SCENA PRIMA |
|
REG. Ma che si fa? Non seppe |
forse ancor del Senato |
Amilcare il voler? Dov'è? Si trovi; |
partir convien. Qui che sperar per lui, |
per me non v'è più che bramar. Diventa |
colpa ad entrambi or la dimora. Ah vieni, |
vieni, amico, al mio seno. Era in periglio |
senza te la mia gloria; i ceppi miei |
per te conservo; a te si deve il frutto |
della mia schiavitù. |
MAN. Sì; ma tu parti; |
sì; ma noi ti perdiam. |
REG. Mi perdereste, |
s'io non partissi. |
MAN. Ah perché mai sì tardi |
incomincio ad amarti! Altri fin ora, |
Regolo, non avesti |
pegni dell'amor mio, se non funesti. |
REG. Pretenderne maggiori |
da un vero amico io non potei; ma pure |
se il generoso Manlio altri vuol darne, |
altri ne chiederò. |
MAN. Parla. |
REG. Compìto |
ogni dover di cittadino, al fine |
mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma |
due figli, il sai; Publio ed Attilia: e questi |
son del mio cor, dopo la patria, il primo, |
il più tenero affetto. In lor traluce |
indole non volgar; ma sono ancora |
piante immature, e di cultor prudente |
abbisognano entrambi. Il Ciel non volle |
che l'opera io compissi. Ah tu ne prendi |
per me pietosa cura; |
tu di lor con usura |
la perdita compensi. Al tuo bel core |
debbano e a' tuoi consigli |
la gloria il padre, e l'assistenza i figli. |
MAN. Sì, tel prometto: i preziosi germi |
custodirò geloso. Avranno un padre, |
se non degno così, tenero almeno |
il par di te. Della virtù romana |
io lor le tracce additerò. Né molto |
sudor mi costerà. Basta a quell'alme, |
di bel desio già per natura accese, |
l'istoria udir delle paterne imprese. |
REG. Or sì più non mi resta... |
|
SCENA II |
|
PUBLIO Manlio! Padre! |
REG. Che avvenne? |
PUBLIO Roma tutta è in tumulto: il popol freme; |
non si vuol che tu parta. |
REG. E sarà vero |
che un vergognoso cambio |
possa Roma bramar? |
PUBLIO No, cambio o pace |
Roma non vuol; vuol che tu resti. |
REG. Io! Come? |
E la promessa? e il giuramento? |
PUBLIO Ognuno |
grida che fé non dessi |
a perfidi serbar. |
REG. Dunque un delitto |
scusa è dell'altro. E chi sarà più reo, |
se l'esempio è discolpa? |
PUBLIO Or si raduna |
degli àuguri il collegio: ivi deciso |
il gran dubbio esser deve. |
REG. Uopo di questo |
oracolo io non ho. So che promisi; |
voglio partir. Potea |
della pace o del cambio |
Roma deliberar: del mio ritorno |
a me tocca il pensier. Pubblico quello, |
questo è privato affar. Non son qual fui; |
né Roma ha dritto alcun sui servi altrui. |
PUBLIO Degli àuguri il decreto |
s'attenda almen. |
REG. No; se l'attendo, approvo |
la loro autorità. Custodi, al porto. |
Amico, addio. |
MAN. No, Regolo; se vai |
fra la plebe commossa, a viva forza |
può trattenerti; e tu, se ciò succede, |
tutta Roma fai rea di poca fede. |
REG. Dunque mancar degg'io?... |
MAN. No; andrai; ma lascia |
che quest'impeto io vada |
prima a calmar. Ne sederà l'ardore |
la consolare autorità. |
REG. Rimango, |
Manlio, su la tua fé: ma... |
MAN. Basta; intendo. |
