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Delle bellezze delle donne

di: Agnolo Firenzuola

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DELLA PERFETTA BELLEZA D'UNA DONNA

DI MESSER AGNOLO FIRENZUOLA

DISCORSO SECONDO

 

 

Percioché nelle giovani, che in sul monte si erano ritrovate al passato ragionamento, era rimasto uno intenso desiderio di vedere la composizion di quella bella che Celso aveva promesso loro di dipignere in sul monte, però pregarono mona Lampiada che ordinasse per un altro giorno un luogo, dove si potesse dar fine al desiderio loro; laonde ella, che non men volentieri di loro ascoltava le parole di Celso o simulava almeno, fattolo dal suo marito, che ancora egli era uomo d'ingegno, invitar, per la prima festa che venne, a casa sua, con le dette giovani e altre e altri parenti loro fecero una onesta veglia; dove che, poi che Celso fu tanto pregato quanto si conveniva, che e’ seguitasse, dopo una modesta scusa così incominciò:

– Egli è chiara cosa che la natura è stata sempre larga e liberale donatrice delle sue grazie allo universale e comun gregge degli uomini; non di meno in particolare e’ non pare già che sia intervenuto il medesimo, anzi possiamo affermare per isperienza cotidiana che ella sia stata molto avara e molto scarsa; percioché, come eziandio dicemmo alla giornata passata, ella ha ben dato ogni cosa sì, ma non a ognuno, anzi a fatica una per uno. La qual cosa volendo gli antichi poeti dimostrare, la finsero una donna piena di mammelle, delle quali non ne potendo lo uom pigliare più ch’un capezol per volta, non può [763] tirare a sé se non una picciola parte del suo nutrimento. E inoltre, se voi considererete bene la natura della poppa, voi troverete che, ancor ch'ella sia di quella ubertà e abondanza che sa ognuno, non però ne getta il latte in bocca da per sé, ma bisogna suggerlo; che non significa altro se non che in di molte cose bisogna che noi o per acquistarle o per abbelirle o per mantenerle ci affatichiamo con arte, industria e ingegno. E percioché il canale donde esce il latte è stretto e a fatica ne viene una gocciola per volta possiamo considerare che volser dire che la natura non dà le grazie ne’ particolari doppiamente, ma a fatica una per uno, a una per volta. E di qui aviene che delle belle perfettamente se ne trovan poche, che chi ha bella persona non ha il viso dilicato, come mona Altea dalle tre Gore; e chi il volto dilicato, ha la persona corta, come mona Fiore dal Campanile; e chi è di bellissimi occhi addornata, come mona Lucida della via de’ Sarti, non ha belle carni, in modo che a volerne disegnare una che sia, se non in tutto, almeno nella maggior parte perfetta, egli è necessario, come vi si disse all’altro ragionamento, pigliar l'eccellenza delle belleze delle particolari parti di tutt'a quattro voi e fingerne una bella carne come noi disideriamo. Ma inanzi che noi vegnamo alla figura, io voglio che noi maciniamo, prima i colori; e non solamente il bianco e ’l nero, i quali, secondo gli scrittori, tengono il primo luogo, ma tutti quegli che ci fanno di bisogno, accioché poi non ci abbiamo a scioperare quando saremo in sul lavoro. Sono adunque i colori che ci fanno di mistiero il biondo, il lionato, il negro, il rosso, il candido, il bianco, il vermiglio e lo incarnato. Dovete adunque sapere che il color biondo è un giallo non molto acceso né molto chiaro, ma declinante al tané, con alquanto di splendore, e se non in tutto simile all'oro, nondimeno da’ poeti spesse volte aguagliato a lui; ché sapete che e’ dicon spesso, come il Petrarca in più luoghi, che i capegli sono di fine oro:

[764]

Tessendo un cerchio all'oro terso e crespo.

Erano i capei d'oro all'aura sparsi.

 

E voi sapete che de’ capegli il proprio e vero colore è esser biondi. Il lionato è di due ragioni; delle quali una ne pende nel giallo, e questo non è per noi; l’altra allo oscuro, e chiamasi tané, e di questo ce ne basterà due pennellate.

Il negro non ha bisogno di molta dichiarazione, percioché ognuno il conosce; e quella Fiorentina, che da voi è stata ben ricevuta, se ne vale assai; il qual colore quanto più è chiuso e più ascende all'oscuro, tanto più è fine, tanto più è bello. Il rosso è quel colore acceso che dipinge la grana, i coralli, i rubini, le foglie dei fiori di melagrana e altri simili; e trovasene del più acceso e meno acceso e del più aperto e meno aperto, come si vede nelle cose allegate. Il vermiglio è quasi una spezie di rosso, ma meno aperto; ed è quello finalmente che somiglia le guance della bella Francolina di Palazuolo quando l'ha stiza, la qual fanciulla a me par che porti il vanto delle vive incarnazioni in questa terra; ma lasciamo ir questo e torniamo al colore vermiglio, il quale ci mostra a punto a punto il vino che noi Toscani chiamiam vermiglio. L'incarnato, altrimenti imbalconato, è un color bianco, ombreggiato di rosso o un rosso ombreggiato di bianco, simile alle rose che incarnate o ’mbalconate si chiamano; le quali rose, percioché, quando vennero in questi paesi, che non ha gran tempo, erano tenute in tanto pregio che chi ne aveva pur una, in bel vasello d’acqua ripieno, perché verde e fresca si mantenesse, mettendola, per mostrarla ai vicini, la poneva in sul balcone, come cosa nuova e rara; dalla qual cosa ella si acquistò il nome di imbalconata.

Che differenza fusse tra ’1 bianco e ’1 candido, percioché all’al- [765] tro ragionamento io ve lo divisai pienamente, non accade al presente di riplicarlovi.

