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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Ricordi politici e civili

di Francesco Guicciardini

 

I

Quello che dicono le persone spirituali, che chi ha fede conduce cose grandi; e come dice lo Evangelo, chi ha fede può comandare a' monti ecc.; procede perché la fede fa ostinazione. Fede non è altro che credere con opinione ferma, e quasi certezza le cose che non sono ragionevoli; o, se sono ragionevoli, crederle con piú resoluzione che non persuadono le ragione. Chi adunque ha fede diventa ostinato in quello che crede, e procede al cammino suo intrepido e resoluto, sprezzando le difficultà e pericoli, e mettendosi a sopportare ogni estremità. Donde nasce che essendo le cose del mondo sottoposte a mille casi e accidenti, può nascere per molti versi nella lunghezza del tempo aiuto insperato a chi ha perseverato nella ostinazione; la quale essendo causata dalla fede, si dice meritamente: chi ha fede conduce cose grandi. Esemplo a' dì nostri ne è grandissimo questa ostinazione de' Fiorentini, che essendosi contro a ogni ragione del mondo messi a aspettare la guerra del papa e imperadore, sanza speranza di alcuno soccorso di altri, disuniti e con mille difficultà, hanno sostenuto in sulle mura già sette mesi gli eserciti, e quali non si sarebbe creduto che avessino sostenuto sette dì; e condotte le cose in luogo che se ne vincessino, nessuno piú se ne maraviglierebbe, dove prima da tutti erano giudicati perduti; e questa ostinazione ha causata in gran parte la fede di non potere perire secondo le predizioni di Fra Jeronimo da Ferrara

II

Sono alcuni principi che agli imbasciadori loro comunicano interamente tutto el segreto suo, e a che fine voglio condurre la negoziazione che hanno a trattare con l'altro principe al quale sono mandati. Altri giudicano essere meglio non aprire loro se non quello che vogliono si persuada all'altro principe; el quale se vogliono ingannare, pare loro quasi necessario ingannare prima lo imbasciadore proprio, che è el mezzo e instrumento che l'ha a trattare e persuadere all'altro principe. L'una e l'altra opinione ha le ragione sue; perché da un canto pare difficile che lo imbasciadore, che sa che el principe suo vuole ingannare quell'altro, parli e tratti con quello ardire e con quella efficacia e fermezza che farebbe se credessi la negoziazione trattarsi sinceramente e sanza simulazione; sanza che, può per leggerezza o malignità fare penetrare la mente del suo principe; il che, se non la sapessi, non potrebbe fare. Da altro canto accade molte volte che quando la pratica è simulata, lo imbasciadore che crede che la sia vera, trasanda molte volte piú che non ricerca el bisogno della cosa; nella quale, se crede veramente el principe suo desideri pervenire a quello fine, non usa molta moderazione e considerazione a proposito del negozio, quali potrebbe usare se sapessi lo intrinseco. E non essendo quasi possibile dare le instruzione agli imbasciadori suoi sì particulari che l'indirizzino in tutti e particulari, se non in quanto la discrezione gli insegni accomodarsi a quello fine che ha in generale, chi non ne ha notizia non può fare questo; e però facilmente può errarvi in mille modi. La openione mia è, che chi ha imbasciadori prudenti e integri, e che siano affezionati a sé, e dipendenti in modo che non abbino obietto di dependere da altri, faccia meglio acconciare la mente sua; ma quando el principe non si risolve che siano totalmente di questa qualità, è manco pericoloso non si lasciare sempre intendere da loro, e fare che el fondamento di persuadere una cosa e altri sia el fare persuasione del medesimo nel proprio imbasciadore.

III

Vedesi per esperienzia che e principi, ancora che grandi, hanno carestia grandissima di ministri bene qualificati; di questo nessuno si meraviglierà quando e principi non hanno tanto giudicio che sappino cognoscere gli uomini, o quando sono sì avari che non gli vogliono premiare. Ma pare bene da maravigliarsene ne' principi che mancano di questi dua difetti; perché si vede quanto gli uomini di ogni sorte desiderano servirgli, e quanta comodità loro abbino di beneficargli. Nondimeno non debbe parere sì maraviglioso a chi considera la cosa in sé piú profondamente; perché uno ministro di uno principe, io parlo di chi ha a servire di cose grande, bisogna che sia di estraordinaria sufficienza, e di questi si truovano rarissimi; e oltre a questo è necessario sia di grandissima fede e integrità, e questa è forse piú rara che la prima. In modo che se non facilmente si truovano uomini che abbino alcuna di queste dua parte, quanto piú rari si troveranno quegli che l'abbino dua? Questa difficultà modererebbe assai uno principe prudente, e che non si riducessi a pensare giornalmente a quello che gli bisogna; ma anticipando col pensiere, scegliessi ministri non ancora fatti, e quali esperimentando di cosa in cosa e beneficando, si assuefacessino alle faccende e si mettessino nella servitú sua; perché è difficile trovare in uno tratto uomini fatti della qualità detta di sopra, ma si può bene sperare col tempo di fargli. Vedrassi bene che più copia hanno di ministri e principi seculari che e papi, quando ne fanno la debita diligenzia; perché piú rispetto s'ha al principe seculare e piú speranza di potere perpetuare nella sua servitú, vivendo lui per lo ordinario piú lungamente che el papa, e succedendogli uno che ' è quasi el medesimo che lui; e potendo el successore fidarsi facilmente di quegli che sono stati adoperati o cominciati a adoperare dallo antecessore. Aggiungnesi che per essere e ministri del principe seculare o sudditi suoi o almeno beneficati di cose che sono nel suo dominio sono necessitati avergli sempre rispetto, o temergli e loro e successori; le quali ragione cessano ne' pontefici, perché, essendo communemente di brieve vita, non hanno molto tempo a fare uomini nuovi; non concorrono le ragione medesime di potersi fidare uomini di diversi paesi, non dependenti dal pontificato; sono beneficati di cose che sono fuori delle mani del principe e successori; non temono del nuovo pontefice; né hanno speranza di continuare el servizio suo con lui; in modo che è pericolo non siano piú infedeli e manco affezionati al servizio del padrone, che quelli che servono uno principe seculare.

IV

Se e principi, quando viene loro bene, tengono poco conto de' servitori, per ogni suo piccolo interesse gli disprezzano o mettono da canto; che può sdegnarsi o lamentarsi uno padrone se e ministri, pure che non manchino al debito della fede e dell'onore, gli abandonano o pigliano quelli partiti che siano piú a loro beneficio?

V

Se gli uomini fussino discreti o grati abastanza, dovrebbe uno padrone, in ogni occasione che n'ha, beneficare quanto potessi e suoi servitori; ma perché la esperienzia mostra, e io l'ho sentito da' miei servitori in me medesimo, che spesso come sono pieni, o come al padrone manca occasione di potergli trattare bene come ha fatto per el passato, lo piantano; chi pensa al profitto suo debbe procedere con larghezza, intrattenendogli piú con la speranza che con gli effetti; la quale perché gli possa ingannare, è necessario beneficarne talvolta qualcuno largamente, e questo basta; perché è naturale degli uomini, che in loro possa ordinariamente tanto piú la speranza che el timore; che piú gli conforta e intrattiene lo esemplo di uno che veggono beneficato, che non gli spaventa el vedersene innanzi agli occhi molti che non sono stati bene trattati.

VI

È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente, e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione ed eccezione per la varietà delle circunstanze, in le quali non si possono fermare con una medesima misura; e queste distinzione ed eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione.

VII

Advertite bene nel parlare vostro di non dire mai sanza necessità cose che riferite possino dispiacere a altri; perché spesso in tempi e modi non pensati nuocono grandemente a voi medesimi: advertitevi, vi dico, bene; perché molti etiam prudenti vi errano, e è difficile lo astenersene; ma se la difficultà è grande, è molto maggiore el frutto che ne risulta a chi lo sa fare.

VIII

Quando pure o la necessità o lo sdegno vi induce a dire ingiuria a altri, advertite almanco a dire cose che non offendono se non lui; verbi gratia, se volete ingiuriare una persona propria, non dite male della patria, della famiglia o parentado suo; perché è pazzia grande volendo offendere uno uomo solo, ingiurarne molti.

IX

Leggete spesso e considerate bene questi ricordi, perché è piú facile a cognoscergli e intendergli che osservargli; e questo si facilita col farsene tale abito che s'abbino freschi nella memoria.

X

Non si confidi alcuno tanto nella prudenzia naturale che si persuada quella piú bastare sanza l'accidentale della esperienzia; perché ognuno che ha maneggiato faccende, benché prudentissimo, ha potuto cognoscere che con la esperienzia si aggiugne a molte cose, alle quali è impossibile che el naturale solo possa aggiugnere.

XI

Non vi spaventi dal beneficare gli uomini la ingratitudine di molti; perché oltre che el beneficare per sé medesimo sanza altro obietto è cosa generosa e quasi divina, si riscontra pure beneficando talvolta in qualcuno sì grato, che ricompensa tutte le ingratitudini degli altri.

XII

Quasi tutti e medesimi proverbi o simili, benché con diverse parole, si truovono in ogni nazione; e la ragione è che e proverbii nascono dalla esperienzia o vero osservazione delle cose, le quali in ogni luogo sono le medesime o simili.

XIII

Chi vuole vedere quali sieno e' pensieri de' tiranni, legga Cornelio Tacito, quando riferisce gli ultimi ragionamenti che Augusto morendo ebbe con Tiberio.

XIV

Non è la piú preziosa cosa degli amici; però, quando potete, non perdete la occasione del farne; perché gli uomini si riscontrano spesso, e gli amici giovano, e gli inimici nuocono in tempi e luoghi che non aresti mai aspettato.

XV

Io ho desiderato, come fanno tutti gli uomini, onore e utile; e n'ho conseguito molte volte sopra quello che ho desiderato o sperato; e nondimeno non v'ho mai trovato drento quella satisfazione che io mi ero immaginato; ragione, chi bene la considerassi, potentissima a tagliare assai delle vane cupidità degli uomini.

XVI

Le grandezze e gli onori sono comunemente desiderati perché tutto quello che vi è di bello e di buono apparisce di fuora, e è scolpito nella superficie; ma le molestie, le fatiche, e fastidii, e e pericoli sono nascosti e non si veggono; e quali se apparissino come apparisce el bene, non ci sarebbe ragione nessuna da dovergli desiderare, eccetto una sola, che quanto piú gli uomini sono onorati, reveriti e adorati, tanto piú pare che si accostino e diventino quasi simili a Dio; al quale chi è quello che non volessi assomigliarsi?

XVII

Non crediate a coloro che fanno professione d'avere lasciato le faccende e le grandezze volontariamente e per amore della quiete, perché quasi sempre ne è stata cagione o leggerezza o necessità; però si vede per esperienzia che quasi tutti, come se gli offerisce uno spiraglio di potere tornare alla vita di prima, lasciata la tanto lodata quiete, vi si gettano con quella furia che fa el fuoco alle cose bene unte e secche.

XVIII

Insegna molto bene Cornelio Tacito a chi vive sotto e tiranni el modo di vivere e governarsi prudentemente, cosi come insegna a' tiranni e modi di fondare la tirannide.

XIX

Non si possono fare le congiure sanza compagnia di altri, e però sono pericolosissime; perché essendo la piú parte degli uomini o imprudenti o captivi, si corre troppo pericolo a accompagnarsi con persone di simile sorte.

XX

Non è cosa piú contraria a chi vuole che le sue congiure abbino felice fine, che volerle fondare molto sicure, e quasi certe da riuscire; perché chi vuole fare questo, bisogna che implichi piú uomini, piú tempo e piú opportunità, le quali sono tutte la via da farle scoprire. E però vedete quanto le congiure sono pericolose, poi che le cose che arrecano sicurtà negli altri casi, in questa arrecono pericolo; il che credo sia anche perché la fortuna, che in quelle ha gran forza, si sdegni contro a chi fa tanta diligenzia di cavarle dalla sua potestà.

XXI

Io ho detto e scritto altre volte, che e Medici perderono lo Stato nel 27 per averlo governato in molte cose a uso di libertà, e che dubitavo che el popolo perderebbe la libertà per governarla in molte cose a uso di Stato. La ragione di queste due conclusione è che lo mantenervisi, bisognava si facessi uno fondamento di amici partigiani, cioè d'uomini che da uno canto cavassino beneficio assai dello Stato; dall'altro, si cognoscessino perduti e non potere restare a Firenze, se e Medici ne fussino cacciati. E questo non poteva essere, distribuendosi largamente come si faceva gli onori e utili della città, non volendo dare quasi punto di favore estraordinario agli amici nel fare parentadi, e ingegnandosi mostrare equalità verso ognuno; le quali cose se si riducessino allo estremo contrario sarebbono da biasimare assai, ma anche tenerle in su questo estremo non facevano fondamento di amici allo Stato de' Medici; e se bene piacevano allo universale, questo non bastava, perché da altro canto era sí fisso ne' cuori degli uomini el desiderio di tornare al Consiglio Grande, che nessuna mansuetudine, nessuna dolcezza, nessuno piacere che si facessi al popolo bastava a eradicarlo. E gli amici, se bene piacessi loro quello Stato non vi avevano però tanta satisfazione, che per questo volessino correre pericolo; e sperando che se si governavano onestamente potersi salvare in sullo esemplo del 94, erano disposti in uno frangente piú presto a lasciare correre che a sostenere una grossa piena. Per el contrario totalmente bisogna che proceda uno governo populare; perché essendo communemente amato in Firenze, né essendo una machina che si regga con fine certo indirizzato da uno o da pochi, ma facendo ogni dí per la moltitudine e ignoranzia di quelli che vi intervengono variazione nel procedere, ha bisogno volendo mantenersi di conservarsi grato allo universale, fuggire quanto può le discordie dei cittadini; le quali non potendo o non sapendo lui calpestare, aprono la via alla mutazione de' governi; e in effetto camminare tutto con giustizia e equalità; donde nascendo la sicurtà di tutti, ne seguita in gran parte la satisfazione universale, e el fondamento di conservare el governo populare, non con pochi partigiani, e quali lui non è capace di reggere, ma con infiniti amici; perché continuare a tenerlo a uso di Stato non è possibile, se da reggimento populare non si trasmuta in un'altra spezie; e questo non conserva la libertà, ma la distrugge.

XXII

Quante volte si dice: se si fussi fatto o non fatto così, saria succeduta o non succeduta la tale cosa! che se fussi possibile vederne el paragone, si cognoscerebbe simile openione essere false.

XXIII

Le cose future sono tanto fallace e sottoposte a tanti accidenti che el piú delle volte coloro ancora che sono bene savii se ne ingannano: e chi notassi e giudicii loro, massime ne' particulari delle cose, perché ne' generali piú spesso s'appongono, sarebbe in questo poca differenzia da loro agli altri che sono tenuti manco savii. Però lasciare uno bene presente per paura di uno male futuro è el piú delle volte pazzia, quando el male non sia molto certo o propinquo, o molto grande a comparazione del bene; altrimenti bene spesso per paura di una cosa che poi riesce vana, ti perdi el bene che tu potevi avere.

XXIV

Non è la piú labile cosa che la memoria de' beneficii ricevuti: però fate piú fondamento in su quegli che sono condizionati in modo che non vi possino mancare, che in su coloro quali avete beneficati; perché spesso o non se ne ricordano, o presuppongono e beneficii minori che non sono, o reputano che siano fatti quasi per obligo.

XXV

Guardatevi da fare quelli piaceri agli uomini che non si possono fare sanza fare equale dispiacere a altri; perché chi è ingiuriato non dimentica, anzi reputa la ingiuria maggiore; chi è beneficato non se ne ricorda, o gli pare essere beneficato manco che non è; però presupposte le altre cose pari, se ne disavanza piú di gran lunga che non si avanza.

XXVI

Gli uomini doverebbono tenere molto piú conto delle sustanzie e effetti che delle cerimonie, e nondimeno è incredibile quanto le umanità e gratitudine di parole leghi communemente ognuno; il che nasce che a ognuno pare meritare di essere stimato assai, e però si sdegna come gli pare che tu non ne tenga quello conto che si persuade meritare.

XXVII

La vera e fondata sicurtà di chi tu dubiti, è che le cose stiano in modo che benché voglia non ti possa nuocere; perché quelle sicurtà che sono fondate in sulla voluntà e discrezione di altri sono fallace, atteso quanto poca bontà si truova negli uomini.

XXVIII

Io non so a chi dispiaccia piú che a me la ambizione, la avarizia e le mollizie de' preti; sì perché ognuno di questi vizii in sé è odioso, sì perché ciascuno e tutti insieme si convengono poco a chi fa professione di vita dipendente da Dio; e ancora perché sono vizii sì contrarii che non possono stare insieme se non in uno subietto molto strano. Nondimeno el grado che ho avuto con piú pontefici, m'ha necessitato a amare per el particulare mio la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luter quanto me medesimo, non per liberarmi dalle legge indotte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizii o sanza autorità.

XXIX

Ho detto molte volte, ed è verissimo, che piú è stato difficile a' Fiorentini a fare quello poco dominio che hanno, che a' Viniziani el loro grande; perché e Fiorentini sono in una provincia che era piena di libertà, le quali è difficilissimo a estinguere; però si vincono con grandissima fatica, e vinte si conservano con non minore. Hanno di poi la Chiesa vicina, che è potente e non muore mai, in modo che, se qualche volta travaglia, risurge alla fine el suo diritto piú fresco che prima. E Viniziani hanno avuto a pigliare terre use a servire, le quali non hanno ostinazione né nel difendersi né nel ribellarsi; e per vicini hanno avuto principi secolari, la vita e la memoria de' quali non è perpetua.

XXX

Chi considera bene non può negare che nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestà, perché si vede che a ogn'ora ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in potestà degli uomini né a prevedergli né a schifargli; e benché lo accorgimento e sollecitudine degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno sola non basta, ma gli bisogna ancora la buona fortuna.

XXXI

Coloro ancora che, attribuendo el tutto alla prudenza e virtú, escludendo quanto possono la potestà della fortuna, bisogna almanco confessino che importa assai abattersi o nascere in tempo che le virtú o qualità per le quali tu ti stimi siano in prezzo: come si può porre lo essemplo di Fabio Massimo, al quale lo essere di natura cuntabundo dette tanta riputazione, perché si riscontrò in una spezie di guerra, nella quale la caldezza era perniziosa, la tardità utile; in uno altro tempo sarebbe potuto essere el contrario. Però la fortuna sua consisté in questo, che e tempi suoi avessino bisogno di quella qualità che era in lui; ma chi potessi variare la natura sua secondo le condizione de' tempi, il che è difficillimo e forse impossibile, sarebbe tanto manco dominato dalla fortuna

XXXII

La ambizione non è dannabile, né da vituperare quello ambizioso che ha appetito d'avere gloria co' mezzi onesti e onorevoli; anzi sono questi tali che operano cose grande ed eccelse. E chi manca di questo desiderio, è spirito freddo e inclinato piú allo ozio che alle faccende. Quella è ambizione perniziosa e detestabile che ha per unico fine la grandezza, come hanno communemente e principi; e quali quando la propongono per idolo, per conseguire ciò che gli conduce quella fanno uno piano della coscienzia, dell'onore, della umanità e di ogni altra cosa.

XXXIII

È in proverbio, che delle riccheze male acquistate non gode el terzo erede; e se questo nasce per essere cosa infetta, pare che molto manco ne dovessi godere quello che l'ha male acquistate. Dissemi già mio padre che Santo Augustino diceva, la ragione essere perché no si truova nessuno sì scelerato che non faccia qualche bene; e che Dio che non lascia alcuno bene inrenumerato, né alcuno male impunito, dàgli in satisfazione de' suoi beni questo contento nel mondo, per punirlo poi pienamente del male nell'altro; e nondimeno perché le ricchezze male acquistate s'hanno a purgare, non si perpetuare nel terzo erede. Io gli risposi, che non sapevo se el detto in sé era vero, potendosene allegare in contrario molte esperienzie; ma quando fussi vero, potersi considerare altra ragione; perché la variazione naturale delle cose del mondo fa che dove è la ricchezza venga la povertà, e piú negli eredi che nel principale; perché quanto el tempo è piú lungo, tanto è piú facile la mutazione. Dipoi el principale, cioè quello che l'ha acquistate, v'ha piú amore; e avendo saputo guadagnarle, sa anche la arte del conservarle, e usato vivere da povero non le dissipa; ma gli eredi non avendo tanto amore a quello che sanza loro fatica si hanno trovato in casa, allevati da ricchi e non avendo imparato le arte del guadagnare, che maravigli è che o per troppo spendere o per poco governo se le lascino uscire di mano?

XXXIV

Tutte le cose che hanno a finire non per impeto di violenza, ma di consunzione, hanno piú lunga vita assai che l'uomo da principio non si immagina. Vedesi lo esemplo in uno etico, che quando è giudicato essere allo estremo, vive ancora non solo dì, ma talvolta settimane e mesi; in una città che s'ha da vincere per assedio, dove le reliquie delle vettovaglie ingannano sempre la opinione di ognuno.