La tua gloria desio, |
e conosco il tuo cor: fidati al mio. |
Fidati pur; rammento |
che nacqui anch'io romano: |
al par di te mi sento |
fiamme di gloria in sen. |
Mi niega, è ver, la sorte |
le illustri tue ritorte; |
ma, se le bramo in vano, |
so meritarle almen. |
|
SCENA III |
|
REG. E tanto or costa in Roma, |
tanta or si suda a conservar la fede! |
Dunque... Ah Publio! e tu resti? E sì tranquillo |
tutto lasci all'amico |
d'assistermi l'onor? Corri; proccura |
tu ancor la mia partenza. Esser vorrei |
di sì gran benefizio |
debitore ad un figlio. |
PUBLIO Ah padre amato, |
ubbidirò; ma... |
REG. Che? Sospiri! Un segno |
quel sospiro saria d'animo oppresso? |
PUBLIO Sì, lo confesso, |
morir mi sento; |
ma questo istesso |
crudel tormento |
è il più bel merito |
del mio valor. |
Qual sacrifizio, |
padre, farei, |
se fosse il vincere |
gli affetti miei |
opra sì facile |
per questo cor? |
|
SCENA IV |
|
AMIL. Regolo, al fin... |
REG. Senza che parli, intendo |
già le querele tue. Non ti sgomenti |
il moto popolar: Regolo in Roma |
vivo non resterà. |
AMIL. Non so di quali |
moti mi vai parlando. Io querelarmi |
teco non voglio. A sostenerti io venni |
che solo al Tebro in riva |
non nascono gli eroi, |
che vi sono alme grandi anche fra noi. |
REG. Sia. Non è questo il tempo |
d'inutili contese. I tuoi raccogli, |
t'appresta alla partenza. |
AMIL. No. Pria m'odi, e rispondi. |
REG. (Oh sofferenza!) |
AMIL. E` gloria l'esser grato? |
REG. L'esser grato è dover: ma già sì poco |
questo dover s'adempie, |
ch'oggi è gloria il compirlo. |
AMIL. E se il compirlo |
costasse un gran periglio? |
REG. Ha il merto allora |
d'un'illustre virtù. |
AMIL. Dunque non puoi |
questo merto negarmi. Odi. Mi rende, |
del proprio onor geloso, |
la mia Barce il tuo figlio, e pur l'adora: |
io generoso ancora |
vengo il padre a salvargli, e pur m'espongo |
di Cartago al furor. |
REG. Tu vuoi salvarmi! |
AMIL. Io. |
REG. Come? |
AMIL. A te lasciando |
agio a fuggir. Questi custodi ad arte |
allontanar farò. Tu cauto in Roma |
celati sol fin tanto |
che senza te con simulato sdegno |
quindi l'ancore io sciolga. |
REG. (Barbaro!) |
AMIL. E ben, che dici? |
ti sorprende l'offerta. |
REG. Assai. |
AMIL. L'avresti |
aspettata da me? |
REG. No. |
AMIL. Pur la sorte |
non ho d'esser roman. |
REG. Si vede. |
AMIL. Andate, |
custodi... |
REG. Alcun non parta. |
AMIL. Perché? |
REG. Grato io ti sono |
del buon voler; ma verrò teco. |
AMIL. E sprezzi |
la mia pietà? |
REG. No; ti compiango. Ignori |
che sia virtù. Mostrar virtù pretendi, |
e me, la patria tua, te stesso offendi. |
AMIL. Io! |
REG. Sì. Come disponi |
della mia libertà? Servo son io |
di Cartago, o di te? |
AMIL. Non è tuo peso |
l'esaminar se il benefizio... |
REG. E` grande |
il benefizio in ver! Rendermi reo, |
profugo, mentitor... |
AMIL. Ma qui si tratta |
del viver tuo. Sai che supplizi atroci |
Cartago t'apprestò? Sai quale scempio |
là si farà di te? |
REG. Ma tu conosci, |
Amilcare, i Romani? |
