PROEMIO
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Questo è un liibro d'altro che Sonetti,
di Capitoli, d'Egloghe o Canzone;
qui il Sannazaro o il Bembo non compone
né liquidi cristalli, né fioretti.
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Qui il Bernia non ha madrigaletti,
ma vi son cazzi senza discrezione,
ecci la potta, e 'l cul che gli ripone,
come fanno le scatole a' confetti.
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E qui son gente fottute sfottute,
e di cazzi e di potte notomie,
e nei culi molte anime perdute.
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E ognun si fotte in le più leggiadre vie,
ch'a Ponte Sisto non sarian credute,
infra le puttanesche gerarchie.
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Et in fin le son pazzie
a farsi schifo di sì buoni bocconi,
e chi non fotte ognun, Dio gli perdoni!
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I
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Veduto avete le reliquie tutte
dei cazzi orrendi in le potte stupende;
et avete visto far quelle faccende
allegramente a queste belle putte;
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e di dietro e d'inanzi darle frutte,
e ne le bocche le lingue a vicende:
che son cose da farne le leggende,
come che di Morgante e di Margutte.
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Io so ch'un gran piacer avete avuto,
a veder dare in potta e' n cul la stretta,
in modo che più non s'è fottuto.
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E come spesso nel naso si getta
l'odor del pepe o quel dello starnuto,
che fanno starnutar un con gran fretta
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così nella braghetta,
del fotter a l'odor corretti sete;
e toccatel' con man, se nol' credete.
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II
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Madonna, dal polmone è vostro male:
il rimedio c'è pronto, se volete
alzar le coscie più che potete
per ricever in cul un serviziale.
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Questo val meglio che acqua pettorale,
madonna; v'assicuro el trovarete.
- Orsù, Messer, poi ché questo credete,
di guarirme più tardar non mi cale.
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Ecco il cul, alerta! Ohimè! Che fate?
Gli è differente il tondo dal fesso;
non è il patto che mi facesti adesso.
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Pian, che gli è grosso, mi storpiate!
- Madonna, volete che vi dica il vero?
Quel mio cazzon duro, so che guarisce
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polmon anche la tosse.
- Pur che duri tal festa, di guarir spero;
ma di finir così presto mi dispero.
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III - Dialogo: Aretino, Franco.
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A. Dunque, ser Franco, il Papa fé davvero?
F. Cazzo! lui mii fé porre il laccio al collo,
e sù le forche dar l'ultimo crollo.
A. La Poesia?... F. La non mi valse un zero!
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Anzi, lei mi fu il boia. A. A dirti il vero,
mai ti vedesti di dir mal satollo.
F. Il cancaro che ti mangi, e chi pensolo!
Fu il non saper mostrar per bianco il nero.
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A. Diceasi in Roma, che eri mal Cristiano;
intesi non so che di Sodomia...
F. Becco cornuto, tu sei l'Aretino!
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Bardascia, bugerone, luterano,
ch'hai più corna che compar Cristino!
A. Menti! F. Mento? il mal'anno che Dio ti dia!
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IV
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Morendo su le forche, un Ascolano,
qual era avvezzo a scaricar la foia,
vide, torcendo il capo, il culo al boia,
che li facea su 'l collo un ballo strano.
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Subitamente, o fragil senso umano!
il cazzo se gli arrizza, ancor che moia;
ma non se 'l mena già, che gli da noia
l'aver legata l'una e l'altra mano.
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Così all'inferno, a cazzo ritto è andato,
e al Nemico, in vece di saluto,
dentro del negro cul l'ebbe ficcato;
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poi ringraziolo e disse: - O Pluto,
tu hai le corna ed io ti ho buggerato;
dunque ti posso dir becco fottuto.
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V
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Per Europa godere, iin bue cangiossi
Giove, che di chiavarla avea desio;
e la sua deità posta in oblio,
in più bestiali forme trasformossi.
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Marte, ancor lui, perdé li suoi ripossi,
che potea ben goder, perch'era Dio,
e di tanto chiavar pagonne il fio,
mentre qual topo in rete pur restossi.
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All'incontro costui, che qui mirate,
che pur senza pericolo potria
chiavar, non cura potta né culate.
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Questa per certo è pur coglioneria,
tra le maggiori e più solennizzate
e che commessa mai al mondo sia.
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Povera mercanzia!
Non lo sai tu, coglion, ch'è un gran marmotta
colui che di sua man fa culo e potta?
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VI
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Questo è un cazzo papal; se tu lo vuoi,
Faustina, o in potta o in cul, dimmelo pure,
operché rare a venir son le venture.
- Lo terrò in potta se volete voi.
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- In culo tel porrei, ma dacché vuoi
così, stenditi bene e mena pure,
che non avrà di queste fatte cure
donna che bella sia, qual sol fra noi.
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Spingi, ben mio, e fà che la siringa
del mio bel cazzo formi un bel poema;
spingi, cor mio, ancor rispingi e spingi.
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Ponmi una mano al cul, con l'altra stringi
e abbraccia stretto, e porgimi la lingua,
mena, mio ben; oh! che dolcezza estrema!
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Ohimè! che già non scema
il piacer! ma saria maggior all'otta
se il cazzo entrasse in cul, non men ch'in potta!
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VII
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Ohimè! la potta! crudel!| che fai,
con questo così grosso orrendo cazzo?
- Taci, cor mio, che coì gran sollazzo
non ci cangi il padrone in stenti e in guai.