XXXV

Quanto è diversa la pratica dalla teorica! quanti sono che intendono le cose bene, che o non si ricordano o non sanno metterle in atto! E a chi fa così, questa intelligenzia è inutile; perché è come avere uno tesoro in una arca con obbligo di non potere mai trarlo fuora.

XXXVI

Chi attende a acquistare la grazia degli uomini, avvertisca, quando è richiesto, a non negare mai precisamente, ma dare risposte generale; perché a chi richiede, talvolta non gli accade poi l'opera tua, o sopravengono anche impedimenti che fanno la scusa tua capacissima. Sanza che molti uomini sono grossi, e facilmente si lasciano aggirare con le parole in modo, che etiam non facendo tu quello che non volevi o non potevi fare, s'ha spesso con quella finezza di rispondere occasione di lasciare bene satisfatto colui, al quale se da principio avessi negato, restava in ogni caso mal contento di te.

XXXVII

Nega pure sempre quello che tu non vuoi che si sappia, o afferma quello tu vuoi che si creda; perché ancora che in contrario siano molti riscontri e quasi certezza, lo affermare o negare gagliardamente mette spesso a partito el cervello di chi ti ode.

XXXVIII

È difficile alla casa de' Medici potentissima e con dua papati conservare lo Stato di Firenze molto piú che non fu a Cosimo privato cittadino; perché, oltre alla potenzia che fu in lui eccessiva, vi concorse la condizione de' tempi, avendo Cosimo avuto a combattere lo Stato con la potenzia di pochi, sanza displicenzia dello universale, el quale non cognosceva la libertà; anzi in ogni quistione tra potenti, e in ogni mutazione, gli uomini mediocri e piú bassi acquistavano condizione. Ma oggi essendo stato gustato el Consiglio Grande, non si ragiona piú di tôrre o tenere usurpato el governo a quattro, sei, dieci o venti cittadini, ma al popolo tutto; el quale ha tanto lo obietto a quella libertà, che non si può sperare di fargliene dimenticare con tutte le dolcezze, con tutti e buoni governi e esaltazione del publico che e Medici o altri potenti usino.

XXXIX

Nostro padre ebbe figliuoli sì bene qualificati, che a tempo suo fu communemente tenuto el piú felice padre di Firenze; e nondimeno io considerai molte volte che, calculato tutto, era maggiore el dispiacere che aveva di noi che la consolazione; pensa quello che interviene a chi ha figliuoli pazzi, cattivi o scelerati.

XL

Gran cosa è avere potestà sopra altri; la quale chi sa usare bene, spaventa con essa gli uomini piú ancora che non sono le forze sue; perché el suddito non sapendo bene insìno dove le si distendino, bisogna si risolva piú presto a cedere, che a volere far cimento se tu puoi fare o no quello di che tu minacci.

XLI

Se gli uomini fussino buoni o prudenti, chi è preposto a altri legittimamente arebbe a usare piú la dolcezza che la severità; ma essendo la piú parte o poco buoni o poco prudenti, bisogna fondarsi piú in sulla severità e chi la intende altrimenti, si inganna. Confesso bene che chi potessi mescolare e condire bene l'una con l'altra, farebbe quello ammirabile concento e quella armonia della quale nessuna è piú suave; ma sono grazie che a pochi el cielo largo destina, e forse a nessuno.

XLII

Non fare piú conto d'avere grazia che d'avere riputazione; perché perduta la riputazione si perde la benivolenzia, e in luogo di quella succede lo essere disprezzato; ma a chi mantiene la riputazione non mancano amici, grazia e benivolenzia.

XLIII

Ho osservato io ne' miei governi, che molte cose che ho voluto condurre, come pace, accordi civili e cose simili, innanzi che io mi introduca [è utile] lasciarle bene dibattere e andare a lungo; perché alla fine per stracchezza le parte ti pregano che tu le acconci; così pregato, con riputazione e sanza nota alcuna di cupidità, conduci quello a che da principio invano saresti corso drieto.

XLIV

Fate ogni cosa per parere buoni, ché serve a infinite cose; ma perché le opinione false non durano, difficilmente vi riuscirà el parere lungamente buoni, se in verità non sarete: così mi ricordò già mio padre.

XLV

El medesimo, lodando la parsimonia, usava dire, che piú onore ti fa uno ducato che tu hai in borsa, che dieci che tu n'hai spesi.

XLVI

Non mi piacque mai ne' miei governi la crudeltà e le pene eccessive, e anche non sono necessarie; perché da certi casi esemplari in fuora, basta, a mantenere el terrore, el punire e delitti a 15 soldi per lira, pure che si pigli regola di punirgli tutti.

XLVII

La dottrina accompagnata co' cervelli deboli, o non gli megliora o gli guasta; ma quando lo accidentale si riscontra col naturale buono, fa gli uomini perfetti e quasi divini.

XLVIII

Non si può tenere Stati secondo coscienzia; perché chi considera la origine loro, tutti sono violenti; da quelli delle repubbliche nella patria propria in fuora, e non altrove: e da questa regola non eccettuo lo imperadore e manco e preti, la violenzia de' quali è doppia, perché ci sforzano con le armi temporale e con le spirituale.

XLIX

Non dire a alcuno le cose che tu non vuoi che si sappino, perché sono varie le cose che muovono gli uomini a cicalare, chi per stultizia, chi per profitto, chi vanamente per parere di sapere; e se tu sanza bisogno hai detto uno tuo segreto a un altro, non ti debbi punto maravigliare se colui, a chi importa el sapersi manco che a te, fa el medesimo.

L

Non vi affaticate in quelle mutazione, le quali non mutano gli effetti che vi dispiacciono, ma solo e visi degli uomini; perché si resta con la medesima mala satisfazione. Verbigratia, che rileva cavare di casa e Medici ser Giovanni da Poppi, se in luogo suo entreria ser Bernardo da San Miniato, uomo della medesima qualità e condizione?

LI

Chi si travaglia in Firenze di mutare Stati, se non lo fa per necessità, o che a lui tocchi diventare capo del nuovo governo, è poco prudente: perché mette a pericolo sé e tutto el suo, se la cosa non succede; succedendo, non ha apena una piccola parte di quello che aveva disegnato. E quanta pazzia è giucare a uno giuoco che si possa perdere piú sanza comparazione che guadagnare; e quello che non importa forse manco, mutato che sia lo Stato, ti oblighi a uno perpetuo tormento d'avere sempre a temere di nuova mutazione.

LII

Si vede per esperienzia che quasi tutti quelli sono stati ministri a acquistare grandezza a altri, in progresso di tempo restano seco in poco grado: la ragione si dice essere, perché avendo cognosciuto la sufficienzia sua, teme non possa uno giorno tôrgli quello che gli ha dato. Ma non è forse manco perché quello tale, parendogli avere meritato assai, vuole piú che non se gli conviene; il che non gli sendo concesso, diventa mal contento; donde tra lui e el principe nascono gli sdegni e la suspizione.

LIII

Ogni volta che tu, che sei stato causa o m'hai aiutato diventare principe, vuoi che io mi governi a tuo modo, o ti conceda cose che siano in diminuzione della mia autorità, già scancelli quello beneficio che tu m'hai fatto; poiché cerchi o in tutto o in parte tôrmi lo effetto di quello che m'hai aiutato a acquistare.

LIV

Chi ha carico di difendere terre, abbi per principale obietto allungare quanto può, perché, come dice le proverbio, chi ha tempo ha vita; la dilazione reca infiniti favori da principio non sperati e non cognosciuti.

LV

Non spendere in sullo assegnamento de' guadagni futuri, perché molte volte o ti mancano o riescono minori del disegno; ma pel contrario le spese sempre multiplicono, e questo è lo inganno che fa fallire molti mercanti, che togliendo a cambio per potersi valere di quello mobile a fare maggiori guadagni, ogni volta che quegli o non riescono o si allungano, entrano in pericolo di essere sopraffatti da' cambii, e quali non si fermono o diminuiscono mai, ma sempre camminano e mangiano.

LVI

Non consiste tanto la prudenzia della economica in sapersi guardare dalle spese, perché sono molte volte necessarie, quanto in sapere spendere con vantaggio, cioè uno grosso per 24 quattrini.

LVII

Quanto sono piú felici gli astrologi che gli altri uomini! Quelli dicendo tra cento bugie una verità, acquistano fede in modo che è creduto loro el falso; questi dicendo tra molte verità una bugia, la perdono in modo che non è piú creduto loro el vero. Procede dalla curiosità degli uomini, che desiderosi sapere el futuro, né avendo altro modo, sono inclinati a correre dietro a chi promette loro saperlo dire.

LVIII

Quanto disse bene el Filosofo: De futuris contingentibus non est determinata veritas! Aggirati quanto tu vuoi, che quanto piú ti aggiri, tanto piú truovi questo detto verissimo.

LIX

Dissi già io a papa Clemente che si spaventava di ogni pericolo, che buona medicina a non temere così di leggieri era ricordarsi di quante cose simili aveva temuto invano; la quale parola non voglio che serva a fare che gli uomini non temino mai, ma che gli assuefaccia a non temere sempre.

LX

Lo ingegno piú che mediocre è dato agli uomini per la loro infelicità e tormento; perché non serve loro a altro che a tenergli con molte piú fatiche e ansietà che non hanno quegli che sono piú positivi.

LXI

Sono varie le nature degli uomini: certi sperano tanto, che mettono per certo quello che non hanno; altri temono tanto, che mai sperano se non hanno in mano. Io mi accosto piú a questi secondi che a' primi e chi è di questa natura si inganna manco, ma vive con piú tormento.

LXII

E popoli communemente e tutti gli uomini si lasciano piú tirare quando è proposta loro la speranza dello acquistare, che quando si mostra loro el pericolo di perdere; e nondimeno doverrebbe essere el contrario, perché è piú naturale lo appetito del conservare che del guadagnare. La ragione di questa fallacia è, che negli uomini può ordinariamente molto piú la speranza che el timore; però facilmente non temono di quello che dovrebbero temere, e sperano quello che non doverebbono sperare.

LXIII

Vedesi che e vecchi sono piú avari che giovani, e doverrebbe essere el contrario; perché avendo a vivere meno, basta loro manco. La ragione si dice essere perché sono piú timidi: non credo sia vera; perché ne veggo anche molti piú crudeli, piú libidinosi, se non di atto, di desiderio, dolore loro piú la morte che a' giovani: la ragione credo sia che quanto piú si vive piú si fa abito, e piú si appicano gli uomini alle cose del mondo; però vi hanno piú affezione, e piú se ne muovono.

LXIV

Innanzi al 1494 erano le guerre lunghe, le giornate non sanguinose, e modi dello espugnare terre lenti e difficili; e se bene erano già in uso le artiglierie, si maneggiavano con sì poca attitudine che non offendevano molto; in modo che, chi aveva uno Stato era quasi impossibile lo perdessi. Vennono e Franzesi in Italia e introdussono nelle guerre tanta vivezza, in modo che insino al 21, perduta la campagna, era perduto lo Stato; primo el signor Prospero cacciandosi a difesa di Milano, insegnò frustrare gl'impeti degli eserciti, in modo che da questo esemplo è tornata a chi è padrone degli Stati la medesima sicurtà che era innanzi al 94, ma per diverse ragione: procedeva allora da non avere bene gli uomini l'arte dell'offendere, ora procede dall'avere bene l'arte del difendere.

LXV

Chi chiamò e carriaggi impedimenti, non poteva di meglio; chi messe in proverbio, gli è piú fatica a muovere uno campo che a fare la tale cosa, disse benissimo; perché è cosa quasi infinita accozzare in uno campo tante cose, che abbia el moto suo.

LXVI

Non crediate a costoro che predicano sì efficacemente la libertà, perché quasi tutti, anzi non è forse nessuno che non abbia l'obietto agli interessi peculiari; e la esperienzia mostra spesso, ed è certissimo, che se credessimo trovare in uno Stato stretto migliore condizione, vi correrebbono per le poste.

LXVII

Non è faccenda, o amministrazione del mondo nella quale bisogni piú virtú che in uno capitano di eserciti, sì per la importanza del caso, come perché bisogna che pensi e ponga ordine a infinite cose e varissime; in modo è necessario prevegga assai da discosto, e sappia riparare subito.

LXVIII

La neutralità nelle guerre d'altri è buona a chi è potente in modo che non ha da temere di quello di loro che resterà superiore; perché si conserva senza travaglio, e può sperare guadagno da' disordini d'altri; fuora di questo è inconsiderata e dannosa, perché si resta in preda del vincitore e del vinto. E peggiore di tutte è quella che si fa non per giudicio, ma per irresoluzione; cioè quando non ti risolvendo se vuoi essere neutrale o no, ti governi in modo che non satisfai anche a chi per allora si contenterebbe che tu lo assicurassi di essere neutrale. E in questa ultima spezie caggiono piú le repubbliche che e principi, perché procede molte volte da essere divisi quelli che hanno a deliberare; in modo che, consigliando l'uno questo, l'altro quello, non se ne accordano mai tanti insieme che bastino a fare deliberare piú l'una opinione che l'altra; e questa fu proprio lo Stato del 12.

LXIX

Se voi osservate bene, vedrete che di età in età non solo si mutano i modi del parlare, e degli uomini, e e vocaboli, gli abiti del vestire, gli ordini dello edificare, della cultura e cose simili; ma, quello che è piú, e gusti ancora, in modo che uno cibo che è stato in prezzo in una età, è spesso stimato manco nell'altra.

LXX

El vero paragone dello animo degli uomini è quando viene loro addosso uno periculo improvviso; chi regge a questo, che se ne truova pochissimi, si può veramente chiamare animoso e imperterito.

LXXI

Se vedete andare a cammino la declinazione di una città, la mutazione di uno governo, lo argumento di uno imperio nuovo e altre cose simili; che qualche volta si veggono innanzi quasi certe, avvertite a non vi ingannare ne' tempi, perché e moti delle cose sono per una natura e per diversi impedimenti molto piú tardi che gli uomini non si immaginano; e lo ingannarti in questo ti può fare grandissimo danno: avvertiteci bene, che è uno passo dove spesso si inciampa. Interviene anche el medesimo nelle cose private e particulari, ma molto piú in queste publiche e universali; perché hanno per essenza maggiore mole, el moto suo piú lento, e anche sono sottoposte a piú accidenti.

LXXII

Non è cosa che gli uomini nel vivere del mondo debbino piú desiderare e che sia piú gloriosa, che vedersi el suo inimico prostrato in terra ed a sua discrezione; e questa gloria la raddoppia chi la usa bene, cioè con lo adoperare la clemenzia, e col bastargli d'avere vinto.

LXXIII

Né Alessandro Magno, né Cesare, né gli altri che sono stati celebrati in questa laude, usarono mai clemenzia per la quale cognoscessino guastare o mettere in pericolo lo effetto della sua vittoria, perché sarebbe forse piú presto demenzia; ma solo in quegli casi ne' quali lo usarla non diminuiva loro sicurtà, e gli faceva piú ammirabili.

LXXIV

Non procede sempre el vendicarsi da odio o da mala natura, ma è talvolta necessario perché con questo esempio gli altri imparino a non ti offendere; e sta molto bene questo che uno si vendichi, e tanto non abbia rancore di animo contro a colui di chi fa vendetta.

LXXV

Referiva Papa Lione, Lorenzo de' Medici suo padre essere solito dire: Sappiate che chi dice male di noi non ci vuole bene.

LXXVI

Tutto quello che è stato per el passato è al presente, sarà ancora in futuro; ma si mutano e nomi e le superficie delle cose in modo, che chi non ha buono occhio non le ricognosce, né sa pigliare regola, o fare giudicio per mezzo di quella osservazione.

LXXVII

Osservai quando ero imbasciatore in Spagna che el re cattolico Don Ferrando d'Aragona, principe potentissimo e prudentissimo, quando voleva fare impresa nuova o deliberazione di grande importanza, procedeva spesso di sorte, che innanzi si sapessi la mente sua, già procedeva spesso di sorte, che innanzi si sapessi la mente sua, già tutta la corte e i popoli desideravano ed esclamavano el re doverrebbe fare questo; in modo che scoprendosi la sua deliberazione in tempo che già era desiderata e chiamata, è incredibile con quanta giustificazione e favore procedesse apresso a' sudditi e ne' regni suoi.

LXXVIII

Le cose medesime che tentate in tempo sono facili a riuscire anzi caggiono quasi per loro medesime, tentate innanzi al tempo, non solo non riescono allora, ma ti tolgono ancora spesso quella facilità che avevano di riuscire al tempo suo; però non correte furiosi alle cose, non le precipitate, aspettate la sua maturità, la sua stagione.

LXXIX

Sarebbe periculoso proverbio se non fussi bene inteso quello che si dice: el savio debbe godere el beneficio del tempo; perché quando ti viene quello che tu desideri, chi perde la occasione non la ritruova a sua posta, e anche in molte cose è necessaria la celerità del risolversi e del fare; ma quando sei in partiti difficili, o in cose che ti sono moleste, allunga e aspetta tempo quanto puoi, perché quello spesso ti illumina o ti libera. Usando così questo proverbio, è sempre salutifero; ma inteso altrimenti, sarebbe pernizioso.

LXXX

Felici veramente sono coloro a chi una medesima occasione torna piú che una volta perché la prima lo può perdere o male usare uno ancora che sia prudente; ma chi non lo sa cognoscere o usare la seconda volta è imprudentissimo.

LXXXI

Non abbiate mai una cosa futura tanto per certa, ancora che la paia certissima, che potendo sanza guastare el vostro traino riservarvi in mano qualche cosa a proposito del contrario se pure venissi, non lo facciate; perché le cose riescono bene spesso tanto fuora delle opinione commune, che la esperienzia mostra essere stata prudenzia a fare così.

LXXXII

Piccoli principii e a pena considerabili sono spesso cagione di grandi ruine o di felicità; però è grandissima prudenzia avvertire e pesare bene ogni cosa benché minima.

LXXXIII

Fui io già d'opinione, che quello che non mi si rapresentava in un tratto, non occorressi anche poi; pensandovi, ho visto in fatti in me e in altri el contrario; ché quanto piú e meglio si pensa alle cose, tanto meglio si intendono e si fanno.

LXXXIV

Non vi lasciate cavare di possessione delle faccende se desiderate farne, perché non vi si torna a sua posta; ma se vi ti truovi drento, l'una s'avvia doppo l'altra sanza adoperare tu diligenzia o industria per averne.

LXXXV

La sorte degli uomini non solo è diversa tra uomo e uomo, ma etiam in sé medesimo, perché sarà uno fortunato in una cosa e infortunato in un'altra. Sono stato felice io in quelli guadagni che si fanno sanza capitale con la industria sola della persona, negli altri infelice: con difficultà ho avuto le cose quando l'ho cercate; le medesime non le cercando, mi sono corse drieto.

LXXXVI

Chi è in maneggi grandi o tende a grandezza, cuopra sempre le cose che gli dispiacciono, amplifichi quelle che gli sono favorevole. È una spezie di ciurmeria, e assai contro alla natura mia; ma dependendo el traino di costoro piú spesso dalla openione degli uomini che dagli effetti, el farsi fama che le cose ti vadino prospere ti giova, el contrario ti nuoce.

LXXXVII

Molti piú sono e beneficii che tu cavi da' parenti e dagli amici, de quali né tu né loro si accorgono, che quelli che si cognosce procedere da loro; perché rade volte accaggiono cose nelle quali t'abbia a servire dello aiuto loro, a comparazione di quelle che quotidianamente ti arreca el credersi che tu possa valerti a tua posto di loro.

LXXXVIII

Uno principe o chi è in faccende grande non solo debbe tenere segrete le cose che è bene che non si sappino, ma ancora avezzare sé e e suoi ministri a tacere tutte le cose etiam minime e che pare che non importino, da quelle in fuora che è bene che siano note. Così, non si sapendo da chi ti è intorno né da' sudditi e fatti tuoi, stanno sempre gli uomini sospesi e quasi attoniti, e ogni tuo piccolo moto e passo è osservato.

LXXXIX

Credo adagio, insino non ho autore certo, le nuove verisimile; perché essendo già nel concetto degli uomini, si truova facilmente chi le finge; non si fingono così spesso quelle che non sono verisimile, o non sono aspettate; e però quando ne sento qualcuna sanza autore certo, vi sto piú sospeso che a quell'altre.

XC

Chi depende dal favore de' principi sta appiccato a ogni gesto, a ogni minimo cenno loro, in modo che facilmente salta a ogni piacere loro; il che è stato spesso cagione agli uomini di danni grandi. Bisogna tenere bene el capo fermo a non si lasciare levare leggermente da loro a cavallo, né si muovere se non per le sustanzialità.

XCI

Difficilmente mi è potuto entrare mai nel capo che la giustizia di Dio comporti che e figliuoli di Ludovico Sforza abbino a godere lo Stato di Milano, el quale acquistò sceleratamente, e per acquistarlo fu causa della ruina del mondo.

XCII

Non dire: Dio ha aiutato el tale perché era buono: el tale è capitato male perché era cattivo; perché spesso si vede el contrario. Né per questo dobbiamo dire che manchi la giustizia di Dio, essendo e consigli suoi sì profondi che meritamente sono detti abyssus multa.

