, cominciò a tenere diverse pratiche. E benché tutti e' giovani che avevano a
tôrre donna l'avessino fatto volentieri per la qualità della dota, pure dubitando non se
ne facessi caso di stato, non era nessuno che avessi ardire di tôrla e però per fare
cimento di quello che n'avessi a essere, el cardinale fece publicare d'averla maritata a
Francesco figliuolo di Piero di messer Luca Pitti, il che in fatto non era né aveva a
essere, ma vollono tentare se a Firenze se ne faceva romore. E però el gonfaloniere che
cognobbe questo tratto, ne fece fare una quarantía, per dimostrare a qualunche la
togliessi, che la città lo punirebbe, di che si sopí chi aveva voglia di tôrla. |
Ma poco poi el cardinale, per mezzo di madonna Lucrezia donna di Iacopo Salviati e sua
sorella, tenne pratica col gonfaloniere di darla a Giovan Batista di Paolantonio Soderini,
nipote del gonfaloniere, a che el gonfaloniere prestò orecchi, e nondimeno non si
concluse, o perché non fussino d'accordo della dota, o perché el gonfaloniere fussi
stato da principio di questo animo, o perché se ne ritraessi dubitando di non avere
carico e venirne in sospetto al popolo. Ma apiccata di poi per mezzo di messer Francesco
di messer Tommaso Minerbetti archidiacono di Santa Liperata, che era tornato da Roma, una
pratica di darla Filippo di Filippo Strozzi, garzone nobile e ricchissimo, lo effetto fu
che doppo molti e molti mesi detto parentado si concluse l'anno 1508, e subito, non sendo
ancora publicato, Filippo se ne andò a Napoli, e poco di poi del mese di novembre in
detto anno si scoperse in Firenze e venne a luce. |
Di che cominciandosi a parlare, si trovorono gli animi di diversi e vari gusti:
dispiaceva al gonfaloniere insino al cuore, e diceva che essendo Filippo giovane, non
aveva preso uno partito di questa natura da se medesimo, ma confortato e consigliato da
altri di maggiore autorità, e' quali non avevono cerco di fare uno semplice parentado, ma
sotto questa ombra tenere pratiche di mutare lo stato e di rimettere e' Medici. Ed in
questo parlare concorrevano con lui Antonio Canigiani, Pierfrancesco Tosinghi, Alessandro
Accialuoli, Niccolò Valori, Alfonso Strozzi e simili, stati inimici de' Medici e mai
riconciliatisi per tempo alcuno, dando carico nominatamente a molti cittadini vecchi e
giovani; in modo che publicamente erano nominati come autori e consigliatori di questo
parentado, l'arcivescovo nuovo, Filippo Buondelmonti, Bernardo Rucellai, e Palla e
Giovanni sua figliuoli, madonna Lucrezia, Giovanni Corsi ed Antonio Francesco degli
Albizzi, compagno di Filippo e simili, e perché costoro avevano infamia ed erano in
sospetto di volere mutare lo stato, moltissimi che non si scoprivano, sarebbono concorsi a
ritrovare la origine e cagione di questa cosa ed a punirla gagliardamente. |
Da altra parte gli Strozzi quasi tutti, sendone capi messer Antonio e Matteo, tutti
quegli di che di sopra è detto che si erano intrinsicati co' Medici, e di piú Antonio
Giacomini e molti inimici del gonfaloniere, massime Giovan Batista Ridolfi ed e' Salviati,
benché questi procedessino piú copertamente, erano alla difesa del garzone, mossi chi
per parentado suo, chi per affezione che avevano a' Medici, chi per odio portavano al
gonfaloniere, parendo loro, se non tirava questa impresa, dargli una bastonata. Costoro
tutti di accordo confessavano essere state grande leggerezza quella di Filippo, che avendo
uno stato bellissimo, e per la nobilità della casa e per essere ricchissimo, si fussi
impacciato con rubelli ed inimici dello stato ed avessi preso uno partito da poterlo
mettere in pericolo assai; ma lo scusavano in quanto allo essere punito, allegando che
questo era uno parentado fatto semplicemente di suo moto proprio e sanza misura alcuna di
stato e sanza consiglio e conforto di altri; e però si vi cadeva pena, non era per avere
contrafatto allo stato, ma per avere tolto per donna una già figliuola di rubello, in che
non si trovava legge alcuna che punissi questo caso; e se pure vi era, era uno statuto che
metteva di pena quattromila lire, el quale era giusto che si osservassi, e non si punissi
alcuno a libito del gonfaloniere o altri, se non in quanto esprimevano le legge della
città. |
Sendo le cose in questi ragionamenti, gli Strozzi, ristretti insieme, andorono alla
signoria, e dicendo non sapere se el parentado era fatto o se era in termini da tornare
adrieto, si giustificorono, che quando fussi fatto, non era stato di loro saputa e
consentimento, e che per loro non resterebbe di fare ogni opera di impedirlo, in caso che
[non] fussi fatto. E cosí con licenzia della signoria mandorono uno in poste a Filippo
con lettere a sconfortarnelo; ed in particulare Alfonso, suo fratello, mostrò una lettera
ricevuta da lui, dove confessava el parentado, dicendo averlo fatto per scarsità di
parentadi, e che non si curava del giudicio de' foggiettini, il che lo aggravò apresso a
molti, come se gli paressi essere di qualità che non trovassi in Firenze parentado
conveniente a lui, e cosí chiamando foggiettini e' popolani, si facessi beffe del
