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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Dell'arte della Guerra

Niccolò Machiavelli

 [LIBRO PRIMO]

    

 

Proemio
di Niccolò Machiavegli, cittadino
e segretario fiorentino
sopr'al libro dell'arte della guerra
a Lorenzo di Filippo Strozzi
patrizio fiorentino.
Hanno, Lorenzo, molti tenuto e tengono questa opinione: che e' non sia cosa alcuna che minore convenienza abbia con un'altra, né che sia tanto dissimile, quanto la vita civile dalla militare. Donde si vede spesso, se alcuno disegna nello esercizio del soldo prevalersi, che subito, non solamente cangia abito, ma ancora ne' costumi, nelle usanze, nella voce e nella presenza da ogni civile uso si disforma; perché non crede potere vestire uno abito civile colui che vuole essere espedito e pronto a ogni violenza; né i civili costumi e usanze puote avere quello il quale giudica e quegli costumi essere effeminati e quelle usanze non favorevoli alle sue operazioni; né pare conveniente mantenere la presenza e le parole ordinarie a quello che con la barba e con le bestemmie vuole fare paura agli altri uomini, il che fa in questi tempi tale opinione essere verissima. Ma se si considerassono gli antichi ordini, non si troverebbono cose più unite più conformi e che, di necessità, tanto l'una amasse l'altra, quanto queste, perché tutte l'arti che si ordinano in una civiltà per cagione del bene comune degli uomini, tutti gli ordini fatti in quella per vivere con timore delle leggi e d'Iddio, sarebbono vani, se non fussono preparate le difese loro; le quali, bene ordinate mantengono quegli, ancora che non bene ordinati. E così, per il contrario, i buoni ordini, sanza il militare aiuto, non altrimenti si disordinano che l'abitazioni d'uno superbo e regale palazzo, ancora che ornate di gemme e d'oro, quando, sanza essere coperte, non avessono cosa che dalla pioggia le difendesse. E se in qualunque altro ordine delle cittadi e de' regni si usava ogni diligenza per mantenere gli uomini fedeli, pacifici e pieni del timore d'Iddio nella milizia si raddoppiava, perché in quale uomo debbe ricercare la patria maggiore fede, che in colui che le ha a promettere di morire per lei? In quale debbe essere più amore di pace, che in quello che solo dalla guerra puote essere offeso? In quale debbe essere più timore d'Iddio, che in colui che ogni dì, sottomettendosi a infiniti pericoli, ha più bisogno degli aiuti suoi? Questa necessità considerata bene, e da coloro che davano le leggi agli imperii, e da quegli che agli esercizi militari erano preposti, faceva che la vita de' soldati dagli altri uomini era lodata e con ogni studio seguitata e imitata. Ma per essere gli ordini militari al tutto corrotti e, di gran lunga, dagli antichi modi separati, ne sono nate queste sinistre opinioni, che fanno odiare la milizia e fuggire la conversazione di coloro che la esercitano. E giudicando io, per quello che io ho veduto e letto, ch'e' non sia impossibile ridurre quella negli antichi modi e renderle qualche forma della passata virtù, diliberai, per non passare questi mia oziosi tempi sanza operare alcuna cosa, di scrivere, a sodisfazione di quegli che delle antiche azioni sono amatori, della arte della guerra quello che io ne intenda. E benché sia cosa animosa trattare di quella materia della quale altri non ne abbia fatto professione, nondimeno io non credo sia errore occupare con le parole uno grado il quale molti, con maggiore prosunzione, con le opere hanno occupato; perché gli errori che io facessi, scrivendo, possono essere sanza danno d'alcuno corretti, ma quegli i quali da loro sono fatti, operando, non possono essere, se non con la rovina degli imperii, conosciuti. Voi pertanto, Lorenzo, considererete le qualità di queste mie fatiche e darete loro, con il vostro giudicio, quel biasimo o quella lode la quale vi parrà ch'elle abbiano meritato. Le quali a voi mando sì per dimostrarmi grato, ancora che la mia possibilità non vi aggiunga, de' benefizi ho ricevuto da voi, sì ancora, perché essendo consuetudine onorare di simili opere coloro i quali per nobiltà, ricchezze, ingegno e liberalità risplendono, conosco voi di ricchezze e nobiltà non avere molti pari, d'ingegno pochi e di liberalità niuno.

LIBRO PRIMO
Perché io credo che si possa lodare dopo la morte ogni uomo, sanza carico, sendo mancata ogni cagione e sospetto di adulazione, non dubiterò di lodare Cosimo Rucellai nostro, il nome del quale non fia mai ricordato da me sanza lagrime, avendo conosciute in lui quelle parti le quali, in uno buono amico dagli amici, in uno cittadino dalla sua patria si possono disiderare. Perché io non so quale cosa si fusse tanto sua (non eccettuando, non ch'altro, l'anima) che per gli amici volentieri da lui non fusse stata spesa; non so quale impresa lo avesse sbigottito, dove quello avesse conosciuto il bene della sua patria. E io confesso, liberamente, non avere riscontro, tra tanti uomini che io ho conosciuti e pratichi, uomo nel quale fusse il più acceso animo alle cose grandi e magnifiche. Né si dolse con gli amici d'altro, nella sua morte, se non di essere nato per morire giovane dentro alle sue case e inonorato, sanza avere potuto secondo l'animo suo giovare ad alcuno perché sapeva che di lui non si poteva parlare altro, se non che fusse morto uno buono amico. Non resta però, per questo, che noi, e qualunque altro che come noi lo conosceva, non possiamo fare fede, poi che l'opere non appariscono, delle sue lodevoli qualità. Vero è che non gli fu però in tanto la fortuna nimica, che non lasciasse alcun breve ricordo della destrezza del suo ingegno, come ne dimostrano alcuni suoi scritti e composizioni di amorosi versi; ne' quali, come che innamorato non fusse, per non consumare il tempo invano, tanto che a più alti pensieri la fortuna lo avesse condotto, nella sua giovenile età si esercitava, dove chiaramente si può comprendere con quanta felicità i suoi concetti descrivesse, e quanto nella poetica si fusse onorato, se quella, per suo fine, fusse da lui stata esercitata. Avendone pertanto privati la fortuna dello uso d'uno tanto amico, mi pare che non si possa farne altri rimedi che, il più che a noi è possibile cercare, di godersi la memoria di quello e repetere se da lui alcuna cosa fusse stata o acutamente detta o saviamente disputata. E perché non è cosa di lui più fresca, che il ragionamento il quale ne' prossimi tempi il signore Fabrizio Colonna dentro a' suoi orti ebbe con seco (dove largamente fu da quel signore delle cose della guerra disputato, e acutamente e prudentemente in buona parte da Cosimo domandato); mi è parso, essendo con alcuni altri nostri amici stato presente, ridurlo alla memoria, acciò che, leggendo quello, gli amici di Cosimo che quivi convennono, nel loro animo la memoria delle sue virtù rinfreschino, e gli altri, parte si dolgano di non vi essere intervenuti, parte molte cose utili alla vita non solamente militare, ma ancora civile, saviamente da uno sapientissimo uomo disputate, imparino.