XCIII

Quanto uno privato erra verso el principe e commette crimen laesae majestatis, volendo fare quello che appartiene al principe, tanto erra uno principe e commette crimen laesi populi, faccendo quello che appartiene a fare al popolo e a' privati: però merita grandissima riprensione el duca di Ferrara faccendo mercantanzie, monopolii e altre cose meccaniche che aspettano a fare a' privati.

XCIV

Chi sta in corte de' principi e aspira a essere adoperato da loro, stia quanto può loro innanzi agli occhi; perché nascono spesso faccende, che vedendoti, si ricorda di te, e spesso le commette a te; le quali, se non ti vedessi, commetterebbe a un altro.

XCV

Bestiale è quello che non cognoscendo e pericoli, vi entra drento inconsideratamente; animoso quello che gli cognosce, ma non gli teme piú che si bisogni.

XCVI

È antico proverbio, che tutti e savii sono timidi, perché cognoscono tutti e pericoli, e però temono assai. Io credo che questo proverbio sia falso perché non può piú essere chiamato savio chi stima uno pericolo piú che non merita essere stimato; savio chiamerò quello che cognosce quanto pesi el pericolo e lo teme appunto quanto si debbe. Però piú presto si può chiamare savio uno animoso che uno timido; e presupposto che tutta dua vegghino assai, la discordia dall'uno all'altro nasce perché el timido mette a entrata tutti e pericoli che cognosce che possono essere, e presuppone sempre el peggio de' peggi; l'animoso, che ancora lui cognosce tutti, considerando quanti se ne possino schifare dalla industria degli uomini, quanti ne fa smarrire el caso per sé stesso. non si lascia confondere da tutti, ma entra nelle imprese con fondamento e con speranza, che non tutto quello che può essere abbia a essere.

XCVII

Dissemi el marchese di Pescara, quando fu fatto papa Clemente, che forse non mai piú vedde riuscire cosa che fussi desiderata universalmente. La ragione di questo detto può essere, che e pochi e non e molti danno communemente el moto alle cose del mondo, e e fini di questi sono quasi sempre diversi da' fini de' molti; e però partoriscono diversi effetti da quello che molti desiderano.

XCVIII

Uno tiranno prudente, benché abbia caro e savii timidi, non gli dispiacciono anche gli animosi quando gli cognosce di cervello quieto; perché gli dà el cuore di contentargli. Sono gli animosi e inquieti quelli che sopra tutto gli dispiacciono; perché non può presupporre di potergli contentare, e però è sforzato a pensare di spegnergli.

XCIX

Apresso a uno tiranno prudente, quando non m'ha per inimico, vorrei più presto essere in concetto di animoso inquieto che di timido, perché cerca di contentarti, e con quell'altro fa più a sicurtà

C

Sotto a uno tiranno è meglio essere amico insino a uno certo termine, che partecipare degli ultimi intrinsechi suoi; perché così, se sei uomo stimato, godi anche tu della sua grandezza, e qualche volta piú che quell'altro con chi fa piú a sicurtà, e nella ruina sua puoi sperare di salvarti.

CI

A salvarsi da uno tiranno bestiale e crudele non è regola o medicina che vaglia, eccetto quella che si dà alla peste: fuggire da lui el piú discosto, e el piú presto che si può.

CII

Uno assediato che aspetta soccorso, publica sempre le necessità sue molto maggiori che non sono; quello che non lo aspetta, non gli restando altro disegno che lo straccare lo inimico, e a quest'effetto tôrgli ogni speranza, le cuopre sempre e publica minore.

CIII

Fa el tiranno ogni possibile diligenzia per scoprire el segreto del cuore tuo, con farti carezze, con ragionare teco lungamente, col farti osservare da altri che per ordine suo si intrinsecano teco, dalle quali rete tutte è difficile guardarsi; e però se tu vuoi che non ti intenda, pensavi diligentemente, e guardati con somma industria da tutte le cose che ti possono scoprire, usando tanta diligenzia a non ti lasciare intendere quanta usa lui a intenderti.

CIV

È lodato assai negli uomini, e è grato a ognuno lo essere di natura liberi e reali, e, come si dice in Firenze, schietti; è biasimata da altro canto e è odiosa la simulazione, ma è molto piú utile a sé medesimo: e quella realità giova piú presto altri che a sé. Ma perché non si può negare che la non sia bella, io loderei chi ordinariamente avessi el traino suo del vivere libero e schietto, usando la simulazione solamente in qualche cosa molto importante, le quali acaggiono rare volte. Così acquisteresti nome di essere libero e reale, e ti tireresti drieto quella grazia che ha chi è tenuto di tale natura: e nondimeno nelle cose che importassino piú, caveresti utilità della simulazione, e tanto maggiore quanto, avendo fama di non essere simulatore, sarebbe piú facilmente creduto alle arti tue.

CV

Ancora che uno abbia nome di simulatore o di ingannatore, si vede che pure qualche volta gli inganni suoi truovano fede. Pare strano a dirlo, ma è verissimo, e io mi ricordo, el re Cattolico piú che tutti gli altri uomini essere in questo concetto; e nondimeno ne' suoi maneggi non gli mancava mai chi gli credessi piú che el debito; e questo bisogna che proceda o dalla semplicità o dalla cupidità degli uomini: questi per credere facilmente quello che desiderano, quelli per non cognoscere.

CVI

Non è cosa nel vivere nostro civile che abbia piú difficultà che el maritare convenientemente le sue figliuole; il che procede perché tutti gli uomini, tenendo piú conto di sé che non tengono gli altri, pensano da principio poter capere ne' luoghi che non gli riescono. Però ho veduto molti rifiutare spesso partiti che quando si sono molto aggirati arebbono accettato di grazia. È dunche necessario misurare bene le condizioni sue e degli altri, né si lasciare portare da maggiore opinione che si convenga: questo io lo cognosco bene; non so poi come saprò usarlo, né se cadrò nello errore quasi commune di presummere piú che el debito; ma non serva però questo ricordo a avvilirsi tanto, che come Francesco Vettori, si diano al primo che le dimanda.

CVII

È da desiderare non nascere suddito; e pure avendo a essere, è meglio essere di principe che di repubblica; perché la repubblica deprime tutti e sudditi; e non fa parte alcuna della sua grandezza se non a' suoi cittadini; el principe è piú commune a tutti, e ha equalmente per suddito l'uno come l'altro; però ognuno può sperare di essere e beneficato e adoperato da lui.

CVIII

Non è uomo sì savio che non pigli qualche volta degli errori; ma la buona sorte degli uomini consiste in questo: abattersi a pigliargli minori, o in cose che non importano molto.

CIX

Non è le frutto delle libertà, né el fine al quale le furono trovate, che ognuno governi; perché non debbe governare se non chi è atto e lo merita; ma la osservanzia delle buone legge e buoni ordini; le quali sono piú sicure nel vivere libero che fa tanto travagliare la città nostra, perché non basta agli uomini essere liberi e sicuri, ma non si fermano se ancora non governano.

CX

Quanto si ingannono coloro che a ogni parola allegano e Romani! Bisognerebbe avere una città condizionata come era loro, e poi governarsi secondo quello esemplo; el quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facessi el corso di uno cavallo.

CXI

E vulgari riprendono e jurisconsulti per la varietà delle opinione che sono tra loro, e non considerano che la non procede da difetto degli uomini, ma dalla natura della cosa in sé; la quale non sendo possibile che abbia compreso con regole generali tutti e casi particulari, spesso e casi non si truovano decisi appunto dalla legge, ma bisogna conjetturarli con le openione degli uomini, le quali non sono tutte a uno modo. Vediamo el medesimo ne' medici, ne' filosofi, ne' giudicii mercantili, ne' discorsi di quelli che governano lo Stato, tra quali non è manco varietà di giudicio che sia tra' legisti.

CXII

Diceva messer Antonio da Venafra, e dice bene: metti sei o otto savii insieme, diventano tanti pazzi; perché non si accordano mettono le cose piú presto in disputa che in resoluzione.

CXIII

Erra chi crede che la legge rimetta mai cosa alcuna in arbitrio, cioè in libera voluntà del giudice, perché la non lo fa mai padrone di dare e tôrre; ma perché sono alcuni casi che è stato impossibile che la legge termini con regola certa, gli rimette in arbitrio del giudice; cioè che el giudice, considerate le circumstanzie e qualità e coscienzia sua. Di che nasce che benché el giudice non possa della sentenzia sua starne a sindacato degli uomini, ne ha a stare a sindacato di Dio, el quale cognosce se gli ha giudicato o donato.

CXIV

Sono alcuni che sopra le cose che occorsono fanno in scriptis discorsi del futuro, e quali quando sono fatti da chi sa, paiono a chi gli legge molto belli; non dimeno sono fallacissimi, perché dependendo di mano in mano l'una conclusione dell'altra, una che ne manchi, riescono vane tutte quelle che se ne deducono; e ogni minimo particulare che varii, è atto a fare variare una conclusione; però non si possono giudicare le cose del mondo sì da discosto ma bisogna giudicarle e resolverle giornata per giornata.

CXV

Truovo in certi quadernacci scritti insino nel 1457, che uno savio cittadino disse già: o Firenze disfarà el Monte, o el Monte disfarà Firenze. Considerò benissimo essere necessario, o che la città gli togliessi la riputazione, o che farebbe tanta multiplicazione che sarebbe impossibile reggerla; ma questa materia innanzi partorissi el disordine, ha avuto piú vita, e in effetto el moto suo piú lento, che lui forse non immaginò.

CXVI

Chi governa gli Stati non si spaventi per e pericoli che si mostrono, ancora che pajno grandi, propinqui e quasi in essere; perché, come dice el proverbio, non è sì brutto el diavolo come si dipinge. Spesso per varii accidenti e pericoli si resolvono, e quando pure e mali vengono, vi si truova drento qualche rimedio e qualche alleggerimento, piú che non si immaginava; e questo ricordo consideratelo bene, ché tuttodì viene in fatto.

CXVII

È fallacissimo il giudicare per gli esempli; perché se non sono simili in tutto e per tutto, non servono; conciosia che ogni minima varietà nel caso può essere causa di grandissima variazione nello effetto; e el discernere questa varietà, quando sono piccole, vuole buono e perspicace occhio.

CXVIII

A chi stima l'onore assai, succede ogni cosa; perché non cura fatiche, non pericoli, non danari. Io l'ho provato in me medesimo, però lo posso dire e scrivere; sono morte e vane le azione degli uomini che non hanno questo stimulo ardente.

CXIX

Le falsità delle scritture rade volte si fabricano da principio; ma dipoi in progresso di tempo, secondo che conducono le occasione o la necessità; e però è buono espediente a difendersene, subito che è fatto lo instrumento o la scrittura, farsi fare copia autentica per tenerla presso di sé.

CXX

La piú parte de' mali che si fanno nelle terre di parte, procedono dal sospetto; perché gli uomini dubitando della fede l'uno dell'altro sono necessitati a prevenire; però chi le governa debbe avere el primo intento, e essere sollecito alevare via le suspizione.

CXXI

Non fate novità in sulla speranza di essere seguitati dal popolo, perché è pericoloso fondamento, non avendo lui animo a seguitare, e anche spesso avendo fantasia diversa da quello che tu credi. Vedete lo esemplo di Bruto e Cassio, che amazzato Cesare, non solo non ebbono el seguito del popolo come si erano presupposti, ma per paura di esso furono forzati a ritirarsi in Capitolio.

CXXII

Guardate quanto gli uomini ingannano loro medesimi; ciascuno reputa brutti e peccati che lui non fa, leggieri quegli che fa; e con questa regola si misura spesso el male e el bene piú che col considerare e gradi e qualità delle cose.

CXXIII

Io credo facilmente che in ogni tempo siano stati tenuti dagli uomini per miracoli molte cose che non vi si appressavano; ma questo è certissimo che ogni religione ha avuto e suoi miracoli; in modo che della verità di una fede piú che di un'altra è debole pruova el miracolo. Mostrano bene forse e miracoli la potestà di Dio, ma non piú di quelli de' Gentili che di quello de' Cristiani; e anche non sarebbe forse peccato dire, che questi, così come anche vaticinii, sono secreti della natura, alla ragione de' quali non possono gli intelletti degli uomini aggiungere.

CXXIV

Io ho osservato che in ogni nazione e quasi in ogni città sono devozione che fanno e medesimo effetti: a Firenze Santa Maria Impruneta fa piova e bel tempo; in altri luoghi, ho visto Vergini Marie o Santi fare el medesimo: segno manifesto che la grazia di Dio soccorre ognuno; e forse che queste cose sono piú causate dalle opinione degli uomini, che perché in verità se ne vegga lo effetto.

CXXV

E filosofi e teologi e tutti gli altri che scrivono le cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie; perché in effetto gli uomini sono al bujo delle cose, e questa indagazione ha servito e serve piú a esercitare gli ingegni che a trovare la verità.

CXXVI

Sarebbe da desiderare el potere fare o condurre le cose sue a punto, cioè in modo che fussino sanza uno minimo disordine o scrupolo; ma è difficile el fare questo; in modo che è errore lo occuparsi troppo in limbiccarle, perché spesso le occasione fuggono, mentre che tu perdi tempo a condurre quello a punto; e anche quando credi averlo trovato e fermo, ti accorgi spesso non essere niente perché la natura delle cose del mondo è in modo, che è quasi impossibile trovarne alcuna che in ogni parte non vi sia qualche disordine e inconveniente; bisogna risolversi a tôrle come sono e pigliare per buono quello che ha in sé manco male.

CXXVII

Ho veduto nella guerra bene spesso venire nuove per le quali giudichi avere la impresa in mal luogo; in uno tratto venire altre che pare ti promettino la vittoria, e così per contrario; e questa variazione accadere spessisime volte; però uno capitano buono non facilmente si invilisce o esalta.

CXXVIII

Nelle cose degli Stati non bisogna tanto considerare quello che la ragione mostra che dovessi fare uno principe, quanto quello che secondo la sua natura o consuetudine si può credere che faccia; perché e principi fanno spesso non quello che doverebbono fare, ma quello che fanno o pare loro di fare; e chi si risolve con altra regola può pigliare grandissimi granchi.

CXXIX

Quello che, se si facessi, sarebbe maleficio o ingiuria, se non si fa non ha però a essere chiamato né buona opera né beneficio; perché tra lo offendere e el beneficare, tra le opere laudabile e biasimevole, è mezzo: come lo astenere dal male lo astenersi da offendere. Non dichino adunche gli uomini: io non feci, io non dissi; perché communemente la vera laude è potere dire: io feci, io dissi.

CXXX

Guardinsi e principi sopra tutto da coloro che sono di natura incontentabili; perché non possono beneficargli e empiergli tanto che basti a rendersene sicuri.

CXXXI

Grande differenzia è da avere e sudditi malcontenti a avergli disperati. El malcontento se bene desidera di nuocerti, non si mette leggiermente in pericolo, ma aspetta le occasione, le quali talvolta non vengono mai; el disperato le va cercando e sollecitando, e entra precipitosamente in speranza e pratiche di fare novità; e però da quello t'hai a guardare di rado, da questo è necessario guardarti sempre.

CXXXII

Io sono stato di natura molto libero e inimico assai degli stiracchiamenti; però ha avuto facilità grande chi ha avuto a convenire meco: nondimeno ho cognosciuto che in tutte le cose è di somma utilità el negociare con vantaggio; la somma del quale consiste in questo, non venire subito agli ultimi partiti, ma ponendosi da discosto, lasciarsi tirare di passo in passo e con difficultà; chi fa così, ha bene spesso piú di quello di che si sarebbe contentato; chi negocia come ho fatto io, non ha mai se non quello sanza che non arebbe concluso.

CXXXIII

È grandissima prudenzia e da molti poca osservata, sapere dissimulare le male satisfazione che hai da altri, quando el fare così non sia con tuo danno e infamia; perché accade spesso che in futuro viene occasione di averti a valere di quello. Il che difficilmente ti riesce, se lui già sa che tu sia male satisfatto di lui. E a me è intervenuto molte volte che io ha avuto a ricercare persone, contro alle quali ero malissimo disposto; e loro credendo el contrario, o almeno non si persuadendo questo, m'hanno servito prontissimamente.

CXXXIV

Gli uomini tutti per natura sono inclinati piú al bene che al male; né è alcuno el quale, dove altro rispetto non lo tiri in contrario non facessi piú volentieri bene che male; ma è tanto fragile la natura degli uomini, e sì spesse nel mondo le occasione che invitano al male, che gli uomini si lasciano facilmente deviare dal bene. E però e savii legislatori trovorono e premii e le pene; che non fu altro che con la speranza e col timore volere tenere fermi gli uomini nella inclinazione loro naturale.

CXXXV

Se alcuno si truova che per natura sia inclinato a fare piú volentieri male che bene, dite sicuramente che non è uomo, ma bestia o mostro: poi che manca di quella inclinazione che è naturale a tutti gli uomini.

CXXXVI

Accade che qualche volta e pazzi fanno maggiore cose che e savii; procede perché el savio dove non è necessitato si rimette assai alla ragione e poco alla fortuna; el pazzo assai alla fortuna e poco alla ragione; e le cose portate dalla fortuna hanno tal volta fini incredibili. E savii di Firenze arebbono creduto alla tempesta presente; e pazzi avendo contro a ogni ragione voluto opporsi, hanno fatto insino a ora quello che non si sarebbe creduto che la città nostra potessi in modo alcuno fare; e questo è che dice el proverbio: Audaces fortuna iuvat.

CXXXVII

Se el danno che risulta delle cose male governate, si scorgessi cosa per cosa, chi non sa, o si ingegnerebbe di imparare, o volontariamente lascerebbe governarsi a chi sapessi piú; ma el male è che gli uomini, e e popoli massime, per la ignoranzia loro, non intendendo la cagione de' disordini, non le attribuiscono a quello errore che gli ha prodotti; e così non ricognoscendo di quanto male sia causa lo essere governati da chi non sa governare, perseverano nello errore o di fare loro quello che non sanno, o di lasciarsi governare dagli imperiti; donde nasce spesso la ruina ultima della città.

CXXXVIII

Né e pazzi, né e savi non possono finalmente resistere a quello che ha a essere; però io non lessi mai cosa che mi paressi meglio detta che quella che disse colui: Ducunt volentes fata, nolentes trahunt.

CXXXIX

È vero che le città sono mortale come gli uomini: ma è differenzia: ché gli uomini per essere di materia corrutibile, ancora che mai facessino disordini, bisogna manchino; le città non mancano per difetto della materia, la quale sempre si rinnova, ma o per mala fortuna o per malo reggimento, cioè per e partiti imprudenti presi da chi governa. El capitare male per mala fortuna schiettamente è rarissimo, perché essendo una città corpo gagliardo o di grande resistenzia, bisogna bene che la violenzia sia estraordinaria o impetuosissima a atterarla. Sono adunche gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine delle città; e se una città si governassi sempre bene, saria possibile che la fussi perpetua, o almanco arebbe vita piú lunga sanza comparazione di quello che non ha.

CXL

Chi disse uno popolo disse veramente uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confusione, sanza gusto, sanza diletto, sanza stabilità.

CXLI

Non vi maravigliate che non si sappino le cose delle età passate, non quelle che si fanno nelle provincie o luoghi lontani; perché se considerate bene, non s'ha vera notizia delle presenti, non di quelle che giornalmente si fanno in una medesima città; e spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta, o uno muro sì grosso, che non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa, o della ragione per che lo fa, quanto delle cose che fanno in India; e però si empie facilmente el mondo di opinione erronee e vane.

CXLII

Una delle maggiori fortune che possino avere gli uomini è avere occasione di potere mostrare che a quelle cose che loro fanno per interesse proprio, siano stati mossi per causa di pubblico bene. Questa fece gloriose le imprese del Re Cattolico; le quali fatte sempre per sicurtà o grandezza sua, parvono spesso fatte o per augumento della fede cristiana, o per difesa della Chiesa.

CXLIII

Parmi che tutti gli istorici abbino, non eccettuando alcuno, errato in questo, che hanno lasciato di scrivere molte cose che a tempo loro erano note, presupponendole come note; donde nasce che nelle istorie de' Romani, de' Greci e di tutti gli altri, si desidera oggi la notizia in molti capi; verbigratia, delle autorità e diversità de' magistrati, degli ordini del governo, de' modi della milizia, della grandezza delle città e molte cose simili, che a' tempi di chi scrisse erano notissime, e però pretermesse da loro. Ma se avessono considerato che con la lunghezza del tempo si spengono le città, e si perdono le memorie delle cose, e che non per altro sono scritte le istorie che per conservarle in perpetuo, sarebono stati piú diligenti a scriverle in modo, che così avessi tutte le cose innanzi agli occhi chi nasce in una età lontana, come coloro che sono stati presenti, che è proprio el fine della istoria.