consiglio a governo populare; benché in fatto questa seconda parte non nacque da lui, ma
fu in risposta a una lettera di Alfonso, dove gli diceva che faccendo questo parentado
n'arebbe a stare a giudicio de' foggiettini. |
Ed in quegli medesimi dí, avendo un poco di male Alessandro Acciaiuoli, si ragunorono
una sera in casa sua Antonio Canigiani, Pierfrancesco Tosinghi e Niccolò Valori ed alcuni
altri, e' quali per essere stati aderenti di Francesco Valori si chiamavano la setta
valoriana; intervennevi ancora Alfonso Strozzi che faceva contro al fratello. Consultorono
costoro quello che fussi da fare di questa cosa, e fu opinione conchiudessino quello che
seguí; perché la mattina sequente o la altra mattina di poi, el gonfaloniere, essendo
Proposto, propose due partiti: uno, che si comandassi a Filippo Strozzi che comparissi
innanzi a loro per tutto dí venticinque di dicembre, sotto pena di essere confinato nel
reame di Napoli per anni dieci, l'altro, che si comandassi alla madre, a' fratelli ed a
chi aveva in mano del suo che non gli rimettessino nulla sotto pena di ducati diecimila
per ogni volta che contrafacessino. E si vinsono con nove fave nere de' signori; di che
appresso agli uomini di mezzo e che giudicavano sanza passione ebbe el gonfaloniere
carico, perché pareva che governandosi da sé, trattassi questo caso non come publico ed
apartenente alla città, ma come privato, e cosí parve cosa di pessimo esemplo, che sanza
consulta ed e' modi ordinari facessi con sei fave manomettere e' cittadini. Ebbonne carico
e' signori d'aversene lasciati menare da lui, e massime Luigi di Piero Guicciardini, el
quale pareva che per le qualità del padre suo e per ogni altro conto avessi avuto a
considerare la importanza di questa cosa ed a contradirgli, ma loro errorono non pensando. |
Fattisi questi partiti ed aspettandosi se e' compariva o no, ed essendo creati gli
otto nuovi che avevano a entrare di gennaio, fu posta una querela agli otto vecchi di
questo caso, e come Filippo l'aveva fatto per mutare stato; e fu opinione che el
gonfaloniere, parendogli che forse gli otto creati di nuovo non fussino a suo proposito,
facessi porre la querela agli otto vecchi, a fine la lasciassino andare in quarantía dove
pensava aversi a fare uno giudicio severo. Ma fu disegno vano, perché la fu posta a tempo
che el termino del giudicarla andava piú là un mezzo dí che el tempo degli otto vecchi
e cosí secondo gli statuti della città ricadeva agli otto nuovi, a chi el tempo
ricominciava a correre come dal dí della querela data. |
E pendendo cosí la cosa si venne alla elezione della signoria nuova dove el
gonfaloniere osservando el costume, che è di confortare a fare buona elezione, ricordò
al consiglio come gli avevano una bella autorità ed uno pacifico vivere, e che lo
sapessino riconoscere e conservare, volendo mettere loro con queste parole sospetto che el
parentado era fatto a fine di mutare lo stato, a fine che gli eleggessino uomini secondo
el gusto suo; che furono verba ad corinthios perché, come si intese poi, e' partiti
andorono sanza riguardo e larghi al modo usato. Posesi di poi una nuova querela agli otto,
la quale significava come, per essere Piero de' Medici venuto armata manu contro alla
città nella ribellione di Arezzo ed in altri tempi, era per virtú di uno statuto nostro
caduto in pena di rubello e lui e sua descendenti, e cosí che Filippo Strozzi aveva a
essere punito, non come se avessi tolto per donna una figliuola di uno rubello, ma come
d'avere tolto una rubella. Venne di poi uno brieve alla signoria mandato dal pontefice,
che confortava e priegava che volessino non impedire questo matrimonio; a che la signoria
rispose per ordine del gonfaloniere molto caldamente pregandolo non volessi richiedere di
queste cose, come né anche noi lo richiederemo in quello che attenessi a' rubelli di
Bologna. |
Sopravenne poi el termine del comparire, nel quale Filippo venne occultamente in
Firenze, essendo confortato al comparire sicuramente da alcuni de' signori che si
pentivano de' partiti che avevano fatti, e cosí el gonfaloniere disse agli Strozzi che lo
facessino venire; e però venne al termine ed essendo comparito, non ostante che el
gonfaloniere avessi avuto carico de' partiti fatti sanza consulta, ed inoltre che fussi
stato avvertito che non tentassi di farne piú, perché la signoria non reggerebbe, e
massime da Piero Guicciardini che gliene fece intendere per mezzo di messer Giovan
Vettorio, nondimeno propose che gli era bene fargli uno comandamento che non partissi de'
terreni nostri sanza licenzia dalla signoria. Ma non lo cimentò, veduto non vi essere el
partito, perché messer Francesco di Bartolomeo Pandolfini, Antonio di Lione Castellani,
Luigi Guicciardini e Francesco di... Calderini apertamente gliene contradissono allegando
che poi che la querela ne pendeva agli otto non era uficio della signoria impacciarsene
piú, ma di lasciarla terminare agli otto, e cosí si differí nel gennaio sequente,
perché la signoria che successe non volle impacciarsene; che furono Neri di Gino Capponi,