Dico pertanto che, tornando Fabrizio Colonna di Lombardia, dove più tempo aveva per il re cattolico con grande sua gloria militato, diliberò, passando per Firenze, riposarsi alcuno giorno in quella città, per vicitare la eccellenza del duca e rivedere alcuni gentili uomini co' quali per lo addietro aveva tenuto qualche familiarità. Donde che a Cosimo parve convitarlo ne' suoi orti, non tanto per usare la sua liberalità quanto per avere cagione di parlar seco lungamente, e da quello intendere ed imparare varie cose, secondo che da un tale uomo si può sperare, parendogli avere occasione di spendere uno giorno in ragionare di quelle materie che allo animo suo sodisfacevano. Venne adunque Fabrizio, secondo che quello volle, e da Cosimo insieme con alcuni altri suoi fidati amici fu ricevuto, tra' quali furono Zanobi Buondelmonti, Batista della Palla e Luigi Alamanni, giovani tutti amati da lui e de' medesimi studi ardentissimi, le buone qualità de' quali, perché ogni giorno e ad ogni ora per se medesime si lodano, ommettereno. Fabrizio adunque fu, secondo i tempi e il luogo, di tutti quegli onori che si poterono maggiori onorato; ma passati i convivali piaceri e levate le tavole e consumato ogni ordine di festeggiare, il quale, nel conspetto degli uomini grandi e che a pensieri onorevoli abbiano la mente volta si consuma tosto, essendo il dì lungo e il caldo molto, giudicò Cosimo, per sodisfare meglio al suo disiderio, che fusse bene, pigliando l'occasione dal fuggire il caldo, condursi nella più segreta e ombrosa parte del suo giardino. Dove pervenuti e posti a sedere, chi sopra all'erba che in quel luogo è freschissima, chi sopra a sedili in quelle parti ordinati sotto l'ombra d'altissimi arbori, lodò Fabrizio il luogo come dilettevole; e considerando particolarmente gli arbori e alcuno di essi non ricognoscendo stava con l'animo sopeso. Della qual cosa accortosi Cosimo, disse: - Voi per avventura non avete notizia di parte di questi arbori; ma non ve ne maravigliate, perché ce ne sono alcuni più dagli antichi, che oggi dal comune uso, celebrati. - E dettogli il nome di essi, e come Bernardo suo avolo in tale cultura si era affaticato, replicò Fabrizio: - Io pensava che fusse quello che voi dite e questo luogo e questo studio mi faceva ricordare d'alcuni principi del Regno, i quali di queste antiche culture e ombre si dilettano. - E fermato in su questo il parlare e stato alquanto sopra di sé come sospeso, soggiunse: - Se io non credessi offendere, io ne direi la mia opinione; ma io non lo credo fare, parlando con gli amici, e per disputare le cose e non per calunniarle. Quanto meglio arebbono fatto quelli, sia detto con pace di tutti, a cercare di somigliare gli antichi nelle cose forti e aspre, non nelle delicate e molli, e in quelle che facevano sotto il sole, non sotto l'ombra, e pigliare i modi della antichità vera e perfetta, non quelli della falsa e corrotta; perché, poi che questi studi piacquero ai miei Romani, la mia patria rovinò. - A che Cosimo rispose... Ma per fuggire i fastidi d'avere a repetere tante volte "quel disse e quello altro soggiunse", si noteranno solamente i nomi di chi parli, sanza replicarne altro. Disse dunque
COSIMO Voi avete aperto la via a uno ragionamento quale io desiderava, e vi priego che voi parliate sanza rispetto, perché io sanza rispetto vi domanderò; e se io, domandando o replicando, scuserò o accuserò alcuno, non sarà per scusare o per accusare, ma per intendere da voi la verità.
FABRIZIO E io sarò molto contento di dirvi quel che io intenderò di tutto quello mi domanderete; il che se sarà vero o no, me ne rapporterò al vostro giudicio. E mi sarà grato mi domandiate; perché io sono per imparare così da voi nel domandarmi, come voi da me nel rispondervi; perché molte volte uno savio domandatore fa a uno considerare molte cose e conoscerne molte altre, le quali, sanza esserne domandato, non arebbe mai conosciute.
COSIMO Io voglio tornare a quello che voi dicesti prima: che lo avolo mio e quegli vostri arebbero fatto più saviamente a somigliare gli antichi nelle cose aspre che nelle delicate; e voglio scusare la parte mia, perché l'altra lascerò scusare a voi. Io non credo ch'egli fusse, ne' tempi suoi, uomo che tanto detestasse il vivere molle quanto egli, e che tanto fusse amatore di quella asprezza di vita che voi lodate; nondimeno e' conosceva non potere nella persona sua, né in quella de' suoi figliuoli, usarla, essendo nato in tanta corruttela di secolo, dove uno che si volesse partire dal comune uso, sarebbe infame e vilipeso da ciascheduno. Perché se uno ignudo, di state, sotto il più alto sole si rivoltasse sopr'alla rena, o di verno ne' più gelati mesi sopra alla neve, come faceva Diogene, sarebbe tenuto pazzo. Se uno, come gli Spartani, nutrisse i suoi figliuoli in villa, facessegli dormire al sereno, andare col capo e co' piedi ignudi, lavare nell'acqua fredda per indurgli a poter sopportare il male e per fare loro amare meno la vita e temere meno la morte, sarebbe schernito e tenuto piuttosto una fiera che uno uomo. Se fusse ancora veduto uno nutrirsi di legumi e spregiare l'oro, come Fabrizio, sarebbe lodato da pochi e seguito da niuno. Tal che, sbigottito da questi modi del vivere presente, egli lasciò gli antichi, e in quello che potette con minore ammirazione imitare l'antichità, lo fece.
FABRIZIO Voi lo avete scusato in questa parte gagliardamente, e certo voi dite il vero; ma io non parlava tanto di questi modi di vivere duri, quanto di altri modi più umani e che hanno con la vita d'oggi maggiore conformità; i quali io non credo che ad uno che sia numerato tra' principi d'una città, fusse stato difficile introdurgli. Io non mi partirò mai, con lo esemplo di qualunque cosa, da' miei Romani. Se si considerasse la vita di quegli e l'ordine di quella republica, si vedrebbero molte cose in essa non impossibili ad introdurre in una civilità dove fusse qualche cosa ancora del buono.
COSIMO Quali cose sono quelle che voi vorresti introdurre simili all'antiche?
FABRIZIO Onorare e premiare le virtù, non dispregiare la povertà, stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, constringere i cittadini ad amare l'uno l'altro, a vivere sanza sètte, a stimare meno il privato che il publico, e altre simili cose che facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare. I quali modi non sono difficili persuadere, quando vi si pensa assai ed entrasi per li debiti mezzi, perché in essi appare tanto la verità, che ogni comunale ingegno ne puote essere capace; la quale cosa chi ordina, planta arbori sotto l'ombra de' quali si dimora più felice e più lieto che sotto questa.
COSIMO Io non voglio replicare, a quello che voi avete detto, alcuna cosa, ma ne voglio lasciare dare giudicio a questi, i quali facilmente ne possono giudicare; e volgerò il mio parlare a voi, che siete accusatore di coloro che nelle gravi e grandi azioni non sono degli antichi imitatori, pensando, per questa via, più facilmente essere nella mia intenzione sodisfatto. Vorrei pertanto sapere da voi, donde nasce che dall'un canto voi danniate quegli che nelle azioni loro gli antichi non somigliano; dall'altro, nella guerra, la quale è l'arte vostra e in quella che voi siete giudicato eccellente, non si vede che voi abbiate usato alcuno termine antico, o che a quegli alcuna similitudine renda.
FABRIZIO Voi siete capitato appunto dove io vi aspettava, perché il parlare mio non meritava altra domanda, né io altra ne desiderava. E benché io mi potessi salvare con una facile scusa, nondimeno voglio entrare, a più sodisfazione mia e vostra, poi che la stagione lo comporta, in più lungo ragionamento. Gli uomini che vogliono fare una cosa, deono prima con ogni industria prepararsi, per essere, venendo l'occasione, apparecchiati a sodisfare a quello che si hanno presupposto di operare. E perché, quando le preparazioni sono fatte cautamente elle non si conoscono, non si può accusare alcuno d'alcuna negligenza, se prima non è scoperto dalla occasione; nella quale poi, non operando, si vede o che non si è preparato tanto che basti, o che non vi ha in alcuna parte pensato. E perché a me non è venuta occasione alcuna di potere mostrare i preparamenti da me fatti per potere ridurre la milizia negli antichi suoi ordini, se io non la ho ridotta, non ne posso essere da voi né da altri incolpato. Io credo che questa scusa basterebbe per risposta all'accusa vostra.
COSIMO Basterebbe, quando io fussi certo che l'occasione non fusse venuta.
FABRIZIO Ma perché io so che voi potete dubitare se questa occasione è venuta o no, voglio io largamente, quando voi vogliate con pazienza ascoltarmi discorrere quali preparamenti sono necessarii prima fare, quale occasione bisogna nasca, quale difficultà impedisce che i preparamenti non giovano e che l'occasione non venga; e come questa cosa a un tratto, che paiono termini contrarii, è difficilissima e facilissima a fare.
COSIMO Voi non potete fare, e a me e a questi altri, cosa più grata di questa; e se a voi non rincrescerà il parlare, mai a noi non rincrescerà l'udire. Ma perché questo ragionamento debbe esser lungo, io voglio aiuto da questi miei amici con licenza vostra; e loro e io vi preghiamo d'una cosa che voi non pigliate fastidio se qualche volta, con qualche domanda importuna, vi interrompereno.
