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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Aminta

di: Torquato Tasso

 

 

ATTO QUINTO

 

 

 

Elpino, Coro

 

[ELPINO] Veramente la legge con che Amore

il suo imperio governa eternamente

non è dura, né obliqua; e l'opre sue,

piene di providenza e di mistero,

5          altri a torto condanna. Oh con quant'arte,

e per che ignote strade egli conduce

l'uom ad esser beato, e fra le gioie

del suo amoroso paradiso il pone,

quando ei più crede al fondo esser de' mali!

10        Ecco, precipitando, Aminta ascende

al colmo, al sommo d'ogni contentezza.

Oh fortunato Aminta, oh te felice

tanto più, quanto misero più fosti!

Or co 'l tuo essempio a me lice sperare,

15        quando che sia, che quella bella ed empia,

che sotto il riso di pietà ricopre

il mortal ferro di sua feritate,

sani le piaghe mie con pietà vera,

che con finta pietate al cor mi fece.

20        [CORO] Quel che qui viene è il saggio Elpino, e parla

così d'Aminta come vivo ei fosse,

chiamandolo felice e fortunato:

dura condizione degli amanti!

Forse egli stima fortunato amante

25        chi muore, e morto al fin pietà ritrova

nel cor de la sua ninfa; e questo chiama

paradiso d'Amore, e questo spera.

Di che lieve mercé l'alato Dio

i suoi servi contenta! Elpin, tu dunque

30        in sì misero stato sei, che chiami

fortunata la morte miserabile

de l'infelice Aminta? e un simil fine

sortir vorresti? [ELPINO] Amici, state allegri,

che falso è quel romor che a voi pervenne

35        de la sua morte.

[CORO] Oh che ci narri, e quanto

ci racconsoli! E non è dunque il vero

che si precipitasse? [ELPINO] Anzi è pur vero,

ma fu felice il precipizio, e sotto

40        una dolente imagine di morte

gli recò vita e gioia. Egli or si giace

nel seno accolto de l'amata ninfa,

quanto spietata già, tanto or pietosa;

e le rasciuga da' begli occhi il pianto

45        con la sua bocca. Io a trovar ne vado

Montano, di lei padre, ed a condurlo

colà dov'essi stanno; e solo il suo

volere è quel che manca, e che prolunga

il concorde voler d'ambidue loro.

50        [CORO] Pari è l'età, la gentilezza è pari,

e concorde il desio; e 'l buon Montano

vago è d'aver nipoti e di munire

di sì dolce presidio la vecchiaia,

sì che farà del lor volere il suo.

55        Ma tu, deh, Elpin, narra qual dio, qual sorte

nel periglioso precipizio Aminta

abbia salvato. [ELPINO] Io son contento: udite,

udite quel che con quest'occhi ho visto.

Io era anzi il mio speco, che si giace

60        presso la valle, e quasi a piè del colle,

dove la costa face di sé grembo;

quivi con Tirsi ragionando andava

pur di colei che ne l'istessa rete

lui prima, e me dapoi, ravvolse e strinse,

65        e proponendo a la sua fuga, al suo

libero stato, il mio dolce servigio,

quando ci trasse gli occhi ad alto un grido:

e 'l veder rovinar un uom dal sommo,

e 'l vederlo cader sovra una macchia,

70        fu tutto un punto. Sporgea fuor del colle,

poco di sopra a noi, d'erbe e di spini

e d'altri rami strettamente giunti

e quasi in un tessuti, un fascio grande.

Quivi, prima che urtasse in altro luogo,

75        a cader venne; e bench'egli co 'l peso

lo sfondasse, e più in giuso indi cadesse,

quasi su' nostri piedi, quel ritegno

tanto d'impeto tolse a la caduta,

ch'ella non fu mortal; fu nondimeno

80        grave così, ch'ei giacque un'ora e piue

stordito affatto e di se stesso fuori.

Noi muti di pietate e di stupore

restammo a lo spettacolo improviso,

riconoscendo lui; ma conoscendo

85        ch'egli morto non era, e che non era

per morir forse, mitighiam l'affanno.

Allor Tirsi mi diè notizia intiera

de' suoi secreti ed angosciosi amori.