CXLIV

Dissemi in Spagna Almazano secretario del Re Cattolico, essendo venuta nuova che e Viniziani avevano fatto col re di Francia accordo contro al suo re, che in Castiglia è uno proverbio che in lingua nostra significa, che el filo si rompe dal capo piú debole: vuole dire in sustanzia, che le cose alfine si scaricano sopra e piú deboli, perché non si misurano né con la ragione, né con la discrezione; ma cercando ognuno el suo vantaggio, si accordano a fare patire chi ha manco forze, perché gli è avuto minore rispetto; e però chi ha a negociare con piú potenti di sé, abbia sempre l'occhio a questo proverbio che a ognora viene in fatto.

CXLV

Abbiate per certo, che benché la vita degli uomini sia breve, pure a chi sa fare capitale del tempo e non lo consumare vanamente, avanza tempo assai; perché la natura dell'uomo è capace, e chi è sollecito e risoluto gli comparisce mirabilmente el fare.

CXLVI

Infelicità grande è essere in grado di non potere avere el bene, se prima non s'ha el male.

CXLVII

Erra chi crede che la vittoria delle imprese consista nello essere giuste o ingiuste, perché tutti dì si vede el contrario, che non la ragione, ma la prudenzia, le forze e la buona fortuna danno vinte le imprese. È ben vero, che in chi ha ragione nasce una certa confidenzia fondata in sulla opinione che Dio dia vittoria alle imprese giuste; la quale fra gli uomini arditi e ostinati; dalle quali due condizione nascono talvolta le vittorie. Così l'avere la causa giusta può per indiretto giovare, ma è falso che lo faccia direttamente.

CXLVIII

Chi vuole espedire troppo presto le guerre, le allunga spesso; perché non avendo a aspettare o le provisione che gli bisogna o la debita maturità della impresa, fa difficile quello che sarebbe stato facile; in modo che per ogni dì di tempo che ha voluto avanzare perde spesso piú di uno mese; sanza che questo può essere causa di maggiore disordine.

CXLIX

Nelle guerre chi vuole manco spendere, piú spende; perché nessuna cosa vuole maggiore e piú inconsiderata effusione di danari; e quanto le provisione sono piú gagliarde, tanto piú presto si espediscono le imprese; alle quali cose chi manca per risparmiare danari allunga le imprese, tanto piú che ne risulta senza comparazione maggiore spesa. Però nessuna cosa è piú perniziosa che entrare in guerre con gli assegnamenti di tempo in tempo, se non ha numerato grosso; perché è el modo non a finire la guerra, ma a nutrirla.

CL

Non basti a farvi fidare o rimettere in uomini ingiuriati da voi el cognoscere che di quello negocio medesimo risulterebbe, conducendolo bene, anche utilità e onore a loro; perché può in certi uomini per natura tanto la memoria delle ingiurie, che gli tira a vendicarsi contro al proprio commodo; o perché stimino piú quella satisfazione, o perché la passione gli acciechi in modo che non vi discernino drento quello che sarebbe l'onore e utile suo, e tenete a mente questo Ricordo, perché molti ci errano.

CLI

Abbiate semper la mira, come è anche detto sopra de' principi, non tanto a quello che gli uomini con chi avete a negociare doverrebbono fare per ragione, quanto quello che si può credere che faccino, considerata bene la natura e' costumi loro.

CLII

Abbiate grandissima circumspezione innanzi entriate in imprese o faccende nuove, perché doppo el principio bisogna andare per necessità; e però interviene spesso che gli uomini si conducono a camminare per difficultà, che se prima n'avessino immaginato la ottava parte, se ne sarebbono alienati mille miglia; ma come sono imbarcati, non è in potestà loro ritirarsi. Accade questo massime nelle inimicizie, nelle parzialità, nelle guerre; nelle quali cose e in tutte l'altre, innanzi si piglino, non è considerazione o diligenzia sì esatta che sia superflua.

CLIII

Pare che gli imbasciadori spesso piglino la parte di quello principe apresso al quale sono; il che gli fa sospetti o di corruttela o di speranza di premii, o almanco che le carezze e umanità usategli gli abbino fatti diventare loro partigiani; ma può anche procedere che avendo al continuo innanzi agli occhi le cose di quello principe dove sono, e non così particularmente le altre, paia loro da tenerne piú conto che in verità non è; la quale ragione non militando nel suo principe che parimente ha noto el tutto, scuopre con facilità la fallacia del suo ministro, e attribuisce spesso a malignità quello che piú presto è causato da qualche imprudenzia; e però chi va imbasciadore ci avvertisca bene, perché è cosa che importa assai.

CLIV

Sono infiniti e segreti di uno principe, infinite le cose a che bisogna consideri; però è temerità essere pronto a fare giudicio delle azione loro, accadendo spesso che quello tu credi che lui faccia per uno rispetto sia fatto per un altro; quello che ti pare fatto a caso o imprudentemente, sia fatto a arte e prudentissimamente.

CLV

Dicesi che chi non sa bene tutti e particulari non può giudicare bene; e nondimeno io ho visto molte volte, che chi non ha el giudicio molto buono giudica meglio, se ha solo notizia della generalità che quando gli sono mostri tutti e particulari; perché in sul generale se gli appresenterà spesso la buona resoluzione; ma come ode tutti e particulari, si confonde.

CLVI

Io sono stato di natura molto resoluto e fermo nelle azioni mie; e nondimeno come ho fatto una resoluzione importante, mi accede spesso una certa quasi penitenzia del partito che ho preso; il che procede non perché io creda che se io avessi di nuovo a deliberare io deliberassi altrimenti, ma perché innanzi alla deliberazione avevo piú presente agli occhi le difficultà dell'una e l'altra parte; dove preso el partito, né temendo piú quelle che col deliberare ho fuggite, mi si appresentono solamente quelle con chi mi resta a combattere, le quali considerate per se stesse paiono maggiore che non parevano quando erano paragonate con l'altre; donde seguita che a liberarsi da questo tormento bisogna con diligenzia rimettersi innanzi agli occhi anche le altre difficultà che avevi poste da canto.

CLVII

Non è bene vendicarsi nome di essere sospettoso, di essere sfiduciato: nondimeno l'uomo è tanto fallace, tanto insidioso; procede con tanta arte sì indirette, sì profonde; è tanto cupido dello interesse suo, tanto poco respettivo a quello di altri, che non si può errare a credere poco, a fidarsi poco.

CLVIII

Veggonsi a ognhora e benefici che ti fa l'avere buono nome, l'avere buona fama; ma sono pochi a comparazione di quelli che non si veggono, che vengono da per sé e sanza che tu ne sappia la causa, condotti da quella buona opinione che è di te: però disse prudentissimamente colui che piú valeva el buono nome che molte ricchezze.

CLIX

Non biasimo e digiuni, le orazione e simili opere pie che ci sono ordinate dalla Chiesa o ricordate da' frati; ma el bene de' beni è, e a comparazione di questo tutti gli altri sono leggieri, non nuocere a alcuno, giovare in quanto tu puoi a ciascuno.

CLX

È certo gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti viviamo come se fussimo certi avere sempre a vivere; non credo sia la ragione di questo perché ci muova piú quello che è innanzi agli occhi e che apparisce al senso, che le cose piú lontane e che non si veggono; perché la morte è propinqua, e si può dire che per la esperienzia quotidiana ci apparisca a ogni ora; credo proceda perché la natura ha voluto che noi viviamo secondo che ricerca el corso o vero ordine di questa machina mondana; la quale non volendo resti come morta e sanza senso, ci ha dato proprietà di non pensare alla morte, alla quale se pensassimo sarebbe pieno el mondo di ignavia e di torpore.

CLXI

Quando io considero a quanti accidenti e pericoli di infirmità, di caso, di violenzia, e in modi infiniti, è sottoposta la vita dell'uomo; quante cose bisogna concorrino nello anno a volere che la ricolta sia buona; non è cosa di che io mi maravigli piú, che vedere uno uomo vecchio, uno anno fertile.

CLXII

E nelle guerre e in molte cose importante ho veduto spesso lasciare di fare la provisione per giudicare che le sarebbono tarde; e nondimanco si è visto poi, che le sarebbono state in tempo, e che el pretermetterle ha fatto grandissimo danno; e tutto procede, che communemente el moto delle cose è molto piú lento che non si disegna, in modo che spesso non è fatto in tre o quattro mesi quello che tu giudicavi doversi fare in uno; e questo è Ricordo importante e da avvertire.

CLXIII

Quanto fu accomodato quello detto degli antichi: Magistratus virum ostendit! Non è cosa che scuopra piú la qualità degli uomini che dare loro faccende e autorità. Quanti dicono bene, che non sanno fare! Quanti in sulle panche e sulle piazze paiono uomini eccellenti che adoperati riescono ombre!

CLXIV

La buona fortuna degli uomini è spesso el maggiore inimico che abbino, perché gli fa diventare spesso cattivi, leggieri, insolenti; però è maggiore paragone di uno uomo el resistere a questa che alle avversità.

CLXV

Da uno canto pare che uno principe, uno padrone debba cognoscere meglio la natura de' sudditi e servidori suoi che alcuno altro; perché per necessità bisogna gli venghino per le mani molte voglie, disegni e andamenti loro: da altro, è tutto el contrario; perché con ogni altro negociano piú apertamente, ma con questi usano ogni diligenzia, ogni arte per palliare la natura e le fantasie loro.

CLXVI

Non pensate che chi assalta altri, verbigratia chi si accampa a una terra, possi prevedere tutte le difese che farà lo inimico; perché per natura allo attore, che è perito, occorrono e rimedii ordinarii che farà el reo; ma el pericolo e la necessità in che è quello altro gli fa trovare degli estraordinarii, quali è impossibile che pensi chi non è nel termine di quella necessità.

CLXVII

Non credo sia peggiore cosa la mondo che la leggerezza, perché gli uomini leggieri sono instrumenti atti a pigliare ogni partito per tristo, pericoloso e pernizioso che sia; però fuggitegli come el fuoco.

CLXVIII

Che mi rilieva me, che colui che mi offende lo facci per ignoranzia e non per malignità? anzi, è spesso molto peggio, perché la malignità ha e fini suoi determinati, e procede con le sue regole, e però non sempre offende quanto può; ma la ignoranzia non avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dà mazzate da ciechi.

CLXIX

Abbiate per una massima, che o in città libera, o in governo stretto, o sotto uno principe che voi siate, è impossibile coloriate tutti e vostri disegni; però quando qualcuno ve ne manca, non vi adirate, non cominciate a volere rompere, pure che abbiate tale parte che dobbiate contentarvi; altrimenti faccendo, sturbate voi medesimi e qualche volta la città, e alla fine vi trovate avere quasi sempre peggiorato le vostre condizione.

CLXX

Grande sorte è quella de' principi, che e carichi che meritano essere suoi, facilmente scaricano addosso a altri, perché pare che quasi sempre intervenga che gli errori e le offese che loro fanno, ancora che naschino da loro proprii, siano attribuiti a consiglio o istigazione di chi è loro apresso. Credo, proceda non tanto per industria che usino in fare nascere questa opinione, quanto perché gli uomini volentieri voltano lo odio o le detrazione a chi è manco distante da loro, e contro a chi sperano potersi piú facilmente valere.

CLXXI

Diceva el duca Lodovico Sforza che una medesima regola serve a fare cognoscere e principi e le balestre. Se la balestra è buona o no, si cognosce dalle frecce che tira; così el valore de' principi si cognosce dalla qualità degli uomini mandano fuora. Dunche si può arguire che governo fussi quello di Firenze, quando in uno tempo medesimo adoperò per imbasciadori el Carduccio in Francia, el Gualterotto a Vinegia, messer Bardo a Siena, e messer Galetto Giugni a Ferrara.

CLXXII

Furono ordinati e principi non per interesse proprio, ma per beneficio commune, e gli furono date le entrate e le utilità, perché le distribuissi a conservazione del dominio e de' sudditi: e però in lui è piú detestabile la parsimonia, che in uno privato; perché accumulando piú che el debito, appropria a sé solo quello di che è stato fatto, a parlare propriamente, non padrone, ma esattore e dispensatore a beneficio di molti.

CLXXIII

Piú detestabile e piú perniziosa è in uno principe la prodigalità, che la parsimonia; perché non potendo quella essere sanza tôrre a molti, è piú ingiurioso a' sudditi el tôrre che el non dare; e nondimeno pare che a' popoli piaccia piú el principe prodigo che lo avaro. La ragione è che ancora che pochi siano quegli a chi dà el prodigo a comparazione di coloro a chi toglie, che di necessità sono molti; pure, come è detto altre volte, può tanto piú negli uomini la speranza che el timore, che facilmente si spera essere piú presto di quegli pochi a chi è dato, che di quegli molti a chi è tolto.

CLXXIV

Fate ogni cosa per intrattenervi bene co' principi e con gli Stati che reggono; perché gli dà troppo carico adoperare el braccio publico contro alle ingiurie private; abbia pure pazienzia e aspetti tempo, perché è impossibile che spesso non gli venga occasione di potere fare lo effetto medesimo giustificatamente, e sanza nota di rancore.

CLXXVI

Pregate Dio sempre di trovarvi dove si vince, perché vi è data laude di quelle cose ancora di che non avete parte alcuna; come per el contrario chi si truova dove si perde, è imputato di infinite cose delle quali è inculpabilissimo.

CLXXVII

Quasi sempre in Firenze, per la dapocaggine degli uomini, quando uno ha fatto con violenzia uno scandolo publico non si è fatto pruova di punirlo, ma cercato a gara di deliberargli la impunità, pure che deponga l'arme, e non ne faccia piú; modi non da reprimere gli insolenti, ma da fare diventare lioni gli agnelli.

CLXXVIII

Allora sono ottime le industrie e le arte de' guadagni, quando per lo universale non sono ancora cognosciute buone; ma come vengano in questa opinione, declinano; perché voltandovisi molti, el concorso fa che non sono piú sì buone; però el levarsi a buon'ora è vantaggio grande in tutte le cose.

CLXXIX

Io mi feci beffe da giovane del sapere sonare, ballare, cantare, e simili leggiadrie; dello scrivere ancora bene, del sapere cavalcare, del sapere vestire accomodato, e di tutte quelle cose che pare che diano agli uomini piú presto ornamento che sustanzia; ma arei poi desiderato el contrario; perché se bene è inconveniente perdervi troppo tempo e però forse nutrirvi e giovani, perché non vi si deviino, nodimeno ho visto per esperienza cosa dànno degnità e riputazione agli uomini etiam bene qualificati, e in modo che si può dire che a chi ne manca, manchi qualche cosa; senza che lo abondare di tutti gli intrattenimenti apre la via a' favori de' principi, e in chi ne abonda è talvolta principio o cagione di grande profitto e esaltazione, non essendo piú el mondo e e principi fatti come doverebbono, ma come sono.

CLXXX

Le guerre non hanno el maggiore inimico che el parere a chi le comincia che le siano vinte; perché ancora che le si mostrino facillime e sicurissime, sono sottoposte a mille accidenti, e quali si disordinano piú se a chi le apartengono non si trova preparato con l'animo e con le forze: come sarebbe se da principio vi si fussi ordinato drento, come se le fussino difficile.

CLXXXI

Sono stato undici anni continui ne' governi della Chiesa e con tanto favore apresso a' superiori e e popoli, che ero per durarvi lungamente se non fussino venuti e casi che nel 27 vennono in Roma e in Firenze; né trovai cosa alcuna che mi vi conficcassi drento piú che el procedere come se non mi curassi di starvi; perché con questo fondamento facevo sanza rispetto e summissione quello che si conveniva al carico che io tenevo: il che mi dava tanta riputazione, che questa sola mi favoriva piú e con piú degnità che ogni intrattenimento, amicizia e industria che io avessi usata.

CLXXXII

Io ho visto quasi sempre gli uomini bene savii, quando hanno a risolvere qualche cosa importante procedere con distinzione, considerando dua o tre casi che verisimilmente possono accadere, e in su quegli fondare la deliberazione loro come se fussi necessario venire uno di quegli casi. Avvertite che è cosa pericolosa, perché spesso o forse el piú delle volte viene uno terzo o quarto caso non considerato, e al quale non è accomodata la deliberazione che tu hai fatta: però risolvetevi piú al sicuro che potete, considerando, che ancora possi facilmente essere quello che si crede non abbia a essere, né vi ristrignendo mai se non per necessità.

CLXXXIII

Non è savio uno capitano che faccia giornate se non lo muove o la necessità o el cognoscere d'avere vantaggio molto grande; perché è cosa troppo sottoposta alla fortuna, e troppo importante el perderle.

CLXXXIV

Io non voglio escludere gli uomini da' ragionamenti communi, né da conversare insieme con grata e amorevole dimestichezza; ma dico bene che è prudenzia parare se non per necessità delle cose proprie; e quando se ne parla, non ne dare conto se non quanto è necessario al ragionamento o intento che allora si ha; riservando sempre in sé medesimo tutto quello che si può fare, sanza dire: piú grato è fare altrimenti, piú utile el fare così.

CLXXXV

Sempre gli uomini lodano in altri lo spendere largamente, el procedere nelle azioni sue co' modi generosi e magnifichi, e nondimeno i piú osservano in sé medesimi el contrario; però misurate le cose vostre con la possibilità con la utilità che sia onesta e ragionevole; ma non vi lasciate levare a cavallo a fare altrimenti dalle opinione e parole del vulgo, dal darvi a credere di acquistare laude e riputazione apresso a chi poi allo stretto non lauda in altri quello che non osserva in sé.

CLXXXVI

Non si può in effetto procedere sempre con una regola indistinta e ferma. Se è molte volte inutile lo allargarsi nel parlare, etiam cogli amici, dico di cose che meritino essere tenute segrete, da altro canto el fare che gli amici si accorghino che tu stai riservato con loro è la via a fare che anche loro faccino el medesimo teco; perché nessuna cosa fa altrui confidarsi di te, che el presupporsi che tu ti confidi di lui: e così non dicendo a altri, tu togli la facultà di sapere da altri. Però e in questo e in molte altre cose bisogna procedere distinguendo la qualità delle persone, de' casi e de' tempi; e a questo è necessaria la discrezione, la quale se la natura non t'ha data, rade volte si impara tanto che basti con la esperienzia; co' libri non mai.

CLXXXVII

Sappiate che chi governa a caso si ritruova alla fine a caso; la diritta è pensare, esaminare, considerare bene ogni cosa etiam minima; e vivendo ancora così, si conducono con fatica bene le cose; pensate come vanno a chi si lascia portare dal corso della acqua.

CLXXXVIII

Quanto piú ti discosti dal mezzo per fuggire uno degli estremi, tanto piú cadi in quello estremo di che tu temi, o in uno altro che ha el male pari a quello; e quanto piú vuoi cavare frutto di quella cosa che tu godi, tanto piú presto finisce el goderla e trarne frutto; verbigratia uno che popolo che goda la libertà, quanto piú la vuole usare tanto manco la gode, e tanto piú cade o nella tirannide, o in uno vivere che non è migliore che la tirannide.

CLXXXIX

Tutte le città, tutti gli Stati, tutti e regni sono mortali; ogni cosa o per natura o per accidente termina e finisce qualche volta: però uno cittadino che si truova al fine della sua patria, non può tanto dolersi della disgrazia di quella e chiamarla mal fortunata, quanto della sua propria; perché alla patria è accaduto quello che a ogni modo aveva a accadere, ma disgrazia è stata di colui abattersi a nascere a quella età che aveva a essere tale infortunio.

CXC

Suolsi dire per ricordo, in conforto degli uomini che non sono nello stato desiderano: Guardatevi drieto e non innanzi, cioè guardate quanti piú sono quegli che stanno peggio di voi, che quelli che stanno meglio. È detto verissimo, e che doverebbe valere a fare che gli uomini si contentassino del grado loro, ma è difficile a farlo; perché la natura ci ha posto el viso in modo che non possiamo senza sforzarci a guardarci se non innanzi.

CXCI

Non si può biasimare gli uomini che siano lunghi nel risolversi; perché se bene accaggiono delle cose nelle quali è necessario deliberare presto, pure per lo ordinario erra piú chi delibera presto che chi delibera tardi; ma da riprendere è sommariamente la tardità dello eseguire, poi che si è fatta la resoluzione, la quale si può dire che la nuoca sempre e non giovi mai se non per accidente; e ve lo dico perché ve ne guardiate, atteso che in questo molti errano, o per ignavia, o per fuggire molestia,. o per altra cagione.

CXCII

Pigliate nelle faccende questa massima: che non basti dare loro el principio, lo indirizzo, el moto; ma bisogna seguitarle e non le staccare mai insino al fine; e chi le accompagna così non fa anche poco a conducerle a prefezione. Ma chi negocia altrimenti, le presuppone talvolta finite, che apena sono cominciate o difficultate; tanta è la negligenzia, la dapocaggine, la tristizia degli uomini; tanti gli impedimenti e le difficultà che di sua natura hanno le cose. Usate questo Ricordo: m'ha fatto tal volta grande onore, come fa vergogna grande a chi usa el contrario.

CXCIII

Avvertisca sopra tutto chi tiene pratiche contro agli Stati a non le tenere con lettere, perché spesso sono intercette e fanno testimonio che non si può negare; e benché ci siano oggi molti modi cauti di scrivere, sono anche molto in luce le arte del ritrovargli. Piú sicuro assai è a adoperare uomini proprii che lettere, e però è troppo difficile e pericoloso agli uomini privati entrare in queste pratiche, perché non hanno copia d'uomini a chi commettere, e di quelli pochi non si possono molto fidare, perché è troppo guadagno e poca perdita ingannare privati per fare piacere a' principi.

