LIBRO SECONDO

DELLE ODI BARBARE

LIBRO II

CERILO

FANTASIA

RUTT HORA

ALLA STAZIONE IN UNA MATTINA D'AUTUNNO

MORS NELL'EPIDEMIA DIFTERICA

UNA SERA DI SAN PIETRO

PE'L CHIARONE DA CIVITAVECCHIA LEGGENDO IL MARLOWE

ALLA MENSA DELL'AMICO

RAGIONI METRICHE

FIGURINE VECCHIE

EGLE

PRIMO VERE

DVERE NOVO.

CANTO DI MARZO

SALUTI D'AUTUNNO

SU MONTE MARIO

LA MADRE (GRUPPO DI ADRIANO CECIONI)

PER UN ISTITUTO DI CIECHI

SOGNO D'ESTATE

COLLI TOSCANI

PER LE NOZZE DI MIA FIGLIA

PRESSO L'URNA DI PERCY BYSSHESHELLEY

AVE IN MORTE DI G.P.

NEVICATA

CONGEDO

VERSIONI

TOMBE PRECOCI DA FR. G. KLOPSTOCK

NOTTE D'ESTATE DA FR. G. KLOPSTOCK

LA TORRE DI NERONE DA A. VON PLATEN

ERO E LEANDRO DA A. VON PLATEN

LA LIRICA DA A. VON PLATEN

 DELLE ODI BARBARE

LIBRO II

CÈRILO

Non sotto ferrea punta che strida solcando maligna

2 dietro un pensier di noia l'aride carte bianche;

sotto l'adulto sole, nel palpito mosso da' venti

4 pe' larghi campi aprici, lungo un bel correr d'acque,

nasce il sospir de' cuori che perdesi ne l'infinito,

6 nasce il dolce e pensoso fior de la melodia.

Qui brilla il maggio effuso ne l'aere odorato di rose,

8 brillano gli occhi vani, dormon ne' petti i cuori:

dormono i cuor, si drizzan le orecchie facili quando

10 la variopinta strilla nota de la Gioconda.

Oh de le Muse l'ara dal verde vertice bianca

12 su 'l mare! Alcmane guida i virginei cori:

"Voglio con voi, fanciulle, volare, volare a la danza,

14 come il cèrilo vola tratto da le alcïoni:

vola con le alcïoni tra l'onde schiumanti in tempesta,

16 cèrilo purpureo nunzio di primavera".

FANTASIA

Tu parli; e, de la voce a la molle aura

lenta cedendo, si abbandona l'anima

del tuo parlar su l'onde carezzevoli,

4 e a strane plaghe naviga.

Naviga in un tepor di sole occiduo

ridente a le cerulee solitudini:

tra cielo e mar candidi augelli volano,

8 isole verdi passano,

e i templi su le cime ardui lampeggiano

di candor pario ne l'occaso roseo,

ed i cipressi de la riva fremono,

12 e i mirti densi odorano.

Erra lungi l'odor su le salse aure

e si mesce al cantar lento de' nauti,

mentre una nave in vista al porto ammàina

16 le rosse vele placida.

Veggo fanciulle scender da l'acropoli

in ordin lungo; ed han bei pepli candidi,

serti hanno al capo, in man rami di lauro,

20 tendon le braccia e cantano.

Piantata l'asta in su l'arena patria,

a terra salta un uom ne l'armi splendido:

è forse Alceo da le battaglie reduce

24 a le vergini lesbie?

RUIT HORA

O desïata verde solitudine

lungi al rumor de gli uomini!

qui due con noi divini amici vengono,

4 vino ed amor, o Lidia.

Deh, come ride nel cristallo nitido

Lieo, l'eterno giovine!

come ne gli occhi tuoi, fulgida Lidia,

8 trïonfa amore e sbendasi!

Il sol traguarda basso ne la pergola,

e si rinfrange roseo

nel mio bicchiere: aureo scintilla e tremola

12 fra le tue chiome, o Lidia.

Fra le tue nere chiome, o bianca Lidia,

langue una rosa pallida;

e una dolce a me in cuor tristezza súbita

16 tempra d'amor gl'incendii.

Dimmi: perché sotto il fiammante vespero

misterïosi gemiti

manda il mare là giú? quai canti, o Lidia,

20 tra lor quei pini cantano?

Vedi con che desio quei colli tendono

le braccia al sole occiduo:

cresce l'ombra e li fascia: ei par che chiedano

24 il bacio ultimo, o Lidia.