parente degli Strozzi, Rafaello di Alfonso Pitti, Averano di... Peruzzi, Federigo di
Giuliano Gondi, Gentile di... Sassetti, Ugolino di Giuliano Mazzinghi, Biagio di... Monti,
Girolamo di... dello Straffa. |
E però pendendo el giudicio nelle mani degli otto, cominciò a riscaldare questo
umore fieramente, perché da una parte erano caricati e' cittadini nominati di sopra ed
inoltre Giovan Batista Ridolfi e piú e' Salviati riputati sua fautori, come se e'
volessino mutare lo stato; da altra era caricato el gonfaloniere in piú modi: prima che
e' doveva, come aveva fatto Lorenzo nelle fanciulle de' Pazzi lasciarla maritare a Firenze
in qualche uomo da bene, e nondimeno non di qualità che se n'avessi a pigliare sospetto;
di poi, se pure e' non voleva questo, sapendo che gli era qualche pratica di maritarla in
Firenze, fare una legge che lo proibissi e cosí come savio riparare piú tosto che el
male non venissi che, venuto che fussi, averlo a medicare, e però potersi imputare alla
sua negligenzia questo disordine. Inoltre soggiugnevano che se questo era delitto, s'aveva
a punire ancora lui, per avere tenuta pratica di darla a Giovan Batista suo nipote; e
ancora el cardinale averla tenuta a Roma, aggiugnendo la ritornata di Lorenzo figliuolo di
Piero e promettendone el consenso del gonfaloniere, il che e' non arebbe fatto sanza
licenzia sua; e però conoscersi che e' non aveva voluto fare legge probitiva, non per
negligenzia, ma perché non credendo che alcuno avessi animo di tôrla sanza sua licenzia,
voleva si maritassi per le mani sue, e darla a chi paressi a lui. |
E si procedeva ogni dí piú caldo in queste quistione, in forma che Alfonso Strozzi
disse che volendo sanare la città bisognava tagliare el capo allo arcivescovo, a Bernardo
Rucellai, a Filippo Buondelmonti, a Giovanni Corsi ed a piú altri; ed Alessandro
Acciaiuoli disse che Giovan Batista Ridolfi si faceva capo de' giovani per fare scandolo
tanto che ne feciono quistione; ed essendo in carico grande Bernardo Rucellai che si
trovava a Vinegia, scrisse una lettera alla signoria in sua giustificazione, repetendo
tutti e' processi sua insino da Lorenzo, da Piero e dal frate, pe' quali si mostrava
quanto sempre e' fussi stato caldo che la città stessi in libertà ed in quiete. |
In ultimo gli otto, che ne erano massime capi Bernardo di Carlo Gondi, Carlo di
Dionardo del Benino e Giovan Francesco Fantoni considerando quanta divisione partoriva
ogni dí piú questo caso e quanto terrebbe la città piú inferma e sospesa se si
conducessi in una quarantía, ed avendo forse notizia che el gonfaloniere acconsentiva che
la posassi, ne dettono con otto fave nere giudicio in questo effetto: condannorono Filippo
in ducati cinquecento d'oro e lo confinorono nel reame di Napoli per anni tre;
dichiarorono essere rubello Lorenzo figliuolo di Piero secondo la forma degli statuti che
parlavano della materia, e non la femina, perché si era trovato uno altro statuto che ne
eccettuava le femine. E benché questo giudicio a chi paressi troppo, a chi poco, pure fu
universalmente riputato giudicio ragionevole, e gli otto furono commendati d'avere spento
questo fuoco che ogni dí piú multiplicava e si estendeva. |
Furono varie opinioni quello che fussi seguíto di questo caso se e' fussi ito nella
quarantía, e benché si fussi ridotto molto alla sorte degli uomini che fussino stati
tratti, pure io sono di opinione che se fussino stati tratti uomini di mezzo, arebbe
Filippo avuto maggiore pregiudicio, perché molti erano insospettiti che non fussino
pratiche di mutare lo stato, a molti dispiaceva che la casa degli Strozzi, potente e
grande, avessi avuto ardire fare una tale cosa, e però giudicavano essere bene
bastonargli. E certo è opinione che se el gonfaloniere avessi da principio, quando el
caso venne a luce, chiamato una pratica e voluto che o con polizze o con fave
manifestassino el parere loro, ne sarebbe nato uno giudicio aspro, ma lui insospettito,
secondo la natura sua, de' cittadini, la volle governare da se medesimo; di che molti a
chi dispiaceva, si stettono a vedere, molti si sdegnorono che e' trattassi le cose
publiche come private e sue proprie; e nondimeno se gli Strozzi non si fussino aiutati
potentemente, el garzone capitava male, ma sendosene loro risentiti, e perché Alfonso suo
fratello teneva col gonfaloniere e Lorenzo Strozzi era giovane, avendone preso la cura
Matteo e governandola con consiglio occultamente ed aiuto di Iacopo Salviati, ebbe fine
facile. |
Seguitavasi di poi tuttavia nello strignere Pisa, e perché, secondo che di sotto si
dirà, le pratiche con Francia andavano alla via della conclusione, si fece risoluzione
fare ogni forza che non vi entrassi grano, ma sopravenendo nuova di Riviera di Genova da
Livorno e molti luoghi, come a Genova si caricava grano per metterlo in Pisa, con tutto
che si dubitassi non fussi ordine del re di Francia, pure perché di Francia s'avevano di
continuo buone lettere, e perché gli imbasciadori scrivevano queste cose essere contro