 

[Dei capegli] Avendo macinato i colori che ci facevano di mestieri per la nostra figura, potremo con maggior facilità cominciarla; e la prima parte che noi aviamo a disegnare, voglio che siano i C a p e g l i, a cagione che noi non ce li scordassimo come l’altra volta. I capegli adunque, secondo che mostrano coloro che ne hanno alcuna volta su per le carte ragionato, vogliono essere sottili e biondi e or simili all’oro, ora al mèle, ora come i raggi del chiaro sole risplendenti, crespi, spessi, copiosi e lunghi, come ben mostra il sopranominato Apuleio nel già detto luogo; il qual della importanza loro, della essenza e d’ogni loro qualità e accidente parlando, dice queste quasi formal parole, se io le saperò ridire in nostra lingua come le suonano nella latina, che è impossibile; pur provianci. Dice adunque così:

 

Se voi rimoverete dal lucido capo di qual si sia bellissima giovane lo splendore del chiaro lume dei biondi capegli, voi lo vedrete rimaner privo d’ogni belleza, spogliar d’ogni grazia, mancar d’ogni leggiadria; s'ella fussi ben quella che nel ciel concetta, nata nel mare, dalle onde nutrita, la stessa Venere, nel mezo delle Grazie, accompagnata dai suoi Amorini, cinta col balteo della lascivia, fregiata dalle blandizie, dipinta dalle soie, ornata con mille dolci e lusinghevoli inganni, Venere dico, la bella Venere, che tra le tre bellissime Dee, bellissima giudicata, ne riportò il pomo della belleza. Questa adunque, senza la luce, senza lo splendore, senza l'ornamento degli aurati capegli, ad alcuno non piacerebbe, se ben fusse il suo Vulcano, il suo consorte, il suo dolcissimo amante. Che bella cosa è vedere una leggiadra donna, quando con frequente sobole gli spessi capegli cumulano il bel capo, o vero sparsi con prolisso ordine se ne spandono in sulle spalle!

 

[766] I capegli adunque, secondo che ne mostra questo valente uomo, sono alla perfezion della bella donna di tanta importanza e meritan tanta cura e tanto onor si deve loro, che, oltre a quel che si è detto, Dione, scrittor greco nobilissimo, facendo quella bella orazione in lode loro, pose tra gli uomini ignavi e da poco coloro che con i calamistri, ferri atti ad intrecciarli, non attendevano alla lor cura, mostrando che gli antichi dormivano in terra e, per non li guastare, li tenevano sospesi sopra certi legni; per il che si vede che e’ ne facevan tanto conto, che per quelli egli tenevano in poco l'agio e la quiete del dolce sonno, unico e vero riposo di tutte le fatiche umane. Che più? I Lacedemoni, nutriti sotto le severe leggi di Licurgo, tanta cura ne tenevano, che noi leggiamo che quegli trecento che combatteron con Dario re de’ Persi sì animosamente, che altro non gridan le antiche storie, mentre attendevano la sanguinosa giornata, non intermisero la cura dei capegli; e il grande Omero dà per precipuo ornamento della belleza del suo Achille lo splendor de’ copiosi capegli. E quando il già più volte allegato Apuleio ha mostro dove consista la lor belleza, soggiugne queste parole:

 

Tanta è la dignità della chioma, che ancor che una bellissima donna molto sontuosamente si abbigli d'oro e di perle e di ricchissime vesti si ricuopra e con quelle fogge e quelle gale che si possano imaginare vada adobbata, se ella con vago ordine non si avrà disposti i capegli e con dolce maestria assettati, mai non si dirà ch'ella sia né bella né attillata.

 

Poi che noi abbiamo conosciuto di quanta importanza siano i capegli e come hanno da essere fatti, possiamo considerare che quegli di Verdespina hanno tutte quelle parti che noi aviamo ragionato; e però gli piglieremo per la nostra figura.

[767] SELVAGGIA. Lena, porta qua le forbice che la se gli tagli. Ma come volete voi ch’ella se gli tagli, rasente?

CELSO. Io non voglio che la si tagli rasente, né con le forbici, ma col coltello della imaginazione. Ma vedi se questa Selvaggia vuol la baia affatto affatto de' casi miei! e pure ha ’l torto, ché io non la voglio già de’ suoi; ma pazienza! Forse che il tempo le farà un dì conoscere lo error suo, poi che altro non ci giova. Ma per tornare a casa, poi che noi abbiamo i capegli biondi, sottili, assettati, crespi, copiosi, lunghi, risplendenti e bene abbigliati, e’ bisogna trovar la persona dove porgli, accioché non ci intervenisse come a colui al quale furono donate certe piante, che, mentre che e’ cercava d'un orto dove porle, le si seccarono; e così, per inabilità del ricevente, fu il presente gittato via.

SELVAGGIA. Dunque, Verdespina, tu hai fatto bene a non te gli tagliare ancora, ché, come troppo squisito che egli è, e’ sarebbe forse stato tanto a trovar la persona dove porli; ché non è uom che si contenti così al primo; e forse in quel mezo e’ si sarebbon guasti.

 

[Della persona] CELSO. Se io sono troppo squisito o s’io son di gran contentatura, niuna è qui che meglio di te saper lo possa; non di meno io ti ho pure in questo fatta bugiarda, percioché la P e r s o n a io la ho già bella e trovata, ed è quella di mona Amorrorisca; percioché ella è di quella stessa grandeza che noi ricerchiamo o poco più o poco meno, anzi a bastanza, se gli occhi, fidi misuratori della belleza, non mi ingannano. Piace la persona che è complessa, quando ch'ella getti fuori i membri svelti e destri, che li mostri ben collocati e con debiti spazii e rettamente misurati; ma non la vorrei né soverchio grossa, né molto grassa.

SELVAGGIA. E pur la Iblea Soporella è molto ben grassa; non di meno è ancora una bellissima giovane e porta così ben quel- [768] la sua persona, così intera, così svelta, così agile, così destra. Oh Dio! Egli è pure un piacere a vederla caminare.

CELSO. Le son di quelle che noi aviam detto mille volte; coteste son grazie che toccano a pochi e non intraviene così universalmente a ognuno; cotestei ha una maestà in quella persona, una venustà in quegli occhi, una grazia in quel viso, una grandeza in quella andatura, che e' par che la grasseza vi abbia portata la belleza e la destreza; le quali ella suol tor tutte le altre volte; e lasciando stare il garbo, la maniera, la gentileza e il bell’ingegno e tutte le altre doti dello animo, io la giudico per una delle belle donne di queste contrade e sammi male che ella non sia oggi qui con esso noi.

MONA LAMPIADA. Io avevo mandato per lei, ma percioché, per la morte del padre e per la malattia del marito, ella è ne’ travagli che voi vi sapete, non le è parso convenevole l'andare a veglia; che me ne sa un gran male, ché la rifioriva ogni cosa.

CELSO. Or, per tornare alla persona, diciamo che voi, mona Amorrorisca, la avete tra ’1 magro e tra ’l grasso, carnosa e succosa, in una proporzione accommodata, dove si posa lo agile e destro, insieme con un certo che, che dà odor di regina; il suo colore non è quel bianco che declina al pallore, ma colorito di sangue, il quale molto fu in pregio apo gli antichi. Deve essere mossa la persona della gentil donna con una gravità e con un certo gentil modo, che la porti intera, ma non intirizata, sì che ella mostri quella maestà che noi dichiarammo di sopra; delle quali tutte cose per averne voi la maggior parte, siam forzati a porvi su i capelli di Verdespina; e così andremo cercando della fronte.