Io chiedo i baci tuoi, se l'ombra avvolgemi,

Lieo, dator di gioia:

io chiedo gli occhi tuoi, fulgida Lidia,

28 se Iperïon precipita.

E precipita l'ora. O bocca rosea,

schiuditi: o fior de l'anima,

o fior del desiderio, apri i tuoi calici:

32 o care braccia, apritevi.

ALLA STAZIONE IN UNA MATTINA D'AUTUNNO

Oh quei fanali come s'inseguono

accidïosi là dietro gli alberi,

tra i rami stillanti di pioggia

4 sbadigliando la luce su 'l fango!

Flebile, acuta, stridula fischia

la vaporiera da presso. Plumbeo

il cielo e il mattino d'autunno

8 come un grande fantasma n'è intorno.

Dove e a che move questa, che affrettasi

a' carri foschi, ravvolta e tacita

gente? a che ignoti dolori

12 o tormenti di speme lontana?

Tu pur pensosa, Lidia, la tessera

al secco taglio dài de la guardia,

e al tempo incalzante i begli anni

16 dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.

Van lungo il nero convoglio e vengono

incappucciati di nero i vigili,

com'ombre; una fioca lanterna

20 hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei

freni tentati rendono un lugubre

rintocco lungo: di fondo a l'anima

un'eco di tedio risponde

24 doloroso, che spasimo pare.

E gli sportelli sbattuti al chiudere

paion oltraggi: scherno par l'ultimo

appello che rapido suona:

28 grossa scroscia su' vetri la pioggia.

Già il mostro, conscio di sua metallica

anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei

occhi sbarra; immane pe 'l buio

32 gitta il fischio che sfida lo spazio.

Va l'empio mostro; con traino orribile

sbattendo l'ale gli amor miei portasi.

Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo

36 salutando scompar ne la tènebra.

O viso dolce di pallor roseo,

o stellanti occhi di pace, o candida

tra' floridi ricci inchinata

40 pura fronte con atto soave!

Fremea la vita nel tepid'aere,

fremea l'estate quando mi arrisero;

e il giovine sole di giugno

44 si piacea di baciar luminoso

in tra i riflessi del crin castanei

la molle guancia: come un'aureola

piú belli del sole i miei sogni

48 ricingean la persona gentile.

Sotto la pioggia, tra la caligine

torno ora, e ad esse vorrei confondermi;

barcollo com'ebro, e mi tócco,

52 non anch'io fossi dunque un fantasma.

Oh qual caduta di foglie, gelida,

continua, muta, greve, su l'anima!

io credo che solo, che eterno,

56 che per tutto nel mondo è novembre.

Meglio a chi 'l senso smarrí de l'essere,

meglio quest'ombra, questa caligine:

io voglio io voglio adagiarmi

60 in un tedio che duri infinito.

MORS

NELL'EPIDEMIA DIFTERICA

Quando a le nostre case la diva severa discende,

2 da lungi il rombo de la volante s'ode,

e l'ombra de l'ala che gelida gelida avanza

4 diffonde intorno lugubre silenzïo.

Sotto la venïente ripiegano gli uomini il capo,

6 ma i sen feminei rompono in aneliti.

Tale de gli alti boschi, se luglio il turbine addensa,

8 non corre un fremito per le virenti cime:

immobili quasi per brivido gli alberi stanno,

10 e solo il rivo roco s'ode gemere.

Entra ella, e passa, e tocca; e senza pur volgersi atterra

12 gli arbusti lieti di lor rame giovani;

miete le bionde spiche, strappa anche i grappoli verdi,

14 coglie le spose pie, le verginette vaghe

ed i fanciulli: rosei tra l'ala nera ei le braccia

16 al sole a i giuochi tendono e sorridono.

Ahi tristi case dove tu innanzi a' vólti de' padri,

18 pallida muta diva, spegni le vite nuove!

Ivi non piú le stanza sonanti di risi e di festa

20 o di bisbigli, come nidi d'augelli a maggio:

ivi non piú il rumore de gli anni lieti crescenti,

22 non de gli amor le cure, non d'Imeneo le danze:

invecchian ivi ne l'ombra i superstiti, al rombo

24 del tuo ritorno teso l'orecchio, o dea.

UNA SERA DI SAN PIETRO

Ricordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi

calde al mare scendeva, come un grande clipeo di rame

che in barbariche pugne corrusca ondeggiando, poi cade.

Castiglioncello in alto fra mucchi di querce ridea

5 da le vetrate un folle vermiglio sogghigno di fata.