FABRIZIO Io sono contentissimo che voi, Cosimo, con questi altri giovani qui mi domandiate, perché io credo che la gioventù vi faccia più amici delle cose militari e più facili a credere quello che da me si dirà. Questi altri, per aver già il capo bianco e avere i sangui ghiacciati addosso, parte sogliono essere nimici della guerra, parte incorreggibili, come quegli che credono che i tempi e non i cattivi modi costringano gli uomini a vivere così. Sì che domandatemi tutti voi sicuramente e sanza rispetto; il che io disidero, sì perché mi fia un poco di riposo, sì perché io arò piacere non lasciare nella mente vostra alcuna dubitazione. Io mi voglio cominciare dalle parole vostre, dove voi mi dicesti che nella guerra, che è l'arte mia, io non aveva usato alcun termine antico. Sopra a che dico come, essendo questa una arte mediante la quale gli uomini d'ogni tempo non possono vivere onestamente, non la può usare per arte se non una republica o uno regno; e l'uno e l'altro di questi, quando sia bene ordinato, mai non consentì ad alcuno suo cittadino o suddito usarla per arte; né mai alcuno uomo buono l'esercitò per sua particulare arte. Perché buono non sarà mai giudicato colui che faccia uno esercizio che, a volere d'ogni tempo trarne utilità, gli convenga essere rapace, fraudolento, violento e avere molte qualitadi le quali di necessità lo facciano non buono; né possono gli uomini che l'usano per arte, così i grandi come i minimi, essere fatti altrimenti, perché questa arte non gli nutrisce nella pace; donde che sono necessitati o pensare che non sia pace, o tanto prevalersi ne' tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi. E qualunque l'uno di questi due pensieri non cape in uno uomo buono; perché dal volersi potere nutrire d'ogni tempo, nascono le ruberie, le violenze, gli assassinamenti che tali soldati fanno così agli amici come a' nimici; e dal non volere la pace nascono gli inganni che i capitani fanno a quegli che gli conducono, perché la guerra duri; e se pure la pace viene, spesso occorre che i capi, sendo privi degli stipendi e del vivere, licenziosamente rizzano una bandiera di ventura e sanza alcuna piatà saccheggiano una provincia. Non avete voi nella memoria delle cose vostre come, trovandosi assai soldati in Italia sanza soldo per essere finite le guerre, si ragunarono insieme più brigate, le quali si chiamarono Compagnie, e andavano taglieggiando le terre e saccheggiando il paese, sanza che vi si potesse fare alcuno rimedio? Non avete voi letto che i soldati cartaginesi, finita la prima guerra ch'egli ebbero co' Romani, sotto Mato e Spendio, due capi fatti tumultuariamente da loro, ferono più pericolosa guerra a' Cartaginesi che quella che loro avevano finita co' Romani? Ne' tempi de' padri nostri, Francesco Sforza, per potere vivere onorevolmente ne' tempi della pace, non solamente ingannò i Milanesi de' quali era soldato, ma tolse loro la libertà e divenne loro principe. Simili a costui sono stati tutti gli altri soldati di Italia, che hanno usata la milizia per loro particolare arte; e se non sono, mediante le loro malignitadi, diventati duchi di Milano, tanto più meritano di essere biasimati, perché sanza tanto utile hanno tutti, se si vedesse la vita loro, i medesimi carichi. Sforza, padre di Francesco, costrinse la reina Giovanna a gittarsi nelle braccia del re di Ragona, avendola in un subito abbandonata e in mezzo a' suoi nimici lasciatala disarmata, solo per sfogare l'ambizione sua o di taglieggiarla o di torle il regno. Braccio, con le medesime industrie, cercò di occupare il regno di Napoli, e se non era rotto e morto a l'Aquila, gli riusciva. Simili disordini non nascono da altro che da essere stati uomini che usavano lo esercizio del soldo per loro propria arte. Non avete voi uno proverbio il quale fortifica le mie ragioni, che dice: "La guerra fa i ladri, e la pace gl'impicca?". Perché quegli che non sanno vivere d'altro esercizio, e in quello non trovando chi gli sovvenga e non avendo tanta virtù che sappiano ridursi insieme a fare una cattività onorevole, sono forzati dalla necessità rompere la strada, e la giustizia è forzata spegnerli.
COSIMO Voi m'avete fatto tornare questa arte del soldo quasi che nulla, e io me la aveva presupposta la più eccellente e la più onorevole che si facesse; in modo che, se voi non me la dichiarate meglio, io non resto sodisfatto, perché, quando sia quello che voi dite, io non so donde si nasca la gloria di Cesare, di Pompeo, di Scipione, di Marcello, e di tanti capitani romani che sono per fama celebrati come dii.
FABRIZIO Io non ho ancora finito di disputare tutto quello che io proposi, che furono due cose: l'una, che uno uomo buono non poteva usare questo esercizio per sua arte; l'altra, che una republica o uno regno bene ordinato non permesse mai che i suoi suggetti o i suoi cittadini la usassono per arte. Circa la prima ho parlato quanto mi è occorso, restami a parlare della seconda, dove io verrò a rispondere a questa ultima domanda vostra, e dico che Pompeo e Cesare, e quasi tutti quegli capitani che furono a Roma dopo l'ultima guerra cartaginese, acquistarono fama come valenti uomini, non come buoni; e quegli che erano vivuti avanti a loro, acquistarono gloria come valenti e buoni. Il che nacque perché questi non presero lo esercizio della guerra per loro arte, e quegli che io nominai prima, come loro arte la usarono. E in mentre che la republica visse immaculata, mai alcuno cittadino grande non presunse, mediante tale esercizio, valersi nella pace, rompendo le leggi, spogliando le provincie, usurpando e tiranneggiando la patria e in ogni modo prevalendosi; né alcuno d'infima fortuna pensò di violare il sacramento, aderirsi agli uomini privati, non temere il senato, o seguire alcuno tirannico insulto per potere vivere, con l'arte della guerra, d'ogni tempo. Ma quegli che erano capitani, contenti del trionfo, con disiderio tornavono alla vita privata; e quelli che erano membri, con maggior voglia deponevano le armi che non le pigliavano; e ciascuno tornava all'arte sua mediante la quale si aveva ordinata la vita; né vi fu mai alcuno che sperasse con le prede e con questa arte potersi nutrire. Di questo se ne può fare, quanto a' cittadini grandi, evidente coniettura mediante Regolo Attilio, il quale, sendo capitano degli eserciti romani in Affrica e avendo quasi che vinti i Cartaginesi, domandò al senato licenza di ritornarsi a casa a custodire i suoi poderi che gli erano guasti dai suoi lavoratori. Donde è più chiaro che il sole, che, se quello avesse usata la guerra come sua arte e, mediante quella, avesse pensato farsi utile, avendo in preda tante provincie, non arebbe domandato licenza per tornare a custodire i suoi campi; perché ciascuno giorno arebbe molto più, che non era il prezzo di tutti quegli, acquistato. Ma perché questi uomini buoni, e che non usano la guerra per loro arte, non vogliono trarre di quella se non fatica, pericoli e gloria, quando e' sono a sufficienza gloriosi disiderano tornarsi a casa e vivere dell'arte loro. Quanto agli uomini bassi e soldati gregarii, che sia vero che tenessono il medesimo ordine apparisce, che ciascuno volentieri si discostava da tale esercizio e, quando non militava, arebbe voluto militare e, quando militava, arebbe voluto essere licenziato. Il che si riscontra per molti modi, e massime vedendo come, tra' primi privilegi che dava il popolo romano a un suo cittadino, era che non fusse constretto fuora di sua volontà a militare. Roma pertanto, mentre ch'ella fu bene ordinata (che fu infino a' Gracchi) non ebbe alcuno soldato che pigliasse questo esercizio per arte; e però ne ebbe pochi cattivi, e quelli tanti furono severamente puniti. Debbe adunque una città bene ordinata volere che questo studio di guerra si usi ne' tempi di pace per esercizio e ne' tempi di guerra per necessità e per gloria, e al publico solo lasciarla usare per arte, come fece Roma. E qualunque cittadino che ha in tale esercizio altro fine, non è buono; e qualunque città si governa altrimenti, non è bene ordinata.