alla intenzione del re, si deliberò proibirlo. E però, per fare piú forte la armata
nostra, si mandò una parte delle nostre gente di arme con parecchi migliaia di
battaglioni verso San Piero in Grado, e' quali si divisono, ed una parte ne andò di qua
di Arno, una di là, in modo che sopravenendo poco poi la armata inimica, non ebbe ardire
andare piú innanzi, ma si ritornò presto indrieto; e si intese era cosa di poco
fondamento e fatta piú tosto con ordine di genovesi privati che del publico, e non con
legni della communità di Genova, ma di privati e forestieri soldati, come mostrò lo
effetto, per pochi dí. E perché, se tale sussidio venissi piú potente, si deliberò
ripararvi e si conchiuse fare a San Piero in Grado uno ponte in su Arno, come avevano
fatto e' padri nostri quando ebbono Pisa; le quale cose perché si facessino con piú
ordine e piú riputazione, non si trovando in campo pel publico altri che Niccolò
Machiavelli cancelliere de' dieci, vi furono eletti dagli ottanta, commessari generali
Iacopo ed Alamanno Salviati con grandissima riputazione di quella casa, ma trovato poi che
tutti a due insieme avevano divieto, sendo Alamanno di meno fave, rimasono Iacopo ed
Antonio da Filicaia. E perché Iacopo essendo di collegio rifiutò, fu in suo luogo
Alamanno, e cosí Antonio da Filicaia ed Alamanno Salviati andorono commessari in quello
di Pisa, e lasciato Niccolò Capponi in Cascina per le provisioni necessarie, Alamanno
andò a stare a San Piero in Grado ed Antonio a Librafatta al governo del campo che era
dalla altra parte di Arno. |
In Pisa si intendeva essere strettezza, e benché non tanta che si morissono di fame,
pure carestia grande e molti speravano che vedutosi privati dello aiuto de' lucchesi, e
come intendessino la conclusione fatta con Francia fussino per venire a qualche accordo, e
però avendo in quegli tempi el signore di Piombino avisato a Firenze come imbasciadori
pisani volevano venire a lui a trattare accordo se avessino salvocondotto, parve al
gonfaloniere concederlo loro, e fu mandato el Machiavello a Piombino per intendere quello
che dicessino, dove sendo venuti circa venti fra cittadini e contadini di Pisa, la Pratica
rimase vana, perché non avevano mandato da conchiudere, e si comprese che non erano
venuti per accordarsi, ma e' capi che reggevano Pisa e che erano ostinatissimi avevano
introdutta questa pratica per pascere lo universale loro e tenerlo disposto el meglio
potevano; perché in fatto nella moltitudine erano molti che, vedutosi in povertà e
stento grande, arebbono desiderato pigliare accordo. |
Alla fine di questo anno si conchiuse con Francia in modo diverso dal ragionato di
sopra; il che perché si intenda meglio e si abbia notizia di uno principio di movimento
grande che andava a torno, s'ha a ripetere piú da alto. Poi che el re de' romani stretto
da necessità fece vituperosamente triegua co' viniziani, per virtú della quale le terre
perdute rimanevano durante la triegua in mano de' viniziani, con tutto che loro gli
avessino a pagare le entrate, se ne andò malissimo contento verso la Fiandra dove el duca
di Ghelleri colle spalle de' franzesi molestava quello stato; e' quali gli davano favore,
perché lo imperadore, constretto difendere lo stato de' nipoti sua, si divertissi dalle
imprese di Italia. Quivi stimolato da madonna Margarita figliuola sua e che era a governo
di quello dominio, stimolato da' popoli che desideravano non guerreggiare co' franzesi,
volse lo animo a' pensieri della pace con Francia. La quale cosa era molto desiderata da
Francia, perché la guerra de' tedeschi lo teneva in spesa grande, con pericolo di molta
perdita e sanza speranza alcuna di guadagno, e però sendosi apiccata una pratica e
trovatasi la materia disposta, monsignore di Roano ne andò in Fiandra a aboccarsi con
madonna Margherita, e finalmente si fece conclusione e lega fra el re de' romani, re di
Francia e re di Spagna, per virtú della quale avendo el re di Francia la investitura di
Milano in certi modi, aveva a dare al re de' romani buona somma di danari. Furono molti
patti e capitoli segreti, l'effetto de' quali era muovere di subito guerra a' viniziani e
reintegrare ognuno di questi príncipi degli stati che apartenevano a loro, e perché el
papa era ne' medesimi termini rispetto alle cose di Romagna, gli fu riservato el luogo a
entrare nella lega, e fu fatto con sua saputa e consenso e dichiarato avessi a essere
arbitro delle differenzie nascessino fra questi principi e disegnato, per quanto si poté
comprendere, che avessi a concorrere alla impresa o con gente o con danari. |
Fatto e publicato questo accordo, subito el re di Francia dette danari a Massimiano e
cominciò a mettere in ordine uno esercito grossissimo per venire a tempo nuovo in Italia
contro a' viniziani e revocò da Vinegia lo imbasciadore vi teneva e licenziò quello de'
viniziani che era in Francia. Nel quale tempo essendo ritornato Roan alla corte, chiamati
gli imbasciadori nostri, e mostro loro con quanta spesa facessi la impresa contro a'
viniziani, alla quale moltissime volte era stato stimolato da noi, e che cedeva in nostra