Ma io languido e triste (da poco avea scosso la febbre

maremmana, ed i nervi pesavanmi come di piombo)

guardava a la finestra. Le rondini rapide i voli

sghembi tessevano e ritessevano intorno le gronde,

10 e le passere brune strepïano al vespro maligno.

Brevi d'entro la macchia svariavano il piano ed i colli,

rasi a metà da la falce, in parte ancor mobili e biondi.

Via per i solchi grigi le stoppie fumavano accese:

or sí or no veniva su per le aure umide il canto

15 de' mietitori, lungo, lontano, piangevole, stanco:

grave l'afa stringeva l'aër, la marina, le piante.

Io levai gli occhi al sole - O lume superbo del mondo,

tu su la vita guardi com'ebro ciclope da l'alto! -

Gracchiarono i pavoni schernendomi tra i melograni,

20 e un vipistrello sperso passommi radendo su 'l capo.

PE 'L CHIARONE DA CIVITAVECCHIA

LEGGENDO IL MARLOWE

Calvi, aggrondati, ricurvi, sí come becchini a la fossa,

2 stan radi alberi in cerchio de la sucida riva.

Stendonsi livide l'acque in linea lunga che trema

4 sotto squallido cielo per la lugubre macchia.

Bevon le nubi dal mare con pendule trombe, ed il sole

6 piove sprazzi di riso torbido sovra i poggi.

I poggi sembrano capi di tignosi ne l'ospitale,

8 l'un fastidisce l'altro da' finitimi letti.

Scattan su da un cespuglio co 'l guizzo di frecce mancate

10 due neri uccelli: cala con pigre ruote un falco.

Corrono, mentr'io leggo Marlowe, le smunte cavalle

12 de la vettura: il sole scema, la pioggia freme.

Ed ecco a poco a poco la selva infóscasi orrenda,

14 la selva, o Dante, d'alberi e di spiriti,

dove tra piante strane tu strane ascoltasti querele,

16 dove troncasti il pruno ch'era Pier de la Vigna.

Io leggo ancora Marlowe. Dal reo verso bieco, simile

18 a sogno d'uomo cui molta birra gravi,

d'odii et incèsti e morti balzando tra forme angosciose

20 esala un vapor acre d'orrida tristizia,

che sale e fuma, e misto a l'aër maligno feconda

22 di mostri intorno le pendenti nuvole,

crocida in fondo a' fossi, ferrugigno ghigna ne' bronchi,

24 filtra con la pioggia per l'ossa stanche. Io tremo.

Ah quei pini che il vento che il mare curvaron tanti anni

26 paiono traer guai contro di me: "Che importa

- dicon - tendere a l'alto? che vale combatter? che giova

28 amare? Il fato passa ed abbassa." Ma tu,

tu sughero triste che a terra schiacciato rialzi

30 il capo, reo gobbo, bestemmïando Iddio,

perché mi tendi minaccioso le braccia tue torte?

32 che colpa ho io ne 'l fato che ti danna?

E voi, lunghe ne 'l mezzo del tetro recinto alberelle,

34 co' rami spioventi, quasi canute chiome,

siete alberelle voi? siete le tre fiere sorelle

36 che aspettâr Macbeth su la fatale via?

Odo pauroso carme che voi bisbigliate co' venti,

38 di rospi, di serpi, di sanguinari cuori.

Guglielmo, re de' poeti da l'ardüa fronte serena,

40 perché mi mandi lugubri messaggi?

Io non uccisi il sonno, ben gli altri a me spensero il cuore:

42 non cerco un regno, io solo chieggio al mondo l'oblío.

Oblío? no, vendetta. Cadaveri antichi, pensieri

44 che tutti una ferita mostrate aperta e tutti

a tradimento, su! su da 'l cimitero del petto,

46 su date a' venti i vostri veli funebri.

Qui raduniam consiglio, qui ne l'orribile spazzo,

48 a l'ombre ignave, su le mortifere acque.

Qui gonfia di serpi tra 'l fior bianco e giallo la terra,

50 pregna di veleni qui primavera ride.

Ride ubriaco il verso di gioia maligna; com'angue,

52 strisci, si attorca, snodisi tra i sibili.

Volate, volate, canzoni vampire, cercando

54 i cuor' che amammo: sangue per sangue sia.

Ma che? Disvelasi lunge superbo a veder l'Argentaro

56 lento scendendo ne 'l Tirreno cerulo.

Il sole illustra le cime. Là in fondo sono i miei colli,

58 con la serena vista, con le memorie pie.

Ivi m'arrise fanciullo la diva sembianza d'Omero.