Sai che vivon d'onor? che questo solo |
è sprone all'opre lor, misura, oggetto? |
Senza cangiar d'aspetto |
qui s'impara a morir; qui si deride, |
pur che gloria produca, ogni tormento; |
e la sola viltà qui fa spavento. |
AMIL. Magnifiche parole, |
belle ad udir; ma inopportuno è meco |
quel fastoso linguaggio. Io so che a tutti |
la vita è cara, e che tu stesso... |
REG. Ah troppo |
di mia pazienza abusi. I legni appresta, |
raduna i tuoi seguaci, |
compisci il tuo dover, barbaro, e taci. |
AMIL. Fa pur l'intrepido, |
m'insulta audace, |
chiama pur barbara |
la mia pietà. |
Sul Tebro Amilcare |
t'ascolta e tace; |
ma presto in Africa |
risponderà. |
|
SCENA V |
|
REG. E Publio non ritorna! |
e Manlio... Aimè! Che rechi mai sì lieta, |
sì frettolosa, Attilia? |
ATT. Il nostro fato |
già dipende da te; già cambio o pace, |
fida a' consigli tuoi, |
Roma non vuol; ma rimaner tu puoi. |
REG. Sì, col rossor... |
ATT. No; su tal punto il sacro |
Senato pronunciò. L'arbitro sei |
di partir, di restar. "Giurasti in ceppi; |
né obbligar può se stesso |
chi libero non è". |
REG. Libero è sempre |
chi sa morir. La sua viltà confessa |
chi l'altrui forza accusa. |
Io giurai perché volli; |
voglio partir perché giurai. |
|
SCENA VI |
PUBLIO Ma in vano, |
signor, lo speri. |
REG. E chi potrà vietarlo? |
PUBLIO Tutto il popolo, o padre: è affatto ormai |
incapace di fren. Per impedirti |
il passaggio alle navi ognun s'affretta |
precipitando al porto; e son di Roma |
già l'altre vie deserte. |
REG. E Manlio? |
PUBLIO E` il solo |
che ardisca opporsi ancora |
al voto universal. Prega, minaccia; |
ma tutto inutilmente. Alcun non l'ode, |
non l'ubbidisce alcun. Cresce a momenti |
la furia popolar. Già su le destre |
ai pallidi littori |
treman le scuri; e non ritrova ormai |
in tumulto sì fiero |
esecutori il consolare impero. |
REG. Attilia, addio: Publio, mi siegui. |
ATT. E dove? |
REG. A soccorrer l'amico; il suo delitto |
a rinfacciare a Roma; a conservarmi |
l'onor di mie catene; |
a partire, o a spirar su queste arene. |
ATT. Ah padre! ah no! Se tu mi lasci... |
REG. Attilia, |
molto al nome di figlia, |
al sesso ed all'età fin or donai: |
basta; si pianse assai. Per involarmi |
d'un gran trionfo il vanto |
non congiuri con Roma anche il tuo pianto. |
ATT. Ah tal pena è per me... |
REG. Per te gran pena |
è il perdermi, lo so. Ma tanto costa |
l'onor d'esser romana. |
ATT. Ogni altri prova |
son pronta... |
REG. E qual? Co' tuoi consigli andrai |
forse fra i padri a regolar di Roma |
in Senato il destin? Con l'elmo in fronte |
forse i nemici a debellar pugnando |
fra l'armi suderai? Qualche disastro |
se a soffrir per la patria atta non sei |
senza viltà, dì, che farai per lei? |
ATT. E` ver. Ma tal costanza... |
REG. E` difficil virtù: ma Attilia al fine |
è mia figlia, e l'avrà. |
ATT. Sì, quanto io possa, |
gran genitor, t'imiterò. Ma... oh Dio! |
Tu mi lasci sdegnato: |
io perdei l'amor tuo. |
REG. No, figlia; io t'amo, |
io sdegnato non son. Prendine in pegno |