grandissima utilità richiese che la città lo servissi in presto di ducati cinquantamila,
e lui ed el re di Spagna si obligherebbono alla protezione nostra per tre anni,
aggiugnendo di favorirci alla impresa di Pisa, ed in caso che Pisa s'avessi fra uno anno,
noi gli avessimo a dare ducati cinquantamila ed altretanti al re di Spagna; e cosí non
s'avendo, non solo non vorrebbe altro, ma ci renderebbe e' ducati cinquantamila datigli in
prestanza. |
Scrissono gli imbasciadori a Firenze questa dimanda, e parve molto strana, perché,
secondo le condizione ragionate prima, non aveva a avere un quattrino innanzi alla avuta
di Pisa, e benché promettessi rendergli al caso che Pisa non si avessi, nondimeno non si
faceva fondamento l'avessi a fare; pure avendosi speranza di Pisa e considerato che
negandogli, era al tutto spicciata quella impresa, considerando ancora la sua venuta in
Italia con uno esercito potentissimo, e quanta differenzia fussi l'averlo a avere amico o
inimico, si concluse facilmente el farlo e si dette commessione agli imbasciadori che
conchiudessino. E però, essendo loro in sul serrare, el re disse essere contento alla
protezione nostra contro a ognuno, etiam contro allo imperadore, ma che per rispetto dello
imperio non voleva si nominassi, ma si includessi con parole generale, le quale quando non
bastassino, che prometteva a parole ed in fatto lo osserverebbe. Avisoronne gli oratori a
Firenze, e si concluse non si lasciassi per questo, perché quando bene si esprimessi, non
lo osserverebbe piú che gli paressi, o se pure lo osservassi, cosí lo osserverebbe
promettendolo a parole. E cosí ridata la commessione, l'accordo si conchiuse ne' modi
detti di sopra, e ne venne a Firenze le nuove alla fine dello anno 1508, negli ultimi dí.
In detto tempo, intendendosi come monsignore di Ciamonte ne era venuto a Milano in poste
per apparecchiare le cose necessarie alla espedizione contro a' viniziani, gli fu mandato
oratore Francesco Pandolfini. |
|
XXXI |
SEGUITA L'IMPRESA Dl PISA (1509). |
Seguitò lo anno 1509, principio di cose e movimenti grandissimi nel principio del
quale si distraevano le cure della città in dua pensieri l'uno: l'assedio di Pisa,
l'altro, la espedizione de' príncipi collegati contro a' viniziani; e' successi di che,
benché in gran parte venissino in uno tempo medesimo, narrerò separatamente, acciò che
la distinzione tolga confusione. |
Lo avere fatto dua campi contro a Pisa uno a San Piero in Grado, l'altro a Librafatta,
era di natura, aggiunto allo accordo fatto co' lucchesi ed alla poca vettovaglia che era
in Pisa, che la speranza di conseguire quella vittoria tanto desiderata ogni dí cresceva,
ma e' lucchesi a chi, non ostante lo accordo, questa reintegrazione nostra era
molestissima, porgevano loro continuamente di furto quelle vettovaglie che e' potevano,
cosí loro uscendo continuamente di Pisa la notte, ne portavano e di quello di Lucca e de'
luoghi nostri di continuo da vivere. La quale cosa per essere el paese largo e paludoso, e
dalla banda di Lucca montuoso, non si poteva proibire dalle gente nostre divise in due
luoghi distanti; né mancava in sul nostro chi gli sovvenissi, perché qualcuno di quegli
usciti pel passato di Pisa, o per amore della patria o per qualche suo parente o amico gli
soccorreva, molti, perché le comperavano molto care, per guadagnare furtivamente ne
vendevano, fra' quali si disse allora publicamente essere stati e' figliuoli di Francesco
degli Albizzi, massime Bernardo, con chi si diceva fare compagnia a questa incetta Tommaso
di Pagolantonio Soderini. E certo si vedde molte ragione, ed uno grande comperare di grano
che aveva fatto Bernardo quello verno, che fu da credere o che egli smaltissi in Pisa
quello grano, o che lo vendessi in quello di Lucca a uomini, donde poi e' pisani lo
traevano; credettesi ancora lo esservi Tommaso in compagnia, perché era certo che in
altre incette di bestiame atteneva seco, e di poi el romore in Firenze fu sí grande non
solo nel vulgo, ma ne' cittadini principali e ne' collegi, e la cosa era di natura
importantissima alla città, che e' pareva ragionevole che el gonfaloniere, che sempre
attese a sopire, se ne fussi risentito vivamente, se lo interesse di Tommaso non l'avessi
ritenuto. Èbbene ancora carico Piero di Giannozzo Strozzi, el quale teneva in quello di
Pisa certi fitti, ma lui si scusò, avere venduto grano in Lucca ed averne avuto licenzia
da Niccolò Capponi commessario, il che fu con non piccolo carico di Niccolò, e non
andando questa boce piú là che le parole, si addormentò presto. |
Ma conoscendosi che a volere avere Pisa colla fame, bisognava strignerla piú, si
accozzorono tutti a tre e' commessari co' principali condottieri in sullo Osoli, e quivi
discussi e' modi che lo avevano a fare, si accordorono a questa risoluzione: che
bisognando chiudere la via della acqua, non bastava avere fatto el ponte a San Piero in
Grado e serrato Arno perché di continuo veniva pel Fiume Morto vettovaglia ed entrata
nello Osoli si conduceva in Pisa, e però che e' si facessi uno ponte con uno bastione a