COSIMO Io resto contento assai e sodisfatto di quello che insino a qui avete detto, e piacemi assai questa conclusione che voi avete fatta; e quanto si aspetta alla republica, io credo ch'ella sia vera; ma quanto ai re, non so già, perché io crederrei che uno re volesse avere intorno chi particolarmente prendesse, per arte sua, tale esercizio.
FABRIZIO Tanto più debbe uno regno bene ordinato fuggire simili artefici, perché solo essi sono la corruttela del suo re e, in tutto, ministri della tirannide. E non mi allegate all'incontro alcuno regno presente, perché io vi negherò quelli essere regni bene ordinati. Perché i regni che hanno buoni ordini, non danno lo imperio assoluto agli loro re se non nelli eserciti; perché in questo luogo solo è necessaria una subita diliberazione e, per questo, che vi sia una unica podestà. Nell'altre cose non può fare alcuna cosa sanza consiglio; e hanno a temere, quegli che lo consigliano, che gli abbi alcuno appresso che ne' tempi di pace disideri la guerra, per non potere sanza essa vivere. Ma io voglio in questo essere un poco più largo, né ricercare uno regno al tutto buono, ma simile a quegli che sono oggi; dove ancora da' re deono esser temuti quegli che prendono per loro arte la guerra, perché il nervo degli eserciti, sanza alcun dubbio, sono le fanterie. Tal che, se uno re non si ordina in modo che i suoi fanti a tempo di pace stieno contenti tornarsi a casa e vivere delle loro arti, conviene di necessità che rovini; perché non si truova la più pericolosa fanteria che quella che è composta di coloro che fanno la guerra come per loro arte, perché tu sei forzato o a fare sempre mai guerra, o a pagargli sempre, o a portare pericolo che non ti tolgano il regno. Fare guerra sempre non è possibile; pagargli sempre non si può; ecco che di necessità si corre ne' pericoli di perdere lo stato. I miei Romani, come ho detto, mentre che furono savi e buoni, mai non permessero che i loro cittadini pigliassono questo esercizio per loro arte, non ostante che potessono nutrirgli d'ogni tempo, perché d'ogni tempo fecero guerra. Ma per fuggire quel danno che poteva fare loro questo continuo esercizio, poiché il tempo non variava, ei variavano gli uomini, e andavano temporeggiando in modo con le loro legioni, che in quindici anni sempre l'avevano rinnovate; e così si valevano degli uomini nel fiore della loro età, che è da diciotto a' trentacinque anni, nel qual tempo le gambe, le mani e l'occhio rispondevano l'uno all'altro; né aspettavano che in loro scemasse le forze e crescesse la malizia, com'ella fece poi ne' tempi corrotti. Perché Ottaviano, prima, e poi Tiberio, pensando più alla potenza propria che all'utile publico, cominciarono a disarmare il popolo romano per poterlo più facilmente comandare, e a tenere continuamente quegli medesimi eserciti alle frontiere dello Imperio. E perché ancora non giudicarono bastassero a tenere in freno il popolo e senato romano, ordinarono uno esercito chiamato Pretoriano, il quale stava propinquo alle mura di Roma ed era come una rocca addosso a quella città. E perché allora ei cominciarono liberamente a permettere che gli uomini deputati in quelli eserciti usassero la milizia per loro arte, ne nacque subito la insolenza di quegli, e diventarono formidabili al senato e dannosi allo imperadore; donde ne risultò che molti ne furono morti dalla insolenza loro, perché davano e toglievano l'imperio a chi pareva loro; e talvolta occorse che in uno medesimo tempo erano molti imperadori creati da varii eserciti. Dalle quali cose procedé, prima, la divisione dello Imperio e, in ultimo, la rovina di quello. Deono pertanto i re, se vogliono vivere sicuri, avere le loro fanterie composte di uomini che, quando egli è tempo di fare guerra, volentieri per suo amore vadano a quella, e, quando viene poi la pace, più volentieri se ne ritornino a casa. Il che sempre fia, quando egli scerrà uomini che sappiano vivere d'altra arte che di questa. E così debbe volere, venuta la pace, che i suoi principi tornino a governare i loro popoli, i gentili uomini al culto delle loro possessioni, e i fanti alla loro particolare arte: e ciascuno d'essi faccia volentieri la guerra per avere pace, e non cerchi turbare la pace per avere guerra.
COSIMO Veramente questo vostro ragionamento mi pare bene considerato; nondimeno, sendo quasi che contrario a quello che io insino a ora ne ho pensato, non mi resta ancora l'animo purgato d'ogni dubbio; perché io veggo assai signori e gentili uomini nutrirsi a tempo di pace mediante gli studii della guerra, come sono i pari vostri che hanno provvisioni dai principi e dalle comunità. Veggo ancora quasi tutti gli uomini d'arme rimanere con le provvisioni loro; veggo assai fanti restare nelle guardie delle città e delle fortezze, tale che mi pare che ci sia luogo, a tempo di pace, per ciascuno.
FABRIZIO Io non credo che voi crediate questo, che a tempo di pace ciascheduno abbia luogo; perché, posto che non se ne potesse addurre altra ragione, il poco numero che fanno tutti coloro che rimangono ne' luoghi allegati da voi, vi risponderebbe: che proporzione hanno le fanterie che bisognano nella guerra, con quelle che nella pace si adoperano? Perché le fortezze e le città che si guardano a tempo di pace, nella guerra si guardano molto più; a che si aggiungono i soldati che si tengono in campagna, che sono un numero grande, i quali tutti nella pace si abbandonano. E circa le guardie degli stati, che sono uno piccolo numero, papa Iulio e voi avete mostro a ciascuno quanto sia da temere quegli che non vogliono sapere fare altra arte che la guerra; e gli avete per la insolenza loro privi delle vostre guardie e postovi Svizzeri, come nati e allevati sotto le leggi e eletti dalle comunità, secondo la vera elezione; sì che non dite più che nella pace sia luogo per ogni uomo. Quanto alle genti d'arme rimanendo quelle nella pace tutte con li loro soldi, pare questa soluzione più difficile; nondimeno, chi considera bene tutto, truova la risposta facile, perché questo modo del tenere le genti d'arme è modo corrotto e non buono. La cagione è perché sono uomini che ne fanno arte, e da loro nascerebbe ogni dì mille inconvenienti nelli stati dove ei fussono, se fussero accompagnati da compagnia sufficiente, ma sendo pochi e non potendo per loro medesimi fare un esercito, non possono fare così spesso danni gravi. Nondimeno ne hanno fatti assai volte, come io vi dissi di Francesco e di Sforza, suo padre e di Braccio da Perugia. Sì che questa usanza di tenere le genti d'arme, io non la appruovo, ed è corrotta e può fare inconvenienti grandi.
COSIMO Vorresti voi fare sanza? o, tenendone, come le vorresti tenere?
FABRIZIO Per via d'ordinanza; non simile a quella del re di Francia, perch'ella è pericolosa ed insolente come la nostra, ma simile a quelle degli antichi; i quali creavano la cavalleria di sudditi loro, e ne' tempi di pace gli mandavano alle case loro a vivere delle loro arti, come più largamente, prima finisca questo ragionamento, disputerò. Sì che, se ora questa parte di esercito può vivere in tale esercizio, ancora quando sia pace, nasce dall'ordine corrotto. Quanto alle provvisioni che si riserbano a me e agli altri capi, vi dico che questo medesimamente è uno ordine corrottissimo; perché una savia republica non le debbe dare ad alcuno; anzi debbe operare per capi, nella guerra, i suoi cittadini e, a tempo di pace, volere che ritornino all'arte loro. Così ancora uno savio re o e' non le debbe dare o, dandole, debbono essere le cagioni: o per premio di alcuno egregio fatto, o per volersi valere d'uno uomo così nella pace come nella guerra. E perché voi allegasti me, io voglio esemplificare sopra di me; e dico non aver mai usata la guerra per arte, perché l'arte mia è governare i miei sudditi e defendergli, e per potergli defendere, amare la pace e saper fare la guerra. Ed il mio re non tanto mi premia e stima per intendermi io della guerra, quanto per sapere io ancora consigliarlo nella pace. Non debbe adunque alcuno re volere appresso di sé alcuno che non sia così fatto s'egli è savio e prudentemente si voglia governare; perché, s'egli arà intorno, o troppi amatori della pace, o troppi amatori della guerra, lo faranno errare. Io non vi posso, in questo mio primo ragionamento e secondo le proposte mie, dire altro; e quando questo non vi basti, conviene cerchiate di chi vi sodisfaccia meglio. Potete bene avere cominciato a conoscere quanta difficultà sia ridurre i modi antichi nelle presenti guerre, e quali preparazioni ad uno uomo savio conviene fare, e quali occasioni si possa sperare a poterle esequire; ma voi di mano in mano conoscerete queste cose meglio, quando non vi infastidisca il ragionamento, conferendo qualunque parte degli antichi ordini ai modi presenti.