questo amplesso da me. Ma questo amplesso |
costanza, onor, non debolezza inspiri. |
ATT. Ah sei padre, mi lasci, e non sospiri! |
REG. Io son padre, e nol sarei |
se lasciassi a' figli miei |
un esempio di viltà. |
Come ogni altro ho core in petto; |
ma vassallo è in me l'affetto; |
ma tiranno in voi si fa. |
|
SCENA VII |
|
ATT. Su, costanza, o mio cor. Deboli affetti, |
sgombrate da quest'alma; inaridite |
ormai su queste ciglia, |
lagrime imbelli. Assai si pianse; assai |
si palpitò. La mia virtù natia |
sorga al paterno sdegno; |
ed Attilia non sia |
il ramo sol di sì gran pianta indegno. |
BARCE Attilia, è dunque ver? Dunque a dispetto |
del popol, del Senato, |
degli àuguri, di noi, del mondo intero |
Regolo vuol partir? |
ATT. Sì. |
BARCE Ma che insano |
furor? |
ATT. Più di rispetto, |
Barce, agli eroi. |
BARCE Come! del padre approvi |
l'ostinato pensier? |
ATT. Del padre adoro |
la costante virtù. |
BARCE Virtù che a' ceppi, |
che all'ire altrui, che a vergognosa morte |
certamente dovrà... |
ATT. Taci. Quei ceppi, |
quell'ire, quel morir del padre mio |
saran trionfi. |
BARCE E tu n'esulti? |
ATT. (Oh Dio!) |
BARCE Capir non so... |
ATT. Non può capir chi nacque |
in barbaro terren per sua sventura |
come al paterno vanto |
goda una figlia. |
BARCE E perché piangi intanto? |
ATT. Vuol tornar la calma in seno |
quando in lagrime si scioglie |
quel dolor che la turbò: |
come torna il ciel sereno, |
quel vapor, che i rai ci toglie, |
quando in pioggia si cangiò. |
|
SCENA VIII |
|
BARCE Che strane idee questa produce in Roma |
avidità di lode! Invidia i ceppi |
Manlio del suo rival: Regolo abborre |
la pubblica pietà: la figlia esulta |
nello scempio del padre! E Publio... Ah questo |
è caso in ver che ogni credenza eccede: |
e Publio ebro d'onor m'ama e mi cede! |
Ceder l'amato oggetto, |
né spargere un sospiro, |
sarà virtù; l'ammiro, |
ma non la curo in me. |
Di gloria un'ombra vana |
in Roma è il solo affetto; |
ma l'alma mia romana, |
lode agli dei, non è. |
SCENA IX |
|
LIC. No, che Regolo parta |
Roma non vuole. |
MAN. Ed il Senato ed io |
non siam parte di Roma? |
LIC. Il popol tutto |
è la maggior. |
MAN. Non la più sana. |
LIC. Almeno |
la men crudel. Noi conservar vogliamo |
pieni di gratitudine e d'amore |
a Regolo la vita. |
MAN. E noi l'onore. |
LIC. L'onor... |
MAN. Basta; io non venni |
a garrir teco. Olà: libero il varco |
lasci ciascuno. |
LIC. Olà: nessun si parta. |
MAN. Io l'impongo. |
LIC. Io lo vieto. |
MAN. Osa Licinio |
al console d'opporsi? |
LIC. Osa al tribuno |
d'opporsi Manlio? |
MAN. Or si vedrà. Littori, |
sgombrate il passo. |
LIC. Il passo |
difendete, o Romani. |
MAN. Oh dei! Con l'armi |
si resiste al mio cenno? In questa guisa |
la maestà... |
LIC. La maestade in Roma |
nel popolo risiede; e tu l'oltraggi |
contrastando con lui. |
POPOLO Regolo resti. |
MAN. Udite: |
lasciate che l'inganno io manifesti. |
POPOLO Resti Regolo. |
MAN. Ah voi... |
POPOLO Regolo resti. |
SCENA ULTIMA |