60 Via, tu, Marlowe, a l'acque! tu, selva infame, addio.

ALLA MENSA DELL'AMICO

Non mai dal cielo ch'io spirai parvolo

ridesti, o Sole, bel nume, splendido

a me, sí come oggi ch'effuso

4 t'amo per l'ampie vie di Livorno.

Non mai fervesti, Bromio, ne i calici

consolatore saggio e benevolo,

com'oggi ch'io libo a l'amico

8 pensando i varchi de l'Apennino.

O Sole, o Bromio, date che integri,

non senza amore, non senza cetera,

scendiamo a le placide ombre

12 - là dov'è Orazio - l'amico ed io.

Ma sorridete gli augurî a i parvoli

che, dolci fiori, la mensa adornano,

la pace a le madri, gli amori

16 a i baldi giovani e le glorie.

RAGIONI METRICHE

Rompeste voi 'l Tevere a nuoto, Clelïa, come

2 l'antica vostra, o a noi nuova Rea Silva uscite?

Scarso, o nipote di Rea, l'endecasillabo ha il passo

4 a misurare i clivi de le bellezze vostre:

solo co 'l piè trïonfale l'eroico esametro puote

6 scander la vïa sacra de le lunate spalle.

Da l'arce capitolina de 'l collo fidiaco molle

8 il pentametro pender, ghirlanda albana, deve.

Batta ne 'l raggio de gli occhi, che fiero corusca sí come

10 tra i colli prenestini dietro l'aurora il sole,

batta l'alcaica strofe trepidando l'ali, e si scaldi

12 a i forti amori: indietro, tu settenario vile.

Oh, su la chioma ondosa che simile a notte discende

14 pe 'l crepuscolo pario de le doriche forme

(lasciate a le serve, nipote di Rea, gli ottonari)

16 corona aurea di stelle fulga l'asclepiadea.

FIGURINE VECCHIE

Qual da la madre battuto pargolo

od in proterva rissa mal domito

stanco s'addorme con le pugna

4 serrate e i cigli rannuvolati,

tal ne 'l mio petto l'amore, o candida

Lalage, dorme: non sogna o invidia,

s'al roseo maggio erran giocando

8 gli altri felici pargoli al sole.

Oh no 'l destare! l'udresti, o Lalage,

di torbid'ire fiedere l'aere

rompendo i giuochi a' lieti eguali,

12 dio di battaglia per me l'amore.

SOLE D'INVERNO

Nel solitario verno de l'anima

spunta la dolce imagine,

e tocche frangonsi tosto le nuvole

4 de la tristezza e sfumano.

Già di cerulea gioia rinnovasi

ogni pensiero: fremere

sentomi d'intima vita gli spiriti:

8 il gelo inerte fendesi.

Già de' fantasimi dal mobil vertice

spiccian gli affetti memori,

scendon con rivoli freschi di lacrime

12 giú per l'ombra del tedio.

Scendon con murmuri che a gli antri chiamano

echi d'amor superstiti

e con letizia d'acque che a' margini

16 sonni di fiori svegliano.

Scendono, e in limpido fiume dilagano,

ove le rive e gli alberi

e i colli e il tremulo riso de l'aere

20 specchiasi vasto e placido.

Tu su la nubila cima de l'essere,

tu sali, o dolce imagine;

e sotto il candido raggio devolvere

24 miri il fiume de l'anima.

EGLE

Stanno nel grigio verno pur d'edra e di lauro vestite

2 ne l'Appia trista le ruinose tombe.

Passan pe 'l ciel turchino che stilla ancor da la pioggia

4 avanti al sole lucide nubi bianche.

Egle, levato il capo vèr' quella serena promessa

6 di primavera, guarda le nubi e il sole.

Guarda; e innanzi a la bella sua fronte piú ancora che al sole

8 ridon le nubi sopra le tombe antiche.

PRIMO VERE

Ecco: di braccio al pigro verno sciogliesi

ed ancor trema nuda al rigid'aere

la primavera: il sol tra le sue lacrime

4 limpido brilla, o Lalage.

Da lor culle di neve i fior si svegliano

e curïosi al ciel gli occhietti levano:

il quelli sguardi vagola una tremula

8 ombra di sogno, o Lalage.

Nel sonno de l'inverno sotto il candido

lenzuolo de la neve i fior sognarono;

sognaron l'albe roride ed i tepidi

12 soli e il tuo viso, o Lalage.

Ne l'addormito spirito che sognano

i miei pensieri? A tua bellezza candida

perché mesta sorride tra le lacrime

16 la primavera, o Lalage?