COSIMO Se noi desideravamo prima di udirvi ragionare di queste cose, veramente quello che infino ad ora ne avete detto, ne ha raddoppiato il disiderio; pertanto noi vi ringraziamo di quel che noi avemo avuto, e il restante vi domandiamo.
FABRIZIO Poiché così vi è in piacere, io voglio cominciare a trattare questa materia da principio, acciò meglio s'intenda, potendosi per quel modo più largamente dimostrare. Il fine di chi vuole fare guerra è potere combattere con ogni nimico alla campagna e potere vincere una giornata. A volere far questo, conviene ordinare uno esercito. A ordinare lo esercito, bisogna trovare gli uomini, armargli, ordinargli, e ne' piccoli e ne' grossi ordini esercitargli, alloggiargli, e al nimico di poi, o stando o camminando, rappresentargli. In queste cose consiste tutta la industria della guerra campale, che è la più necessaria e la più onorata. E chi sa bene presentare al nimico una giornata, gli altri errori che facesse ne' maneggi della guerra sarebbono sopportabili; ma chi manca di questa disciplina, ancora che negli altri particolari valesse assai, non condurrà mai una guerra a onore; perché una giornata che tu vinca, cancella ogni altra tua mala azione; così medesimamente, perdendola, restono vane tutte le cose bene da te avanti operate. Sendo pertanto necessario prima trovare gli uomini, conviene venire al deletto di essi, ché così lo chiamavano gli antichi; il che noi diremmo scelta, ma, per chiamarlo per nome più onorato, io voglio gli serviamo il nome del deletto. Vogliono coloro che alla guerra hanno dato regole, che si eleggano gli uomini de' paesi temperati, acciò ch'egli abbino animo e prudenza; perché il paese caldo gli genera prudenti e non animosi, il freddo animosi e non prudenti. Questa regola è bene data a uno che sia principe di tutto il mondo e, per questo, gli sia lecito trarre gli uomini di quegli luoghi che a lui verrà bene; ma volendo darne una regola che ciascun possa usarla, conviene dire che ogni republica e ogni regno debbe scerre i soldati de' paesi suoi, o caldi o freddi o temperati che si sieno. Per che si vede, per gli antichi esempli, come in ogni paese con lo esercizio si fa buoni soldati; perché, dove manca la natura, sopperisce la 'ndustria, la quale in questo caso vale più che la natura. Ed eleggendogli in altri luoghi, non si può chiamare deletto, perché deletto vuol dire tòrre i migliori d'una provincia e avere potestà di eleggere quegli che non vogliono, come quegli che vogliono, militare. Non si può pertanto fare questo deletto se non ne' luoghi a te sottoposti, perché tu non puoi tòrre chi tu vuoi ne' paesi che non sono tuoi, ma ti bisogna prendere quelli che vogliono.
COSIMO E' si può pure di quelli che voglion venire, torne e lasciarne; e per questo si può chiamare deletto.
FABRIZIO Voi dite il vero in uno certo modo; ma considerate i difetti che ha tale deletto in sé, perché ancora molte volte occorre che non è deletto. La prima cosa: quegli che non sono tuoi sudditi e che voluntarii militano, non sono de' migliori, anzi sono de' più cattivi d'una provincia; perché se alcuni vi sono scandolosi, oziosi, sanza freno, sanza religione, fuggitisi dallo imperio del padre, bestemmiatori, giucatori, in ogni parte male nutriti, sono quegli che vogliono militare; i quali costumi non possono essere più contrarii a una vera e buona milizia. Quando di tali uomini ti se ne offerisce tanti che te ne avanzi al numero che tu hai disegnato, tu puoi eleggergli; ma, sendo la materia cattiva, non è possibile che il deletto sia buono. Ma molte volte interviene che non sono tanti ch'egli adempino il numero di che tu hai bisogno; tal che, sendo forzato prendergli tutti, ne nasce che non si può chiamare più fare deletto ma soldare fanti. Con questo disordine si fanno oggi gli eserciti in Italia e altrove eccetto che nella Magna, perché non si solda alcuno per comandamento del principe, ma secondo la volontà di chi vuole militare. Pensate adunque ora voi che modi di quegli antichi eserciti si possano introdurre in uno esercito di uomini messi insieme per simile via.
COSIMO Quale via si arebbe a tenere adunque?
FABRIZIO Quella che io dissi: scergli di suoi suggetti e con l'autorità del principe.
COSIMO Negli scelti così introdurrebbesi alcuna antica forma?
FABRIZIO Ben sapete che sì, quando chi li comandasse fusse loro principe o signore ordinario, quando fusse principato; o come cittadino e, per quel tempo, capitano, sendo una republica; altrimenti è difficile fare cosa di buono.
COSIMO Perché?
FABRIZIO Io vel dirò al tempo; per ora voglio vi basti questo: che non si può operare bene per altra via.
COSIMO Avendosi adunque a far questo deletto ne' suoi paesi, donde giudicate voi sia meglio trarli, o della città o del contado?
FABRIZIO Questi che ne hanno scritto, tutti s'accordano che sia meglio eleggergli del contado, sendo uomini avvezzi a' disagi, nutriti nelle fatiche, consueti stare al sole, fuggire l'ombra, sapere adoperare il ferro, cavare una fossa, portare un peso, ed essere sanza astuzia e sanza malizia. Ma in questa parte l'opinione mia sarebbe che, sendo di due ragioni soldati, a piè e a cavallo, che si eleggessero quegli a piè del contado e gli a cavallo delle cittadi.
COSIMO Di quale età gli torresti voi?
FABRIZIO Torre'gli, quando io avessi a fare nuova milizia, da' diciassette a' quaranta anni; quando la fusse fatta e io l'avessi a instaurare, di diciassette, sempre.
COSIMO Io non intendo bene questa distinzione.
FABRIZIO Dirovvi. Quando io avessi a ordinare una milizia dov'ella non fusse, sarebbe necessario eleggere tutti quegli uomini che fussero più atti, pure che fussero di età militare, per potergli instruire, come per me si dirà; ma quando io avessi a fare il deletto ne' luoghi dove fusse ordinata questa milizia, per supplimento di essa gli torrei di diciassette anni, perché gli altri di più tempo sarebbono scelti e descritti.
COSIMO Dunque vorresti voi fare una ordinanza simile a quella che è ne' paesi nostri.
FABRIZIO Voi dite bene. Vero è che io gli armerei, capitanerei, eserciterei e ordinerei in un modo, che io non so se voi gli avete ordinati così.
COSIMO Dunque lodate voi l'ordinanza?
FABRIZIO Perché, volete voi che io la danni?
COSIMO Perché molti savi uomini l'hanno sempre biasimata.
FABRIZIO Voi dite una cosa contraria a dire che un savio biasimi l'ordinanza, ei può bene essere tenuto savio ed essergli fatto torto.
COSIMO La cattiva pruova ch'ella ha fatto sempre, farà avere per noi tale opinione.
FABRIZIO Guardate che non sia il difetto vostro, non il suo, il che voi conoscerete prima che si fornisca questo ragionamento.
COSIMO Voi ne farete cosa gratissima; pure io vi voglio dire in quello che costoro l'accusano, acciò voi possiate meglio giustificarne. Dicono costoro così: o ella fia inutile e fidandoci noi di quella ci farà perdere lo stato; o ella fia virtuosa, e, mediante quella, chi la governa ce lo potrà facilmente tòrre. Allegano i Romani, i quali, mediante queste armi proprie, perderono la libertà; allegano i Viniziani e il re di Francia, de' quali quelli, per non avere ad ubbidire a un loro cittadino, usano le armi d'altri, e il re ha disarmati i suoi popoli per potergli più facilmente comandare. Ma temono più assai la inutilità che questo. Della quale inutilità ne allegano due ragioni principali: una, per essere inesperti, l'altra, per avere a militare per forza; perché dicano che da grande non si imparano le cose, e a forza non si fece mai nulla bene.