CXCIV

Se bene bisogna procedere alle cose pesatamente, non si vuole però proporsi nelle faccende tanta difficultà, che l'uomo, pensando non possino riuscire, si fermi; anzi, bisogna ricordarsi che nel maneggiare si scuopre piú facilità; e che faccendo, le difficultà per sé medesime si sgruppano. E questo è verissimo, e chi negocia lo vede tutto dì in fatto; e se papa Clemente se ne ricordassi conducerebbe spesso le cose sue e piú in tempo con piú riputazione.

CXCV

Chi è apresso a' principi e desidera ottenere grazie o favori per sé o per amici, ingegnisi quanto può di non avere a dimandare spesso direttamente, ma cerchi o aspetti occasione di proporle e introdurle con qualche destrezza, le quali quando vengono bisogna pigliarle subito e non le lasciare passare. Chi fa così, conduce le cose con molto maggiore facilità, e con molto minore fastidio del principe; e ottenuta che n'ha una, resta piú fresco e piú libero potere ottenerne un'altra.

CXCVI

Come gli uomini si accorgono che tu se' in grado che la necessità ti conduca a quello vogliono, fanno poca stima di te, e ne fanno buono mercato; perché in loro communemente può piú el rispetto del suo interesse o la sua mala natura, che non può la ragione e' meriti tuoi, o le obligazione che avessino teco, o el considerare che tu sia forse caduto per causa loro, o per satisfare a loro, in queste male condizione; però guardatevi dal venire in questo essere quanto dal fuoco. E se gli uomini avessino bene nel cuore questo Ricordo molti sono fuorusciti che non sarebbono; perché non giova loro tanto che siano cacciati da casa per inclinazione a questo o quello principe, quanto nuoce che poi che el principe gli vede fuora dice: Costoro non possono piú fare sanza me; e però con poca discrezione gli tratta a suo modo.

CXCVII

Chi ha a conducere co' popoli cose che abbino difficultà grande o contradizione, avvertisca, se el caso lo comporte, a separarle, e non parlare della seconda insino non sia condotta la prima; perché così faccendo, può accadere che quelli si opponghino all'una, non contradichino all'altra; dove se fussino tutte insieme, bisognerebbe che a tutte contradicessi ciascuno a chi dispiacessi qualunque di quelle. E se così avessi saputo fare Piero Soderini quando volle riordinare la legge della Quarantìa, l'arebbe ottenuta, e stabilito forse con essa el governo populare; e questo ricordo di fare inghiottire le vivande amare, quando si può, in piú di uno boccone, serve spesso non manco alle cose private che alle publiche.

CXCVIII

Crediate che in tutte le faccende e publiche e private la importanza dello espedirle consiste in sapere pigliare el verso; e però in una medesima cosa, el maneggiarla in uno modo a maneggiarla in uno altro, importa el conducerla a non la conducere.

CXCIX

Sempre, quando con altri volete simulare o dissimulare una vostra inclinazione, affaticatevi a mostrargli con piú potente e efficace ragione che voi potete, che voi avete in animo el contrario, perché quando agli uomini pare che voi cognosciate che la ragione voglia così, facilmente si persuadono che le resoluzione vostre siano secondo quello che detta la ragione.

CC

Uno de' modi a fare fautore di qualche vostro disegno qualcuno che ne sarebbe stato alieno, è farne capo a lui, e farnelo, come dire, autore o principale. Guadagnansi con questa via massime gli uomini leggieri, perché in molti questa vanità solo può tanto, che gli conduce a tenerne piú conto che de' rispetti sustanziali che si doverrebbono avere nelle cose.

CCI

Parrà forse parola maligna o sospettosa, ma Dio volessi non fussi vera: sono piú e cattivi uomini che e buoni; massime dove va interesse di roba o di Stato; però da quelli in fuora, e quali per esperienzia o relazione degnissime di fede cognoscete bene aperti; è bene destrezza farlo in modo che non vi vendichiate nome di sfiduciati; ma sustanziale è non vi fidate, se non vedete poterlo fare.

CCII

Chi si vendica in modo che lo offeso non si accorga che el male proceda da lui, non si può dire lo faccia se non per satisfare allo odio o al rancore; piú generoso è farlo scopertamente, e in modo che ognuno sappia donde nasca: e si può interpretare lo faccia non tanto per odio e desiderio di vendetta, quanto per onore, cioè per essere cognosciuto per uomo di natura da non sopportare le ingiurie.

CCIII

Avvertino e principi a non conducere e sudditi in grado prossimo alla libertà; perché gli uomini naturalmente desiderano essere liberi, e lo ordinario di ciascuno è non stare contenti al grado suo, ma cercare sempre di avanzare di quello in che si truovano; e questi appetiti possono piú che la memoria della buona compagnia che gli fa el principe, e de' beneficii ricevuti da lui.

CCIV

Non è possibile fare tanto che e ministri non rubino: io sono stato nettissimo, e ho avuto governatori e altri ministri sotto di me, e con tutta la diligenzia che io abbia usata, e lo esemplio che ho dato loro, non ho potuto provedere tanto che basti. Énne cagione che le danaio serve a ogni cosa, e che al vivere d'oggi è stimato piú uno ricco che uno buono; e lo causa tanto piú la ignoranzia o ingratitudine de' principi che sopportano e tristi, e a chi ha servito bene non fanno migliore trattamento che a chi ha fatto el contrario.

CCV

Io sono stato dua volte con grandissima autorità negli eserciti in su imprese importantissime, e ho avuto governatori e in effetto n'ho cavato questo costrutto: che se sono vere, come in gran parte io credo, le cose che si scrivono della milizia antica, questa a comparazione di quella è una ombra. Non hanno e capitani moderni virtú, non hanno industria; procedesi sanza arte, sanza stratagemi; come camminare a lento passo per una strada maestra; in modo che non fuora di proposito io dissi al signor Prospero Colonna, capitano della prima impresa, che mi diceva che io non ero stato piú in guerra alcuna: che mi doleva anche in questa non avere imparato niente.

CCVI

Non voglio disputare quale fussi piú utile a' corpi nostri, o governarsi co' medici o non ne avere, come lungamente feciono e Romani; ma dico bene che, o sia per la difficultà della cosa in sé, o per la negligenzia de' medici, e quali bisognerebbe fussino diligentissimi e osservassino bene ogni minimo accidente dello infermo, che e medici de' tempi nostri non sanno medicare altro che e mali ordinarii, e el piú che si distenda la scienzia loro è insino a curare due terzane; ma come la infermità ha niente di estraordinario, mendicano al buio e a caso; sanza che el medico, per la sua ambizione e per le emulazione che sono tra loro, è uno animale pessimo, sanza coscienza e sanza rispetto; e avendo la sicurtà che gli errori loro si possino male riprovare, pure che esalti in sé, o deprima el compagno, fa ogni dì notomia de' corpi nostri.

CCVII

Della astrologia, cioè di quella che giudica le cose future, è pazzia parlare; o la scienzia non è vera, o tutte le cose necessarie a quella non si possono sapere, o la capacità degli uomini non vi arriva; ma la conclusione è, che pensare di sapere el futuro per quella via è uno sogno. Non sanno gli astrologi quello dicono, non si appongono se non a caso: in modo che se tu pigli uno pronostico di qualunque astrologo, e di uno di un altro uomo, fatto a ventura, non si verificherà manco di questo che di quello.

CCVIII

La scienzia delle legge è ridotta oggi in luogo, che se nella decisione di una causa è da uno canto qualche viva ragione, dall'altro la autorità di uno dottore che abbia scritto, piú si attende nel giudicare la autorità: però e dottori che praticano, sono necessitati volere vedere ognuno che scrive; e così quello tempo che s'arebbe a mettere in speculare, si consuma in leggere libri con stracchezza di animo e di corpo, in modo che l'ha quasi piú similitudine a una fatica di facchini che di dotti.

CCIX

Io credo siano manco male le sentenzie de' Turchi, le quali si espediscono presto e quasi a caso, che el modo de' giudicii che si usano communemente tra' Cristiani; perché la lunghezza di questi importa tanto e per le spese e per e disturbi che si danno a' litiganti, che non nuoce forse manco che facessi la sentenzia che s'avessi contro el primo dí; sanza che, se noi presuppogniamo le sentenzie de' Turchi darsi al buio, ne seguita che, ragguagliato, a metà ne sia giusta; sanza che non forse minore parte ne sono ingiuste di quella date tra noi, o per la ignoranzia o per la malizia de' giudici.

CCX

Poco e buono, dice el proverbio: è impossibile che chi dice o scrive molte cose non vi metta di molta borra; ma le poche possono essere tutte bene digeste e stringate; però sarebbe forse stato meglio scerre di questi Ricordi uno fiore che accumulare tanta materia.

CCXI

Io credo potere affermare che gli spiriti siano; dico quella cosa che noi chiamiamo spiriti, cioè di quelli aerei che dimesticamente parlano con le persone, perché n'ho visto esperienzia tale che mi pare esserne certissimo; ma quello che siano e quali, credo lo sappia sì poco chi si persuade saperlo quanto chi non vi ha punto di pensiero. Questo, e el predire el futuro, come si vede fare talvolta a qualcuno o per arte o per furore, sono potenzie occulte della natura, o vero di quella virtú superiore che muove tutto; palesi a lui, segreti a noi, e talmente, che e cervelli degli uomini non vi aggiungono.

CCXII

Delle tre spezie di governi, di uno, di pochi o di molti, credo che in Firenze quello degli Ottimati sarebbe el peggiore di tutti, perché non vi è naturale, né vi può essere accetto, come non è anche la tirannide; e per la ambizione e discordia loro farebbono tutti quelli mali che fa la tirannide, e forse piú dividerebbono presto la città, e de' beni che fa el tiranno non ne farebbono nessuno.

CCXIII

In tutte le resoluzione e esecuzione che l'uomo fa, s'ha ostaculo di ragione in contrario; perché nessuna cosa è sí ordinata che non abbia in compagnia qualche disordine, nessuna cosa sí trista che non abbia del buono, nessuna cosa sí buona che non abbia del tristo; donde nasce che molti stanno sospesi perché ogni piccola difficultà dispiace loro; e questi sono quelli che di natura si chiamano rispettivi, perché a ogni cosa hanno rispetto. Non bisogna fare così; ma pesati gli inconvenienti di ciascuna parte, resolversi a quelli che pesano manco; ricordandosi non poter pigliare partito che sia netto e perfetto da ogni parte.

CCXIV

Ognuno ha de' difetti, chi piú e chi manco, però non può durare né amicizia, né servitú, né compagnia, se l'uno non comporta l'altro. Bisogna cognoscere l'uno l'altro, e, ricordandosi che col mutare non si fuggono tutti e difetti ma si riscontra o ne' medesimi o forse n maggiori, disporsi a comportare; pure che tu ti abbatta a cose che si possino tollerare; o non siano di molta importanza.

CCXV

Quante cose fatte sono biasimate, che, se si potessi vedere quello che sarebbe se non fussino fatte, si loderebbono! quante pel contrario sono lodate che si biasimerebbono! Però non correte a riprendere o commendare secondo la superficie delle cose; e quello che vi apparisce innanzi agli occhi, bisogna considerare piú a drento, se volete che el giudicio vostro sia vero e pesato.

CCXVI

Non si può in questo mondo eleggere el grado in che l'uomo ha a nascere, non le faccende e la sorte con che l'uomo ha a vivere; però a laudare o riprendere gli uomini s'ha a guardare non la fortuna in che sono, ma come vi si maneggiano drento; perché la laude o biasimo degli uomini ha a nascere da' comportamenti loro, non dallo stato in che si truovano; come in una commedia o tragedia non è piú in prezzo chi porta la persona del padrone e del re, che chi porta quella di uno servo; ma solamente si attende chi la porta meglio.

CCXVII

Non vi guardate tanto di farvi inimici o di fare dispiacere a altri, che per questo lasciate di fare quello che vi si appartiene; perché el fare l'uomo el debito suo gli dà riputazione, e questa giova piú, che non nuove el farsi qualche inimico. Bisogna o essere morto in questo mondo, o fare talvolta cose che offendono altri; ma la medesima virtú che è di sapere collocare bene e piaceri, si truova in sapere cognoscere quando s'hanno a fare e dispiaceri; cioè fargli con ragione, con tempo, con modestia e per cagione e con modi onorevoli.

CCXVIII

Quegli uomini conducono bene le cose loro in questo mondo, che hanno sempre innanzi agli occhi lo interesse proprio, e tutte le azione sue misurano con questo fine, ma la fallacia è in quegli che non cognoscono bene quale sia lo interesse suo, cioè che reputano che sempre consista in qualche commodo pecuniario piú che nell'onore, nel sapere mantenersi la riputazione e el buono nome.

CCXIX

È ingenuità, chi è stato autore di una deliberazione, o affermata una opinione, se innanzi ne vegga l'esito muta per qualche segno sentenzia, confessarlo liberamente; pure quando non è in sua potestà, o non appartiene a lui el correggerla, si conserva piú la riputazione a fare le contrario; perché ridicendosi non può piú se non perdere di riputazione, perché sempre succederà el contrario di quello che ha detto o nel principio o innanzi al fine; dove stando in sulla opinione prima, riuscirà pure veridico in caso che quella succedessi, la quale può ancora succedere.

CCXX

Credo sia uficio di buoni cittadini, quando la patria viene in mano di tiranni, cercare d'avere luogo con loro per potere persuadere el bene, e detestare el male; e certo è interesse della città che in qualunque tempo gli uomini da bene abbino autorità; e ancora che gli ignoranti e passionati di Firenze l'abbino sempre intesa altrimenti si accorgerebbono quanto pestifero sarebbe el governo de' Medici, se non avessi intorno altri che pazzi e cattivi.

CCXXI

Quando piú inimici, che insieme ti solevano essere uniti contro, sono venuti tra loro alle mani, lo assaltarne uno in sulla occasione di potergli opprimere separatamente è spesso causa che di nuovo si riunischino insieme; però bisogna bene cosiderare la qualità dello odio che è nato tra loro, e le altre condizione e circumstanzie per poterti bene risolvere quale sia meglio, o assaltarne uno, o pure stando a vedere, lasciargli combattere tra loro.

Scritti innanzi al 1525 in altri quaderni che in questo, ma ridotti qui nel principio dell'anno 1528, nel grandissimo ozio che avevo, insieme con la piú parte di quelli che sono indrieto in questo quaderno.

CCXXII

Se bene lo ozio solo non fa ghiribizzi, pure male si fanno e ghiribizzi sanza ozio.

CCXXIII

Quelli cittadini che appetiscono onore e gloria nella città sono laudabili e utili, pure che non la cerchino per via di sette e di usurpazione, ma con lo ingegnarsi di essere tenuti buoni e prudenti, e fare buone opere per la patria; e Dio volessi che la republica nostra fussi piena di questa ambizione. Ma perniziosi sono quelli che appetiscono per fine suo la grandezza, perché chi la piglia per idolo non ha freno alcuno, né di giustizia, né di onestà, e farebbe uno piano da ogni cosa per condurvisi.

CCXXIV

Chi non è in verità buono cittadino non può lungamente essere tenuto per buono; però ancora che non desiderano piú presto parere buoni che essere, bisogna che si sforzino di essere; altrimenti alla fine non possono parere.

CCXXV

Gli uomini sono naturalmente inclinati al bene; in modo che a tutti, quando non cavano piacere o utilità dal male, piace piú el bene che el male; ma perché la natura loro è fragile, e le occasione che gli invitano al male sono infinite, si partono facilmente per interesse proprio dalla inclinazione naturale. Però non per violentargli, ma per ritenergli in sul naturale suo, fu trovato da' savii legislatori lo sprone e la briglia, cioè el premio e la pena; e quali quando non si usano in una republica, rarissimi cittadini di quella si truovano buoni; e noi ne veggiamo in Firenze tutto dì la esperienzia.

CCXXVI

Se di alcuno si intende o legge che sanza alcuno suo commodo o interesse ami piú el male che el bene, si debbe chiamare bestia e non uomo; poi che manca di quello appetito che naturalmente è commune a tutti gli uomini.

CCXXVII

Grandi difetti e disordini sono in uno vivere populare, e nondimeno nella nostra città e savii e buoni cittadini lo appruovono per meno male.

CCXXVIII

Dunche si può conchiudere che in Firenze chi è savio è anche buono cittadino, perché se non fussi buono cittadino non sarebbe savio.

CCXXIX

Quella generosità che piace a' populi si truova rarissime volte negli uomini veramente savii; però non è così laudabile che pare che abbia del generoso, come chi ha del maturo.

CCXXX

Amano e popoli nelle repubbliche uno cittadino che faccia giustizia; a' savii portano piú reverenzia che amore.

CCXXXI

O Dio! quante sono piú le ragione che mostrano che la repubblica nostra abbia in breve a venire meno, che quelle che persuadono che la si abbii a conservare molto tempo!

CCXXXII

Assai si vale chi ha buono giudicio di chi ha buono ingegno; molto piú che pel contrario.

CCXXXIII

Non repugna alla equalità del vivere populare che uno cittadino abbia piú riputazione che l'altro, pure che la proceda da amore o reverenzia universale, e sia in facultà del popolo levargliene a sua posta; anzi, sanza simili puntelli male si sostengono le repubbliche; e buono per la città nostra se gli sciocchi da Firenze intendessino bene questa parte!

CCXXXIV

Chi ha a comandare a altri non debbe avere troppa discrezione o rispetto nel comandare; non dico che debba essere sanza essa, ma la molta è nociva.

CCXXXV

È molto utile el governare le cose sue segretamente, ma piú utile in chi si ingegna quanto può di non parere con gli amici; perché molti, come poco stimati, si sdegnono quando veggono che uno recusa di coferirgli le cose sue.

CCXXXVI

Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte; ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna; uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutti e Barbari, e liberato el mondo dalla tirannide di questi scelerati preti.

CCXXXVII

Chi non è bene sicuro o per convenzione o per sentirsi sí potente che non abbia in caso alcuno da temere, fa pazzia nelle guerre di altri a starsi neutrale, perché non satisfà al vinto e rimane preda del vincitore; e chi non crede alla ragione, guardi allo esemplo della città nostra, e a quello che gli intervenne dello stare neutrale nella guerra che papa Julio e el re cattolico d'Aragona ebbono con Luigi re di Francia.

CCXXXVIII

Se pure vuoi stare neutrale, capitola almanco la neutralità con quella parte che la desidera, perché è uno modo di aderirsi; e se questa vincerà, arà pure forse qualche freno o vergogna a offenderti.

CCXXXIX

Molto maggiore piacere si truova nel tenersi le voglie oneste che ne cavarsele, perché questo è breve, e del corpo; quello, raffreddo che sia un poco lo appetito, è durabile, e dell'animo e conscienzia.

CCXL

È da desiderare piú l'onore e la riputazione che le ricchezze; ma perché oggidí sanza quelle male si ha e conserva la riputazione, debbono gli uomini virtuosi cercare non d'averne immoderatamente, ma tante che basti allo effetto di avere o conservare la riputazione e autorità.

CCXLI

El popolo di Firenze è communemente povero, e per la qualità del vivere nostro ognuno desidera assai le ricchezze; però è male capace di sostenere la libertà della città, perché questo appetito gli fa seguitare l'utile suo privato sanza rispetto o considerazione alcuna della gloria e onore publico.

CCXLII

La calcina con che si murano gli Stati de' tiranni è el sangue de' cittadini; però doverebbe sforzarsi ognuno che nella città sua non s'avessino a murare tali palazzi.

CCXLIII

E cittadini che vivono nelle repubbliche, quando la città ha uno stato tollerabile benché con qualche difetto, non cerchino mutarlo per averne uno migliore, perché quasi sempre si peggiora; non essendo in potestà di chi lo muta fare che el governo nuovo sia appunto secondo el disegno e pensiero suo.

CCXLIV

La piú parte de' mali che fanno e grandi nelle città nasce da sospetto; però quando uno è fatto grande, la città non ha da avere obligo a chi gli tenta contro cose nuove sanza buone occasione, perché si accresce el sospetto, e da quello e mali della tirannide.

CCXLV

La malignità ne' poveri può facilmente procedere per accidente, ne' ricchi è piú spesso per natura; però ordinariamente è da biasimare piú in uno ricco che in uno povero.

CCXLVI

Chi o principe o privato vuole persuadere a uno altro el falso per mezzo di uno suo imbasciatore, o di altri, debbe prima ingannare lo imbasciatore; perché opera e parla con piú efficacia, credendo che cosí sia la mente del suo principe, che non farebbe, se sapessi essere simulazione.

CCXLVII

Dal fare o non fare una cosa che pare minima dipendono spesso momenti di cose importantissime; però si debbe etiam nelle cose piccole essere avvertito e considerato.

CCXLVIII

Facile cosa è guastarsi uno bello essere, difficile è acquistarlo; perché chi si truova in buono grado debbe fare ogni sforzo per non se lo lasciare uscire di mano.