Ma, mentre procuriam di ravvivarlo

90        con diversi argomenti, avendo in tanto

già mandato a chiamar Alfesibeo,

a cui Febo insegnò la medica arte,

allor che diede a me la cetra e 'l plettro,

sopragiunsero insieme Dafne e Silvia,

95        che, come intesi poi, givan cercando

quel corpo che credean di vita privo.

Ma, come Silvia il riconobbe, e vide

le belle guancie tenere d'Aminta

iscolorite in sì leggiadri modi,

100      che viola non è che impallidisca

sì dolcemente, e lui languir sì fatto

che parea già negli ultimi sospiri

essalar l'alma, in guisa di baccante

gridando e percotendosi il bel petto,

105      lasciò cadersi in su 'l giacente corpo,

e giunse viso a viso e bocca a bocca.

[CORO] Or non ritenne adunque la vergogna

lei, ch'è tanto severa e schiva tanto?

[ELPINO] La vergogna ritien debile amore:

110      ma debil freno è di potente amore.

Poi, sì come ne gli occhi avesse un fonte,

inaffiar cominciò co 'l pianto suo

il colui freddo viso, e fu quell'acqua

di cotanta virtù, ch'egli rivenne;

115      e gli occhi aprendo, un doloroso «ohimè»

spinse dal petto interno;

ma quell'«ohimè», ch'amaro

così dal cor partissi,

s'incontrò ne lo spirto

120      de la sua cara Silvia, e fu raccolto

da la soave bocca, e tutto quivi

subito raddolcissi.

Or chi potrebbe dir come in quel punto

rimanessero entrambi, fatto certo

125      ciascun de l'altrui vita, e fatto certo

Aminta de l'amor de la sua ninfa,

e vistosi con lei congiunto e stretto?

Chi è servo d'Amor, per sé lo stimi.

Ma non si può stimar, non che ridire.

130      [CORO] Aminta è sano sì, ch'egli sia fuori

del rischio de la vita? [ELPINO] Aminta è sano,

se non ch'alquanto pur graffiat'ha 'l viso,

ed alquanto dirotta la persona;

ma sarà nulla, ed ei per nulla il tiene.

135      Felice lui, che sì gran segno ha dato

d'amore, e de l'amor il dolce or gusta,

a cui gli affanni scorsi ed i perigli

fanno soave e dolce condimento;

ma restate con Dio, ch'io vo' seguire

140      il mio viaggio, e ritrovar Montano.

[CORO] Non so se il molto amaro,

che provato ha costui servendo, amando,

piangendo e disperando,

raddolcito puot'esser pienamente

145      d'alcun dolce presente;

ma, se più caro viene

e più si gusta dopo 'l male il bene,

io non ti cheggio, Amore,

questa beatitudine maggiore;

150      bea pur gli altri in tal guisa:

me la mia ninfa accoglia

dopo brevi preghiere e servir breve;

e siano i condimenti

de le nostre dolcezze

155      non sì gravi tormenti,

ma soavi disdegni

e soavi ripulse,

risse e guerre a cui segua,

reintegrando i cori, o pace o tregua.

 

 


 

 

EPILOGO. AMOR FUGGITIVO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[VENERE] Scesa dal terzo cielo,

io che sono di lui regina e dea,

cerco il mio figlio fuggitivo Amore.

Quest'ier mentre sedea

5          nel mio grembo scherzando,

o fosse elezion o fosse errore,

con un suo strale aurato

mi punse il manco lato,

e poi fuggì da me ratto volando

10        per non esser punito;

né so dove sia gito.

Io che madre pur sono,

e son tenera e molle,

volta l'ira in pietate,

15        usat'ho poi per ritrovarlo ogn'arte.

Cerc'ho tutto il mio cielo in parte in parte,

e la sfera di Marte, e l'altre rote

e correnti ed immote;

né lá suso ne' cieli

20        è luogo alcuno ov'ei s'asconda o celi.

Tal ch'ora tra voi discendo,

mansueti mortali,

dove so che sovente e' fa soggiorno,

per aver da voi nova

25        se 'l fuggitivo mio qua giù si trova.

Né già trovarlo spero

tra voi, donne leggiadre,

perché, se ben d'intorno

al volto ed a le chiome

30        spesso vi scherza e vola,

e se ben spesso fiede

le porte di pietate

ed albergo vi chiede,

non è alcuna di voi che nel suo petto

35        dar li voglia ricetto,

ove sol feritate e sdegno siede.