FABRIZIO Tutte queste ragioni che voi dite, sono da uomini che cognoschino le cose poco discosto, come io apertamente vi mostrerrò. E prima, quanto alla inutilità, io vi dico che non si usa milizia più utile che la propria, né si può ordinare milizia propria se non in questo modo. E perché questo non ha disputa, io non ci voglio molto perdere tempo, perché tutti gli esempli delle istorie antiche fanno per noi. E perché eglino allegano la inesperienza e la forza, dico come egli è vero che la inesperienza fa poco animo e la forza fa mala contentezza; ma l'animo e l'esperienza si fa guadagnare loro con il modo dello armargli, esercitargli ed ordinargli, come nel procedere di questo ragionamento vedrete. Ma, quanto alla forza, voi avete a intendere che gli uomini che si conducono alla milizia per comandamento del principe, vi hanno a venire né al tutto forzati, né al tutto volontarii, perché tutta la volontà farebbe gli inconvenienti che io dissi di sopra: che non sarebbe deletto e sarebbono pochi quegli che andassero; e così la tutta forza partorirebbe cattivi effetti. Però si debbe prendere una via di mezzo dove non sia né tutta forza né tutta volontà, ma sieno tirati da uno rispetto ch'egli abbiano al principe, dove essi temano più lo sdegno di quello, che la presente pena; e sempre occorrerà ch'ella fia una forza in modo mescolata con la volontà, che non ne potrà nascere tale mala contentezza che faccia mali effetti. Non dico già, per questo, ch'ella non possa essere vinta, perché furono vinti tante volte gli eserciti romani, e fu vinto lo esercito d'Annibale; tale che si vede che non si può ordinare uno esercito, del quale altri si prometta che non possa essere rotto. Pertanto questi vostri uomini savi non deono misurare questa inutilità dallo avere perduto una volta, ma credere che, così come e' si perde, e' si possa vincere e rimediare alla cagione della perdita. E quando ei cercassero questo, troverebbono che non sarebbe stato per difetto del modo, ma dell'ordine che non aveva la sua perfezione; e, come ho detto, dovevano provvedervi, non con biasimare l'ordinanza, ma con ricorreggerla; il che come si debbe fare, lo intenderete di mano in mano. Quanto al dubitare che tale ordine non ti tolga lo stato mediante uno che se ne faccia capo, rispondo che l'arme in dosso a' suoi cittadini o sudditi, date dalle leggi e dall'ordine, non fecero mai danno, anzi sempre fanno utile e mantengonsi le città più tempo immaculate mediante queste armi, che sanza. Stette Roma libera quattrocento anni, ed era armata; Sparta, ottocento; molte altre città sono state disarmate, e sono state libere meno di quaranta. Perché le città hanno bisogno delle armi; e quando non hanno armi proprie, soldano delle forestiere; e più presto noceranno al bene publico l'armi forestiere, che le proprie, perché le sono più facili a corrompersi e più tosto uno cittadino che diventi potente se ne può valere; e parte ha più facile materia a maneggiare, avendo ad opprimere uomini disarmati. Oltre a questo una città debbe più temere due nimici che uno. Quella che si vale dell'armi forestiere, teme ad uno tratto il forestiero ch'ella solda e il cittadino; e che questo timore debba essere, ricordivi di quello che io dissi poco fa di Francesco Sforza. Quella che usa l'arme proprie, non teme se non il suo cittadino. Ma per tutte le ragioni che si potessono dire, voglio mi serva questa: che mai alcuno ordinò alcuna republica o regno, che non pensasse che quegli medesimi che abitavano quella, con le armi l'avessono a difendere. E se i Viniziani fussero stati savi in questo come in tutti gli altri loro ordini, eglino arebbono fatto una nuova monarchia nel mondo. I quali tanto più meritano biasimo, sendo stati dai loro primi datori di legge, armati. Ma non avendo dominio in terra, erano armati in mare, dove ferono le loro guerre virtuosamente e, con l'armi in mano, accrebbero la loro patria. Ma venendo tempo ch'eglino ebbero a fare guerra in terra per difendere Vicenza, dove essi dovevano mandare uno loro cittadino a combattere in terra, ci soldarono per loro capitano il marchese di Mantova. Questo fu quel partito sinistro che tagliò loro le gambe del salire in cielo e dello ampliare. E se lo fecero per credere che, come che ei sapessono far guerra in mare, ei si diffidassono farla in terra, ella fu una diffidenza non savia; perché più facilmente un capitano di mare, che è uso a combattere con i venti, con l'acque e con gli uomini, diventerà capitano di terra, dove si combatte con gli uomini solo, che uno di terra non diventerà di mare. E i miei Romani, sapendo combattere in terra e non in mare, venendo a guerra con i Cartaginesi che erano potenti in mare, non soldarono Greci o Spagnuoli consueti in mare, ma imposero quella cura a' loro cittadini che mandavano in terra, e vinsero. Se lo ferono perché uno loro cittadino non diventasse tiranno, ei fu uno timore poco considerato; perché, oltre a quelle ragioni che a questo proposito poco fa dissi, se uno cittadino con l'armi di mare non si era mai fatto tiranno in una città posta in mare, tanto meno arebbe potuto fare questo con le armi di terra. E, mediante questo, dovevano vedere che l'armi in mano a' loro cittadini non gli potevano fare tiranni, ma i malvagi ordini del governo che fanno tiranneggiare una città; e avendo quegli buono governo, non avevano a temere delle loro armi. Presero pertanto uno partito imprudente; il che è stato cagione di torre loro di molta gloria e di molta felicità. Quanto allo errore che fa il re di Francia a non tenere disciplinati i suoi popoli alla guerra (il che quelli vostri allegano per esemplo) non è alcuno, deposta qualche sua particolare passione, che non giudichi questo difetto essere in quel regno e questa negligenza sola farlo debile. Ma io ho fatto troppa grande digressione, e forse sono uscito del proposito mio; pure lo ho fatto per rispondervi e dimostrarvi che non si può fare fondamento in altre armi che nelle proprie, e l'armi proprie non si possono ordinare altrimenti che per via d'una ordinanza, ne' per altre vie introdurre forme di eserciti in alcuno luogo né per altro modo ordinare una disciplina militare. Se voi avete letto gli ordini che quelli primi re fecero in Roma e massimamente Servio Tullo, troverrete che l'ordine delle classi non è altro che una ordinanza per potere di subito mettere insieme uno esercito per difesa di quella città. Ma torniamo al nostro deletto. Dico di nuovo che, avendo ad instaurare un ordine vecchio, io gli prenderei diciassette; avendo a crearne uno nuovo, io gli prenderei d'ogni età tra' diciassette e quaranta, per potermene valere subito.
COSIMO Faresti voi differenza di quale arte voi gli scegliessi?
FABRIZIO Questi scrittori la fanno, perché non vogliono che si prendano uccellatori, pescatori, cuochi, ruffiani e qualunque fa arte di sollazzo; ma vogliono che si tolgano, oltre a' lavoratori di terra, fabbri, maniscalchi, legnaiuoli, beccai, cacciatori, e simili. Ma io ne farei poca differenza, quanto al conietturare dall'arte la bontà dell'uomo; ma sì bene, quanto al poterlo con più utilità usare. E per questa cagione i contadini che sono usi a lavorare la terra, sono più utili che niuno; perché di tutte l'arti questa negli eserciti si adopera più che l'altre. Dopo questa sono i fabbri, legnaiuoli, maniscalchi, scarpellini; de' quali è utile avere assai, perché torna bene la loro arte in molte cose, sendo cosa molto buona avere uno soldato del quale tu tragga doppio servigio.
COSIMO Da che si conoscono quelli che sono o non sono sufficienti a militare?