CCXLIX

È pazzia sdegnarsi con quelle persone, con le quali per la grandezza loro tu non puoi sperare di poterti vendicare; però se bene ti senti ingiuriato da questi, bisogna patire e simulare.

CCL

Nella guerra nascono da un'ora a un'altra infinite varietà; però non si debbe pigliare troppo animo delle nuove prospere, né viltà delle avverse; perché spesso nasce qualche mutazione; e questo anche insegni a chi se gli presentano le occasione nella guerra, che non le perda, perché le durano poco.

CCLI

Come el fine de' mercatanti el piú delle volte è el fallire, quello de' naviganti annegare, così spesso di chi lungamente governa terre di Chiesa el fine è capitare male.

CCLII

Mi disse già el marchese di Pescara, che le cose che sono universalmente desiderate, rare volte riescono; se è vero, la ragione è che pochi sono quelli che communemente danno el moto alle cose, e e fini de' pochi sono quasi sempre contrarii a' fini e appetiti di molti.

CCLIII

Non combattete mai con la religione, né con le cose che pare che dependono da Dio; perché questo obietto ha troppa forza nella mente degli sciocchi.

CCLIV

Fu detto veramente che la troppa religione guasta el mondo, perché effemmina gli animi, aviluppa gli uomini in mille errori, e divertisceli da molte imprese generose e virile; né voglio per questo derogare alla fede cristiana e al culto divino, anzi confermarlo e augumentarlo, discernendo el troppo da quello che basta, e eccitando gli ingegni a bene considerare quello di che si debbe tenere conto, e quello che sicuramente si può sprezzare.

CCLV

Tutte le sicurtà che si possono avere dallo inimico sono buone, di fede, di amici, di promesse, e di altre assicurazione; ma per la mala condizione degli uomini e variazione de' tempi, nessuna ne è migliore e piú ferma che lo acconciare le cose in modo che le fondamento della sicurtà tua consista piú in sul non potere lo inimico tuo offenderti che in sul non volere.

CCLVI

Non puoi secondo el vivere del mondo avere maggiore felicità che vederti lo inimico tuo prostrato innanzi in terra, e a tua discrezione; e però per avere questo effetto non si debbe pretermettere niente. La felicità grande consiste in questo: ma maggiore ancora è la gloria in usare tanta fortuna laudabilmente, cioè essere clemente e perdonare; cosa propria degli animi generosi e eccelsi.

CCLVII

Questi Ricordi sono regole che si possono scrivere in su libri; ma e casi particulari, che per avere diversa ragione s'hanno a governare altrimenti, si possono male scrivere altrove che nel libro della discrezione.

CCLVIII

È molto laudato apresso agli antichi el proverbio: Magistratus virum ostendit; perché non solo fa cognoscere per el peso che s'ha, se l'uomo è d'assai o da poco, ma ancora perché per la potestà e licenzia si scuoprono le affezione dello animo, cioè di che natura l'uomo sia; atteso che quanto l'uomo è piú grande, tanto manco freno e rispetto ha a lasciarsi guidare da quello che gli è naturale.

CCLIX

Ingegnatevi di non venire in malo concetto apresso a chi è superiore nella patria vostra, né vi fidate che el modo o traino del vostro vivere sia tale che non pensiate avergli a capitare alle mani; perché nascono infiniti e non pensati casi, che è forza avere bisogno di lui. E e converso, el superiore se ha voglia di punirti o vendicarsi di te, non lo faccia precipitatamente, ma aspetti el tempo e la occasione; perché sanza dubio a lungo andare gli verrà di sorte, che sanza scoprirsi maligno o passionato, potrà o in tutto o in parte satisfare al suo desiderio.

CCLX

Chi ha governo di città o di popoli, se gli vuole tenere corretti, bisogna che sia severo in punire tutti e delittti, ma può usare misericordia nella qualità delle pene; perché da' casi atroci e quelli che hanno bisogno di esemplo in fuora, assai è ordinariamente se gli altri delitti sono puniti a quindici soldi per lira.

CCLXI

Se e servidori fussino discreti o grati, sarebbe onesto e debito che el padrone gli beneficassi quanto potessi: ma perché sono el piú delle volte di altra natura, e quando sono pieni o ti lasciano o ti straccano, però è piú utile andare con loro con la mano stretta; e trattenendoli con speranza, dare loro di effetti tanto che basti a fare che non si disperino.

CCLXII

El Ricordo di sopra bisogna usarlo in modo, che lo acquistare nome di non essere benefattore non faccia che gli uomini ti fugghino, e a questo si provvede facilmente col beneficarne qualcuno fuora della regola; perché naturalmente la speranza ha tanta signoria negli uomini, che piú ti giova e piú esemplo ti fa apresso agli altri uno che tu n'abbia beneficato, che cento che non abbino avuto da te remunerazione.

CCLXIII

Piú tengono a memoria gli uomini le ingiurie che e beneficii; anzi, quando pure si ricordano del beneficio, lo reputano minore che in fatto non fu, persuadendosi meritare piú che non meritano; el contrario si fa della ingiuria, che duole a ognuno piú che ragionevolmente non doverria dolere; però, dove gli altri termini sono pari, guardatevi da fare piacere a uno, che di necessità faccia a uno altro dispiacere equale, perché per la ragione detta di sopra si perde in grosso piú che non si guadagna.

CCLXIV

Piú fondamento potete fare in uno che abbia bisogno di voi, o che nel caso che corre abbia lo interesse commune, che in uno beneficato da voi, perché gli uomini communemente non sono grati; però se non volete ingannarvi, fate e calculi con questa misura.

CCLXV

Ho posto e Ricordi prossimi perché sappiate vivere e cognoscere quello che le cose pesano, non per farvi ritirare dal beneficare: perché oltre che è cosa generosa e che procede da bello animo, si vede pure che talvolta è remunerato qualche beneficio, e anche di sorte che ne paga molti; e è credibile che a quella potestà che è sopra gli uomini piaccino le azione nobile, e però non consenta che sempre siano sanza frutto.

CCLXVI

Ingegnatevi avere degli amici, perché sono buoni in tempi, luoghi e casi che tu non penseresti; questo Ricordo è vulgato, ma non può considerare profondamente quanto vaglia colui a chi non è accaduto in qualche sua importanza sentirne la esperienzia.

CCLXVIII

Piace universalmente chi è di natura vera e libera, e è cosa generosa, ma talvolta nuoce; da altro canto la simulazione è utile, e anche spesso necessaria per le male nature degli altri, ma è odiata, e ha del brutto; donde non so quale sia da eleggere. Crederrei che si potessi usare l'una ordinariamente, non abbandonando però l'altra; cioè nel caso tuo ordinario e commune di vivere, usare la prima in modo che acquisti el nome di persona libera; e nondimeno in certi casi importanti e rari usare la simulazione, la quale a chi vive cosí è tanto piú utile e succede meglio, quanto per avere nome del contrario ti è piú facilmente creduto.

CCLXVIII

Per la ragione di sopra non laudo chi vive sempre con simulazione e con arte, ma escuso chi qualche volta la usa.

CCLXIX

Sia certo che se tu desideri che non si sappia che tu abbia fatto o tentato qualche cosa, che, acnora che sia quasi scoperto e publico, è sempre in proposito el negarla; perché la negazione efficace, quando bene non persuada a chi ha indizii o creda el contrario, gli mette almanco el cervello a partito.

CCLXX

È incredibile quanto giovi a chi ha amministrazione che le cose sua siano secrete; perché non solo e disegni tuoi quando si sanno possono essere prevenuti o interrotti, ma etiam lo ignorarsi e tuoi pensieri fa che gli uomini stanno sempre attoniti e sospesi a osservare le tue azione, e in su ogni tuo minimo moto si fanno mille commenti; il che ti fa grandissima riputazione. Però chi è in tale grado doverrebbe avvezzare sé e suoi ministri non solo a tacere le cose che è male che si sappino, ma ancora tutte quelle che non è utile che si publichino.

CCLXXI

Conviene a ognuno el Ricordo di non comunicare e secreti suoi se non per necessità, perché si fanno schiavi di coloro a chi gli comunicano, oltre a tutti gli altri mali che el sapersi può portare; e se pure la necessità vi strigne a dirgli, metteteli in altri per manco tempo potete, perché nel tempo assai nascono mille pensamenti cattivi.

CCLXXII

Lo sfogarsi qualche volta de' piaceri o dispiaceri suoi è cosa di grande conforto, ma è nociva; però è saviezza lo astenersene, se bene è molto difficile.

CCLXXIII

Osservai quando ero imbasciadore in Spagna apresso al re Don Ferrando d'Aragona, principe savio e glorioso, che lui quando voleva fare una impresa nuova, o altra cosa di importanza, non prima la publicava e poi la giustificava, ma si governava pel contrario; procurando artificiosamente in modo che innanzi che si intendessi quello lui aveva in animo, si divulgava che el re per le tali ragione doverrebbe fare questo; e però publicandosi poi, lui volere fare quello che già prima pareva a ognuno giusto e necessario, è incredibile con quanto favore e con quanta laude fussino ricevute le sue deliberazione.

CCLXXIV

Ancora quelli che attribuendo el tutto alla prudenzia e virtú si ingegnano escludere la fortuna non possono negare che almanco sia grandissimo beneficio di fortuna che al tempo tuo corrino occasione che abbino a essere in prezzo quelle parte o virtú in che tu vali; e si vede per esperienzia che le medesime virtú sono stimate piú o manco a uno tempo che all'altro, e le medesime cose fatte da uno in uno tempo saranno grate, fatte a un altro tempo saranno ingrate.

CCLXXV

Non voglio già ritirare coloro che infiammati dallo amore della patria si metteriano in pericolo per ridurcela in libertà; ma dico bene che chi nella città nostra cerca mutazione di Stato per interesse suo non è savio, perché è cosa pericolosa; e si vede con effetto che pochissimi trattati sono quelli che riescono. E di poi quando bene è successo, si vede quasi sempre che tu non conseguisci nella mutazione di gran lunga a quello che tu hai disegnato; e inoltre ti oblighi a uno perpetuo travaglio, perché sempre hai da dubitare che non tornino quelli che tu hai cacciati e che ti ruinino.

CCLXXVI

Non vi affaticate nelle mutazione che non partoriscono altro che mutare e visi degli uomini; perché, che beneficio ti reca se quello medesimo male o dispetto che ti faceva Piero, ti farà Martino? verbigrazia, che piacere puoi tu avere di vedere andarsene messer Goro, se in luogo suo entrerrà un altro di simile sorte?

CCLXXVII

Chi pure vuole attendere a trattati, si ricordi che niente gli rovina piú che el desiderio di volergli conducere troppo sicuri; perché per questo si interpone piú tempo, implicansi piú uomini e mescolansi piú cose, che è causa di fare scoprire simili pratiche. A anche è da credere che la fortuna, sotto dominio di chi sono queste cose, si sdegni con chi vuole tanto liberarsi dalla potestà sua e assicurarsi: però conchiudo che è piú sicuro volergli eseguire con qualche pericolo che con molta sicurtà.

CCLXXVIII

Non disegnate in su quello che non avete, né spendete in su' guadagni futuri, perché molte volte non succedono. Vedesi che e mercatanti grossi falliscono el piú delle volte per questo, quando per speranza di uno maggiore guadagno futuro, entrano in su' cambi, la multiplicazione de' quali è certa e ha tempo determinato; ma e guadagni molte volte o non vengono o si allungano piú che el disegno; in modo che quella impresa che avevi cominciata come utile, ti riesce dannosissima.

CCLXXIX

Non crediate a questi che predicano d'avere lasciato le faccende per amore della quiete, e di essere stracchi dalla ambizione; perché quasi sempre hanno nel cuore el contrario; e si sono ridotti a vita appartata o per sdegno o per necessità o per pazzia. Lo esemplo se ne vede tutto dí; perché a questi tali subito si rappresenta qualche spiraglio di grandezza, abbandonata la tanto lodata quiete, vi si gettano con quello impeto che fa el fuoco a una cosa secca o unta.

CCLXXX

Se avete fallato, pensatela e misuratela bene innanzi che entriate in prigione; perché ancora che el caso fussi molto difficile a scoprire, è incredibile a quante cose pensa el giudice diligente e desideroso di ritrovarlo; e ogni minimo spiraglio è bastante a fare venire tutto in luce.

CCLXXXI

Io ho desiderato come gli altri uomini l'onore e l'utile, e insino a qui per grazia di Dio e buona sorte mi è succeduto sopra el disegno; ma non vi ho poi ritrovato drento alcuna di quelle cose e satisfazione che m'avevo immaginato; ragione che, chi bene la considerassi, doverria bastare a estinguere assai della sete degli uomini.

CCLXXXII

La grandezza di Stato è desiderata universalmente, perché tutto el bene che è in lei apparisce di fuora, el male sta drento occulto; el quale chi vedessi non arebbe forse tanta voglia, perché è piena sanza dubio di pericoli, di sospetti, di mille travagli e fatiche; ma quello che per avventura la fa desiderabile anche agli animi purgati, è lo appetito che ognuno ha di essere superiore agli altri uomini, atteso massime che in nessuna altra cosa ci possiamo assomigliare a Dio.

CCLXXXIII

Le cose non premeditate muovono sanza comparazione piú che le previste; però chiamo io animo grande e intérrito quello che regge e non si sbigottisce per e pericoli e accidenti repentini; cosa che a giudicio mio è rarissima.

CCLXXXIV

Quando si fa una cosa, se si potessi sapere quello che sarebbe seguito se non fussi fatta questa, o se si fussi fatto el contrario, molte cose sono biasimate e laudate dagli uomini che si cognoscerebbe meritano contraria sentenzia.

CCLXXXV

Non è dubbio che quanto l'uomo piú invecchia, piú cresce la avarizia; si dice communemente esserne causa perché è bene ignorante quello vecchio che non cognosce che sempre con la età si diminuisce el bisogno. E inoltre veggo che ne' vecchi si augumenta al continuo, cioè in molti, la lussuria, dico lo appetito, non le forze, la crudeltà e gli altri vizii; però credo che la ragione possi essere che l'uomo quanto piú vive tanto piú si abitua alle cose del mondo, e ex consequenti piú le ama.

CCLXXXVI

La medesima ragione fa che quanto piú l'uomo invecchia, tanto piú gli pare fatica di morire, e sempre piú vive con le azione e co' pensieri, come se fussi certo la vita sua avere a essere perpetua.

CCLXXXVII

Si crede e anche spesso si vede per esperienzia, che le ricchezza male acquistate non passano la terza generazione. Santo Augustino dice, che Dio permette che chi l'ha acquistate le goda in remunerazione di qualche bene che ha fatto in vita; ma poi non passano troppo innanzi, perché è giudicio cosí ordinato da Dio alla roba male acquistata. Io dissi già a mio padre, che a me occorreva una altra ragione; perché communemente chi guadagna la roba è allevato da povero, la ama, e sa la arte del conservarla; ma e figliuoli poi e' nipoti che sono allevati da ricchi né sanno che cosa sia guadagnare roba, non avendo arte o modo di conservarla, facilmente la dissipano.

CCLXXXVIII

Non si può biasimare lo appetito di avere figliuoli, perché è naturale, ma dico bene che è spezie di felicità el non ne avere; perché eziandio che gli ha buoni e savii, ha sanza dubio molto piú dispiacere da loro che consolazione. Lo esemplo n'ho veduto io in mio padre, che a' dí suoi era esemplo in Firenze di padre bene dotato di figliuoli; però pensate come stia chi gli ha di mala sorte.

CCLXXXIX

Non biasimo interamente la giustizia civile del Turco, che è piú presto precipitosa che sommaria; perché chi giudica a occhi serrati espedisce verisimilmente la metà delle cause giustamente, e libera le parte della spesa e perdita di tempo; ma e nostri giudicii procedono in modo, che spesso farebbe piú, per chi ha ragione, avere avuto el primo dí la sentenzia contro, che conseguirla doppo tanto dispendio e tanti travagli; sanza che, per la malignità o ignoranzia de' giudici, e ancora la oscurità delle legge, si fa anche a noi troppo spesso del bianco nero.

CCXC

Erra chi crede che e casi rimessi dalla legge a arbitrio del giudice siano rimessi a sua voluntà, e a suo beneplacito, perché la legge non gli ha voluto dare potestà di farne grazia; ma non potendo in tutti e casi particulari per la diversità delle circumstanzie dare precisa determinazione, si rimette per necessità allo arbitrio del giudice, cioè alla sua sinderesi, alla sua coscienzia, che considerato tutto faccia quello che gli pare piú giusto. E questa larghezza della legge lo assolve d'averne a dare conto pe' palazzi; perché non avendo el caso determinato, si può sempre escusare; ma non gli dà già facultà di dare dono della roba di altri.

CCXCI

Si vede per esperienzia che e padroni tengono poco conto de' servidori, e per ogni suo interesse o appetito gli mettono da parte, o gli strascinano sanza rispetto; però sono savii e servidori che fanno el medesimo verso e padroni, conservando però sempre la fede sua e l'onore.

CCXCII

Credano e giovani che la esperienzia insegna molto, e piú ne' cervelli grandi che ne' piccoli; e chi lo considerassi ne troverebbe facilmente la ragione.

CCXCIII

Non si può benché con naturale perfettissimo intendere bene, e aggiungere a certi particulari sanza la esperienzia che sola gli insegna; e questo Ricordo lo gusterà meglio chi ha maneggiato faccende assai, perché con la esperienzia medesima ha imparato quanto vaglia e sia buona la esperienzia.

CCXCIV

Piace sanza dubio piú uno principe che abbia del prodigo che uno che abbia dello stretto; e pure doverrebbe essere le contrario, perché el prodigo è necessitato fare estorsione e rapine, lo stretto non toglie a nessuno; piú sono quelli che patiscono dalle gravezze del prodigo, che quelli che hanno beneficio dalla sua larghezza. La ragione adunche a mio giudicio è che nelli uomini può piú la speranza che el timore, e piú sono quelli che sperano conseguire qualche cosa da lui, che quelli che temono di essere oppressi.

CCXCV

Lo intendersi bene co' fratelli e co' parenti ti fa infiniti beneficii che tu non cognosci, perché non appariscono a uno per uno, ma in infinite cose ti profitta e fàtti avere in rispetto; però debbi conservare questa opinione e questo amore etiam con qualche tua incommodità. E in questo si ingannono spesso gli uomini; perché si muovono da quello poco danno che apparisce, e non considerano quanto siano grandi e beni che non si veggono.

CCXCVI

Chi ha autorità e superiorità in altri può spingersi et estenderla ancora sopra le forze sue, perché e sudditi non veggono e non misurano apunto quello che tu puoi o [non] puoi fare; anzi, immaginandosi spesso la potestà tua maggiore che la non è, cedono a quelle cose che tu non gli potresti costringere.

CCXCVII

Io fui già di opinione di non vedere, col pensare assai, piú di quello che io vedessi presto; ma con la esperienzia ho cognosciuto essere falsissimo; perché fatevi beffe di chi dice altrimenti. Quanto piú si pensano le cose, tanto piú si intendono e fanno meglio.

CCXCVIII

Quando ti viene la occasione di cosa tu desideri, pigliala sanza perdere tempo; perché le cose del mondo si variano tanto spesso che non si può dire d'avere la cosa insino non l'hai in mano. E per la medesima ragione quando ti è proposto qualche cosa che ti dispiace, cerca differire el piú che puoi, perché a ogni ora si vede che el tempo porta accidenti che ti cavano di queste difficultà: e cosí s'ha intendere quello proverbio che si dice avere in bocca e savii: che si debbe godere el beneficio del tempo.

CCXCIX

Sono alcuni uomini facili a sperare quello che desiderano, altri che mai lo cedono insino non ne sono bene sicuri; è sanza dubio meglio sperare poco che molto, perché la troppa speranza ti fa mancare di diligenzia, e ti dà piú dispiacere quando la cosa non succede.

CCC

Se vuoi cognoscere quali sono e pensieri de' tiranni, leggi Cornelio Tacito, dove fa menzione degli ultimi ragionamenti che ebbe Augusto con Tiberio.

CCCI

El medesimo Cornelio Tacito, a chi bene lo considera, insegna per eccellenzia, come s'ha a governare chi vive sotto e tiranni.

CCCII

Quanto bene disse colui: Ducunt volentes fata, nolentes trahunt! Se ne vede ogni di tante esperienzie, che a me non pare che mai cosa alcuna si dicessi meglio.

CCCIII

El tiranno fa estrema diligenzia di scoprire lo animo tuo, cioè se ti contenti del suo Stato, con considerare gli andamenti tuoi, con cercare di intenderlo da chi conversa teco, e col ragionare teco di varie cose, e proporre partiti, e dimandarti parere. Però se vuoi che non ti intenda, bisogna ti guardi con grandissima diligenzia da' mezzi che lui usa, cioè non usando termini che gli possono dare sospetto; guardando come tu parli etiam cogli intimi tuoi, e seco ragionando e intendendo di sorte che non ti possa cavare; il che ti riuscirà se arai sempre fisso nell'animo, che lui quanto può ti circumviene per scoprirti.