 

[Della fronte] La F r o n t e ha da essere spaziosa, cioè larga, alta, candida e serena; l’alteza (che si intende dal principio della discrimina- [769] tura insino ai confini delle ciglia e del naso; e voglion molti che questa sia la terza parte del viso, facendo l'altra sino al labbro di sopra della bocca, e la terza il restante insino a tutto il mento), l'alteza adunque ha da essere tanta quanta è la metà della sua largheza; e però deve essere due volte tanta larga quanta è alta una, sì che dalla largheza si ha a pigliare la lungheza e dalla lungheza la largheza. Abbiam detto candida, percioché la non vuole essere d'una biancheza dilavata, senza alcuno splendore, ma rilucente quasi in guisa di specchio; non per acque o per lisci o per imbratti, come quella della Bovinetta del Maleficio, che, s'ella fusse pesce da friggere, si potrebbe comprare più un quatrin la libbra, percioché e’ non accadrebbe infarinarlo; ma la non è né da vendere né da friggere. Deve essere il tratto della fronte non piano piano, ma declinante in guisa che fa l’arco verso la cocca, e tanto dolcemente, che a fatica si paia; e dalla volta delle tempie vuol poi scender con maggior tratto. Chiamanla i nostri poeti serena, e meritamente, percioché come il cielo è sereno, quando e’ non vi si vede nebula o macchia veruna, così la fronte, quando è chiara, aperta, senza crespe, senza panni, senza liscio e quieta e tranquilla, si può meritamente addomandare serena; e percioché come il cielo, se avien che sia sereno, genera una certa contentezza nello animo di chi lo mira, così la fronte, che noi chiamiam serena, per via dell’occhio contenta l’animo di coloro che la riguardano; come interviene a me, guardando quella di mona Lampiada, la quale, avendo tutte le proprietà che io vi ho racconte, sarà buona a mettere sotto ai capelli di Verdespina.

 

[Delle ciglia] Arroge assai alla serenità già detta lo splendor degl’occhi, i quali, ancor che sien fuor de’ confini della fronte, non di [770] men paion come nel cielo i due maggior luminari; de’quali, cominciandoci alle C i g l i a, aviamo a parlare al presente, togliendone lo essempio da Verdespina; la quale le ha simili al color dell’ebano, sottili e con li peli corti e molli, come se fussero di fine seta; e dalla parte del mezo verso le loro estremità, vanno diminuendo, con una certa dolceza, dall’una parte insino alla concavità o vero fossa dell’occhio, verso il naso, e dall'altra insino a quella che è verso l’orecchio, e quivi finiscono.

 

[Dell’occhio] Viene poi l’ O c c h i o, il quale in quella parte di rotondità o vero globo visivo, eccettuato la pupilla, deve essere di color bianco, pendente un poco nel fior del lino, ma tanto poco, che a pena si paia; la pupilla poi, salvo quel circuletto che l'ha nel mezo, non vuole essere perfettamente nera, ancor che tutti e poeti greci e latini e i nostri ancora, con una voce medesima, gridino occhi neri e tali averli avuti la Dea della belleza s'accordassero tutti; nondimeno non mancò chi i cesi lodasse, che sono pendenti nel color del cielo; e così fatti averli avuti la bella Venere si trova scritto da fedelissimi autori; e tra voi è donna e da me e da molti altri per bellissima reputata, che, avendoli tali, par che ne acquisti grazia. Non di meno, l’uso commune par che abbia ottenuto che il tané oscuro tra gli altri colori ottenga nell'occhio il primo grado; il nero morato non è da lodar molto, percioché e’ genera scureza e guardatura un po’ crudetta; e il tané, ma scuro, cria una vista dolce, allegra, chiara, e mansueta; e nel volger gli occhi dà loro un non so che di grazia attrattiva, onesta, pungente; la quale io non voglio dichiarare ora altrimenti, se non col mostrarvi quelli di mona Lampiada, ai quali non manca alcuna delle dette parti. Vuol l'occhio, oltre alle già dette cose, e come è il suo ancora, esser grande, rilevato, non concavo, non in dentro; ché la concavità fa fiera guardatura e il rilevato bella e modesta; e Omero, volendo lodare quelli di Giunone, disse che egli erano simili a quelli del bue, volendo inferire che egli eran tondi, rilevati e gran- [771] di; molti han detto che vorrebbono essere lunghetti, altri ovati, che a me non dispiace. Le palpebre, quando son bianche e vagheggiate con certe venuze vermigliette, che a fatica si veggano, fanno grande aiuto alla universal belleza dell'occhio; i peli delle quali vogliono essere raretti, non molto lunghi, non bianchi, ché oltre al far deformità, raccortano il vedere; né mi piaccion molto neri, che farebbon la vista spaventata. Quella fossa che circonda l’occhio non vuole essere molto affonda, né troppo larga, né di colore diverso dalle guance; e però avvertiscano le donne, quando si lisciano (quelle dico che son brunette), percioché bene spesso quella parte male atta a ricevere il color del liscio o l’impiastro per meglio dire, per quella concavità o a ritenerlo per la mobilità delle palpebre, fa una divisa che mostra male; e la vicina di mona Teofila incorre spesso in questo errore.

 

[Delli orecchi] Li 0 r e c c h i, che col color si dipingon più simili ai balasci che a’ rubini, anzi si coloriscon con le rose imbalconate e non con le rosse, voglio io da te, Selvaggia; alla cui belleza, come ben mostrano i tuoi, è necessario una forma mediocre, con quelle lor rivolture ordinate con garbo e con conveniente rilevo, ma di più vivo colore che le parti piane; e quello orlo che li circonda intorno intorno, debbe trasparere e risplendere di rosso, simile alle granella delle melagrane; e sopra tutto to’ lor la grazia l'esser fiacche e languide, così come gliela porge l'esser salde e bene attaccate.

 

[Delle tempie ] Delle T e m p i e non ci è molto che dire se non che fa mestier che le sien bianche e piane; non incavate, né soverchio rilevate; non umide, non sì strette, che paia che ci serrino il cervello, che significherebbon deboleza di cervello; le quali tanto son belle quanto somiglian quelle di mona Amorrorisca, e [772] quanto l'arte del portarvi su e capegli o più alti, o più bassi o più crespi o più distesi o più folti o manco spessi, le accresce, le diminuisce, le allarga, le strigne, le allunga, le scorta, secondo che fa loro di bisogno, o quanto un picciol fiorellino le racconcia.