VERE NOVO

Rompendo il sole tra i nuvoli bianchi a l'azzurro

2 sorride e chiama - O primavera, vieni! -

Tra i verzicanti poggi con mormorii placidi il fiume

4 ricanta a l'aura - O primavera, vieni! -

- O primavera, vieni! - ridice il poeta al suo cuore

6 e guarda gli occhi, Lalage pura, tuoi.

CANTO DI MARZO

Quale una incinta, su cui scende languida

languida l'ombra del sopore e l'occupa,

disciolta giace e palpita su 'l talamo,

sospiri al labbro e rotti accenti vengono

5 e súbiti rossor la faccia corrono,

tale è la terra: l'ombra de le nuvole

passa a sprazzi su 'l verde tra il sol pallido:

umido vento scuote i pèschi e i mandorli

bianco e rosso fioriti, ed i fior cadono:

10 spira da i pori de la glebe un cantico.

- O salïenti da' marini pascoli

vacche del cielo, grigie e bianche nuvole,

versate il latte da le mamme tumide

al piano e al colle che sorride e verzica,

15 a la selva che mette i primi palpiti -.

Cosí cantano i fior che si risvegliano:

cosí cantano i germi che si movono

e le radici che bramose stendonsi:

cosí da l'ossa dei sepolti cantano

20 i germi de la vita e de gli spiriti.

Ecco l'acqua che scroscia e il tuon che brontola:

porge il capo il vitel da la stalla umida,

la gallina scotendo l'ali strepita,

profondo nel verzier sospira il cúculo

25 ed i bambini sopra l'aia saltano.

Chinatevi al lavoro, o validi omeri;

schiudetevi a gli amori, o cuori giovani;

impennatevi a i sogni, ali de l'anime;

irrompete a la guerra, o desii torbidi:

30 ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.

SALUTO D'AUTUNNO

Pe' verdi colli, da' cieli splendidi,

e ne' fiorenti campi de l'anima,

Delia, a voi tutto è una festa

4 di primavera: lungi le tombe!

Voi dolce madre chiaman due parvole,

voi dolce suora le rose chiamano,

e il sol vi corona di lume,

8 divino amico, la bruna chioma.

Lungi le tombe! Lontana favola

per voi la morte! Salite il tramite

de gli anni, e con citara d'oro

12 Ebe serena v'accenna a l'alto.

Giú ne la valle, freddi dal turbine,

noi vi miriamo ridente ascendere;

e un raggio del vostro sorriso

16 frange le nebbie pigre a l'autunno.

SU MONTE MARIO

Solenni in vetta a Monte Mario stanno

nel luminoso cheto aere i cipressi,

e scorrer muto per i grigi campi

4 mirano il Tebro,

mirano al basso nel silenzio Roma

estendersi, e, in atto di pastor gigante

su grande armento vigile, davanti

8 sorger San Pietro.

Mescete in vetta al luminoso colle,

mescete, amici, il biondo vino, e il sole

vi si rifranga: sorridete, o belle:

12 diman morremo.

Lalage, intatto a l'odorato bosco

lascia l'alloro che si gloria eterno,

o a te passando per la bruna chioma

16 splenda minore.

A me tra 'l verso che pensoso vola

venga l'allegra coppa ed il soave

fior de la rosa che fugace il verno

20 consola e muore.

Diman morremo, come ier moriro

quelli che amammo: via da le memorie,

via da gli affetti, tenui ombre lievi

24 dilegueremo.

Morremo; e sempre faticosa intorno

de l'almo sole volgerà la terra,

mille sprizzando ad ogni istante vite

28 come scintille;

vite in cui nuovi fremeranno amori,

vite che a pugne nuove fremeranno,

e a nuovi numi canteranno gl'inni

32 de l'avvenire.

E voi non nati, a le cui man' la face

verrà che scórse da le nostre, e voi

disparirete, radïose schiere,

36 ne l'infinito.

Addio, tu madre del pensier mio breve,

terra, e de l'alma fuggitiva! quanta

d'intorno al sole aggirerai perenne

40 gloria e dolore!

fin che ristretta sotto l'equatore

dietro i richiami del calor fuggente

l'estenuata prole abbia una sola

44 femina, un uomo,

che ritti in mezzo a' ruderi de' monti,

tra i morti boschi, lividi, con gli occhi

vitrei te veggan su l'immane ghiaccia,

48 sole, calare.

LA MADRE

(GRUPPO DI ADRIANO CECIONI)

 

Lei certo l'alba che affretta rosea

al campo ancora grigio gli agricoli

mirava scalza co 'l piè ratto

4 passar tra i roridi odor del fieno.