Fiume Morto e si chiudessi quella via, el quale ponte e bastione fussi in guardia di chi
aveva in governo el campo di San Piero in Grado; le genti che erano dalla banda di Lucca
si riducessino a San Iacopo, donde impedirebbono le vettovaglie che venissino di Val di
Serchio e da Lucca per la via di Librafatta; e perché rispetto allo essere el paese da
quella banda grande e monti assai e pieno di fosse, rimaneva a' pisani, pratichi de'
luoghi e che non fuggivano fatica alcuna, aperta ancora la via di condurre da vivere in
sulle spalle loro, si facessi uno campo a Mezzana, mediante el quale si serrava al tutto
lo via di Lucca e si proibiva che di Val di Calci ed altri luoghi quivi convicini non vi
entrassi nulla. Conchiusono che serrando in questa forma non entrerebbe in Pisa di nuovo
vettovaglia, o sarebbe sí poca, che se ne nutrirebbono di piú pochi dí, e che non
faccendo questo, vi sarebbe partiti scarsi. Scrissonne e' commessari a Firenze, e fu
approvato questo modo e disegnato secondo lo ordine loro, che ognuno di questi campi
avessi mille fanti, de' quali piú che e' dua terzi erano battaglioni, ed e cavalli si
distribuissino quasi equalmente, e cosí rimase a San Iacopo Antonio da Filicaia, e con
lui...; a San Piero in Grado Alamanno, e con lui Muzio Colonna, a Mezzana Niccolò
Capponi, e con lui... |
Questa risoluzione mostrò quanto insino a quello dí si fussi ingannato chi aveva
governata ultimamente la guerra di Pisa, perché l'anno dinanzi, quando si dette el
guasto, fu ferma opinione di molti, massime del gonfaloniere e di Niccolò Capponi che vi
era commessario, che o in Pisa non si aspetterebbe el guasto perché e' contadini
farebbono tumulto, o aspettandolo, che in pochi mesi fussino constretti a arrendersi per
la fame. Dato el guasto e non se ne vedendo effetto alcuno, si conobbe che se e' non si
chiudeva la via del mare, e, pisani si sustenterebbono, e però si condusse el Bardellotto
con tanta allegrezza del gonfaloniere, de' dieci e de' primi cittadini, che e' credessino
in pochi mesi averne Pisa. Riuscí questa speranza vana, e si conobbe che el guasto, la
armata di mare non bastavano, se non si toglieva loro el sussidio de' lucchesi; e però
doppo molti dibattiti si fece con loro quello accordo di che è detto di sopra; ma si
scoperse a mano a mano che la armata sola non era atta a tenere che non vi entrassi el
grano: fecesi el ponte in su Arno a San Piero in Grado, e per chiudere interamente la
banda di terra, si messe el campo verso Librafatta. Di che stimando ognuno che e' fussino
serrati al tutto, e sperandosene di corto una assoluta vittoria, si vedde chiaro in spazio
di qualche settimana che non faccendo altro provedimento, non solo rimaneva loro via di
trarre commodità di quello di Lucca ed ancora del paese nostro, ma che è piú, che e'
non era bene chiusa la acqua rispetto al Fiume Morto e Osoli; e però fu necessario fare
el provedimento sopradetto di un ponte ed uno bastione a Fiume Morto, e di uno terzo campo
a Mezzana. Questo può essere esemplo a coloro che hanno a governare simile cose, che
quando vogliono rompere uno disegno al nimico, non solo pensino a impedirgli quello che
egli fa al presente, ma considerino piú là, toltagli quella via, quello che egli possa
fare, altrimenti non chiamino riparato perché chi in una necessità sua si vale di
qualche modo, se gli è levato quello modo benché con piú difficultà, ne ritruova uno
altro, e sono tanti gli stimoli della necessità, che è molto difficile el proibirgli che
e' non si vaglia per qualche verso. |
Deliberati e' tre campi ne' quali avevano a intervenire tutti e' cavalli nostri e
circa a tremila fanti de' quali e' due terzi o piú erano battaglioni ed ordinandosi, si
fece pruova di avere Pisa per trattato, el quale sendo doppio fu di pericolo non piccolo
alla città. Era stato molti e molti mesi, innanzi, insino quando Alessandro Nasi fu
commessario a Cascina, stato preso Alfonso del Mutolo pisano e ritenuto prigione a
Firenze. Era costui di nazione vile, figliuolo di uno fabro ed ancora nelle azione sua di
poco giudicio; ma sendo della persona molto gagliardo e fiero ed adoperatosi assai nelle
fazioni fatte contro a noi, aveva in Pisa seguito di molti bravi e che erano in sulle
arme. Sendo adunche stato costui piú di uno anno nelle Stinche fu tentato da uno Canaccio
da Pratovecchio che era della ordinanza, suo intimo amico e che in queste sue calamità
gli aveva fatti molti benefíci e sovvenutolo di danari e di ogni sua necessità, di
volere pensare, se mai tornassi in Pisa, di essere operatore che e' fiorentini la
riavessino; a che lui sendo stato da principio renitente, in ultimo, fatto altro disegno,
mostrò di acconsentire. |
Conferinne Canaccio col gonfaloniere e con Gherardo Corsini che era de' dieci, perché
si pensassi qualche modo che Alfonso tornassi in Pisa, e rispondendo Gherardo di non ne
volere fare nulla perché non gli pareva potersi pigliare fede di Alfonso, lui fece capo a
Antonio da Filicaia che medesimamente era de' dieci, el quale sendosi ristretto col