CCCIV

A chi ha condizione nella patria e sia sotto uno tiranno sanguinoso e bestiale, si possono dare poche regole che siano buone, eccetto el torsi lo esilio. Ma quando el tiranno, o per prudenzia, o per necessità per le condizione del suo Stato, si governa con rispetto, uno uomo bene qualificato debbe cercare di essere tenuto dassai e animoso, ma di natura quieto, né cupido di alterare se non è sforzato; perché in tal caso el tiranno ti carezza e cerca di non ti dare causa di pensare a fare novità, il che non farebbe se ti cognoscessi inquieto; perché allora pensando che a ogni modo tu non sia per stare fermo, è necessitato a pensare sempre la occasione di spegnerti.

CCCV

Nel caso di sopra è meglio non essere de' piú confidenti del tiranno, perché non solo ti carezza, ma in molte cose fa manco a sicurtà teco che con li suoi. Così tu godi la sua grandezza, e nella rovina sua diventi grande: ma non è buono questo Ricordo per chi non ha condizione grande nella sua patria.

CCCVI

È differenzia da avere e sudditi disperati a avergli malcontenti, perché quegli non pensano mai a altro che a mutazione, e le cercano ancora con suo pericolo; questi, se bene desiderano cose nuove, non invitano le occasione, ma le aspettano.

CCCVII

Non si possono governare e sudditi bene sanza severità, perché la malignità degli uomini ricerca cosí; ma si vuole mescolare destrezza, e fare ogni dimostrazione perché si creda che la crudeltà non ti piaccia, ma che tu la usi per necessità, e per salute publica.

CCCVIII

Si doverria attendere agli effetti, non alle dimostrazione e superficie; nondimanco è incredibile quanta grazia ti concilia apresso agli uomini le varie carezze e umanità di parole; la ragione credo che sia, perché a ognuno pare meritare piú che non vale, e però si sdegna quanto vede che tu non tieni di lui quello conto che gli pare che si convenga.

CCCIX

È cosa onorevole e da uomo, non promettere se non quanto vuoi attendere; ma communemente ognuno a chi tu nieghi, benché giustamente, resta male satisfatto perché gli uomini non si governano con la ragione. El contrario interviene a chi promette assai, perché intervengono spesso casi che fanno che non accade fare esperienzia di quello che tu hai promesso, e cosí hai satisfatto con niente e se pure s'ha a venire allo atto, non mancano spesso scuse: e molti sono sì grossi, che si lasciano aggirare con le parole. Nondimanco è sí brutto mancare della parola sua, che prepondera a ogni utilità che si tragga del contrario; e però l'uomo si debbe ingegnare di intrattenersi quanto può con le risposte generale e piene di speranza, fuggendo quanto si può el promettere precisamente.

CCCX

Guardatevi da tutto quello che vi può nuocere e non giovare; però né in assenzia né in presenzia di altri non dite mai sanza profitto o necessità cose che gli dispiacciono; perché è pazzia farsi inimici sanza proposito; e ve lo ricordo, perché quasi ognuno erra in questa leggerezza.

CCCXI

Chi entra ne' pericoli sanza considerare quello che importino si chiama bestiale; ma animoso è chi cognoscendo e pericoli vi entra francamente, o per necessità o per onorevole cagione.

CCCXII

Credono molti che uno savio, perché vede tutti e pericoli, non possa essere animoso; io sono di opinione contraria, che non possa essere savio chi è timido, perché già manca di giudicio chi stima el pericolo piú che non si debbe. Ma, per dichiarare bene questo passo che è confuso, dico, che non tutti e pericoli hanno effetto; perché alcuni ne schifa l'uomo con la diligenzia, industria o franchezza sua; altri, gli porta via el caso, e mille accidenti che nascono. Però chi cognosce e pericoli non gli debbe presupporre tutti certi; ma discorrendo con prudenzia quello in che lui può sperare di aiutarsi, e dove el caso verisimilmente gli può fare favore, farsi animo, né si ritirare dalle imprese virili e onorevole per paura di tutti e pericoli che cognosce aversi a correre.

CCCXIII

Erra chi dice che le lettere guastano e cervelli degli uomini, perché è forse vero in chi l'ha debole; ma dove lo truovano buono, lo fanno perfetto; perché el buono naturale congiunto col buono accidentale fa nobilissima composizione.

CCCXIV

Non furono trovati e principi per fare beneficio a loro, perché nessuno si sarebbe messo in servitú gratis; ma per interesse de' populi, perché fussino bene governati; però come uno principe [non] ha piú rispetto de' populi, non è piú principe, ma tiranno.

CCCXV

È sanza comparazione piú detestabile la avarizia in uno principe che in uno privato, non solo perché avendo piú facultà da distribuire priva gli uomini di tanto piú, ma ancora perché quello che ha uno privato è tutto suo e per uso suo, e ne può disporre sanza querela giusta di alcuno; ma quanto ha el principe, gli è dato per uso e beneficio di altri, e però ritenendolo in sé frauda gli uomini di quello che debbe loro.

CCCXVI

Dico che el duca di Ferrara che fa mercantanzia non solo fa cosa vergognosa, ma è tiranno, faccendo quello che è officio de' privati e non suo; e pecca tanto verso e populi, quanto peccherebbono e popoli verso lui, intromettendosi in quello che è officio solum del principe.

CCCXVII

Tutti gli Stati, chi bene considera la loro origine, sono violenti; né ci è potestà che sia legittima, dalle repubbliche in fuora, nella loro patria e non piú oltre; né anche quella dello imperatore, che è fondata in sulla autorità de' Romani, che fu maggiore usurpazione che nessuna altra; né eccettuo da questa regola e preti, la violenzia de' quali è doppia, perché a tenerci sotto usano le arme temporali e le spirituali.

CCCXVIII

Le cose del mondo sono sí varie e dependono da tanti accidenti, che difficilmente si può fare giudicio del futuro; e si vede per esperienzia che quasi sempre le conietture de' savii sono fallace: però non laudo el consiglio di coloro che lasciano la commodità di uno bene presente, benché minore, per paura di uno male futuro, benché maggiore, se non è molto propinquo o molto certo; perché non succedendo poi spesso quello di che temevi, ti truovi per una paura vana avere lasciato quello che ti piaceva; e però è savio proverbio: di cosa nasce cosa.

CCCXIX

Ne' discorsi dello Stato ho veduto spesso errare chi fa giudicio; perché si esamina quello che ragionevolmente doverrebbe fare questo e quello principe, e non quello che farà secondo la natura e cervello suo; può chi vuole giudicare che farà, verbigratia, el re di Francia, debbe avere piú rispetto a quale sia la natura e costume di uno franzese, che a quello che doverrebbe fare uno prudente.

CCCXX

Io ho detto molte volte, e lo dico di nuovo, che uno ingegno capace e che sa fare capitale del tempo, non debbe lamentarsi che la vita sia breve: perché può attendere a infinite cose; e sapendo spendere utilmente el tempo, gli avanza tempo.

CCCXXI

Chi vuole travagliare non si lasci cavare di possessione delle faccende, perché dall'una nasce l'altra, sí per lo adito che dà la prima alla seconda, come per la riputazione che ti porta el trovarti in negocio; e però si può anche a questo adattare el proverbio: di cosa nasce cosa.

CCCXXII

Non è facile el trovare questi Ricordi, ma è piú difficile a eseguirli; perché spesso l'uomo cognosce, ma non mette in atto; però volendo usargli, sforzate la natura e fatevi uno buono abito, col mezzo del quale non solo farete questo, ma vi verrà fatto sanza fatica quanto vi comanderà la ragione.

CCCXXIII

Non si maraviglierà dell'animo servile de' nostri cittadini chi leggerà in Cornelio Tacito che e Romani, soliti a dominare el mondo e vivere in tanta gloria, servivano sí vilmente sotto li imperatori, che Tiberio uomo tirannico e superbo aveva nausea di tanta dapocaggine.

CCCXXIV

Se avete mala satisfazione di uno, ingegnatevi quanto potete non se ne accorga, perché si aliena tutto da voi; e vengono spesso occasione che vi può servire e vi servirebbe, se col dimostrare d'averlo in male concetto non ve l'avessi giocato. E io con mia utilità n'ho fatto esperienzia, che in qualche tempo ho avuto malo animo verso uno, che, non se ne accorgendo, m'ha poi in qualche occasione servito bene, e mi è stato buono amico.

CCCXXV

Le cose che hanno a cadere, non per impeto ma per consumarsi, vanno piú a lungo che non sicredeva da principio; e perché e moti sono piú lenti che non si crede, e perché gli uomini, quando si ostinano a patire, fanno e sopportano molto piú che non si sarebbe creduto; però veggiamo che una guerra s'abbia a finire per fame, per incomodità, per mancamento di danari e modi simili, ha tratto piú lungo che non si credeva. Cosí la vita di uno tisico si prolunga sempre oltre alla opinione che n'hanno avuta e medici e gli astanti; e uno mercatante innanzi fallisca per essere consumato dagli interessi, si regge piú tempo che non era creduto.

CCCXXVI

Chi conversa con grandi non si lasci levare a cavallo dalle carezze e demostrazione superficiale, con le quali loro fanno communemente balzare gli uomini come vogliono e affoganli nel favore; e quanto è piú difficile a difendersene, tanto piú debbi strignerti, e col tenere el capo fermo non ti lasciare levare leggiermente.

CCCXXVII

Non potete avere maggiore virtú che tenere conto dell'onore; perché chi fa questo non teme e pericoli, né fa mai cosa che sia brutta; però tenete fermo questo capo, e sarà quasi impossibile che tutto non vi succeda bene: expertus loquor.

CCCXXVIII

Fatevi beffe di questi che predicano la libertà: non dico di tutti, ma ne eccettuo bene pochi; perché se sperassino avere meglio in uno Stato stretto, vi correrebbono per le poste; perché in quasi tutti prepondera el rispetto dello interesse suo, e sono pochissimi quegli che cognoscono quanto vaglia la gloria e l'onore.

CCCXXIX

Mi è stato sempre difficile a credere che Dio abbia a promettere che e figliuoli del duca Ludovico abbino a godere lo Stato di Milano, non tanto perché lui lo usurpò sceleratamente, quanto che per fare questo fu causa della servitú e ruina di tutta Italia, e di tanti travagli seguiti in tutta la cristianità.

CCCXXX

Dico, che uno buono cittadino e amatore della patria non solo debbe trattenersi col tiranno per sua sicurtà, perché è in pericolo quando è avuto a sospetto, ma ancora per beneficio della patria, perché governandosi cosí, gli viene occasione co' consigli e con le opere di favorire molti beni e disfavorire molti mali: e questi che gli biasimano sono pazzi, perché starebbe fresca la città e loro se el tiranno non avessi intorno altro che tristi!

CCCXXXI

Fa a proposito nostro che in Siena sia uno Stato savio, quando noi siamo in termini che non possiamo sperare di soggiogarla; perché uno savio si intratterrà sempre volentieri con noi, né mai arà caro che in Toscana venga guerra, lasciandosi piú governare dalla ragione che trasportare dallo odio naturale che ci hanno. Ma ora co' papi farebbe piú per noi che vi fussi uno Stato disordinato, perché piú facilmente ci salterebbe in bocca.

CCCXXXII

Chi non sa che se el papa piglia Ferrara, sarà sempre obietto de' futuri pontefici lo insignirorsi di Toscana? perché el regno di Napoli ha troppa difficultà essendo in mano di potenti.

CCCXXXIII

In uno Stato populare è a proposito delle Case simile alla nostra, che le Case che si chiamano di famiglia si conservino; perché essendo esose al popolo, ne riceviamo favore da tutti; ma se quelle si annichilassino, lo odio che el popolo ha a loro lo volterebbe a' nostri pari.

CCCXXXIV

Fu bellissimo consiglio quello di mio padre a Piero Soderini di rimettere e Medici da noi medesimi come privati cittadini; perché si levavano e fuoriusciti, che non può essere cosa peggiore a uno Stato, e a loro si toglieva la riputazione drento e di fuora. Drento, perché tornandovi e vedendosi equali alli altri, loro medesimi non v'arebbono abitato volentieri; fuora, perché e principi che si persuadevano che avessino drento grande parte, vedendogli tornare e non essere grandi, non ne terrebbono piú conto; ma questo consiglio non so se poteva riuscire buono, non avendo gonfaloniere piú vivo e piú animoso che Piero Soderini.

CCCXXXV

La natura de' popoli è, come ancora è de' privati, volere sempre augumentare el grado in che si truovano, però è prudenzia negare loro le prime domande: perché, concedendole, non gli fermi; anzi, gli inciti a domandare piú e con maggiore instanzia che non facevano da principio; perché quanto piú se gli dà bere, piú se gli accresce la sete.

CCCXXXVI

Le cose passate fanno lume alle future, perché el mondo fu sempre di una medesima sorte; e tutto quello che è e sarà, è stato in altro tempo, e le cose medesime ritornano, ma sotto diversi nomi e colori; però ognuno non le ricognosce, ma solo chi è savio, e le osserva e considera diligentemente.

CCCXXXVII

Sanza dubio ha migliore tempo nel mondo, piú lunga vita, e è in uno certo modo piú felice chi è di ingegno piú positivo, che questi intelletti elevati; perché lo ingegno nobile serve piú presto a travaglio e cruciato di chi l'ha; ma l'uno participa piú di animale bruto che di uomo, l'altro trascende el grado umano e si accosta alle nature celeste.

CCCXXXVIII

Se osservate bene, troverete che di età in età si mutano non solo e vocabuli e e modi del vestire e e costumi; ma, quello che è piú, i gusti e le inclinazione degli animi: e questa diversità si vede ancora in una età medesima di paese in paese. Non dico de' costumi perché può procedere dalla diversità delle instituzione, ma de' gusti, de' cibi e degli appetiti varii degli uomini.

CCCXXXIX

Le medesime imprese, che fatte fuora di tempo sono difficilissime o impossibile, quando sono accompagnate dal tempo o dalle occasioni sono facillime: e a chi le tenta fuori del tempo suo, non solo non succedono, ma si porta pericolo che l'averle tentate non le guasti per a quello tempo che facilmente sarebbono riuscite; però sono tenuti e savii pazienti.

CCCXL

Ho osservato io ne' miei governi, che quanto mi è venuta innanzi una causa che per qualche rispetto ho avuto desiderio di accordarla, non ho parlato di accordo, ma col mettere varie dilazione e stracchezze ho causato che le parte medesime l'hanno cerche. Cosí quello che nel principio, se io l'avessi proposto, sarebbe stato ributtato, si è ridotto in termini, che quando è venuto el tempo suo, io sono stato pregato di esserne mediatore.

CCCXLI

Non è gran cosa che uno governatore usando spesso asprezza e effetti di severità si faccia temere, perché e sudditi facilmente hanno paura di chi può sforzare e rovinare, e viene facilmente alle esecuzione. Ma laudo io quelli governatori che con fare poche severità e esecuzione sanno acquistare e conservare el nome del terribile.

CCCXLII

Non dico che chi tiene gli Stati non sia sforzato a mettere qualche volta mano nel sangue, ma dico bene che non si debbe fare sanza grande necessità, e che el piú delle volte se ne perde piú che non si guadagna: perché non solo si offende quelli che sono tocchi, ma si dispiace a molti altri; e se bene ti levi quello inimico e quello ostaculo, non però se ne spegne el seme, cum sit che in luogo di quello sottentrano degli altri, e spesso interviene, come si dice della idra, che per ognuno ne nasce sette.

CCCXLIII

Ricordatevi di quello che altra volta ho detto, che questi Ricordi non s'hanno a osservare indistintamente; ma in qualche caso particulare che ha ragione diversa, non sono buoni; e quali siano questi casi non si può comprendere con regola alcuna, né si truova libro che lo insegni, ma è necessario che questo lume ti dia prima la natura e poi la esperienzia.

CCCXLIV

Tengo per certo che in nessun grado o autorità si ricerca piú prudenzia e qualità eccellente che in uno capitano di uno esercito, perché sono infinite le cose a che ha a provedere e comandare, infiniti gli accidenti e casi varii che d'ora in ora se gli presentano, in modo che veramente bisogna che abbia piú che gli occhi d'Argo; né solo per la importanza sua, ma ancora per la prudenzia che gli bisogna, reputo io che a comparazione di questo ogni altro peso sia leggiere.

CCCXLV

Chi disse uno populo, disse veramente uno pazzo; perché è uno mostro pieno di confusione e di errori, e le sue vane opinione sono tanto lontane dalla verità, quanto è, secondo Ptolomeo, la Spagna dalla India.

CCCXLVI

Io ho sempre desiderato naturalmente la ruina dello Stato Ecclesiastico, e la fortuna ha voluto che sono stati dua pontefici tali, che sono stato sforzato desiderare e affaticarmi per la grandezza loro; se non fussi questo rispetto, amerei piú Martino Luther che me medesimo, perché spererei che la sua setta potessi ruinare o almanco tarpare le ale a questa scelerata tirannide de' preti.

CCCXLVII

È differenzia da essere animoso, a non fuggire e pericoli per rispetto dell'onore. L'uno e l'altro cognosce e pericoli, ma quello si confida potersene difendere, e se non fussi questa confidenzia non gli aspetterebbe; questo può essere che gli tema piú el debito, né sta saldo perché si risolve a volere piú presto el danno che la vergogna.

CCCXLVIII

Suole communemente intervenire nella nostra città, che chi è de' principali a fare che uno acquisti lo Stato, gli diventa presto inimico. La causa si dice essere, perché essendo tali communemente persone di qualità e di ingegno, e forse inquieti, chi ha lo Stato in mano gli piglia a sospetto. Un'altra se ne può aggiugnere: perché parendo loro avere meritato molto, vogliono spesso piú che non se gli conviene, e non l'avendo si sdegnano; da che di poi tra l'uno e l'altro nasce l'inimicizia e el sospetto.

CCCXLIX

Come colui che ha aiutato o è stato causa che uno salga in uno grado, lo vuole governare a suo modo, già comincia a cancellare el beneficio che gli ha fatto, volendo usare lui la autorità che ha operato che sia data a quell'altro; e lui ha giusta causa di non lo comportare, né per queto merita essere chiamato ingrato.

CCCL

Non si attribuisca a laude chi fa o non fa quelle cose, le quali se omettessi o facessi meriterebbe biasimo.

CCCLI

Dice el proverbio castigliano: el filo si rompe dal lato piú debole. Sempre quando si viene in concorrenzia o in comparazione di chi è piú potente o piú rispettato, succumbe el piú debole, non ostante che la ragione o l'onestà o la gratitudine volessi el contrario; perché communemente s'ha piú rispetto allo interesse suo che al debito.

CCCLII

Non posso io, né so farmi bello, né darmi riputazione di quelle cose che in verità non sono e tamen sarebbe piú utile fare el contrario; perché è incredibile quanto giova la riputazione e la opinione che hanno gli uomini che tu sia grande, perché con questo romore solo ti corrono drieto sanza che tu n'abbia a venire a cimento.

CCCLIII

Sono solito a dire, che piú di ammirazione è che e Fiorentini abbino acquistato quello poco dominio che hanno, che e Viniziani o altro principe di Italia el suo grande; perché in ogni piccolo luogo di Toscana era radicata la libertà in modo, che tutti sono stati inimici a questa grandeza. Il che non accade a chi è situato tra popoli usi a servire, a' quali non importa tanto lo essere dominati piú da uno che da un altro, che gli faccino ostinata o perpetua resistenzia. Di poi la vicinità della Chiesa è stata e è grandissimo ostaculo; la quale per avere le barbe tanto fondato quanto ha, ha impedito assai el corso del dominio nostro.

CCCLIV

Concludono tutti essere migliore lo Stato di uno quando è buono, che di pochi o di molti etiam buoni; e le ragione sono manifeste. Cosí concludono, che quello di uno diventa di buono piú facilmente cattivo che gli altri, e quando è cattivo è peggiore di tutti, e tanto piú quanto va per successione; perché rare volte a uno padre buono o savio succede uno figliuolo simile. Però vorrei che questi politici m'avessino dichiarato, considerato tutte queste condizione e pericoli, che abbia a desiderare piú una città che nasce, o di essere ordinata nel governo di uno, o di molti, o di pochi.

CCCLV

Nessuno cognosce peggio e servitori suoi che el padrone, e proporzionatamente el superiore e sudditi; perché non se gli apresentano innanzi tali quali si apresentano agli altri: anzi cercano coprirsi a lui, e parergli di altra sorte che in verità non sono.

CCCLVI

Tu che stai in Corte o séguiti uno grande, e desideri essere adoperato da lui in faccende, ingegnati di stargli al continuo innanzi agli occhi, perché d'ora in ora nascono occasione che lui commette a chi vede o a chi gli è piú propinquo; che se t'avessi a cercare o espettare, non te le commetterebbe; e chi perde uno principio benché piccolo, perde spesso la introduzione e adito a cose grande.