MONA LAMPIADA. Quando io era fanciulla, noi non ci amaiavamo, come fanno al dì d’oggi queste nostre, che si metton tanti fiori e tante foglie, che paion bene spesso un vaso di gherofani o di persa; ed evene di quelle che paiono un quarto di capretto nello stidione, che vi si pongono insino al ramerino; che a me par pur la più sgarbata cosa del mondo. E a voi che pare, messer Celso, di questo?

CELSO. Non troppo bene, se io ve ne ho a dire il vero; e questo errore aviene, percioché le non sanno per che cagione anticamente fusse trovato il portar de’ fiori nell’orecchio, delle gentildonne parlando; percioché le villanelle, non avendo né altro oro né altre perle, se ne empiono, come sapete, senza ordine, senza modo e senza numero; e quella straccuratagine fa in loro belleza.

MONA LAMPIADA. Io penso che ancor dalle gentildonne fusse trovato il portar de’ fiori come per un certo domestico ornamento, in vece delle perle e dell’oro; percioché non tutte le nostre pari hanno il modo di abbigliarsi con i sassi d’Oriente o con le arene del Tago; e però fu necessario pigliar delle riccheze degli orti de’ nostri paesi; ma poi ognuno ha atteso a por su, sì che par talvolta che elle abbiano un festone intorno al viso o una chintana; ma anche l'acque e’ lisci furon trovate [773] per levare i panni, le lentigini e cotali altre macchie, e oggidì servono per intonacare e per imbiancare il viso, non altrimenti che la calcina o ’l gesso si faccia la superficie delle mura; e credon forse queste semplicelle che gli uomini, ai quali le cercan piacere, non conoscano quegli imbratti, i quali, lasciamo star che le logorino e che le facciano diventar vecchie inanzi al tempo, guastan loro i denti e fannole parer maschere tutto l'anno. Considerate un poco mona Betola Gagliana, chi la pare; quanto più si ritira, quanto più si azima, tanto par più vecchia; anzi non pare altro se non un ducato d'oro stato nell'acqua forte; che non le averebbe così, se, quando ell' era fanciulla, la non si fusse tanto strebbiata. Io per me, se mi son punto mantenuta (che non lo so, ma basta che altri il dice), non è stato per altro se non che l'acqua del pozzo fu sempre il mio liscio e sarà quel della mia figliuola, insinché la starà dove me; poi abbisele cura il marito. Ma diteci la cagione del portar de' fiori, che nel vero io mi son dilungata un poco troppo da casa; ma scusimi il giusto odio che io porto a questi intonacati.

CELSO. Voi doverete sapere che ordinariamente si dorme più in su la tempia destra che in su la sinistra; laonde avviene che quella parte, per essere più depressa e più ammacata, viene avallare alquanto più che l'altra; come eziandio si vede nelle barbe degli uomini, le quali per la medesima cagione sempre son men folte nella destra che nella sinistra parte. Ora percioché e' faceva mestiero alzare la parte avallata, con un poco d'arte costumaron le gentil donne porvi alquanti fiori, ma piccioli e gentili, che la sollevassero e alzassero un poco, ma in modo che e' non facessero sparir l'altra; e furon di due sorti, ma d'un color medesimo, e il quale più tosto aiutasse che e' togliesse la frescheza alle vermiglie guance e al candor di tutto il viso, com'è l'azurro; e tolsero i fior cappucci e i fioralisi, i quali per questa cagione si acquistaron que' nomi. Percioché, [774] come voi dovete aver sentito dire, le donne anticamente portavano in capo certe acconciature che si chiamavan cappucci; e percioché quei fiori si mettean sotto a quei cappucci, però furon chiamati fior capucci, quasi fior da capucci; i quali venivano a punto a ricoprir quella tempia avallata, della quale abbiam parlato di sopra. I fioralisi, percioché avevano il gambo un po’ più lungo, e più si potevano estendere verso il viso, furon chiamati fioralisi, quasi fior da visi o fiori atti allo adornamento del viso. Usaronosi ancora le viole mammole, per quel poco del tempo che le duravano, e per colore e per grandeza quasi simili ai già detti fiori; e furon chiamate viole mammole, quasi volessero dire fiori da mammole; e però le chiamò il Poliziano mammolette verginelle, quasi volesse inferire che egli eran fiori o vero viole da fiorir verginelle. Le viole che molti dall'odore chiamano gherofani, le rose e altri simili fior più grandi e odoriferi si portavano in mano a quei tempi; e accioché con quel color troppo acceso e' non imbiancassero il natural color del rosseggiante volto, e' non se gli mettevano in sulle guance; ché ben sapete quanto il color rosso è ordinariamente nimico della incarnazione delle belle guance e di tutta la carne di voi altre donne; e maravigliere'mi come se ne trovasse alcuna che se ne vestisse, se non ch'io veggio ch'ogni cosa si fa a caso e che questa arte dello abbigliare e vestire e acconciare le donne è perduta. Che gofferia è egli a vedere un paio di manichini foderati di pelle a un luchesino coi brodoni scempi! Non s'accorgon elleno che quel fodero fa gonfiar quei manichini e che' brodoni spariscono, che 'l braccio par che rimanga storpiato? Oh, che bel vedere è l'imbusto senza un profilo intorno al collo o senza una mostra, ma semplice semplice! Adunque solo alle braccia dal gomito in giù fa freddo, e però si foderano, e non al resto della persona? Oh, gran scioccheza! Oh, gran gofferia! Oh, cosa sgarbata! e pur s'usa e pur la ve- [775] diam fare a coloro a cui puzano i fior di melarance. Ma torniamo a' nostri fiori, di grazia: dico adunque che e' vennero poi certe mone Ciolle , le quali, senza considerar la cosa troppo per il minuto, veggendo che un di quegli fioretti porgeva tanta grazia, a uso di sofiste fecer questo argumento fra loro: "Se un picciolo fiorellino fa tanta vagheza, che farà un grande? E se uno o due, che faranno dieci o dodici e un mazo?" E cominciarono a por su, come voi vedete, senza considerar se la testa è larga, se 'l viso è lungo, se le tempie son fonde, s'elle son rilevate. Se la moglie di Panfilo facesse a mio modo, la se ne metterebbe forse manco; la quale, avendo un po' le tempie in dentro, con que' gherofani ch'ella si pone alle gote (e forse ch'ella non se gli mette giù basso!), non solamente si fa sparire il color delle guance, che non ha da vendere, ma col sollevarle più che non le bisognerebbe, mostra che le tempie sien più avallate che le non sono; e ponetevi cura come voi la vedete, che voi vi accorgerete s'io vi dico il vero o s'io me ne intendo.