gonfaloniere, accadde che el Bardella, per riavere el figliuolo suo preso nel canale di
Piombino, richiese che e' fussi barattato con Alfonso del Mutolo, sapendo che e' pisani lo
farebbono volentieri. Alla quale cosa concorrendo e' dieci con difficultà, perché pareva
loro che Alfonso fussi di momento nelle cose di Pisa, pure per opera del gonfaloniere e di
Antonio vi si disposono, non sapendo alcuno degli altri quello che si trattassi da canto,
eccetto Gherardo Corsini el quale sendo richiesto da Antonio di favorirla, disse che se ne
passerebbe di mezzo. |
Fatta la deliberazione, Alfonso fece col gonfaloniere, Antonio e Canaccio questa
conclusione: che si insignorirebbe di una porta e della torre, ed uno dí, quale e'
determinassi con Antonio che di già era eletto commessario, tirerebbe in sulla torre
Canaccio con uno numero di uomini; e perché quello che e' faceva lo faceva per salvare la
città sua e non voleva in modo alcuno essere chiamato traditore che chiamerebbe e'
pisani, direbbe loro che e' fiorentini fussino signori della porta e della torre e che
quando e' volessino mettergli drento amichevolmente, che aveva e' capitoli in mano co'
quali si intendessi fatto lo accordo, e che stimava che e' calerebbono in ogni modo e,
quando pure non volessino calare, che in quello caso darebbe loro la entrata libera. |
Prestò el gonfaloniere fede a questo ragionamento; ed essendo Alfonso ito in Pisa e
trattando questa pratica da canto con Antonio, né se ne conferendo cogli altri commessari
acciò che Alamanno non participassi di questa gloria, deliberorono farla el sabato santo
la mattina a buon'ora, e che la pruova si facessi alla porta di Lucca, dove sendo venuto
Antonio da Filicaia col campo suo e gli altri commessari, a chi si era scoperto in sul
fatto perché era necessario vi intervenissino parte degli altri campi, lo effetto fu che
avendo Alfonso tirato su a uno a uno Canaccio con una compagnia di circa a trenta della
ordinanza di Casentino, ne amazzò qualcuno e gli altri tenne a prigione e cominciò a
salutare e' nostri colle artiglierie dove sendo ferito che poco poi ne morí Pagolo da
Parranos, le gente nostre si ritirorono a' luoghi loro, maravigliandosi ognuno che per sí
poco acquisto avessino fatto un trattato di questa sorte, ma si intese poi che el disegno
loro fu di assaltare el campo con speranza di avergli a disordinare giugnendogli fuora
della opinione loro o di assaltare el ponte e gli alloggiamenti di San Piero in Grado, ma
si ritennono per conforto di Tarlatino, el quale o parendogli essere troppo debole o
dubitando che Alfonso non facessi qualche colpo di maestro non gli lasciò uscire fuora. |
Ordinato di poi e posto el terzo campo a Mezzana, si cominciorono a strignere piú le
cose di Pisa, perché lo staio del grano vi valeva piú di dieci lire ed al continuo
rincarava, perché drento ne era poca quantità ed e' passi erano in modo chiusi che ve ne
poteva entrare poca somma; nondimeno la ostinazione loro era grande, massime in una sorte
di capi e quali tenevano sotto la moltitudine, parte con paura parte pascendola con
speranza di soccorso fuora e di nuovo ricolta, della quale per privargli si deliberò dare
el guasto e si conobbe el paese essere sí abondante e le biade sí belle che ogni poco
intorno alle mura che si lasciassi loro sanza guastare, aggiunto a quello che seminavono
drento, gli condurrebbe molti mesi in là e cosí si espedí in non molti giorni
raschiando intorno alle mura, benché vi si andassi con grande pericolo delle artiglierie. |
Era già mezzo el mese di maggio e veduto e' pisani non pigliare partito, pareva el
gonfaloniere che vi si dovessi andare a campo con le artiglierie e però ne fece fare
pratica ne' dieci, dove sendo per molte ragione contradetta da messer Francesco
Gualterotti, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini, Iacopo Salviati ed accordandosi a
questo parere tutta la pratica, lui di qui a pochi giorni la propose negli ottanta,
chiamata insieme una pratica grande di cittadini ma di già sendo divulgato come el
campeggiarla dispiaceva a cittadini piú savi, la piú parte si accordò alla medesima
sentenzia in modo che questo disegno si pose da canto. Le ragione potissime che gli
mossono furono queste: l'avere veduto esperienzia negli anni passati con quanto poco
successo si fussi tentata tale espugnazione e se bene e' pisani erano piú deboli che e'
non solevano, el medesimo accadere a noi, e' quali eravamo in grande scarsità di danari,
sanza condottieri a cavallo da farne molto conto, sanza capi di fanterie che avessino
riputazione alcuna e sanza fanti pratichi ed esercitati, e però se si voleva fare impresa
di sforzargli, essere necessario farla in gran parte in sulle spalle de' battaglioni a'
quali non poteva la brigata disporsi a prestare fede. Queste ragione benché allora
fussino benissimo considerate, nondimeno per quello che si ritrasse da poi non furono
forse vere; perché oltre allo essere in Pisa piccolo numero di gente e minore che non
soleva, la piú parte che vi erano, erano tanto deboli pel poco mangiare che non arebbono