FABRIZIO Io voglio parlare del modo dello eleggere una ordinanza nuova per farne di poi uno esercito; perché parte si viene ancora a ragionare della elezione che si facesse ad instaurazione d'una ordinanza vecchia. Dico, pertanto, che la bontà d'uno che tu hai ad eleggere per soldato, si conosce o per esperienza, mediante qualche sua egregia opera, o per coniettura. La pruova di virtù non si può trovare negli uomini che si eleggono di nuovo e che mai più non sono stati eletti; e di questi se ne truova o pochi o niuno nell'ordinanze che di nuovo s'ordinano. È necessario pertanto, mancando questa esperienza, ricorrere alla coniettura; la quale si trae dagli anni, dall'arte e dalla presenza. Di quelle due prime si è ragionato; resta parlare della terza; e però dico come alcuni hanno voluto che il soldato sia grande, tra i quali fu Pirro; alcuni altri gli hanno eletti dalla gagliardia solo del corpo, come faceva Cesare; la quale gagliardia di corpo e d'animo si coniettura dalla composizione delle membra e dalla grazia dell'aspetto. E però dicono questi che ne scrivono, che vuole avere gli occhi vivi e lieti, il collo nervoso, il petto largo, le braccia musculose, le dita lunghe, poco ventre, i fianchi rotundi, le gambe e il piede asciutto; le quali parti sogliono sempre rendere l'uomo agile e forte, che sono due cose che in uno soldato si cercano sopra tutte l'altre. Debbesi sopratutto riguardare a' costumi, e che in lui sia onestà e vergogna, altrimenti si elegge uno instrumento di scandolo e uno principio di corruzione; perché non sia alcuno che creda che nella educazione disonesta e nello animo brutto possa capere alcuna virtù che sia in alcuna parte lodevole. Non mi pare superfluo, anzi credo che sia necessario, perché voi intendiate meglio la importanza di questo deletto, dirvi il modo che i consoli romani nel principio del magistrato loro osservavono nello eleggere le romane legioni; nel quale deletto, per essere mescolati quegli si avevono ad eleggere, rispetto alle continue guerre, d'uomini veterani e nuovi, potevano procedere con la esperienza ne' vecchi e con la coniettura ne' nuovi. E debbesi notare questo: che questi deletti si fanno, o per usargli allora, o per esercitargli allora ed usargli a tempo. Io ho parlato e parlerò di tutto quello che si ordina per usarlo a tempo, perché la intenzione mia è mostrarvi come si possa ordinare uno esercito ne' paesi dove non fusse milizia, ne' quali paesi non si può avere deletti per usargli allora; ma in quegli donde sia costume trarre eserciti, e per via del principe, si può bene avergli per allora, come si osservava a Roma e come si osserva oggi tra i Svizzeri. Perché in questi deletti, se vi sono de' nuovi, vi sono ancora tanti degli altri consueti a stare negli ordini militari, che, mescolati i nuovi ed i vecchi insieme, fanno uno corpo unito e buono; nonostante che gli imperadori, poi che cominciarono a tenere le stazioni de' soldati ferme, avevano preposto sopra i militi novelli, i quali chiamavano Tironi, uno maestro ad esercitargli, come si vede nella vita di Massimino imperadore. La quale cosa, mentre che Roma fu libera, non negli eserciti, ma dentro nella città era ordinato; ed essendo in quella consueti gli esercizi militari dove i giovanetti si esercitavano, ne nasceva che, sendo scelti poi per ire in guerra, erano assuefatti in modo nella finta milizia, che potevano facilmente adoperarsi nella vera. Ma avendo di poi quegli imperadori spenti questi esercizi, furono necessitati usare i termini che io v'ho dimostrati. Venendo pertanto al modo del deletto romano, dico, poi che i consoli romani, a' quali era imposto il carico della guerra, avevano preso il magistrato, volendo ordinare i loro eserciti (perché era costume che qualunque di loro avesse due legioni d'uomini romani, le quali erano il nervo degli eserciti loro), creavano ventiquattro tribuni militari, e ne proponevano sei per ciascuna legione, i quali facevano quello uffizio che fanno oggi quegli che noi chiamiamo connestaboli. Facevano di poi convenire tutti gli uomini romani idonei a portare armi, e ponevano i tribuni di qualunque legione separati l'uno dall'altro. Di poi a sorte traevano i tribi, de' quali si avesse prima a fare il deletto, e di quello tribo sceglievano quattro de' migliori, de' quali ne era eletto uno da' tribuni della prima legione; dagli altri tre, ne era eletto uno da' tribuni della seconda legione; degli altri due, ne era eletto uno da' tribuni della terza; e quello ultimo toccava alla quarta legione. Dopo questi quattro se ne sceglieva altri quattro; de' quali, prima, uno ne era eletto da' tribuni della seconda legione; il secondo da quelli della terza; il terzo da quelli della quarta; il quarto rimaneva alla prima. Di poi se ne sceglieva altri quattro: il primo sceglieva la terza, il secondo la quarta, il terzo la prima, il quarto restava alla seconda; e così variava successivamente questo modo dello eleggere, tanto che la elezione veniva ad essere pari e le legioni si ragguagliavano. E come di sopra dicemmo, questo deletto si poteva fare per usarlo allora, perché si faceva d'uomini de' quali buona parte erano esperimentati nella vera milizia e tutti, nella finta, esercitati; e potevasi fare questo deletto per coniettura e per esperienza. Ma dove si avesse ad ordinare una milizia di nuovo, e per questo a scergli per a tempo, non si può fare questo deletto se non per coniettura, la quale si prende dagli anni e dalla presenza.
COSIMO Io credo al tutto essere vero quanto da voi è stato detto. Ma, innanzi che voi passiate ad altro ragionamento, io vi voglio domandare d'una cosa di che voi mi avete fatto ricordare, dicendo che il deletto che si avesse a fare dove non fussero gli uomini usi a militare, si arebbe a fare per coniettura; perché io ho sentito in molte parti biasimare l'ordinanza nostra, e massime quanto al numero, perché molti dicono che se ne debbe tòrre minore numero, di che se ne trarrebbe questo frutto: che sarebbono migliori e meglio scelti; non si darebbe tanto disagio agli uomini; potrebbesi dar loro qualche premio mediante il quale starebbono più contenti, e meglio si potrebbono comandare. Donde io vorrei intendere in questa parte l'opinione vostra, e se voi ameresti più il numero grande che il piccolo, e quali modi terresti ad eleggerli nell'uno e nell'altro numero.