 

[Delle guance] Le G u a n c e non accadrebbe descriverle altrimenti, percioché noi aviamo lo esempio perfetto avanti con le tue, Selvaggia; le quali, benché con queste mie parole abbiano ripreso colore, onde se nulla lor mancava, or gnene avanza, io torrò per questa mia figura; non di meno per servar l'ordine incominciato e per maggior dichiarazione, dico che le guance bramano una biancheza più rimessa che quella della fronte, cioè un poco men lustrante; la quale, partendosi dalla loro estremità, pura neve, vadian, insieme col gonfiamento della carne, crescendo sempre in incarnato sì ch'è in guisa d'un monticello, ch'in su la cima finisca con la sembianza di quel rosseggiare che si lascia il sol dietro, quando con buon tempo lascia questo [776] nostro emispero; ché ben sapete che non è altro ch'un candore ombreggiato di vermiglio.

 

[Del naso] Restaci a pigliare il N a s o, il quale P della maggior importanza che cosa che sia sul volto, o volete dell'uom o della donna; ché, come vi si disse l'altro giorno, chi non ha il naso nella total perfezione, è impossibile che apparisca bella in profilo; che la moglie del Sarto de' Cavagli, che pare in faccia qualche cosa, in profilo pare una befana; e considerandola io una mattina che ella udiva messa alla Capella avanti alla Selvaggia, mi accorsi di quel suo mancamento. Ma torniamo al naso, la misura del quale avendovi mostro all'altra giornata, non accade or replicare; ma chi se la fusse scordata o non vi fusse stato, guardi quello di Verdespina, che se ne ricorderà; percioché ella, come se fusse una nuova Giunone, l'ha in tutta perfezione. Il quale, oltra alla misura per seguir l'ordine cominciato, vuol più tosto pendere nel piccolo e nello affilato e dal suo principio e base, che è sopra la bocca, e sulla sua punta; e desidera con un segno di rivoltura mostrarla distinta con un poco quasi di soprasalto colorito, ma non rosso, con una quasi invisibil linea, che pur mostri partire ambodue le nari; le quali debbono rilevare un poco in sul principio, di poi abbassandosi dolcemente salire alla fine, sì che con ugual tratto sempre diminuiscano; ma quando al fine della cartilagine e 'l principio del solido del naso s'alzasse un poco poco di rilevato, non aquilino, ch'in una donna comunemente non piace, ma quasi un nodo in un dito, darebbe grazia, anzi sarebbe la vera perfezion del naso; la parte da basso, cioè tutta la cartillagine, e massime l'orlo di quella, desidera il color simile all'orecchio; ma forse anche meno acceso, purché non sia bianco bianco, come se li facesse freddo. E vogliono le nari essere asciutte e nette; che molte, e massime al confine delle guance, avendole alquan- [777] to umidette, alle volte hanno un certo non so che, senza che, a voler significare che uno sia uom di buon giudizio, il proverbio latino dice: "Est homo emunctis naribus", che significa: "egli è uom che ha le nari asciutte". Non è bello il naso arricciato; impercioché, oltre a che significa la persona soverchio sottoposta alla stiza, e' guasta il profilo; come si pub vedere nella moglie di quel nostro prete che governa il pupillo a Pistoia, la quale fuor di questo è una bellissima giovane; ed è brutto quello che sta tuttavia per caderne in bocca; ma piace quello che è pari in tutta la sua posatura, come è finalmente il tuo, Verdespina, pieno d'ogni grazia e d'ogni belleza.

 

[Della bocca] Eccoci alla B o c c a, fontana di tutte le amorose dolceze, la quale disidera più tosto pendere nel picciolo che nel grande; né deve esser aguza, né piatta; e nello aprirla, massime quando si apre senza riso o senza parola, non averia a mostrar più che cinque denti, insino in sei, di quei di sopra. Non sien le labbra molto sottili né anche soverchio grosse, ma in guisa che il vermiglio loro apparisca sopra lo incarnato che le circonda; e voglion nel serrar della bocca congiungersi pari, che quel di sopra non avanzi quel di sotto, né quel di sotto quel di sopra; e voglion fare verso il lor fine una certa diminuzione diminuita in angulo ottuso: come è questo

 

 

ma non come lo acuto

 

 

o come il mento

 

 

[778] Egli è ben vero che, quando il labbro di sotto, e massime quando la bocca è aperta, gonfia un poco nel mezo più che quel di sopra, con un certo segno che mostri quasi di dividerlo in due parti, che quel poco di gonfiamento dà gran grazia a tutta la bocca. Tra il labbro di sopra e quel che voi chiamate il mocol del naso, vuole apparire eziandio una certa dimensione, che paia un picciol solco e poco a dentro, seminato di rose incarnate. Il serrar la bocca qualche volta, con un dolce atto e con una certa grazia, dalla banda dritta e aprirlo dalla manca, quasi ascostamente soghignando, o mordersi talora il labbro di sotto non affettatamente, ma quasi per inavertenza, che non paressero attucci o lezi, rare volte, rimessamente, dolcemente, con un poco di modesta lascivia, con un certo muover d'occhi, che or riguardino fissamente e allora allora rimirino in terra, è una cosa graziosa, un atto che apre anzi spalanca il paradiso delle delizie e allaga d'una incomprensibile dolceza il core di chi lo mira disiosamente.

 

[Dei denti e della lingua] Ma tutta questo sarebbe poco, se la belleza dei D e n t i non concorresse coll'essere piccioli, ma non minuti, quadri, uguali, con bello ordine separati, candidi e allo avorio simili sopra tutto, e dalle gingive, che più tosto paiano orli di raso chermisino che di velluto rosso, orlati, legati e rincalzati; e se per sorte accadesse che la punta della L i n g u a si avesse a vedere, che sarà di rado, porgerà vagheza, struggimento e consolazione, s'ella sarà rossa come 'l verzino picciola, ma non appuntata, né quadra. E mona Lampiada ha la grazia universal di tutta la bocca, come io la disidero; la Selvaggia delle labbra, che le ha maravigliose; mona Amorrorisca dei denti e Verdespina delle gengive e della lingua; sì che con tutte a quattro voi noi faremo una bocca delle più belle che mai fossero, non [779] pur dipinte, ma imaginate; però ciascuna di voi mi darà la parte sua per il ritratto della mia chimera.