potuto servire francamente, come già solevano alla difesa della città né in sulle mura
né a fare ripari e' quali solevano fare tanto presto che piú volte per questo si erano
salvati. |
E cosí levato in tutto el pensiero della forza, si continuava nello assedio, in che
si intendeva essere ogni dí piú grandissime le angustie loro, perché vi era poca
vettovaglia e quella era sí cara che, vendendosi lo staio piú di tre ducati, erano tanto
pochi quegli che ne potevano comperare, che la moltitudine si trovava tutta in estremità
grande e di già ne cominciava a morire di fame, e tutto dí crescendosi nelle necessità,
si vedeva la loro ultima ruina propinqua, di che la piú parte, sendo superata la
ostinazione dalla fame, era disposta a pigliare questo accordo ma mancava chi si facessi
capo di questa voluntà e repugnassi a quegli che lo contradicevano, quando la fortuna che
sa trovare tutti e' modi aperse la via a dare effetto a questa materia. |
Quando gli imbasciadori pisani andorono, come di sopra è detto a Piombino sotto
spezie di praticare accordo, vi fu nel numero loro per conto de' contadini uno Filippo di
Puccierello quale essendo uomo di seguito, e stato de' primi inimici che avessino e'
fiorentini in Pisa, aveva cominciato a credere che in ultimo la vittoria sarebbe da e'
fiorentini, e però che e' sarebbe bene farsi innanzi e acconciarsi con qualche
condizione. Di che accortisi quegli cittadini pisani che erano ostinati, dubitando che lui
alla ritornata di Pisa non facessi qualche movimento, gli persuasono rimanessi in Piombino
e continuassi mediante quello signore, la pratica dello accordo. Dove sendo rimasto, vi
stette insino a tanto che Pisa fussi chiusa da e' tre campi, e di poi non potendo
ritornare in Pisa, né volendo stare piú in Piombino perché s'era accorto a che fine vi
era suto lasciato, se ne andò a Lerici, e statovi qualche giorno, si risolvé volere
entrare e di comporre questa cosa. E però fatto intendere a Alamanno Salviati che
volentieri verrebbe a San Piero in Grado a parlargli ed avuto salvocondotto, lo venne a
trovare, e confermato da lui con molte ragione e promesse sul proposito buono, ne andò a
Pisa; dove avendo detto apertamente che poi che drento mancava loro da potere vivere, ed
el guasto gli aveva privati della speranza della ricolta, ed erano abandonati d'ogni
soccorso forestiero, sarebbe bene pensare a qualche composizione cogli inimici, innanzi
che la ultima necessità gli costrignessi. |
Fece drento movimento e pensieri assai. Doppo la ribellione di Pisa, la quale non
piacque meno a' contadini che a' cittadini, fu da principio el governo della città negli
uomini piú nobili, piú ricchi e di piú riputazione, ed in quegli a' quali per ogni
rispetto si conveniva essere superiori; in costoro si distribuiva el priorato, el
magistrato de' dieci sopra la guerra, le legazione ed in effetto el pondo di ogni cosa. Ma
continuando la guerra ed e' pericoli ogni dí in sulle porte della città, dove ogni dí
era necessario essere colle arme in mano, cominciorono a essere in tale credito quegli che
colle arme facevono buona pruova, sanza distinzione di essere nobili o ignobili, che
ristrettisi insieme presono el dominio e la sustanzialità di ogni cosa in se medesimi;
perché in una città venuta di nuovo in libertà e perturbata da una guerra continua e
pericolosa, si trattavano le occorrenzie con piú ferocia che non è consueto in una vita
civile. Di questo cominciò a calare la autorità di quegli che a principio erano piú
grandi, e succedendo di poi che e' fiorentini occuporono quasi tutto el contado, e cosí
la piú parte di chi aveva facultà, che erano quegli di sopra, avendo perduto le
possessione e le entrate sua, vennono in sospetto, come se per ricuperare la roba loro
desiderassino accordarsi con fiorentini; in modo che el governo di ogni cosa si ridusse in
quegli che erano piú in sulle arme e che avevano meno che perdere, e gli altri, eccetto
quegli che nella rebellione di Pisa si erono valuti di robe de' fiorentini o erano loro
debitori, cominciorono a essere tenuti depressi. |
Con costoro che erono in sulle arme, concorreva el contado, e' quali per essere di
numero assai, erano di momento grande e però erano carezzati e si trovavano ne'
magistrati e nelle deliberazione; ma perché erano uomini grossi ed ignoranti, ne erano,
nelle resoluzioni che si avevano a fare, menati da quegli altri con mille arte e mille
lettere vane, ed a loro bastava essere contenti di tutto quello volevano ottenere.
Nondimeno questi ultimi, stracchi dalla lunghezza della guerra e vedendosi tôrre ogni
anno le ricolte, si erano cominciati a piegare e arebbono piú volte preso partito, se la
disperazione del non potere trovare misericordia da' fiorentini, nel quale dubio quegli di
sopra li nutrivano, non gli avessino ritenuti, ma cominciando a prestare fede a Filippo di
Puccierello ed avendo qualche confidenzia che Alamanno avessi a essere buono mezzo a fare
osservare le cose promesse, si voltorono alla via dello accordo e feciono intendere a'
cittadini... |
FINE |