Curva su i biondi solchi i larghi omeri

udivan gli olmi bianchi di polvere

lei stornellante su 'l meriggio

8 sfidar le rauche cicale a i poggi.

E quando alzava da l'opra il turgido

petto e la bruna faccia ed i riccioli

fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,

12 coloraro ignei le balde forme.

Or forte madre palleggia il pargolo

forte; da i nudi seni già sazio

palleggialo alto, e ciancia dolce

16 con lui che a' lucidi occhi materni

intende gli occhi fissi ed il piccolo

corpo tremante d'inquïetudine

e le cercanti dita: ride

20 la madre e slanciasi tutta amore.

A lei d'intorno ride il domestico

lavor, le biade tremule accennano

dal colle verde, il büe mugghia,

24 su l'aia il florido gallo canta.

Natura a i forti che per lei spregiano

le care a i vulghi larve di gloria

cosí di sante visïoni

28 conforta l'anime, o Adrïano:

onde tu al marmo, severo artefice,

consegni un'alta speme de i secoli.

Quando il lavoro sarà lieto?

32 quando securo sarà l'amore?

quando una forte plebe di liberi

dirà guardando nel sole - Illumina

non ozi e guerre a i tiranni,

36 ma la giustizia pia del lavoro -?

PER UN INSTITUTO DI CIECHI

Quando mirava Omero le fulgide a' dardani campi

2 pugne, con gli occhi spenti ed immoti al cielo;

quando, levata in fredda caligin la fronte, vedeva

4 Milton passare su' mondi vinti Dio;

l'alma del tutto in essi rompeva la inerte de' sensi

6 bruma, e ne' grandi spiriti il sole ardea.

Quando Tobia meschino del can riconobbe il latrato

8 e brancolando porse le bianche mani,

messa dal ciel sovvenne la santa pietà: Rafaele

10 biondo a' lassi occhi rese il bel figlio e il lume.

Stanno ne l'ampia terra gli eroi del pensiero in disparte:

12 a Rafaele tende le braccia il mondo.

SOGNO D'ESTATE

Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti

la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno

in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggí su 'l Tirreno.

Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.

5 Non piú libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,

rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato

de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,

cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.

Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo

10 pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre

florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano

cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.

Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,

superbo de l'amore materno, percosso nel core

15 da quella festa immensa che l'alma natura intonava.

Però che le campane sonavano su dal castello

annunzïando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;

e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,

correa la melodia spirituale di primavera;

20 ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli,

e fior gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,

ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,

e molli d'auree ginestre si paravano i colli,

e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori

25 veniva giú da 'l mare; nel mar quattro candide vele

andavano andavano cullandosi lente nel sole,

che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.

La giovine madre guardava beata nel sole.

Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,

30 questi che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,

quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;

pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure

o ritornasser pii del dolor mio da una plaga

ove tra note forme rivivono gli anni felici.

35 Passâr le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.

Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,

Bice china al telaio seguia cheta l'opra de l'ago.

COLLI TOSCANI

Colli toscani e voi pacifiche selve d'olivi

a le cui ombre chete stetti in pensier d'amore,

tósca vendemmia e tu da' grappi vermigli spumanti

4 in faccia al sole tra giocondi strepiti,

sole de' giovini anni; ridete a la dolce fanciulla

che amor mi strappa e rende sposa al toscano cielo;

voi le ridete, e quella che sempre negaronmi i fati

8 pace d'affetti datele ne l'anima.

Colli, tacete, e voi non susurratele, olivi,

non dirle, o sol, per anche, tu onniveggente, pio,

ch'oltre quel monte giaccion, lei forse aspettando, que' miei

12 che visser tristi, che in dolor morirono.

Ella ammirando guarda la cima, tremarsi nel cuore

sente la vita e un lieve spirto sfiorar le chiome,

mentre l'aura montana, calando già il sole, d'intorno

16 al giovin capo le agita il vel candido.

PER LE NOZZE DI MIA FIGLIA

O nata quando su la mia povera

casa passava come uccel profugo

la speranza, e io disdegnoso

4 battea le porte de l'avvenire;

or che il piè saldo fermai su 'l termine

cui combattendo valsi raggiungere

e rauchi squittiscon da torno

8 i pappagalli lusingatori;

tu mia colomba t'involi, trepida

il nuovo nido voli a contessere

oltre Apennino, nel nativo

12 aëre dolce de' colli tóschi.

Va' con l'amore, va' con la gioia,

va' con la fede candida. L'umide

pupille fise al vel fuggente,

16 la mia Camena tace e ripensa.