 

[Del mento] E da te, Verdespina, voglio il M e n t o, che tra i vostri, che son bellissimi tutti, egli mi pare il più bello, percioché non è arricciato, né aguzo, ma tondo e colorito nel suo rialto d'un color vermiglietto, un poco acceso. E ha, dalle labbra, di sotto dove e' termina, alla parte del ceppo, dove e' comincia, ma con una certa dolceza, che più tosto si può con la mente considerare che esprimere con le parole, e dalla parte da basso ascendendo verso il labro sino a meza via, a perdere più tosto di colore che no, ché lo racquista seguitando poi il piacevole viaggio verso il labbro. Un poco di fossicella nel canto che si disse all'altro ragionamento, è sua propria e particolar belleza; la qual cosa molto ben mostrò di conoscere il Vallera, cantando le belleze della sua druda, quando e' disse:

 

La Nencia mia ha un buco nel mento,

che rabbellisce tutta sua figura.

 

Ecco che anche i contadini, che son ripieni d'un buon iudizio naturale, conoscono anche eglino la perfezion della belleza. Se il mento già detto vien poi declinando verso la gola e percuote in una picciola soggiogaia, acquista alla universal belleza pure assai e nelle grasse è precipuo ornamento e un dolce compagno delle belleze della gola.

 

[Della gola] La G o l a vuol essere tonda, svelta, candida e senza una macchia, e far, nel volgersi or qua e or là, certe piegature, che mostrino or l'una or l'altra delle due corde che mettono in mezo le canne vitali, con una vagheza dolce a contemplare, [780] difficile a raccontare; nell'abbassarsi vorrebbe far certe rughe circulari, in forma di monili o vero collane, che la circondino; nello alzarsi vuol distendersi tutta e quasi imitare la lascivetta palomba, che abbia il collo d'oro e d'ostro dipinto. Piace la gola con la sua pelle dilicatissima svelta, che penda più nel lungo che nel corto; mostri al confino del petto un poco di fontanella, tutta piena di neve; ma sopra, e quasi a pie' del soggolo del mento, un poco poco di rilevo, ma non tale che, come negli uomini paia il ritenuto pomo del mal consigliato Adamo. E percioché io ve la ho descritta di mano in mano con lo esempio della bella Selvaggia, non vi doverete maravigliare se per un pezo io la ho riguardata sì interamente. Dunque torremo la sua come bellissima tra quante io ne vedessi forse già mai e porrenla al nostro disegno; la quale supplirà molto più con lo effetto che io non ho saputo dipingervela col rozo penello delle mie parole.

 

[Delle spalle] E dalla gola scendendo alle S p a l l e, diciamo che, quando ell’hanno una certa quadratura, come le vostre, mona Amorrorisca, dolce dolce, e son larghe, percioché il gretto le offende, sono nella vera perfezione.

 

[Del collo] Sia il C o 1 1 o bianco, ma un poco rosseggiante, se non in tutto uguale, almeno che gli umeri non gonfino sì, che pendano punto punto al gobbo; e quella quasi valle, che dalla collottola alle reni si abbassa, vuole essere poco affonda, percioché, alla propria deformità, farebbe parere le spalle grosse e lo 'mbusto della veste rileverebbe troppo; che, quando così accade, fa brutto vedere. E perché queste parti e in Selvaggia e in mona Amorrorisca sono bellissime, da Selvaggia prenderemo [781] il collo e da voi torremo le spalle; al modo delle quali ritornando, diremo che dal posamento della gola partendosi per gettar fuori le braccia, come lor principio, e come fa un vaso antico, ma di mano di buon maestro, i suoi manichi debbono alzarsi un poco; di poi, con una declinazione non repentina, fermare le braccia e fare un mezo ritegno allo imbusto delle vesti che non caschino; che anche in questa parte è mona Amorrorisca assai riguardevole.

 

[Delle braccia] SELVAGGIA. Deh, caro il mio messer Celso, mostrateci come a similitudine d'un vaso antico voi formate le spalle e poi le B r a c c i a; che i predicatori a noi altre donnicciuole dicono degli esempi, per farci più capaci delle loro dimostrazioni; ché così è necessario far con le persone grossolane.

CELSO. Grossolano sarei io, se tenessi grossolane voi e credessi assottigliar voi, che ne ingrossate a noi l'intelletto più di quel che noi non vorremmo; ma se pur pure volete uno esempio, qual più bello e più vero cercate voi che quello di mona Lampiada? La quale non solo è un vaso, ma un sicuro armario di tutte le virtù che adornano l'animo d'una gentildonna; ma percioché voi mi potreste dire che volete un vaso antico e non un moderno, come è il suo, perciò vi voglio contentare.

 

 

Vedete che 'l principio di quei manichi s'alzano un poco e poi discendono a basso dolcemente, come debbon fare le brac- [782] cia. Ma del vaso antico, poi che avemo cominciato a disegnare, vi voglio mostrare come nasce la gola in su' confini del petto, del collo e delle spalle e come gl'imbusti si rilevino di 'n su' fianchi; che penso non vi dispiacerà, anzi vi parrà che la natura o abbia imitato l'arte o che l'arte della belleza di voi altre donne abbia ritratto quei bei vasi. Ma prima mi voglio spedire della belleza del petto.

 

[Del petto ] Il P e t t o vuol essere bianco sopra tutto; ma che bisogna perder più tempo? Il petto vuol esser come quello della Selvaggia; guardate il suo e vedrete ogni perfezione, ogni proporzione, ogni grazia, ogni vagheza, ogni leggiadria, ogni belleza finalmente; quivi son le viole d'ogni tempo, quivi le rose di genaio, quivi la neve d'agosto; quivi le Càrite, quivi gli Amori, quivi le lusinghe, quivi le blandizie, quivi le soie; quivi Venere con tutta la sua famiglia, con tutte le celesti dote, col balteo, col velo, con le trecce, co' nastri, con ogni sua pompa alla fine; e non tanto non vi manca cosa alcuna, ma egli vi è più di quello che ’l disiderio possa sperare, che lo intelletto possa intendere, la memoria ricordarsi, la lingua esprimere penetrar la imaginazione; sì che e' non accade logorarci più parole, che io per me non credo, né che Elena, né che Venere, né che la Dea della belleza lo avesse più bello, né più mirabile.

SELVAGGIA. Eh, andate, andate; diteci come egli debbe esser fatto e come avete costumato di fare dell'altre cose; ché io non voglio che col fingere di avermi voluto far questo favore, o per voler la baia del fatto mio, che voi lasciate indietro la dichiarazione d'una delle più importanti parti, che, secondo il mio poco giudizio, si ritrovano in una bella donna.