Ma ben trovarlo spero

ne gli uomini cortesi,

de' qual nessun si sdegna

40        d'averlo in sua magione;

ed a voi mi rivolgo, amica schiera.

Ditemi, ov'è il mio figlio?

Chi di voi me l'insegna,

vo' che per guiderdone

45        da queste labbra prenda

un bacio quanto posso

condirlo più soave;

ma chi me 'l riconduce

dal volontario esiglio,.

50        altro premio n'attenda,

di cui non può maggiore

darli, la mia potenza,

se ben in don li desse

tutto 'l regno d'Amore;

55        e per lo Stige io giuro

che ferme servarò l'alte promesse.

Ditemi, ov'è il mio figlio?

Ma non risponde alcun: ciascun si tace.

Non l'avete veduto?

60        Forse ch'egli tra voi

dimora sconosciuto,

e dagli omeri suoi

spiccato aver de' l'ali

e deposto gli strali,

65        e la faretra ancor depost'e l'arco,

onde sempre va carco,

e gli altri arnesi alteri e trionfali.

Ma vi darò tai segni

che conoscer ai segni

70        facilmente il potrete,

ancor che di celarsi a voi s'ingegni.

Egli, ben che sia vecchio

e d'astuzia e d'etate,

picciolo è sì, ch'ancor fanciuilo sembra

75        al viso ed a le membra,

e 'n guisa di fanciullo

sempre instabil si move,

né par che luogo trove in cui s'appaghi,

ed ha giuoco e trastullo

80        di puerili scherzi;

ma il suo scherzar è pieno

di periglio e di danno.

Facilmente s'adira,

facilmente si placa; e nel suo viso

85        vedi quasi in un punto

e le lagrime e 'l riso.

Crespe ha le chiome e d'oro,

e 'n quella guisa appunto

che Fortuna si pinge,

90        ha lunghi e folti in su la fronte i crini,

ma nuda ha poi la testa

a gli opposti confini.

Il color del suo volto

più che fuoco è vivace;

95        ne la fronte dimostra

una lascivia audace;

gli occhi infiammati e pieni

d'un ingannevol riso

volge sovente in biechi; e pur sott'occhio

100      quasi di furto mira,

né mai con dritto guardo i lumi gira.

Con lingua che dal latte

par che si discompagni,

dolcemente favella, ed i suoi detti

105      forma tronchi e imperfetti;

di lusinghe e di vezzi

è pieno il suo parlare,

e son le voci sue sottili e chiare.

Ha sempre in bocca il ghigno,

110      e gl'inganni e la frode

sotto quel ghigno asconde,

come tra fronde e fior angue maligno.

Questi da prima altrui

tutto cortese e umìle

115      a i sembianti ed al volto,

qual povero peregrin albergo chiede

per grazia e per mercede;

ma poi che dentro è accolto,

a poco a poco insuperbisce, e fassi

120      oltra modo insolente;

egli sol vuol le chiavi

tener de l'altrui core,

egli scacciarne fuore

gli antichi albergatori, e 'n quella vece

125      ricever nova gente;

ei far la ragion serva

e dar legge a la mente:

cosi divien tiranno

d'ospite mansueto,

130      e persegue ed ancide

chi li s'oppone e chi li fa divieto.

Or ch'io v'ho dato i segni

e degli atti e del viso

e de' costumi suoi,

135      s'egli è pur qui fra voi

datemi, prego, del mio figlio aviso.

Ma voi non rispondete?

Forse tenerlo ascoso a me volete?

Volete, ah folli, ah sciocchi,

140      tenere ascoso Amore?

Ma tosto uscirà fuore

da la lingua e da gli occhi

per mille, indîci aperti:

tal, io vi rendo certi,

145      ch'averrà quello a voi, ch'avvenir suole

a colui che nel seno

crede nasconder l'angue,

che co' gridi e co 'l sangue al fin lo scuopre.

Ma poi che qui no 'l trovo,

150      prima ch'al ciel ritorni

andrò cercando in terra altri soggiorni.

 

 

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Ultimo Aggiornamento:18/07/2005 01.35