Ripensa i giorni quando tu parvola

coglievi fiori sotto le acacie,

ed ella reggendoti a mano

20 fantasmi e forme spïava in cielo.

Ripensa i giorni quando a la morbida

tua chioma intorno rogge strisciavano

le strofe contro a gli oligarchi

24 librate e al vulgo vile d'Italia.

E tu crescevi pensosa vergine,

quand'ella prese d'assalto intrepida

i clivi de l'arte e piantovvi

28 la sua bandiera garibaldina.

Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite

teco fia dolce forse ritessere,

e risognare i cari sogni

32 nel blando riso de' figli tuoi?

O forse meglio giova combattere

fino a che l'ora sacra richiamine?

Allora, o mia figlia, - nessuna

36 me Beatrice ne' cieli attende -

allora al passo che Omero ellenico

e il cristïano Dante passarono

mi scorga il tuo sguardo,

40 la nota voce tua m'accompagni.

PRESSO L'URNA DI PERCY BYSSHE SHELLEY

Lalage, io so qual sogno ti sorge dal cuore profondo,

2 so quai perduti beni l'occhio tuo vago segue.

L'ora presente è in vano, non fa che percuotere e fugge;

4 sol nel passato è il bello, sol ne la morte è il vero.

Pone l'ardente Clio su 'l monte de' secoli il piede

6 agile, e canta, ed apre l'ali superbe al cielo.

Sotto di lei volante si scuopre ed illumina l'ampio

8 cimitero del mondo, ridele in faccia il sole

de l'età nova. O strofe, pensier de' miei giovini anni,

10 volate omai secure verso gli antichi amori;

volate pe' cieli, pe' cieli sereni, a la bella

12 isola risplendente di fantasia ne' mari.

Ivi poggiati a l'aste Sigfrido ed Achille alti e biondi

14 erran cantando lungo il risonante mare:

dà fiori a quello Ofelia sfuggita al pallido amante,

16 dal sacrificio a questo Ifïanassa viene.

Sotto una verde quercia Rolando con Ettore parla,

18 sfolgora Durendala d'oro e di gemme al sole:

mentre al florido petto richiamasi Andromache il figlio;

20 Alda la bella, immota, guarda il feroce sire.

Conta re Lear chiomato a Edippo errante sue pene,

22 con gli occhi incerti Edippo cerca la sfinge ancora:

la pia Cordelia chiama - Deh, candida Antigone, vieni!

24 vieni, o greca sorella! Cantiam la pace a i padri. -

Elena e Isotta vanno pensose per l'ombra de i mirti,

26 il vermiglio tramonto ride a le chiome d'oro:

Elena guarda l'onde: re Marco ad Isotta le braccia

28 apre, ed il biondo capo su la gran barba cade.

Con la regina scota su 'l lido nel lume di luna

30 sta Clitennestra: tuffan le bianche braccia in mare,

e il mar rifugge gonfio di sangue fervido: il pianto

32 de le misere echeggia per lo scoglioso lido.

O lontana a le vie de i duri mortali travagli

34 isola de le belle, isola de gli eroi,

isola de' poeti! Biancheggia l'oceano d'intorno,

36 volano uccelli strani per il purpureo cielo.

Passa crollando i lauri l'immensa sonante epopea

38 come turbin di maggio sopra ondeggianti piani;

o come quando Wagner possente mille anime intona

40 a i cantanti metalli; trema a gli umani il core.

Ah, ma non ivi alcuno de' novi poeti mai surse,

42 se non tu forse, Shelley, spirito di titano,

entro virginee forme: dal divo complesso di Teti

44 Sofocle a volo tolse te fra gli eroici cori.

O cuor de' cuori, sopra quest'urna che freddo ti chiude

46 odora e tepe e brilla la primavera in fiore.

O cuor de' cuori, il sole divino padre ti avvolge

48 de' suoi raggianti amori, povero muto cuore.

Fremono freschi i pini per l'aura grande di Roma:

50 tu dove sei, poeta del liberato mondo?

Tu dove sei? m'ascolti? Lo sguardo mio umido fugge

52 oltre l'aurelïana cerchia su 'l mesto piano.

AVE

IN MORTE DI G. P.

 

Or che le nevi premono,

lenzuol funereo, le terre e gli animi,

e de la vita il fremito

4 fioco per l'aura vernal disperdesi,

tu passi, o dolce spirito:

forse la nuvola ti accoglie pallida

là per le solitudini

8 del vespro e tenue teco dileguasi.