CELSO. Infine voi mi perdonerete; e' non mi basta l'animo di dirne cosa che non sia molto minore assai che non è il bellissimo e felicissimo esempio vostro.

SELVAGGIA. Consentianvi che voi diciate il vero; nondimeno io vi prego che voi dichiariate la sua belleza, almeno per amor mio, che non mel veggio.

[783] CELSO. Almeno lo lasciassi tu vedere agli altri! Orsù, adunque, poi che io sono vostro prigione, egli mi è forza fare a vostro modo; non di meno io me la passerò leggiermente e per quel che s'è detto ora e perché all'altro ragionamento se ne parlò quasi a bastanza. Diremo adunque che quel petto è bello il quale, oltre alla sua latitudine, la quale è suo precipuo ornamento, è sì carnoso che sospetto d'osso non apparisce, e, dolcemente rilevandosi dalle estreme parti, viene in modo crescendo, che l'occhio a fatica se ne accorge; con un color candidissimo macchiato di rose, dove le fresche e saltanti mammelle, movendosi all'in su, come mal vaghe di star sempre oppresse e ristrette tra le vestimenta, mostrando di voler uscire di prigione, s'alzino con una acerbeza e con una rigorosità, che sforza gl'occhi altrui a porvisi su, perché le non fuggano. Voi altre donne dite che le vogliono essere bene attaccate e piaccionvi quelle che son picciolette, ma non tanto, che, come disse già uno amico vostro, mona Selvaggia, le paian le rose della cetera che Davitte portava alla festa di San Felice in piazza. Ora poi così passando io ho compiacciuto alla Selvaggia, ancor che ella a me non compiacesse mai d'un solo sguardo, io, come vi promisi, voglio mostrare in che modo, con un vaso antico, nasca la persona o vero il busto d’in su i fianchi e la gola d'in sul petto e d'in sulle spalle. Or notate adunque.

 

 

Vedete come quel collo del vaso primo si rileva in su le spalle e quanta grazia dà al corpo del vaso la sottiglieza del collo, in ricompensa di quella che da lui riceve e quanto quella cir- [784] conflessione lo fa bello, rilevato e garbato. Considerate ora quel vaso secondo e vedete quello alzar del collo d'in sul corpo del vaso; quello è il busto d'una donna che s'alza in su' fianchi; e quanto più quei fianchi sportano in fuora tanto fanno il busto più svelto e più gentile e manco cintura bisogna a stringerlo, come nel primo fanno le spalle alla gola; la qual cosa non accade nella forma dell'altro terzo, nel quale, come ben potete considerare, non appar grazia né belleza. Simili al primo son quelle donne che hanno la gola lunga e svelta, le spalle larghe e graziate; simili al secondo son quelle che son ben fiancute, precipua belleza delle donne ignude formose e del busto gentile, svelto e ben proporzionato; simili al terzo son certe spigolistre smilze senza rilevo e senza garbo; simili a quarto son quelle che furon fatte senza rispiarmo di materia e non furon finite, ma abbozate e lavorate con l'ascia, senza lima e senza scarpello. E con questa dimostrazione e con questo esempio vi potrete accorgere che i fianchi voglion rilevare assai e gittar su il busto schietto e gentile; e le spalle hanno della gola a fare il simigliante. E avenga che queste parti si possano aiutare con le bambagie e co' suoppanni e, per dirlo ad un tratto, con la industria del sarto, nondimeno, quando l'arte non ha l'aiuto dalla natura, la fa poco, e quel poco riesce male, e pochi son che non se ne accorgano; e non è altro che voler diventar grande con le pianelle, ch'ognun lo conosce, salvo che 'l marito la sera quando se ne va al letto. E però concludendo diremo che la natura è la maestra delle belleze e l'arte è una sua ancilla; e per lo esempio nostro e per la nostra figura piglieremo il rilevo de' fianchi di mona Amorrorisca e d'indi scenderemo alla gamba.

 

[Della gamba] La G a m b a ci darà Selvaggia, lunga, scarsetta e schietta nelle parti da basso; ma con le polpe grosse quanto bisogna, bianche quanto la nave e ovate quanto richiede; con gli stin- [785] chi non al tutto ignudi di carne, onde si veggiano i trafusoli, ma commodamente ripieni, in guisa che la gamba non ingrossi soverchio; non saranno i talloni molto rilevati né anco si piani che e' non si scorgano.

 

[Del piede] Il P i e d e ci piace picciolo, snello, ma non magro, né senza l'atto del salir del collo; d'argento, disse Omero quando parlò di quel di Teti; bianco, dico io, come lo alabastro per chi lo avesse a vedere ignudo; a me basterebbe vederlo coperto con una scarpa sottile, stretta, attillata e tagliata secondo la vera arte, che vuole al piede pendente in lungo i tagli al traverso, al largo, per il diritto, ma piccioli, a misura, con disegno, con invenzione e sempre con nuove fogge. Fate che la pianella sia corta, bassa, pulita. Ma che fo io che tolgo l'uffizio a quella buona Intronata di mona Rafaella! e tu, Selvaggia, ne darai il destrissimo piede per la nostra chimera.

Poscia che con le belleze di tutt’a quattro voi come per esempio, noi vi aviamo dimostro la perfezione d'una bellissima donna, io voglio che per suo maggior finimento, noi le diamo la grazia, la leggiadria e tutte quelle altre parti che si convengono alla integra perfezione d'una consumata belleza, secondo che noi ve le dichiarammo all'altra giornata; poi farem fine, ch'ormai ne sarà tempo. Ma ditemi il vero, non vi par egli che questa nostra dipintura sia riuscita nella mente vostra più bella con quattro di voi che la famigerata Elena di Zeusi con cinque Crotoniate? E questo è un fortissimo argomento che a Prato sono oggi molto più belle le donne, ch'elle non erano in Grecia anticamente.

VERDESPINA. E mai come ? Oh, la non ha né braccia né mani, sì che pensa come la può essere! Oh, quella statua che è al principio delle scale del nostro Podestà, è più bella della vo- [786] stra; ché almeno, se la non ha braccia, ella ha in quello scambio una bandella, e può pur tenere una maza ferrata in mano.

CELSO. Tu hai una gran ragione, fanciulla mia. Oh, poveretto a me, e che ho io fatto! Deh, vedi quello ch'io mi era dimenticato! Ma e' ne fu cagion la Selvaggia, che non mi fa mai se non male; che s'ella si contentava che 'l suo petto servisse alla nostra figura senza altra dichiarazione, io non faceva questo errore; impercioché a punto allora voleva venir là dove mi chiama Verdespina.