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E se del fotter mio piacer non hai,
fatti pur verso me qui, dallo spasso,
che se sino ai coglion dentro va il cazzo,
dolcezza assai maggior ne sentirai.
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- Eccomi pronta, o fido servo caro!
Fà di me le tue voglie, e in faticarte
per ben servir non esser punto avaro.
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- Non dubitar, ben mio; ch'io voglio darte
sì ghiotta fottitura, e in modo raro,
ch'invidia n'averàn Venere e Marte.
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Potrebbe in potta entrarte,
dimmi, di grazia, il più superbo rulo?
- In potta no, ma il ciel mi guardi il culo!
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VIII
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Non più contrasto, orsù, tutto s'acchetti,
spartitevi tra voi questa ricotta,
uno si pigli il cul, l'altro la potta,
dando principio aglia amorosi affetti.
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Nel ben fotter ognuno si diletti
e pensi in usar ben cosa sì ghiotta
perché alla fine il culo, ovver la potta
sono del bello e buon dolci ricetti.
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Io vi consiglio in ciò, fate a mio modo,
né in risse o questioni dimorate,
ognun nel buco spinga il duro chiodo.
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E se per caso ad ambo le culate
piacesser, perché là si fotte sodo,
dopo il fotter il buco ricambiate:
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benché sia da buon Frate
lasciar l'ovato, e dare in brocca al tondo,
solo per dominare tutto il mondo.
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IX
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Spectatori gentil, qui riguardate
una che in potta e in culo può saziarsi,
e in mille modi a fotter dilettarsi,
e de suoi mani fa potta e culate.
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Certo, non già che tré contenti siate,
si dirà, mia mercé; che a tutti scarsi,
sono il gusto, il goder, il dilettarsi,
e tutti tré in un tempo v'acchiappate.
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Tré in un tempo contenti far tu puoi,
donna gentil, e cosa sarà ghiotta,
gustosa e delicata, se lo vuoi.
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Né presso i saggi parlerai merlotta,
e contenti farai gli amanti tuoi,
il cul dando all'un, all'altro la potta;
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e sarà cosa dotta
tré contentare in un tempo istesso,
loro e te ancor, nell'uno e l'altro sesso.
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X
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Spingi e respingi e spingi ancora il cazzo
in cul a questa, che mai l'ebbe in potta;
che questa fottitura è la più ghiotta,
che piacque a donna, a cui ben piacque il cazzo.
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- Veder potete voi s'io mi ci ammazzo,
e che di me non v'è chi meglio fotta;
che quasi l'una e l'altra è già corrotta,
né provasti giammai maggior sollazzo.
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- E' ver, ben mio; ma mena con più fretta;
indietro spingi il cazzo; ahi! mena inante.
- Io meno, io faccio, Amor sì mi diletta!
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- O bella prova di un fedele amante!
Far corromper due volte, in fretta in fretta,
ed egli sempre star duro e costante!
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Cazzo mio d'adamante!
Ben posso dir ch'io godo, anima mia.
Amor ti salvi, e ognor teco sia!
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XI
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Miri ciascun di voi, ch'amando suole
esser turbato da sì dolce impresa,
costui ch'a simil termine non cesa
portarla via, fottendo ovunque vuole.
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E sanza andar cercando per lescuole
di chiavar, verbi gratia, alla distesa,
far ben quel fatto impari alla sua spesa
qui, che fotter potrà senza parole.
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Vedi com'ei l'ha sopra delle braccia
sospesa con le gambe alte a suoi fianchi,
e par che per dolcezza si disfaccia.
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Né già si turban perché siamo stanchi,
anzi par che tal gioco ad ambo piaccia,
sì che bramin fottendo venir manchi.
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E per diritti e franchi
anzano stretti, a tal piacer intenti,
e fin che durerà staran contenti.
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XII
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Sta su, non mi far male; ohimè, sta su.
Sta su, crudele; se non morirò.
Lasciami stare, perch'io griderò;
Ahi! qual dolor! ohimè, non posso più!
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- Vita mia, non grida; sta un poco giù,
lasciami fare, e soffri ch'io farò
più dentro ancor, più piano ch'io potrò.
Se taccio che mi duol, non gridar tu.
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- Ohimè! crudel, ohimè! lasciami andar;
guarda che fai; deh! non mi tor l'onor;
se mi vuoi ben, deh! non mii far gridar.
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- Caro mio cor, non più gridar, amor;
quest'è tuo ben; sta giù, non mi stentar;
che sempre il dolce vien dopo il dolor.
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E per servirti ancor,
te l' farò in cul, ben mio, che non avrai
dolor sì grande, e l'onor salverai.
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XIII
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Questi nostri sonetti fatti a cazzi,
soggetti sol di cazzi, culi e potte,
e che son fatti a culi, a cazzi, a potte,
s'assomigliano a voi, visi di cazzi.
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Almen l'armi portaste al mondo, o cazzi,
e v'ascondete in culi e nelle potte,
poeti fatti a cazzi, a culi, a potte,
prodotti da gran potte e da gran cazzi.
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E s'il furor vi manca ancora, o cazzi,
sarete e tornerete becca-potte,
com e il più delle volte sono i cazzi.
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Qui finisco il soggetto delle potte.
Per entrar nel numero de' cazzi,
e lascerò voi, cazzi, in cui e in potte.
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Chi ha le voglie corrotte
legga cotesta gran coglioneria
che il mal'anno e il mal tempo Dio gli dia!
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