Noi, quando a' soli tepidi

un desio languido ricerca l'anime

e co' i fiori che sbocciano

12 torna Persèfone da gli occhi ceruli,

noi penseremo, o tenero,

a te non reduce. Sotto la candida

luna d'april trascorrere

16 vedrem la imagine cara accennandone.

NEVICATA

Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinerëo: gridi,

2 suoni di vita piú non salgon da la città,

non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro,

4 non d'amor la canzon ilare e di gioventú.

Da la torre di piazza roche per l'aere le ore

6 gemon, come sospir d'un mondo lungi dal dí.

Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati: gli amici

8 spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

In breve, o cari, in breve - tu càlmati, indomito cuore -

10 giú al silenzio verrò, ne l'ombra riposerò.

CONGEDO

A' lor cantori diano i re fulgente

collana d'oro lungo il petto, i volghi

a' lor giullari dian con roche strida

4 suono di mani.

Premio del verso che animoso vola

da le memorie a l'avvenire, io chiedo

colma una coppa a l'amicizia e il riso

8 de la bellezza.

Come ricordo d'un mattin d'aprile

puro è il sorriso de le belle, quando

l'età fugace chiudere s'affretta

12 il nono lustro;

e tra i bicchier che l'amistade infiora

vola serena imagine la morte,

come a te sotto i platani d'Ilisso,

16 divo Platone.

VERSIONI

TOMBE PRECOCI

DA FR. G. KLOPSTOCK

Ben vieni, o bell'astro d'argento,

compagno tacente a la notte.

Tu fuggi? oh rimanti, splendore pensoso!

4 Vedete? ei rimane: la nuvola va.

Piú bel d'una notte d'estate

è solo il mattino di maggio:

a lui la rugiada gocciando da i ricci

8 riluce, e vermiglio pe 'l colle va su.

O cari, già il musco severo

a voi sopra i tumuli crebbe:

deh come felice vedeva io con voi

12 le notti d'argento, vermigli i bei dí!

NOTTE D'ESTATE

DA FR. G. KLOPSTOCK

Quando il tremulo splendore de la luna

si diffonde giú pe' boschi, quando i fiori

e i molli aliti de i tigli

4 via pe 'l fresco esalano,

il pensiero de le tombe come un'ombra

in me scende; né piú i fiori né piú i tigli

dànno odore; tutto il bosco

8 è per me crepuscolo.

Queste gioie con voi, morti, m'ebbi un tempo:

come il fresco era e il profumo dolce intorno!

come bella eri, o natura,

12 in quell'albor tremulo!

LA TORRE DI NERONE

DA A. VON PLATEN

Narra la fama, e ancor n'ha orrore il popolo:

Nerone, indétto a la città l'incendio,

salí su quella torre a lo spettacolo

4 del rogo, allegro ed avido.

Correano al cenno suo gl'incendiarii,

baccanti in festa, e roteavan picei

serti di fiamma. Dritto su' merli aurei

8 Neron tocca la cetera.

- Gloria - egli canta - al fuoco: a l'oro ei simile

ei degno del Titan che al cielo tolselo:

l'augel di Giove il porta; ed il primo alito

12 egli accolse di Bromio.

Vieni, splendido nume: al crine i pampini,

molle danza su 'l mondo anzi che in polvere

torni: di Roma qui raccogli il cenere

16 e nel tuo vino mescilo.

ERO E LEANDRO

DA A. VON PLATEN

Ero l'amata muore, ne i flutti cercando la morte:

2 Saffo l'amante muore, morte chiedendo a i flutti.

Amore, iddio crudele, a te cadon vittime entrambe:

4 scorgile tu nel cheto reame di Persèfone.

Ma di Leandro al petto conduci la vergin di Sesto,

6 guida al fiume di Lete la deserta di Lesbo.

LA LIRICA

DA A. VON PLATEN

 

A la materia l'anima s'appiglia,

polso del mondo è l'azïone; e a sorde

orecchie spesso versa i canti l'alta

4 lirica musa.

A tutti Omero s'apre e svarïati

gli arazzi de la favola dispiega,

l'autor del dramma trascinando i volghi

8 le scene eleva.

Ma il vol del sacro Pindaro, di Flacco

l'arte e, o Petrarca, il tuo librato verso,

lento ne i cuori imprimesi, e a la plebe

12 ardüo sfugge.

Grazia che pensa, non agevol ritmo

di canzoncine intorno la teletta:

non lieve sguardo penetra le loro

16 alme possenti.

Eterno vaga per le genti il nome,

ma raro ad essi spirito s'aggiunge

amico e pio che onori le gagliarde

20 menti profonde.

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Ultimo Aggiornamento: 17/07/05 21.22.11