CCCLVIII

Ancora che uno sia buono cittadino e non usurpatore, tamen intrinsicandosi in Firenze con uno Stato come è questo de' Medici, viene in mala opinione e in mala grazia apresso al popolo, la quale è da fuggire quanto si può, per tutti e casi che possono occorrere. Ma dico, che per questo non ti debbi ritirare e perdere e beni che ti darebbe questo intrinsicarsi; perché ogni volta che tu non acquisti nome di rapace, o che non offendi qualche particulare di importanza o molti, mutato che sia poi lo Stato e levatosi el popolo d'addosso quella causa che ti faceva esoso, gli altri carichi si purgano, e la mala grazia alla fine passa, né resti in quella ruina o depressione di che prima dubitavi. Pure sono cose che pesano, e anche qualche volta ingannano, né si può negare che almanco non si perda di quello fiore, che si conserva chi giuoca piú largo.

CCCLIX

Io ve lo dico di nuovo; e padroni fanno poco conto de' servitori e per ogni suo interesse gli strascinerebbono sanza rispetto; però sono savii e servitori che fanno el medesimo verso e padroni, non faccendo però cosa che sia contro alla fede e all'onore.

CCCLX

Chi si cognosce avere buona fortuna, può tentare le imprese con maggiore animo; ma è da avvertire che la fortuna non solo può essere varia di tempo in tempo, ma ancora in uno tempo medesimo può essere varia nelle cose; perché chi osserva, vedrà qualche volta uno medesimo essere fortunato in una spezie di cose e in un'altra essere infortunato. E io in mio particulare ho avuto insino a questi dí 3 di febbraio 1523 in molte cose bonissima fortuna, ma non l ' ho avuto simile nelle mercatanzie, né anche negli onori che ho cercati di avere; perché quegli che non ho cercati mi sono corsi da loro medesimi drieto; ma quelli che ho cercati, è paruto che si discostino.

CCCLXI

Non ha maggiore inimico l'uomo che sé medesimo; perché quasi tutti e mali, pericoli e travagli superflui che ha, non procedono da altro che dalla sua troppa cupidità.

CCCLXII

Le cose del mondo non stanno ferme, anzi hanno sempre progresso al cammino a che ragionevolmente per sua natura hanno a andare a finire, ma tardano piú che non è la opinione nostra; perché noi le misuriamo seconda la vita nostra che è breve, e non secondo el tempo loro che è lungo; e però sono e passi suoi piú tardi che non sono e nostri, e sí tardi per sua natura che, ancora che si muovino, non ci accorgiamo spesso de' suoi moti; e per questo sono spesso falsi e giudicii che noi facciamo.

CCCLXIII

Lo appetito della roba nascerebbe da animo basso o male composto, se non si desiderassi per altro che per poterla godere; ma essendo corrotto el vivere del mondo come è, chi desidera riputazione è neccessitato a desiderare roba; perché con essa rilucono le virtú e sono in prezzo, le quali in uno povero sono poco stimate, e manco cognosciute.

CCCLXIV

Non so se si debbono chiamare fortunati quelli a chi una volta si presenta una grande occasione; perché chi non è bene prudente, non la sa bene usare: ma sanza dubio sono fortunatissimi a chi una medesima grande occasione si presenta due volte, perché è bene dapoco chi la seconda volta non la sa usare: e cosí in questo caso secondo s'ha a avere tutta la obligazione con la fortuna, dove nel primo ha ancora parte la prudenzia.

CCCLXV

La libertà delle republiche è ministra della iustizia, perché non è ordinata a altro fine, che per defensione che l'uno non sia oppresso dall'altro; però chi potessi essere sicuro che in uno Stato di uno o di pochi si osservassi la giustizia, non arebbe causa di desiderare molto la libertà. E questa è la ragione che gli antichi savii e filosofi non laudorono piú che gli altri e governi liberi; ma preposono quelli, ne' quali era meglio provisto alla conservazione delle legge e della giustizia.

CCCLXVI

Quando le nuove s'hanno da autore incerto e siano nuove verisimile o espettate, io gli presto poca fede, perché gli uomini facilmente fanno invenzione di quelli che si aspetta o si crede. Piú orecchi vi presto, se sono estravaganti o inespettate; perché manco soccorre agli uomini el fare invenzione o persuadersi quello che non è in alcuna considerazione; e di questo ho veduto in molte volte esperienzia.

CCCLXVII

Grande sorte è quella degli astrologi, che se bene la loro è una vanità, o per difetto della arte o per difetto suo, piú fede gli dà una verità che pronosticano che non gli toglie cento falsità. E nondimeno negli altri uomini una bugia che sia reprovata a uno, fa che si sta sospeso a crederli tutte le altre verità. Procede questo dal desiderio grande che hanno gli uomini di sapere el futuro; di che non avendo altro modo, credono facilmente a chi fa professione di saperlo loro dire, come lo infermo al medico che gli promette la salute.

CCCLXVIII

Pregate Dio di non vi trovare dove si perde, perché ancora che sia sanza colpa vostra n'arete sempre carico; né si può andare su per tutte le piazze e banche a giustificarsi: cosí chi si truova dove si vince riporta sempre laude etiam sanza suo merito.

CCCLXIX

È vantaggio, come ognuno sa, nelle cose private trovarsi in possesione, ancora che la ragione non si muta, e e modi de' giudicii e del conseguire el suo sono ordinarii e fermi: ma sanza comparazione è molto minore vantaggio nelle cose che dependono dagli accidenti degli Stati, o dalla voluntà di quelli che dominano; perché non s'avendo a combattere con ragione immutabile, o con giudicii stabili, nascono ogni dí mille casi, che facilmente si sublevano da chi può pretendere di levarti dal possesso.

CCCLXX

Chi desidera di essere amato da' superiori di sé, bisogna mostri d'avere loro rispetto e riverenzia, e in questo piú presto essere abondante che scarso; perché nessuna cosa offende piú lo animo di uno superiore, che el parergli che non gli sia avuto el rispetto o reverenzia che giudica convenirsegli.

CCCLXXI

Fu crudele el decreto de' Siracusani, di che fa menzione Livio, che insino alle donne nate de' tiranni fussino ammazzate, ma non però al tutto sanza ragione; perché mancato el tiranno, quelli che vivevano volentieri sotto lui, se potessino, ne farebbono un altro di cera, e non essendo cosí facile voltare la riputazione a uno uomo nuovo, si ritirano sotto ogni reliquia che resti di quello. Però una città che nuovamente esca della tirannide, non ha mai bene sicura la sua libertà, se non spegne tutta la razza e progenie de' tiranni. Dicolo in quanto a' maschi assolutamente, ma in quanto alle femmine distinguo secondo e casi, e secondo le qualità loro e delle città.

CCCLXXII

Ho detto di sopra che non si assicurano gli Stati per tagliare capi, perché piú presto multiplicano gli inimici, come si dice della idra; pure sono molti casi ne' quali cosí si legano gli Stati col sangue, come gli edificii con la calcina. Ma la distinzione di questi contrarii non si può dare per regola: bisogna gli distingua la prudenzia e discrezione di chi l'ha a fare.

CCCLXXIII

Non è in potestà di ognuno eleggersi el grado e le faccende che l'uomo vuole, ma bisogna spesso fare quelle che ti apresenta la tua sorte e che sono conforme allo stato in che sei nato; però tutta la laude consiste nel fare bene e congruamente le sue. Come in una commedia non è manco laudato chi bene rapresenta la persona di uno servo che quelli a chi sono stati messi in dosso e panni del re; in effetto ognuno può nel grado suo farsi laude e onore.

CCCLXXIV

Ognuno, e sia chi vuole, fa in questo mondo degli errori, da' quali nasce maggiore o minore danno, secondo li accidenti e casi che ne seguitano; ma buona sorte hanno quelli che si abbattono a errare in cose di minore importanza, o dalle quali ne seguita minore disordine.

CCCLXXV

È gran felicità potere vivere in modo che non si riceva, né si faccia ingiuria a altri; ma si riduce in grado che sia necessitato o gravare o patire, debbe pigliare el tratto a vantaggio; perché è cosí giusta difesa quella che si fa per non essere offeso, come quella che si fa doppo la offesa ricevuta. È vero che bisogna bene distinguere e casi, né per superflua paura darsi ad intendere di essere necessitato a prevenire; né per cupidità o malignità, dove in vero non hai sospetto, volere con allegare questo timore, giustificare la violenzia che tu fai.

CCCLXXVI

Piú difficultà ha ora la casa de' Medici con tutta la grandezza sua a conservare lo stato in Firenze, che non ebbono gli antichi suoi, privati cittadini, a acquistarlo. La ragione è che allora la città non aveva gustato la libertà e el vivere largo, anzi, era sempre in mano di pochi, e però chi reggeva lo Stato non aveva lo universale per inimico; perché a lui importava poco vedere lo Stato piú in mano di questi, che di quelli. Ma la memoria del vivere populare continuata dal 1494 al 1512 si è appiccata tanto nel popolo, che eccetto quelli pochi che in uno Stato stretto confidano di potere soprafare gli altri, el resto è inimico di chi è padrone dello Stato, parendogli sia stato tolto a sé medesimo.

CCCLXXVII

Non disegni alcuno in Firenze potersi fare capo di Stato se non è della linea di Cosimo, la quale anche a mantenervisi ha bisogno de' papati. Nessuno altro, e sia chi vuole, ha tante barbe o tanto séguito che vi possa pensare, se già non vi fussi portato da uno vivere populare, che ha bisogno di capi publici; come fu fatto a Piero Soderini: però chi aspira a questi gradi, e non sia della linea de' Medici, ami el vivere del populo.

CCCLXXVIII

Le inclinazione e deliberazione de' populi sono tanto fallace, e menate piú spesso dal caso che dalla ragione, che chi regola el traino del vivere suo non in altro che in sulla speranza d'avere a essere grande col popolo, ha poco giudicio; perché a opporsi è piú ventura che senno.

CCCLXXIX

Chi non ha in Firenze qualità da farsi capo di Stato, è pazzo a ingolfarsi tanto in uno Stato, che corra tutta la fortuna sua con la fortuna di quello; perché è sanza comparazione maggiore la perdita che el guadagno. Né si metta alcuno a pericolo di diventare fuoruscito, perché non essendo noi capi di parte come sono gli Adorni e Fregosi di Genova, nessuno ci si fa incontro per intrattenerci; in modo che restiamo fuora danza riputazione e sanza roba, e ci bisogna mendicare la vita. Esempio abundante è a chi se ne ricorda Bernardo Rucellai; e la medesima ragione ci debbe consigliare a temporeggiarci, e intrattenersi in modo con chi è capo di Stato, che non abbia causa di averci per inimici o sospetti.

CCCLXXX

Io sarei pronto a cercare le mutazione degli Stati che non mi piacessino, se potessi sperare mutargli da me solo; ma quando mi ricordo che bisogna fare compagnia con altri, e el piú delle volte con pazzi e con maligni, e quali né sanno tacere, né sanno fare, non è cosa che io aborrisca piú che el pensare a questo.

CCCLXXXI

Dua papi sono di natura diversissima, Julio e Clemente: l'uno di animo grande, e forse vasto, impaziente, precipitoso, aperto, e libero; l'altro di mediocre animo, e forse timido, pazientissimo, moderato, simulatore. E pure gli uomini da nature tanto contrarie si aspettano gli effetti medesimi di grande azione. La ragione è, che ne' gran maestri è atta a partorire cose grande e la pazienzia e lo impeto; perché l ' uno opera con lo urtare gli uomini e sforzare le cose; l ' altro con lo stracciarli, e vincerle col tempo e con le occasione. Però in quello che nuoce l'uno, giova l'altro, e e converso; e chi potessi congiugnerli e usare ciascuno al tempo suo, sarebbe divino; ma perché questo è quasi impossibile, credo che, omnibus computatis, sia per conducere maggiore cose la pazienzia e moderazione che lo impeto e la precipitazione.

CCCLXXXII

Se bene gli uomini deliberano con buono consiglio, gli effetti però sono spesso contrarii; tanto è incerto el futuro. Nondimanco non è da darsi come bestia in preda della fortuna, ma come uomo andare con la ragione; e chi è bene savio ha da contentarsi piú di essersi mosso con buono consiglio, ancora che lo effetto sia stato malo, che se in uno consiglio cattivo avessi avuto lo effetto buono.

CCCLXXXIII

Chi vuole vivere a Firenze con favore del popolo, bisogna che fugga el nome di ambizioso, e tutte le dimostrazione di volere parere, etiam nelle cose minime e nel vivere quotidiano, maggiore o piú pomposo o delicato che gli altri; perché a una città, che è fondata tutta in sulla equalità e è piena di invidia, bisogna per forza che sia esoso ognuno che viene in opinione di non volere essere equale agli altri, o che si spicca dal modo del vivere commune.

CCCLXXXIV

Nelle cose della economica el verbo principale è resecare tutte le spese superflue; ma quello in che mi pare consista la industria è el fare le medesime spese con piú vantaggio che non fanno gli altri; e, come si dice vulgarmente, spendere el quattrino per cinque denari.

CCCLXXXV

Tenete a mente, che chi guadagna, se bene può spendere qualcosa piú che chi non guadagna, pure è pazzia spendere largamente in sul fondamento de' guadagni, se prima non hai fatto buono capitale; perché la occasione del guadagnare non dura sempre. E se mentre che la dura non ti sei acconcio, passata che la è ti truovi povero come prima, e di piú hai perduto el tempo e l'onore; perché alla fine è tenuto di poco cervello chi ha avuto la occasione bella e non l ' ha saputa bene usare; e questo Ricordo tenetelo bene a mente, perché ho visto a' miei dí infiniti errarci.

CCCLXXXVI

Diceva mio padre, che piú onore ti fa uno ducato che tu hai in borsa, che dieci che n'hai spesi; parola molto da notare, non per diventare sordido, né per mancare nelle cose onorevole e ragionevole, ma perché ti sia freno a fuggire le spese superflue.

CCCLXXXVII

Rarissimi sono gli instrumenti che da principio si fabricano falsi; ma da poi secondo che gli uomini pensano la malizia, o che nel maneggiare le cose si accorgano di quello che arebbono bisogno, si cerca fare dire agli instrumenti quello che l'uomo vorrebbe che avessino detto; però quando sono fatti instrumenti di cose vostre che importano, abbiate per usanza di farvegli levare subito, e avergli in casa in forma autentica.

CCCLXXXVIII

È grandissimo peso in Firenze avere figliuole femmine, perché con grandissima difficultà si collocano bene, e a non errare nel pigliarne partito, bisognerebbe misurare molto bene sé e la natura delle cose; el che diminuirebbe la difficultà, la quale spesso accresce el presummersi troppo di sé, o discorrere male la natura del caso. E io ho veduto molte volte padri savii recusare nel principio de' parentadi, che poi in ultimo hanno invano desiderati; né per questo anche debbe l'uomo avilirsi in modo che, come Francesco Vettori, si diano al primo che le dimanda. È cosa in effetto che oltre alla sorte ricerca prudenzia grande; e io cognosco piú quello che bisognerebbe, che non so come, quando verrò alla pratica, saprò governarla.

CCCLXXXIX

È certo che non si tiene conto de' servizii fatti a' populi e agli universali, come di quegli che si fanno in particulare, perché toccando al commune, nessuno si tiene servito in proprio; però chi si affatica per e populi e università, non speri che loro si affatichino per lui in uno suo pericolo o bisogno, o che per memoria del servizio lascino una sua commodità. Nondimanco non sprezzate tanto el fare beneficio a' popoli, che quando vi si presenta la occasione di farlo la perdiate, perché se ne viene in buono nome e in buono concetto, che è frutto assai della fatica tua. Sanza che, pure in qualche caso ti giova quella memoria, e muove chi è beneficato, se non sí caldamente come e beneficii fatti in proprio, almanco dove non si sconciano; e sono tanti quelli a chi tocca questa leggiere impressione, che pure alcuna volta mettendo insieme la gratitudine che si sente di tutti, è notabile.

CCCXC

Del fare una opera laudabile non si vede sempre el frutto, perché spesso chi non si satisfà del fare bene solo per sé stesso, lascia di farlo, parendogli perdere el tempo; ma questo in chi la intende cosí, è inganno non piccolo; perché el fare laudabilmente, se bene non ti portassi altro frutto evidente, sparge buono nome e buona opinione di te, la quale in molti tempi e casi ti reca utilità incredibile.

CCCXCI

Chi ha la cura di una terra che abbia a essere combattuta o assediata, debbe fare potissimo fondamento in tutti e remedii che allungano; e ancora che non abbia certa speranza, stimare assai ogni cosa che tolga tempo etiam piccolo allo inimico; perché spesso uno dí piú, una ora di piú, importa qualche accidente che la libera.

CCCXCII

Chi facessi in su qualche accidente giudicare a uno uomo savio gli effetti che nasceranno, e scrivessi el giudicio suo, troverebbe, tornandolo, a vedere in progresso di tempo, sí poche cose verificate, come si truova a capo d'anno nel giudicio degli astrologi; perché le cose nel mondo sono troppo varie.

CCCXCIII

Nelle cose importante non può fare buono giudicio chi non sa bene tutti e particolari, perché spesso una circumstanzia, benché minima, varia tutto el caso: ma ho visto spesso giudicare bene uno che non ha notizia di altro che de' generali, e el medesimo giudicare peggio, intesi che ha e particulari; perché chi non ha el cervello molto perfetto, e molto netto dalle passione, intendendo molti particulari, facilmente si confonde o varia.

Aggiunta cominciata d'aprile nel 1528

CCCXCIV

Ne' discorsi del futuro è pericoloso risolversi in sul distinguere: e sarà o questo caso o questo altro, e se fia questo, io farò cosí; se questo altro, farò cosí; perché spesso viene uno terzo o uno quarto caso che è fuora di quegli che tu t'hai presupposti, e resti ingannato perché manca el fondamento della tua resoluzione.

CCCXCV

A' mali che soprastanno, e massime nelle cose della guerra, non recusate o mancate di fare e rimedii, per parervi che non possono essere a tempo; perché per camminare spesso le cose piú tardi che non si credeva, e per natura sua e per varii impedimenti che hanno, sarebbe molte volte a tempo quello rimedio che tu hai pretermesso, per giudicare che non possa essere se non tardi; e io n'ho visto piú volte la esperienzia.

CCCXCVI

Non mancate di fare le cose che vi diano riputazione, per desiderio di fare piacere e acquistare amici; perché a chi si mantiene o accresce la riputazione, corrono gli amici e le benivolenzie drieto; ma [chi] pretermette di fare quello che debbe, ne è stimato manco; e a chi manca la riputazione, mancano poi gli amici e la grazia.

CCCXCVII

Tanto piú si cade in quello estremo che tu fuggi, quanto piú per discostartene ti ritiri in verso l'altro estremo, non ti sapendo fermare in sul mezzo; però e governi populari, quanto piú per fuggire la tirannide si accostano alla licenzia, tanto piú vi caggiono drento; ma e nostri di Firenze non intendono questa grammatica.

CCCXCVIII

È nostra antica usanza quando vogliamo prevedere a una legge o altra cosa che ci dispiace, medicarvi col fare o ordinare tutto el contrario; dove trovando poi altri difetti, perché tutti gli estremi sono viziosi, ci bisogna fare altre legge e altri ordini; e questo è una delle cause che tutto dí facciamo nuove legge, perché attendiamo piú a fuggire e mali che ci si presentano, che a trovare el rimedio verso di essi.

CCCXCIX

Quanto è fallace el commune ragionare degli uomini che tutto il dí dicono: se fussi stata la tale cosa o se non fussi stata la tale, sarebbe seguito o non sarebbe seguito el tale effetto; perché se si potessi sapere el vero, el piú delle volte gli effetti sarebbono seguiti e medesimi, ancora che quelle cose, che si presuppone che gli arebbono potuti variare, fussino state di altra sorte.

CD

Quando e maligni e gli ignoranti governano, non è maraviglia che la virtú e la bontà non sia in prezzo; perché e primi l'hanno in odio, e secondi non la cognoscono.

CDI

Assai è buono cittadino chi è zelante del bene della patria, e alieno da tutte le cose che pregiudicano al terzo; pure che non sia disprezzatore della religione e de' buoni costumi. Questa bontà superflua de' nostri da San Marco, o è spesso ipocrisia, o, quando pure non sia simulata, non è già troppa a uno cristiano, ma non giova niente al buono essere della città.

CDII

Errarono e Medici a volere governare lo stato loro in molte cose secondo gli ordini della libertà, verbigrazia nel fare gli squittinii larghi, in dare parte a ognuno, e simili cose; perché non si potendo piú tenere uno Stato stretto in Firenze se non col favore caldo di pochi, questi modi non feciono loro lo universale amico, né e pochi partigiani. Errerà la libertà a volere governarsi in molte cose secondo gli ordini di uno Stato stretto, massime in escludere una parte della città, perché la libertà non si può mantenere, se non con la satisfazione universale; perché uno governo populare non può imitare in ogni cosa uno Stato stretto, e è pazzia imitarlo in quelle che lo fanno odioso e non in quelle che lo fanno gagliardo.

CDIII

O ingenia magis acria quam matura, disse el Petrarca, e veramente, degli ingegni fiorentini; perché è loro naturale proprietà avere piú el vivo e lo acuto, che el maturo e el grave.

 

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