SELVAGGIA. A mano a mano, secondo il dir di costui, io sarò la pietra dello scandalo; oramai io comincerò a credere che voi mi vogliate male.

Allora una certa vecchia, che era venuta per accompagnare a casa non so chi di quelle donne, di secco in secco disse: – Uh, che di' tu, fanciulla mia! Or non ti accorgi tu ch' e' si ciancia teco, semplicella? Tanto ben volesse il mio padrone a me, ch'io non arei a piatir tutto uno inverno un paio di zoccoli.

E perché la brigata cominciò a levar le risa, la si levò loro in un tratto dinanzi e andossene in cucina. Onde Celso, poi che ognuno ebbe dato luogo alle risa, seguitando disse:

– Selvaggia, io non posso negare che quello che disse quella buona vecchia non sia il vero; ma...

SELVAGGIA. Ecco quel ma che guasta ogni cosa; ma al nome sia d'Iddio, se io non son sì bella che e' non mi si possa appor qualche cosa, almeno io non sono come cotesta vostra che avete durato due dì a farla e non ha né braccia né mani; oh, ell'è riuscita la vaga cosa! Almanco io l'ho, e sien poi col ma e come le si vogliono.

 

[Delle braccia] CELSO. Tu starai poco a averle, poi che tu fai la adirata, che per quello amore io te le voglio torre e porle a questa mia [787] figura; e quando la non avesse altro che il tuo petto e tant'altre cose che ella ha avute da te, ella sarà bella, o che tu voglia o che tu non voglia. Piglieremo adunque le tue B r a c c i a, percioché le sono di quella proporzionata lungheza che noi vi mostrammo all'altra giornata nel quadramento della statura umana; e oltre a ciò son bianchissime, con un poco d'ombra d'incarnato su' luoghi più rilevati, carnose e musculose; ma con una certa dolceza che non paian quelle d'Ercole quando strigne Cacco, ma quelle di Pallade quando era innanzi al pastore. Hanno ad essere piene d'un natural succo, il quale dia loro una certa viveza e una frescheza che generino una sodeza, che, se vi aggravi su un dito, che la carne si avalli e si imbianchi nella parte oppressa tutta ad un tratto, ma in guisa che subito levato il dito, la carne torni al luogo suo e la biancheza sparisca e dia luogo all'incarnato che torni.

 

[Delle mani] La M a n o, che ognuno afferma che tu l'hai bellissima (io dico bene a te, Selvaggia, e non ti varrà coprirla), si disidera pur bianca e nella parte di sopra massimamente; ma grande e un poco pienotta, con la palma un poco incavata e ombreggiata di rose; le linee chiare, rare, ben distinte, ben segnate, non intrigate, non attraversate; i monticelli, e di Giove e di Venere e di Mercurio, ben distinti, ma non troppo alti; la linea, particolar dimostratrice dell'ingegno, fonda e chiara e da nessuna altra ricisa; quello scavo che è tra l'indice e 'l dito grosso sia ben assettato, senza crespe e di vivo colore. Le dita son belle, quando son lunghe, schiette, dilicate e che un pochetto si vadano assottigliando verso la cima, ma sì poco, che a pena si veggia sensibilmente. L'unghie hanno da essere chiare e come balasci legati in rose incarnate, con la foglia del fior di melagrana; non lunghe, non tonde, né in tutto quadre, ma con un bell'at- [788] to e con un poco poco di curvatura; scalze, nette, ben tenute, sì che da basso appaia sempre quello archetto bianco, e di sopra avanzi della polpa del dito quanto la costola d'un picciol coltello, senza che pur un minimo sospetto appaia d'orlo nero in sulla fine loro; e tutta la mano insieme ricerca una soave morbideza, come se toccassimo fine seta o sottilissima bambagia. E questo è quanto ne accadeva dirvi delle braccia o delle mani. Or non sarà più questa mia figura come quella di piaza; ma vedi a chi la me la aveva aguagliata! che tu se' ben una di quelle spine appuntate che entran tra la carne e l'unghia; e se' verde, da cor più materia; e buon per me che ho avuto buon ago da cavarmela.

SELVAGGIA. Or sì che mi pare che questa vostra dipintura stia come quelle che son di mano di buon maestro; e per dirne il vero, ella è riuscita una cosa bellissima e tale che, se io fossi uom, come io son donna, e' sarebbe forza che, come un nuovo Pimaglione lo me ne inamorassi; e non crediate che io dica che ella sia bella, per inferir che quelle parti che le abbian date noi, ne sien cagione; con ciò sia cosa che gli ornamenti che le avete fatti voi e le vesti che voi le avete date con le vostre dimostrazioni, averebbon forza di far parer bella la moglie di Iacopo Cavallaccio; che, se io, per dir di me sola, avessi il petto di quella beltà che voi avete predicato con quelle vostre artificiose parole, e io non cederei né a Elena, né a Venere, né alla Belleza.

CELSO. Tu lo hai e partelo avere; non bisogna e non accade ora far queste none; e buon pro ti faccia e a chi è degno alcuna volta di rimirarlo. E veramente che quando quello amico mio compose in lode di quello quella bella elegia, avendo [789] avuto tanta bella accia, non è gran fatto che egli riempiesse sì bella tela. Ma per dar l'ultima perfezione oramai a questa nostra chimera e accioché e' non le manchi cosa che in bella donna si disideri, voi, mona Lampiada, le darete quella venustà, che risplende ne gl'occhi vostri, quella bell'aria, che sparge la proporzionata unione delle vostre membra. Voi, mona Amorrorisca, le darete quella maestà regia della vostra persona, quella allegreza dell'onesto e venerando aspetto vostro, quello andar grave e quel porger quei occhi con tanta dignità, con quel gentil modo che diletta a qualunque lo mira. Una composta leggiadria, una vagheza ghiotta, uno attrattivo onesto, lascivo, severo, dolce le darà Selvaggia, con quella pietosa crudeltà, che per forza si loda, se ben non si disidera. Tu, Verdespina, le darai quella grazia che ti fa sì cara e quella pronteza e dolceza del parlare allegro, arguto, onesto ed elegante. Lo 'ngegno e le altre doti e virtù dell'animo non ci fanno mestieri, percioché aviamo tentato di dipignere la belleza del corpo e non quella dell'animo, alla finzion della quale bisogna miglior dipintor di me, miglior colori e miglior penello che non è quello del mio debole ingegno, se ben l'esempio di voi altre non è manco sufficiente in questa belleza che si sia nell'altra.

E senza altro dire, fecer fine ai lor ragionamenti, e ciascun se ne tornò a casa sua.

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 18/07/05 01.26.34

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