|
REG. "Regolo resti!" Ed io l'ascolto! Ed io |
creder deggio a me stesso! Una perfidia |
si vuol? Si vuole in Roma? |
si vuol da me? Quai popoli or produce |
questo terren! Sì vergognosi voti |
chi formò? chi nudrilli? |
Dove sono i nepoti |
de' Bruti, de' Fabrizi e de' Camilli? |
"Regolo resti!" Ah per qual colpa e quando |
meritai l'odio vostro? |
LIC. E` il nostro amore, |
signor, quel che pretende |
franger le tue catene. |
REG. E senza queste |
Regolo che sarà? Queste mi fanno |
de' posteri l'esempio, |
il rossor de' nemici, |
lo splendor della patria: e più non sono, |
se di queste mi privo, |
che uno schiavo spergiuro e fuggitivo. |
LIC. A perfidi giurasti, |
giurasti in ceppi; e gli àuguri... |
REG. Eh lasciamo |
all'Arabo ed al Moro |
questi d'infedeltà pretesti indegni. |
Roma a' mortali a serbar fede insegni. |
LIC. Ma che sarà di Roma, |
se perde il padre suo? |
REG. Roma rammenti |
che il suo padre è mortal; che al fin vacilla |
anch'ei sotto l'acciar; che sente al fine |
anch'ei le vene inaridir; che ormai |
non può versar per lei |
né sangue, né sudor; che non gli resta |
che finir da romano. Ah m'apre il Cielo |
una splendida via: de' giorni miei |
possa l'annoso stame |
troncar con lode; e mi volete infame! |
No, possibil non è: de' miei Romani |
conosco il cor. Da Regolo diverso |
pensar non può chi respirò nascendo |
l'aure del Campidoglio. Ognun di voi |
so che nel cor m'applaude; |
so che m'invidia e che fra' moti ancora |
di quel, che l'ingannò, tenero eccesso, |
fa voti al Ciel di poter far l'istesso. |
Ah non più debolezza. A terra, a terra |
quell'armi inopportune: al mio trionfo |
più non tardate il corso, |
o amici, o figli, o cittadini. Amico, |
favor da voi domando; |
esorto, cittadin; padre, comando. |
ATT. (Oh Dio! Ciascun già l'ubbidisce). |
PUBLIO (Oh Dio! |
ecco ogni destra inerme). |
LIC. Ecco sgombro il sentier. |
REG. Grazie vi rendo, |
propizi dei: libero è il passo. Ascendi, |
Amilcare, alle navi; |
io sieguo i passi tui. |
AMIL. (Al fin comincio ad invidiar costui). |
REG. Romani, addio. Siano i congedi estremi |
degni di noi. Lode agli dei, vi lascio, |
e vi lascio Romani. Ah conservate |
illibato il gran nome; e voi sarete |
gli arbitri della terra; e il mondo intero |
roman diventerà. Numi custodi |
di quest'almo terren, dee protettrici |
della stirpe d'Enea, confido a voi |
questo popol d'eroi: sian vostra cura |
questo suol, questi tetti e queste mura. |
Fate che sempre in esse |
la costanza, la fé, la gloria alberghi, |
la giustizia, il valore. E, se giammai |
minaccia al Campidoglio |
alcun astro maligno influssi rei, |
ecco Regolo, o dei: Regolo solo |
sia la vittima vostra; e si consumi |
tutta l'ira del Ciel sul capo mio: |
ma Roma illesa... Ah qui si piange! Addio. |
CORO DI ROMANI Onor di questa sponda, |
padre di Roma, addio. |
Degli anni e dell'obblio |
noi trionfiam per te. |
Ma troppo costa il vanto; |
Roma ti perde intanto; |
ed ogni età feconda |
di Regoli non è. |
|
FINE |
|