FABRIZIO Sanza dubbio egli è migliore e più necessario il numero grosso che il piccolo; anzi, a dire meglio, dove non se ne può ordinare gran quantità, non si può ordinare una ordinanza perfetta; e facilmente io vi annullerò tutte le ragioni assegnate da cotestoro. Dico pertanto, in prima, che 'l minore numero dove sia assai popolo, come è, verbigrazia, in Toscana, non fa che voi gli abbiate migliori, né che il deletto sia più scelto. Perché volendo, nello eleggere gli uomini, giudicargli dall'esperienza, se ne troverebbe in quel paese pochissimi i quali l'esperienza facesse probabili, sì perché pochi ne sono stati in guerra, sì perché, di quegli pochi, pochissimi hanno fatto pruova mediante la quale ei meritassono di essere prima scelti che gli altri; in modo che chi gli debbe in simili luoghi eleggere, conviene lasci da parte l'esperienza e gli prenda per coniettura. Riducendosi dunque altri in tale necessità, vorrei intendere, se mi vengono avanti venti giovani di buona presenza, con che regola io ne debbo prendere o lasciare alcuno; tale che, sanza dubbio, credo che ogni uomo confesserà come e' fia minore errore torgli tutti per armargli ed esercitargli, non potendo sapere quale di loro sia migliore, e riserbarsi a fare poi più certo deletto quando, nel praticargli con lo esercizio, si conoscessero quegli di più spirito e di più vita. In modo che, considerato tutto, lo scerne in questo caso pochi per avergli migliori è al tutto falso. Quanto per dare meno disagio al paese e agli uomini, dico che l'ordinanza, o molta o poca ch'ella sia, non dà alcuno disagio; perché questo ordine non toglie gli uomini da alcuna loro faccenda, non gli lega che non possano ire a fare alcuno loro fatto, perché gli obliga solo ne' giorni oziosi a convenire insieme per esercitarsi; la quale cosa non fa danno né al paese né agli uomini, anzi a' giovani arrecherebbe diletto, perché, dove ne' giorni festivi vilmente si stanno oziosi per li ridotti, andrebbero per piacere a questi esercizi, perché il trattare dell'armi, com'egli è bello spettacolo, così è a' giovani dilettevole. Quanto a potere pagare il minore numero e, per questo, tenergli più ubbidienti e più contenti, rispondo come non si può fare ordinanza di sì pochi, che si possano in modo continuamente pagare, che quel pagamento loro sodisfaccia. Verbigrazia, se si ordinasse una milizia di cinquemila fanti, a volergli pagare in modo che si credesse che si contentassono, converrebbe dar loro almeno diecimila ducati il mese. In prima, questo numero di fanti non basta a fare uno esercito; questo pagamento è insopportabile a uno stato, e, dall'altro canto, non è sufficiente a tenere gli uomini contenti, ed obligati da potersene valere a sua posta. In modo che, nel fare questo, si spenderebbe assai, arebbesi poche forze, e non sarebbero a sufficienza o a defenderti o a fare alcuna tua impresa. Se tu dessi loro più, o ne prendessi più, tanta più impossibilità ti sarebbe il pagargli. Se tu dessi loro meno, o ne prendessi meno, tanta meno contentezza sarebbe in loro, o a te tanta meno utilità arrecherebbono. Pertanto quegli che ragionano di fare una ordinanza, e, mentre ch'ella si dimora a casa, pagarla, ragionano di cose o impossibili o inutili. Ma è bene necessario pagargli quando si levono per menargli alla guerra. Pure se tale ordine dessi a' descritti in quello qualche disagio ne' tempi di pace (che non ce lo veggo) e' vi sono per ricompenso tutti quegli beni che arreca una milizia ordinata in uno paese, perché sanza quella non vi è secura cosa alcuna. Conclude che, chi vuole il poco numero per poterlo pagare, o per qualunque altra delle cagioni allegate da voi, non se ne intende, perché ancora fa per la opinione mia, che sempre ogni numero ti diminuirà tra le mani per infiniti impedimenti che hanno gli uomini, di modo che il poco numero tornerebbe a niente. Appresso, avendo l'ordinanza grossa, ti puoi a tua elezione valere de' pochi e degli assai. Oltre a questo, ella ti ha a servire in fatto e in riputazione, e sempre ti darà più riputazione il gran numero. Aggiugnesi a questo che, faccendosi l'ordinanze per tenere gli uomini esercitati, se tu scrivi poco numero di uomini in assai paese, ei sono tanto distanti gli scritti l'uno dall'altro, che tu non puoi sanza loro danno gravissimo raccozzargli per esercitargli; e sanza questo esercizio l'ordinanza è inutile, come nel suo luogo si dirà.
COSIMO Basti sopra questa mia domanda quanto avete detto; ma io disidero ora che voi mi solviate uno altro dubbio. Costoro dicono che tale moltitudine di armati è per fare confusione, scandolo e disordine nel paese.
FABRIZIO Questa è un'altra vana opinione, per la cagione vi dirò. Questi ordinati all'armi possono causare disordine in due modi: o tra loro, o contro ad altri. Alle quali cose si può facilmente ovviare, dove l'ordine per se medesimo non ovviasse; perché, quanto agli scandoli tra loro, questo ordine gli leva, non gli nutrisce, perché, nello ordinarli, voi date loro armi e capi. Se il paese dove voi gli ordinate è sì imbelle che non sia, tra gli uomini di quello, armi, e sì unito che non vi sia capi, questo ordine gli fa più feroci contro al forestiero, ma non gli fa in niuno modo più disuniti, perché gli uomini bene ordinati temono le leggi, armati come disarmati; né mai possono alterare, se i capi che voi date loro non causano l'alterazione; e il modo a fare questo si dirà ora. Ma se il paese dove voi gli ordinate, è armigero e disunito, questo ordine solo è cagione d'unirgli, perché costoro hanno armi e capi per loro medesimi, ma sono l'armi inutili alla guerra, e i capi nutritori di scandoli. E questo ordine dà loro armi utili alla guerra e capi estinguitori degli scandoli; perché subito che in quel paese è offeso alcuno, ricorre al suo capo di parte, il quale, per mantenersi la reputazione, lo conforta alla vendetta, non alla pace. Al contrario fa il capo publico; tale che per questa via si lieva la cagione degli scandoli e si prepara quella della unione; e le provincie unite ed effeminate perdono la viltà e mantengono l'unione; le disunite e scandolose si uniscono e quella loro ferocia, che sogliono disordinatamente adoperare, si rivolta in publica utilità. Quanto a volere che non nuocano contro ad altri, si debbe considerare che non possono fare questo se non mediante i capi che gli governono. A volere che i capi non facciano disordine, è necessario avere cura che non acquistino sopra di loro troppa autorità. E avete a considerare che questa autorità si acquista o per natura, o per accidente. E quanto alla natura, conviene provvedere che chi è nato in un luogo, non sia preposto agli uomini descritti in quello, ma sia fatto capo di quelli luoghi dove non abbia alcuna naturale convenienza. Quanto allo accidente, si debbe ordinare la cosa in modo che ciascuno anno i capi si permutino da governo a governo; perché la continua autorità sopra i medesimi uomini genera tra loro tanta unione, che facilmente si può convertire in preiudizio del principe. Le quali permute quanto sieno utili a quegli che le hanno usate, e dannose a chi non le ha osservate, si conosce per lo esempio del regno degli Assiri e dello imperio de' Romani; dove si vede che quel regno durò mille anni sanza tumulto e sanza alcuna guerra civile; il che non procedé da altro che dalle permute che facevono da luogo a luogo ogni anno quegli capitani i quali erano preposti alla cura degli eserciti. Né per altra cagione nello imperio romano, spento che fu il sangue di Cesare, vi nacquero tante guerre civili tra' capitani degli eserciti e tante congiure da' predetti capitani contro agli imperadori, se non per tenere continuamente fermi quegli capitani ne' medesimi governi. E se in alcuni di quegli primi imperadori e di quegli poi i quali tennono l'imperio con reputazione, come Adriano, Marco, Severo e simili, fusse stato tanto vedere, che gli avessono introdotto questo costume di permutare i capitani in quello imperio, sanza dubbio lo facevono più quieto e più durabile; perché i capitani arebbero avuta minore occasione di tumultuare, gl'imperadori minore cagione di temere, e il senato, ne' mancamenti delle successioni, arebbe avuto nella elezione dello imperadore più autorità, e per conseguente sarebbe stata migliore. Ma le cattive consuetudini, o per la ignoranza o per la poca diligenza degli uomini, né per i malvagi né per i buoni esempli si possono levare via.
COSIMO Io non so se col mio domandare io v'ho quasi che tratto fuora dell'ordine vostro, perché dal deletto noi siamo entrati in uno altro ragionamento; e se io non me ne fussi poco fa scusato, crederrei meritarne qualche riprensione.
FABRIZIO Non vi dia noia questo; perché tutto questo ragionamento era necessario volendo ragionare della ordinanza la quale, sendo biasimata da molti, conveniva la scusassi, volendo che questa prima parte del deletto ci avesse luogo. E prima che io descenda all'altre parti, io voglio ragionare del deletto degli uomini a cavallo. Questo si faceva, appresso agli antichi, de' più ricchi, avendo riguardo e agli anni e alla qualità dell'uomo; e ne eleggevano trecento per legione, tanto che i cavagli romani in ogni esercito consolare non passavano la somma di secento.
COSIMO Faresti voi ordinanza di cavagli per esercitargli a casa, e valersene col tempo?
FABRIZIO Anzi è necessario; e non si può fare altrimenti, a volere avere l'armi che sieno sue, e a non volere avere a torre di quegli che ne fanno arte.
COSIMO Come gli eleggeresti?
FABRIZIO Imiterei i Romani; torrei de' più ricchi, darei loro capi in quel modo che oggi agli altri si danno, e gli armerei ed eserciterei.
COSIMO A questi sarebb'egli bene dare qualche provvisione!
FABRIZIO Sì bene; ma tanta solamente, quanta è necessaria a nutrire il cavallo; perché, arrecando a' tuoi sudditi spesa, si potrebbono dolere di te. Però sarebbe necessario pagare loro il cavallo e le spese di quello.
COSIMO Quanto numero ne faresti, e come gli armeresti?
FABRIZIO Voi passate in un altro ragionamento. Io vel dirò nel suo luogo, che fia quando io vi arò detto come si debbono armare i fanti, o come a fare una giornata si preparano.

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Ultimo Aggiornamento: 17/07/05 21.21.05